Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge

L’aumento in bolletta voluto dall’Autorità per l’Energia  è illegittimo

Nessun potere impositivo dunque in capo all’Autorità la cui Deliberazione N°50 del 1 febbraio 2018 deve considerarsi contraria alle norme di rango costituzionale, quali il principio di legalità di cui all’art. 23 Costituzione

Con le Sentenze n. 5619 e 5620 pubblicate entrambe il 30.11.2017, il Consiglio di Stato interviene sulla questione – già lungamente dibattuta presso il TAR Lombardia che aveva affrontato la questione con diverse pronunce emesse tra il 2015 e il 2016 – relativa alla legittimità di diverse deliberazioni dell’Autorità per l’Energia Elettrica il Gas ed il Sistema Idrico (d’ora in poi A.E.E.G.S.I.), con particolare riferimento al “codice di rete tipo per il servizio di trasporto dell’energia elettrica”, nella parte in cui “introduce una nuova disciplina in materia di garanzie per l’accesso al servizio di trasporto, di fatturazione del servizio e dei relativi pagamenti” e “dispone che gli utenti del servizio di trasporto e vendita dell’energia (c.d. “traders”) debbono prestare garanzie alle imprese distributrici di energia elettrica.
La questione concerneva i corrispettivi degli oneri generali del sistema elettrico e alla possibilità che A.E.E.G.S.I. possa imporre ai traders obblighi di garanzia a favore dei soggetti distributori in caso di inadempimento delle obbligazioni gravanti ex lege sui clienti, utenti finali del servizio.
Per una migliore comprensione del thema decidendum, va premesso che “oneri generali di sistema” sono i costi relativi agli incentivi per le fonti rinnovabili e i costi da destinare a finalità sociali, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse. Sono fissati per legge e, ai sensi dell’art. 39, co. 3, del D.L. 83/2012 vengono fatturati dal Distributore verso il venditore che dovrà riversarli alla Cassa per i Servizi Energetici e Ambientali (CSEA), oltre che alla società Gestore dei servizi Energetici.
Conseguentemente tali oneri generali di sistema si ritrovano inclusi nella bolletta elettrica e vengono parametrati al costo effettivo dell’energia e del servizio reso in favore del consumatore finale: gli interventi di A.E.E.G.S.I. sono stati nel senso di prevedere, a carico dei traders (il soggetto che porta l’energia nelle singole case) e laddove il cliente finale fosse rimasto inadempiente, di fornire garanzie idonee in favore del distributore affinchè quest’ultimo non avesse a risentire della morosità accumulata dai clienti finali.
Calcolando che il debito attuale in circa 1 miliardo di euro (ma la cifra è solo approssimativa),
l’ A.E.E.G.S.I. dopo essersi vista annullare in sede giurisdizionale, le precedenti deliberazioni che volevano tale debito a carico dei Traders, ha adottato una Deliberazione a dir poco sconcertante e certo tale da pesare sulle tasche dei cittadini, per cui tutta la morosità accumulata dal 1° gennaio 2016 sarà posta a carico dei cittadini in regola con i pagamenti!
A fondamento della Delibera (la n. 50 del 1° Febbraio 2018) l’Autorità ha posto l’esigenza di far fronte all’inadempimento dei venditori verso i distributori che tuttavia, hanno provveduto al pagamento verso la Cassa dei Servizi energetici Ambientali di quegli oneri di gestione che, tuttavia, stando alle pronunce della giustizia amministrativa, devono restare a carico degli Utenti Finali.

“Un gioco di parole per salvaguardare i Potenti a spese dei cittadini onesti e rispettosi degli impegni assunti”

Cerchiamo di fare ordine:
il risultato finale di oltre dieci procedimenti aperti presso il TAR Lombardia e culminati presso il Consiglio di Stato, è stato nel senso di precisare che i poteri attribuiti all’Autorità, sono quelli previsti dall’art. 2, co. 12, lett. e) della Legge n. 481/1995stabilisce e aggiorna… le tariffe di base, i parametri e gli altri elementi di riferimento per determinare le tariffe, di cui ai commi 17, 18 e 19, nonché le modalità per il recupero dei costi eventualmente sostenuti nell’interesse generale in modo da assicurare…la realizzazione degli obiettivi generali di carattere sociale, di tutela ambientale e di uso efficiente delle risorse di cui al comma 1 dell’articolo 1″e, soprattutto, ha escluso che l’Autorità, in forza della disposizione richiamata, possa ritenersi autorizzata ad intervenire a gamba tesa sui rapporti contrattuali tra distributore e venditore o tra questi e il cliente finale.
La sentenza del Consiglio di Stato – che pure, nella deliberazione n. 50/18, è stata assurta dall’Autorità, come presupposto fattuale da cui far discendere la “nuova” imposizione a carico dei cittadini – richiamando l’art. 3, comma 10 e 11 del Decreto Legislativo n. 79/99, ha piuttosto ribadito che l’Autorità ha SOLO il potere di individuare gli oneri generali di sistema, con “conseguente adeguamento del corrispettivo” relativo all’accesso e all’uso della rete di trasmissione.
Nessun potere impositivo dunque in capo all’Autorità la cui Deliberazione deve considerarsi contraria alle norme di rango costituzionale, quali il principio di legalità di cui all’art. 23 Costituzione (“Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.”) e norme di estrazione comunitaria che impongono il rispetto dei principi di economicità e ragionevolezza, da considerarsi come principi immanenti alla materia della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia.
In definitiva, la conclusione cui è pervenuto il Consiglio di Stato, si ribadisce, di segno contrario alle affermazioni contenute nell’ultima Deliberazione di A.E.E.G.S.I., è nel senso di escludere alcun potere impositivo a carico dell’Autorità o di un terzo che non sia espressamente prevista dalla legge (e che si possa essere obbligati a pagare debiti altrui non è previsto da alcuna legge né nazionale né sovranazionale!); e soprattutto, nel dare atto che l’attuale compendio normativo evidenzia il “difetto di una previsione legislativa circa il soggetto che subisce le conseguenze dell’inadempimento dei clienti finali”.
Un vuoto normativo dunque, che impone un intervento del legislatore e non certo un colpo di coda ad opera di un’Autorità Amministrativa Indipendente a tutela dei poteri forti e – come sempre – a discapito dell’anello più debole della filiera.
Procedendo di questo passo, dopo il canone RAI, dopo gli oneri dell’energia, ci si dovrà forse aspettare che il cittadino onesto debba sostenere anche tutti i debiti per tasse non pagate da altri; per canoni di locazione delle case popolari; per sanzioni amministrative e chissà che altro ancora!?
È evidente che ammettere, legittimandolo, un sistema impositivo siffatto, significherebbe stravolgere, anzi, abbattere il sistema di garanzie sotteso alla Carta Costituzionale e alle norme di rango sovranazionale che vogliono il Cittadino al centro del sistema di tutele e guarentigie a difesa della personalità umana.

“Il buon cittadino è quello che non può tollerare nella sua patria un potere che pretende d’essere superiore alle leggi”

Studio Legale Gelsomina Cimino

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il ristoratore che non indica la presenza di alimenti surgelati sul menù commette il reato di frode

Il ristoratore che non indica la presenza di alimenti surgelati sul menù commette il reato di frode

Con la Sentenza n. 4735/2018 la Corte di Cassazione in materia penale è intervenuta a chiarire cosa effettivamente rischia un ristoratore che ometta di indicare che le pietanze proposte con il menu contengano ingredienti surgelati e non freschi, intervenendo nel giudizio contro un soggetto condannato in primo grado e confermato in appello per il reato di cui all’art. 515 c.p. “frode nell’esercizio del commercio” perché, in qualità di legale rappresentante di una società proprietaria di un ristorante deteneva per la vendita, esclusivamente pesce congelato e compiva atti idonei alla somministrazione agli avventori dell’esercizio commerciale di ristorazione prodotti ittici surgelati in luogo di quelli freschi indicati nel menù”.

Contro le statuizioni della Corte d’Appello di Bologna, l’imputato proponeva ricorso in Cassazione dolendosi, in particolare, della circostanza secondo la quale la Corte avrebbe erroneamente ritenuto sussistente l’ipotesi di reato di tentativo di frode in commercio dalla mera esposizione di immagini ritraenti pietanze dalla quali non si potrebbe dedurre, in assenza di apposita lista, se i prodotti fossero freschi o surgelati, né ricavarne l’indicazione della natura dei prodotti impiegati nella sua preparazione. In sostanza, argomenta il ricorrente, l’immagine pubblicitaria delle pietanze aveva solo valenza “dimostrativa della presentazione del piatto” mentre “è solo con l’inserimento nella lista data agli avventori o posizionata sul tavolo che si manifesta l’intenzione del ristoratore ad offrire quei prodotti”, da cui deriverebbe l’insussistenza del reato contestato.

Secondo la Suprema Corte, tuttavia, il ricorso è manifestamente infondato oltre che inammissibile. Secondo l’indirizzo ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, “il tentativo del reato di cui all’art. 515 c.p. è configurato e si verifica quando l’alienante compie atti idonei diretti in modo non equivoco a consegnare all’acquirente una cosa per un’altra ovvero una cosa, per origine, qualità o quantità diversa da quella pattuita o dichiarata”. Di conseguenza, “costituisce il tentativo del delitto di frode in commercio anche il semplice fatto di non indicare nella lista delle vivande che determinati prodotti sono congelati, giacché il ristoratore ha l’obbligo di dichiarare la qualità della merce offerta ai consumatori“.

Ed invero, già con la Sent. n. 28/2000 le Sezioni Unite avevano superato il contrasto interpretativo presente in giurisprudenza sulla configurabilità del tentativo di frode in commercio, per cui secondo indirizzo ormai consolidato, “se il prodotto viene esposto sui banchi dell’esercizio o comunque offerto al pubblico, la condotta posta in essere dall’esercente l’attività commerciale è idonea ad integrare il tentativo perché dimostra l’intenzione di vendere proprio quel prodotto“.

Inoltre, il menu, o la lista delle vivande, “consegnata agli avventori o sistemata sui tavoli di un ristorante equivale ad una proposta contrattuale nei confronti dei potenziali clienti e manifesta l’intenzione del ristoratore di offrire i prodotti indicati nella lista, dunque, anche la mera disponibilità di alimenti surgelati, non indicati come tali nel menu, nella cucina di un ristorante, configura il tentativo di frode in commercio, indipendentemente dall’inizio di una concreta contrattazione con il singolo avventore“.

In sostanza, conclude la Suprema Corte, i giudici del merito hanno congruamente motivato la responsabilità penale del ricorrente, atteso peraltro che all’interno dell’esercizio commerciale erano presenti esclusivamente provviste congelate. Infine, quanto alle modalità di rappresentazione dell’offerta dei prodotti,”anche l’esposizione di immagini del prodotto offerto, in luogo della sua descrizione nel menù, è idonea a configurare la condotta della fattispecie criminosa, stante la natura diretta a incentivare la consumazione del prodotto“.

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Studio Legale Gelsomina Cimino

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USURA SOS BANCA “UN MONDO ANCORA SOMMERSO E OSCURO”

 

USURA SOS BANCA L’Usura strozza la nostra vita e quella di chi ci sta accanto!

Qualora si riscontrassero illeciti o irregolarità da parte della Banca o Società Finanziarie, non esitare a far elaborare una rigorosa e dettagliata perizia tecnica per quantificare quanto illegittimamente addebitato per usura, anatocismo, interesse, denunciando poi, sia gli aspetti tecnici che legali della contestazione per riottenere anche le somme indebitamente corrisposte.

Lo Studio Legale Cimino fornisce adeguata consulenza ed assistenza legale in materia di usura, anatocismo e contenziosi bancari in genere, per privati ed imprese, sia in ambito stragiudiziale che giudiziale, offrendo un parere preliminare volto ad accertare la presenza di elementi di contestazione che possano dar luogo ad azioni legali.

“L’usura è un mostro purtroppo ancora sommerso che, come un serpente, strangola le sue vittime(Sua Santità Papa Francesco) e i numeri del fenomeno sono impressionanti.

La crisi economica ha trascinato commercianti, impiegati e pensionati nella rete degli strozzini, dal fenomeno non sono immuni neanche le nostre imprese che sono le prede preferite.

La piaga sociale dell’usura persegue un vantaggio economico illecito utilizzando come strumento il prestito di denaro.

La preoccupante condizione economica delle famiglie e aziende italiane è alla base dell’incremento del fenomeno che, oltre a rappresentare un dramma per le vittime, rappresenta anche una grave minaccia per la nostra economia nazionale.

L’usura insomma non riguarda più la singola vittima, ma produce conseguenze negative nel tessuto sociale e nel comparto produttivo e industriale del nostro Paese.

È inaccettabile che il sistema bancario che non “fallisca mai” potendo contare su finanziamenti illimitati al costo dell’1% a spese dei cittadini e che non paghi mai per i turpi “errori finanziari” commessi, disponendo inoltre di privilegi normativi quali le discrezionali segnalazioni alle centrali dei rischi e le unilaterali dichiarazioni di verità e certezza dei propri crediti, che le pongono in posizione di supremazia rispetto a tutti i consumatori, stringendo nella morsa sempre più chi ha bisogno di aiuto.

Oggi conoscere il fenomeno dell’Usura è assai importante per combatterlo e soprattutto per prevenirlo.

Il modo più efficace per combattere l’usura è la prevenzione.

Non esitare a rivolgerti allo Studio Legale Cimino per una consulenza gratuita e per un parere:

l’arma vincente per riequilibrare il rapporto con la propria Banca e per uscire dalla morsa che ti consuma nel silenzio e col silenzio.

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SOS BANCA

SOS BANCA

GLI ISTITUTI DI CREDITO E SOCIETA’ FINANZIARIE DEVONO RESTITUIRE L’ILLECITA CAPITALIZZAZIONE DEGLI INTERESSI ILLEGALMENTE APPLICATI:

Se ritieni che il tasso applicato al tuo mutuo o al tuo prestito sia particolarmente alto, puoi affidarti ai nostri esperti per ottenere una relazione tecnica che verifichi gli andamenti mensili e annuali del tasso e in caso di ritardo nei pagamenti, accertare la natura e la liceità del tasso applicato.

Se pensi di essere vittima di anatocismo non esitare a contattare lo Studio Legale Cimino per una consulenza gratuita online
L’anatocismo è il calcolo degli interessi sugli interessi che sono già maturati su una somma dovuta.
Gli interessi passivi maturati non possono produrre altri interessi.
Gli interessi passivi e attivi devono essere calcolati con la stessa periodicità, ossia secondo lo stesso intervallo di tempo.
Le banche devono dare separata evidenza a interessi e capitale

Capire quando si è in presenza di un prestito usurario è molto importante.
Si parla di strozzinaggio e usura bancaria quando viene accertato che il tasso di interesse applicato al finanziamento o al mutuo è più alto rispetto alla soglia degli indici di riferimento stabiliti dalla legge.
Sperare di uscire dall’usura continuando a pagare è uno sbaglio. Dall’usura si esce solo con una denuncia e non bisogna aver paura di denunciare!
Lo Studio Legale Cimino offre tutela e assistenza a chi decide di compiere il passo.

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STUDIO LEGALE AVVOCATO GELSOMINA CIMINO ROMA

STUDIO LEGALE AVVOCATO GELSOMINA CIMINO ROMA

 

Patrocinante in Corte di Cassazione e Magistrature Superiori

Lo Studio Legale Cimino vanta una specifica competenza in tema di Diritto Civile, Diritto Amministrativo e Diritto Penale.

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Il team legale, cresciuto negli anni attraverso l’inserimento di giovani Professionisti che hanno maturato progressivamente le loro capacità e esperienze, è fortemente orientato al Diritto Civile, Amministrativo e Penale, con una speciale vocazione per i reati finanziari, societari, fallimentari e tributari, nonché per i delitti contro la persona.
Lo Studio Legale guidato dall’Avvocato Gelsomina Cimino fornisce assistenza legale con l’obiettivo di consentire al cliente di acquisire piena contezza delle variabili normative che incidono sulle scelte, offrendo assistenza di primario livello, garantendo competenza, riservatezza e impegno.
Lo Studio Legale Cimino è affiancato dai migliori consulenti sul mercato, nei settori nevralgici dell’indagine tecnica e dell’investigazione difensiva. La capacità e preparazione professionale dello Studio, si combinano in una struttura nella quale l’organizzazione ed il lavoro di squadra consentono di assistere con pieno successo e soddisfazione i clienti di qualunque dimensione e nazionalità.

“L’avvocato deve saper vedere più di quanto gli venga rappresentato per cogliere aspetti che il proprio assistito cerca di nascondere o considera erroneamente irrilevanti”.

 

Lo Studio Legale Cimino è stato fondato sul principio del “successo”, affidato all’esperienza acquisita anche dai suoi collaboratori e all’attenzione da loro riservata ai particolari: una filosofia che continua a guidare lo Studio al fine di garantire ai clienti servizi professionali di eccellente qualità e risultati.
La Mission dello Studio Legale Cimino è: L’attitudine naturale non si può insegnare, né apprendere.

 “Al centro dell’impegno e della motivazione dello Studio Legale Cimino, si colloca il cliente”.

L’assistenza, la competenza, lo scrupolo e la qualità di lavoro, creano tutte le condizioni migliori per garantire il raggiungimento dei risultati. Gli obiettivi dello Studio consistono nel fornire ai propri Clienti un servizio altamente professionale, competente e personalizzato, attento alle reali esigenze del risultato migliore, rapido e dinamico, capace di affiancarli in ogni loro problematica legale per il conseguimento degli obiettivi. La costante formazione negli ambiti di competenza del Diritto, consente allo Studio di fornire soddisfazione al cliente. La gestione dello Studio è ispirata al perseguimento dell’interesse dei Clienti, ai quali vengono illustrate le problematiche ed i rischi giudiziali del caso concreto.
Instaurare con i Clienti un rapporto fiduciario caratterizzato da reciproco rispetto, apprezzamento e correttezza costituisce fine prioritario. Lo Studio Legale Cimino tende ad essere il punto di riferimento dei clienti più esigenti. L’esigenza primaria è il gradimento del Cliente, che può contare su una struttura ispirata e sempre attenta, a fornire la soluzione ricercata e condivisa.

“L’AVVOCATO DEVE ESSERE PRIMA DI TUTTO UN CUORE”

Molte professioni possono farsi con il cervello e non con il cuore; ma l’avvocato no! L’avvocato non può essere un puro logico né un ironico scettico, l’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé; assumere su di sé i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. Per questo amiamo la nostra toga; per questo vorremmo, che quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero al quale siamo affezionati, perché sappiamo che esso è servito ad asciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso e soprattutto a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia.

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SCUOLA: VIA LIBERA AI MINORI DI ANNI 14

SCUOLA: VIA LIBERA AI MINORI DI ANNI 14

 

USCITA DA SCUOLA

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È la soluzione offerta in sede Parlamentare di fronte alle polemiche insorte all’indomani di una sentenza della Cassazione che aveva applicato in modo “rigido” la normativa vigente, ritenendo responsabile l’Istituto Scolastico, dell’incidente occorso ad un minore di anni 11 che aveva lasciato la scuola da solo ed era stato investito, perdendo la vita, da un autobus di linea.

Obbligo di vigilanza dunque che nel caso di minori di anni 14, secondo l’attuale assetto normativo, incombe sull’Istituto scolastico, obbligato ad affidare l’alunno solo al genitore o a persona a ciò autorizzata dagli esercenti la responsabilità genitoriale e che, grazie all’emendamento approvato al Senato – ma non ancora legge – risulterà affievolito, potendo i genitori, in questo modo, esonerare espressamente la scuola da ogni responsabilità derivante dall’uscita dell’alunno minorenne che, da solo, potrà usufruire dei mezzi pubblici di trasporto.

Libertà e autodeterminazione nell’ottica di un processo di responsabilizzazione del minore cui, si confida, corrisponderà una altrettanto accurata responsabilizzazione del genitore che, se non particolarmente accorto, potrebbe “legittimare” l’allontanamento del proprio figlio con chiunque – anche malintenzionato – non espressamente autorizzato e comunque non noto alla famiglia, sebbene, eventualmente, conosciuto dal solo ragazzo.

Il suggerimento dunque è quello di approntare comunicazioni di esonero ben delimitate, indicando esattamente le persone e le modalità, oltre i tempi, in cui l’alunno potrà allontanarsi dalla scuola.

 

Il testo dell’emendamento che è stato approvato in Senato in relazione alla legge di bilancio con il quale si permette ai genitori di autorizzare le scuole all’uscita autonoma dei minori di 14 anni:

(Disposizioni in materia di uscita dei minori di 14 anni dai locali scolastici)

  1. I genitori esercenti la responsabilità genitoriale, i tutori e i soggetti affidatari ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184, dei minori di 14 anni, in considerazione dell’età di questi ultimi, del loro grado di autonomia e dello specifico contesto, nell’ambito di un processo di loro autoresponsabilizzazione, possono autorizzare le istituzioni del sistema nazionale di istruzione a consentire l’uscita autonoma dei minori di 14 anni dai locali scolastici al termine dell’orario delle lezioni. L’autorizzazione esonera il personale scolastico dalla responsabilità connessa all’adempimento dell’obbligo di vigilanza.
  2. L’autorizzazione ad usufruire in modo autonomo del servizio di trasporto scolastico, rilasciata dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale e dai tutori dei minori di 14 anni agli enti locali gestori del servizio esonera dalla responsabilità connessa all’adempimento dell’obbligo di vigilanza nella salita e discesa dal mezzo e nel tempo di sosta alla fermata utilizzata, anche al ritorno dalle attività scolastiche.»

Studio Legale Gelsomina Cimino

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BES: BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI

BES: BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI

Alunni disabili: il diritto allo studio è sacro

La Costituzione impone agli Istituti Scolastici di adottare ogni misura atta ad assicurare l’effettività del diritto allo studio: non può essere respinto l’alunno che per difficoltà psico-attitudinali non riesce a tenere il passo degli altri compagni.

Lo stabilisce il T.A.R del Lazio con Ordinanza su ricorso proposto dall’Avvocato Gelsomina Cimino del Foro di Roma.

 

http://studiolegalecimino.eu/wp-content/downloads/sentenza_2_diritto_amministrativo.pdf

 

R E P U B B L IC A I T A L I A N A

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero Reg.generale OMISSIS, proposto da – OMISSIS , in qualità di esercente la potestà genitoriale sulla figlia minore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gelsomina  Cimino

con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Vittorio Veneto, 116;

contro

Il Ministero dell’Istruzione  e dell’Università e della Ricerca, il Liceo OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma via dei Portoghesi,

per l’annullamento previa sospensione dell’efficacia,

della scheda di valutazione del OMISSIS relativa al risultato finale, contenente la dichiarazione di non ammissione alla classe successiva dell’alunna, nonché del connesso verbale dcl Consiglio di Classe, recante giudizio di non ammissione, in data OMISSIS

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e del Liceo OMISSIS;

Vista la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;

Visto l’art. 55 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Ritenuta la propria giurisdizione e competenza;

Relatrice nella camera di consiglio del giorno OMISSIS la dott.ssa Emanuela Loria e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto che il vizio della notifica dell’atto introduttivo, rilevato nell’ordinanza cautelare collegiale del Omissis risulta essere sanato dalla costituzione in giudizio dell’amministrazione;

Ritenuto altresì che l’istanza cautelare, allo stato degli atti e delle deduzioni delle parti, sia da accogliere essendo presenti sia l’elemento del danno grave e irreparabile sia quello del fumus boni iuris in relazione  alla situazione della minore, che deve pertanto essere ammessa alla classe successiva;

PQM

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis) accoglie l’istanza cautelare e, per l’effetto, ordina all’Istituto scolastico resistente di ammettere la minore alla classe successiva.

Fissa per la trattazione di merito del ricorso l’udienza pubblica del OMISSIS alle ore di rito

Compensa le spese della presente fase cautelare.

La presente ordinanza sarà eseguita dall’amministrazione ed è depositata presso la segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1, 2 e 5 D.Lgs.30 giugno 2003 n. 196, manda alla Segreteria di procedere, in caso di riproduzione in qualsiasi forma, per fìnalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, all’oscuramento delle generalità del minore, dei soggetti esercenti la patria potestà o la tutela e di ogni altro dato idoneo ad identificare il medesimo interessato riportato sulla sentenza o provvedimento.

Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del giorno Omissis con l’intervento dei magistrati:

Riccardo Savoia, Presidente

Ines Simona Immacolata Pisano, Consigliere

Emanuela Loria, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE

Emanuela Loria

IL PRESIDENTE

Riccardo Savoia

 

lL SEGRETARI0

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANTITRUST Tutela consumeristica: non sempre invocabile

ANTITRUST

  Tutela consumeristica: non sempre invocabile

ANTITRUST:Le attività poste in essere per la riscossione di una sanzione amministrativa, non sono inquadrabili nel concetto di “vendita” previsto dal Codice del Consumo.

Lo stabilisce il Consiglio di Stato con Ordinanza su ricorso proposto dall’Avvocato Gelsomina Cimino del Foro di Roma.

 

http://studiolegalecimino.eu/wp-content/downloads/sentenza_1_diritto_amministrativo.pdf

CONSUMATORE GELSOMINA CIMINO ANTITRUST AGCM
GELSOMINA CIMINO

 

REPUBBLICA  ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

 

sul ricorso numero di registro generale XXXX, proposto da   XXXXXXXX, in persona  del legale rappresentan te “pro tempore”,  rappresentato  e  difeso  dall’Avvocato Gelsomina  Cimino con  domicilio  eletto  presso  lo  studio  in Roma, via Vittorio Venero n. 116;

contro

Autorita’ Garante della Concorrenza e del Mercato AGCM) Antitrust, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentata e difesa per legge dall’avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

dell’ ordinanza  cautelare  del  T .A.R.  LAZIO  – ROMA  SEZIONE  I,  n.XXXXX

resa tra le  parti, concernente irrogazione di sanzione amministrativa  pecuniaria  per  pratica  commerciale   scorretta,   con contestuale ordine di pubblicazione della delibera, a cura e spese  della società, sul Resto dcl Carlino;

 

Visto l’art. 62 cod. proc. amm;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di mera  forma dell’AGCM

Vista la impugnata ordinanza cautelare del Tar di reiezione della domanda cautelare presentata dalla parte ricorrente in primo grado;

Relatore nella carnera di consiglio del xxx il  cons. Buricelli e udito per la parte appellante l’Avvocato Gelsomina Cimino;

considerato che a un primo e sommario esame l’appello cautelare  non appare privo di “fumus boni juris” atteso che sembrano esistere ragionevoli dubbi sulla effettiva sussistenza, nella fattispecie, del contesto di tutela consumeristica richiesto dal d. lgs. n. 206/05;

che, inoltre, il danno dedotto dall’appellante sussiste e appare grave e irreparabile;

P.Q.M

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale  (Sezione Sesta)

accoglie l’appello cautelare (Ricorso numero xxxx) e, per l’effetto, in riforma dell’ordinanza impugnata, accoglie l’istanza cautelare in primo grado sospendendo l’esecuzione della delibera impugnata.

Ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia trasmessa al Tar per la sollecita fissazione dell’udienza di merito ai sensi dell’art. 55, comma 1O, cod. proc. amm. .

Provvede sulle spese della presente fase cautelare come segue: condanna l’appellata a rimborsare all’appellante le spese di entrambi i gradi della fase giudiziale, che si liquidano in € 3.000,00, oltre agli accessori di legge.

La presente ordinanza sarà eseguita dall’ Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che  provvederà  a  darne  comunicazione alle parti.

 

Così deciso in Roma  nella  camera  di consiglio  del xxxxxxxx con l’intervento dei magistrati:

Presidente

Consigliere

Consigliere

Consigliere

Estensore

L’ESTENSORE     IL PRESIDENTE

DEPOSITATA  IN SEGRETERIA

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

MISURE DI PREVENZIONE: LA PERICOLOSITA’ PASSA AI SUPREMI GIUDICI

MISURE DI PREVENZIONE: LA PERICOLOSITA’ PASSA AI SUPREMI GIUDICI

 

Che la sentenza della Grande Camera della Corte EDU (23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia), la quale condannava l’Italia per la violazione dell’art. 2 prot. 4 CEDU, per il ritenuto deficit di prevedibilità e tassatività della disciplina delle misure di prevenzione nella descrizione delle condotte idonee a essere prese in considerazione per la valutazione della pericolosità sociale del soggetto proposto alla misura, avrebbe provocato nel nostro Ordinamento delle vere e proprie scosse telluriche, si è detto già all’indomani della pronuncia.

Ed invero, già la Corte d’Appello di Napoli, sezione Misure di prevenzione, con l’ordinanza del 14.03.2017 ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione relativa alla legittimità degli artt. 1 – 3 e 5 della Legge n. 1423/56 nonché degli artt 4 – 6 e 8 del D. Lgs n. 159/2011 (Cod. Antimafia) ritenuti in contrasto, per il loro riferimento ad una “pericolosità generica” sia alla “Libertà di circolazione (in relazione all’art. 2 del protocollo addizionale n. 4 della Convenzione EDU), sia alla “Protezione della Proprietà” (in relazione all’art. 1 del primo protocollo addizionale alla Convenzione EDU).

Successivamente, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite penali con la Sentenza del 27.04.17 n. 40076 è intervenuta a chiarire la questione sulla rilevanza penale ex art. 75, comma 2, D. Lgs. n. 159/2011 della condotta di chi violi le prescrizioni “di vivere onestamente” e “di rispettare le leggi” imposte con la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza di cui all’art. 8 stesso decreto.

La questione sottoposta agli Ermellini trova la sua ragion d’essere nel rilievo che assume la definizione delle condotte prese in considerazione dall’art. 75 cit. per verificarne la conformità ai principi di tipicità della fattispecie penale nonché a quelli di precisione, determinatezza e tassatività delle norme incriminatrici, al fine di verificare la coerenza della giurisprudenza di legittimità (ex multis sent. C. Cost. n. 282/2010) – la quale costantemente, aveva ritenuto che la prescrizione di vivere onestamente rispettando le leggi integrasse il reato previsto dall’art. 75.2 d.lgs 159/2011 (già art. 9 L. 1423/1956) – con quanto osservato dalla Gran Camera di Strasburgo nella sent. CEDU De Tommaso c/ Italia, la quale ha espresso un giudizio fortemente critico sulla qualità della legge n. 1423/1956 (che, necessariamente si estende al d.lgs 159/2011 in quanto quest’ultimo recepisce i contenuti fondamentali della disciplina originaria) [Per approfondimenti, si veda il nostro contributo http://studiolegalecimino.eu/nuova-ipotesi-indennizzo-sorvegliato-speciale/

Le Sezioni Unite,  attraverso una sistematica interpretazione della norma portata dall’art. 75 del Codice Antimafia, hanno quindi fornito una rilettura del diritto interno che sia aderente alla CEDU e subordinata al “prioritario compito di adottare una lettura costituzionalmente corretta”, ammettendo che “prescrizioni come il “vivere onestamente” e il “rispettare le leggi” non impongono comportamenti specifici ma contengono un mero ammonimento morale, la cui genericità e indeterminatezza dimostra l’assoluta inidoneità ad integrare il nucleo di una norma penale incriminatrice”.

Non sono mancati tuttavia, anche in sede di legittimità, contrasti interpretativi circa l’esistenza e la natura di una presunzione in tema di attualità della pericolosità sociale, vero fulcro nel sistema delle misure di prevenzione sia personali che patrimoniali.

Sul punto, la Corte Costituzionale con la fondamentale decisione n. 291 del 2013 ha introdotto l’obbligo della rivalutazione ex officio della “attualità della pericolosità” da valutare anche in ipotesi di intervenuta sospensione degli effetti della misura di prevenzione personale per la concorrente detenzione carceraria del destinatario, precisando che l’attualità deve essere valutata come esistente dal giudice della prevenzione nel momento in cui la misura viene eseguita, dovendo al contrario, ritenere la misura come illegittima limitazione della libertà personale.

D’altro canto, se da un lato, la disposizione contenuta nella Legge Delega del 13.08.2010 n. 136 comma 3, recante il piano straordinario contro le mafie, nonché la delega al Governo in materia di normativa antimafia – che ha poi dato vita al Decreto Legislativo n. 159 del 2011 (cd. Codice Antimafia), appare di assoluta linearità laddove chiarisce i presupposti e le finalità delle misure di prevenzione, richiedendo fra l’altro, che venga definita in maniera organica la categoria dei destinatari delle misure di prevenzione personali e patrimoniali, ancorandone la previsione all’esistenza di circostanze di fatto che giustificano l’applicazione delle misure di prevenzione e, per le sole misure personali, anche alla sussistenza del requisito della pericolosità sociale, non v’è dubbio che, la norma, nella sua applicazione concreta, ha dato adito – specie nel rapporto fra processo penale e procedimento di prevenzione – a pericolose valutazioni soggettive, ancorate più che all’accertamento di fatto, alla mera presunzione circa la pericolosità sociale.

Ed invero, costante nella giurisprudenza di legittimità è l’affermazione della piena autonomia dei due tipi di procedimenti – quello penale e quello di prevenzione – e l’affermazione dell’ampia libertà di cognizione da parte del giudice della prevenzione nell’apprezzamento degli elementi probatori tratti da procedimenti penali in corso, apprezzamento svincolato dal rispetto obbligatorio delle regole di giudizio proprie del dibattimento penale in tema di prova indiziaria e di prova dichiarativa, con gli unici vincoli di non fare ricorso a prove vietate e di dar conto delle ragioni per le quali da quegli elementi si traggano i presupposti applicativi della misura imposta (Sez. 1, n. 6613 del 17/01/2008, Carvelli e altri, Rv. 239358; Sez. 1 n. 20160 del 29/04/2011, Bagala’, Rv. 250278; Sez. 5, n. 49853 del 12/11/2013, L., Rv. 258939).

Le premesse teoriche poste a sostegno di tale orientamento possono così riassumersi:

– la pronunzia di assoluzione in sede penale, non crea vincolo alcuno per il giudice chiamato a decidere sulla proposta applicativa della misura di prevenzione, atteso che le misure in questione sono funzionali ad anticipare la commissione di delitti e si fondano su una valutazione complessiva della pericolosità del proposto e su un apprezzamento del suo “stile di vita”, valutazione che può prendere spunto da fatti emersi in sede penale e reputati inidonei, in tal sede, a sostenere una affermazione di responsabilità;

– la “appartenenza” ad associazioni di tipo mafioso, condizione richiesta in sede di misure di prevenzione (art. 4, n 1 lett. a) del D. Lgs n. 159/2011) è nozione più ampia e comprensiva di ogni comportamento che, pur non integrando gli estremi della partecipazione, sia funzionale agli interessi dei poteri criminali e costituisca una sorta di terreno favorevole permeato di cultura mafiosa (si evoca l’arresto rappresentato da Sez. 6 n. 9747 del 2014);

– la decisione di condanna penale a pena condizionalmente sospesa non può, di per sè sola, essere posta a base della applicazione di una misura di prevenzione personale, per espresso divieto di legge (att. 166, co. 2 c.p.), ma i fatti accertati in tale decisione, ove valutati congiuntamente ad altri, possono sostenere l’applicazione di una misura di prevenzione.

Muovendo da tali assunti, l’Ordinanza in commento, attraverso una interpretazione esegetica della volontà del legislatore e del principio di tassatività espresso dalla Corte di Strasburgo di inizio anno, ha fortemente criticato il modo con cui, negli anni, si è atteggiato il criterio valutativo della pericolosità, così come operato dai Giudici della prevenzione.

In pratica, secondo gli Ermellini della Prima sezione penale, il Giudice della Misura di prevenzione non può “evitare di porsi il problema rappresentato dalla esistenza di una pronuncia in termini di insussistenza o di non attribuibilità del fatto all’individuo di cui si discute”. È infatti il legislatore ad imporre che il giudizio di pericolosità sia ancorato a condotte illecite tipiche che devono sussistere nel momento in cui la misura di prevenzione deve essere applicata, dacchè, “nel caso di avvenuta esclusione del rilievo penale di una condotta, almeno tendenzialmente, impedisce di porre quel segmento di vita a base di una valutazione di pericolosità ed impone il reperimento, in sede di prevenzione, di ulteriori e diverse forme di conoscenza, capaci – in ipotesi – di realizzare ugualmente l’effetto di inquadramento nella categoria criminologica.”

Se, infatti, il sistema delle misure di prevenzione è finalizzato a prevenire la realizzazione di ulteriori fatti illeciti similari, il giudizio penale definitivo su un fatto rilevante ai fini dell’inquadramento soggettivo (come la pronuncia di assoluzione piena), non può che orientare il Giudice della prevenzione nella c.d. parte constatativa del giudizio di pericolosità.

Al contrario, laddove non esista ancora un giudicato penale, il Giudice della prevenzione che intenda avvalersi dei fatti emersi in sede dibattimentale o anche nella fase delle indagini, dovrà essere vincolato ad un dovere supplementare di argomentazione, dando conto delle ragioni per le quali, la condotta ritenuta inidonea a giustificare l’affermazione di penale responsabilità in sede dibattimentale, possa ritenersi non solo sussistente in fatto e attribuibile al preposto, ma anche indicativa della sua pericolosità attuale.

La questione che dunque è stata rimessa alle sezioni unite, concerne la possibilità che in simili casi, possa addirittura configurarsi “una presunzione di attualità della pericolosità, tale da trasferire sul preposto un onere dimostrativo vero e proprio, con sostanziale inversione dell’onere della prova su un punto qualificato della decisione in tema prevenzionale

La prima sezione penale, dopo essersi soffermata sul concetto di “presunzione” secondo quanto previsto dagli artt 2727 -2729 c.c.; sulla distinzione fra presunzioni legali, semplici o relative, conclude nel senso di escludere che nel sistema attuale delle misure di prevenzione personali, esista una qualche presunzione legale di attuale pericolosità sociale del soggetto raggiunto da elementi indizianti che ne abbiano consentito l’iscrizione nella categoria criminologica di cui all’art. 4 del Codice Antimafia.

Una tale conclusione è d’altronde avallata dal principio espresso all’art. 6 dello stesso Codice che impone l’obbligo di un apprezzamento concreto della pericolosità per ogni categoria di soggetti così come individuati all’art. 4: scelta questa coerente e obbligata dalla legge delega del 2010.

D’altro canto, il principio di tassatività, così come riaffermato in sede sovranazionale dalla Corte di Strasburgo, esclude che possano trovare ingresso nel sistema delle misure di prevenzione, ipotesi di presunzione legale né può ipotizzarsi l’esistenza di una presunzione relativa ex lege, atteso che, in tal modo, si finirebbe col trasferire sul preposto un onere dimostrativo di un evento specifico ed idoneo ad incrinare la presunzione medesima (interpretazione questa, sposata da un consistente filone giurisprudenziale anche di legittimità).

Ed invero, si assiste, sempre più di sovente, all’irrogazione di misure ablative, sia personali come la sorveglianza speciale; sia patrimoniali, come il sequestro preventivo e la confisca pur in presenza di sentenze assolutorie nell’ambito del procedimento penale relativo al reato presupposto, senza che il preposto possa appellarsi al principio del ne bis in idem, per la verità puntualmente respinto anche con pronunce di mero stile.

Così inquadrato il contrasto giurisprudenziale in tema di giudizio sulla pericolosità attuale dei soggetti richiamati all’art. 4 del Codice Antimafia, in attesa che la Corte Costituzionale si pronunci nei termini sollecitati dalla Corte d’Appello di Napoli, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite, con l’auspicio per chi scrive (troppo spesso inerme spettatore di pronunce contrastanti e talvolta completamente avulse dal contesto fattuale) che ci sia presto un intervento che pur nel rispetto della prevenzione (nel senso di prevenire la commissione di illeciti), assicuri certezza e legalità nell’applicazione di misure che se non vincolate a criteri di effettività e tassatività, possono essere causa di ulteriore e più grave disvalore sociale, perché tanto più il destinatario della norma penale è consapevole della condotta che gli venga prescritta, tanto più si può auspicare di indurlo ad essere motivato dal diritto e vivere nel diritto.

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LA CONDOTTA DEL PEDONE DIMINUISCE LA RESPONSABILITÀ DELL’AUTOMOBILISTA SOLO SE ASSOLUTAMENTE ECCEZIONALE

LA CONDOTTA DEL PEDONE DIMINUISCE LA RESPONSABILITÀ DELL’AUTOMOBILISTA SOLO SE ASSOLUTAMENTE ECCEZIONALE

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 45795 dello scorso 5 ottobre 2017 è tornata ad occuparsi del “ruolo” del pedone in un incidente stradale in cui si trovi coinvolto.

Il ricorso era stato proposto da un imputato condannato sia in primo grado che in appello per aver cagionato, a seguito di impatto, mentre percorreva un tratto di strada ad una velocità superiore a quella consentita, la morte del pedone in fase di attraversamento.

I motivi di impugnazione erano diversi ma, per quanto qui interessa, ci si sofferma sugli ultimi due concernenti la valutazione della percepibilità dell’auto da parte del pedone e della prevedibilità della presenza del pedone da parte del conducente.

Ebbene, gli Ermellini, richiamando un costante orientamento giurisprudenziale in merito, hanno ribadito che in tema di reati commessi con violazione di norme sulla circolazione stradale, il comportamento colposo del pedone investito dal conducente di un veicolo costituisce mera concausa dell’evento lesivo, che non esclude la responsabilità del conducente.

Unica eccezione, potrebbe essere l’ipotesi in cui la condotta del pedone sia da sola sufficiente a determinare l’evento, come nel caso in cui, essa risulti del tutto eccezionale, atipica, non prevista nè prevedibile, cioè quando il conducente si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone ed osservarne per tempo i movimenti, che risultino attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile (cfr. Sez. 4 n. 23309 del 29/04/2011, Rv. 250695).

In linea con tale orientamento, la Cassazione ha altresì affermato che il principio di affidamento trova un temperamento nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purchè questo rientri nel limite della prevedibilità.

Peraltro, esiste, con riferimento all’ambito della circolazione stradale, una tendenza ad escludere o limitare al massimo la possibilità di fare affidamento sull’altrui correttezza.

In tal senso vanno lette, ad esempio, le pronunce in cui si è affermato che, poiché le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza (vds art. 141 cds), proprio per fare fronte a situazioni di pericolo, anche quando siano determinate da altrui comportamenti irresponsabili, la fiducia di un conducente nel fatto che altri si attengano alle prescrizioni del legislatore, se mal riposta, costituisce di per sé condotta negligente.

Coerentemente con tale assunto, è stata perciò, ad esempio, confermata l’affermazione di responsabilità in un caso in cui la ricorrente aveva dedotto che, giunta con l’auto in prossimità dell’incrocio a velocità moderata e, comunque, nei limiti della norma e della segnaletica, aveva confidato che l’autista del mezzo che sopraggiungeva arrestasse la sua corsa in ossequio all’obbligo di concedere la precedenza (cfr. Sez. 4, n. 4257 del 28/3/1996, Lado, Rv. 204451).

E, ancora, sulle medesime basi si è affermato, che anche nelle ipotesi in cui il semaforo verde consente la marcia, l’automobilista deve accertarsi della eventuale presenza, anche colpevole, di pedoni che si attardino nell’attraversamento in quanto il conducente favorito dal diritto di precedenza deve comunque non abusarne, non trattandosi di un diritto assoluto e tale da consentire una condotta di guida negligente e pericolosa per gli altri utenti della strada, anche se eventualmente in colpa (Sez. 4, n. 12879 del 18/10/2000, Cerato, Rv. 218473); e che l’obbligo di calcolare le altrui condotte inappropriate deve giungere sino a prevedere che il veicolo che procede in senso contrario possa improvvisamente abbagliare, e che quindi occorre procedere alla strettissima destra in modo da essere in grado, se necessario, di fermarsi immediatamente (Sez. 4, n. 8359 del 19/6/1987, Chini, Rv. 176415).

Nel caso in esame, dunque, la Suprema Corte, ha confermato la conclusione dei giudici di merito (in base alla quale doveva ritenersi del tutto ragionevole, nel caso di specie, la prevedibilità dell’attraversamento del pedone), da ritenersi allineata ai principi sopra richiamati, poichè pienamente supportata dai dati fattuali esposti nella sentenza ed oggettivamente riscontrabili, in base ai quali le caratteristiche del caso concreto (tratto di strada curvilineo, percorso sulla corsia con raggio più ristretto e in orario notturno), imponevano all’agente di contenere la velocità anche al di sotto del limite previsto, peraltro ampiamente superato, per come dimostrato dalle risultanze istruttorie.

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