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Milano o Parigi ?

 

Messaggi di Febbraio 2015

Al bistrot dopo mezzanotte

Post n°476 pubblicato il 11 Febbraio 2015 da ilio_2009

«Sono un Francese d’Oriente» scrive Joseph Roth da Odessa nel 1926. Ha già nostalgia di Parigi, meta l’anno precedente della sua fuga dalla Germania: Parigi è la «capitale del mondo» commentava allora, senza sapere che lì sarebbe vissuto quattordici anni e avrebbe scritto gran parte dei suoi libri. Chi non è stato a Parigi, del resto, è «solo un mezzo uomo», e diventare uomo completo significa, per Roth, godere di un’identità multipla nella città in cui gli ebrei orientali – affluiti dopo la guerra – «possono vivere come vogliono». Sono racconti perfetti, increspati da un impagabile humour e da spiazzanti paradossi, gremiti di suoni e colori, odori e sapori: reti di nere cozze sgocciolanti e lupi di mare nel porto di Marsiglia; aromi di caffè, Pernod e acquavite nei bistrot parigini dove, dopo mezzanotte, si raccolgono gli esuli d’Europa; il bel mondo della Costa Azzurra con le sue vecchie cariche di brillanti e stuoli di cagnolini al seguito; l’alta stagione a Deauville con Monsieur Citroën che perde sempre al Casinò e regala un’automobile a ogni croupier; toreador vili e cialtroni nelle corride di Vienne (in cui le simpatie di Roth vanno naturalmente al toro); suonatori cosacchi di nostalgiche balalaiche; indossatrici che «seducono con caviglie moralmente corrotte» e femmine nude nei «luoghi di perdizione più ameni del mondo».

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Come mirabili sono i reportage da Vienna raccolti nel Caffè dell’Undicesima Musa

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Joseph Roth non fu soltanto un grande narratore, uno dei pochi del Novecento che reggano il tempo vivificandosi sempre di più. Fu anche uno stupefacente scrittore per giornali, nel senso che in pochi anni profuse sui quotidiani austriaci e tedeschi una quantità enorme e variegata di scritti di ogni genere, che basterebbero da soli a costituire un’opera di altissima qualità. Roth, come scrisse Soma Morgenstern, era «un descrittore nato, e del genere più illustre», capace di applicarsi a qualsiasi spettacolo della vita. In questo volume, il primo di una serie dove appariranno molti degli scritti brevi di Roth, il soggetto è una città: Vienna, stremata da una guerra che aveva significato una devastazione capillare e insieme la fine di un Impero. E nessun testimone poteva osservare quel mondo con sguardo altrettanto lucido e partecipe. Mondo disarticolato, che si misura sulle quotazioni della borsa nera, dove tutti sembrano artisti di circo (o comparse del nuovo universo cinematografico) in attesa di una scrittura – e fra loro si mescolano alcuni pazzi dello Steinhof. Mondo di cui Joseph Roth, più di ogni altro, fu il cronista e il cantore.

Così l'amore per la sua terra e il rimpianto per un'atmosfera storica e sociale ormai tramontata dominanocosì l' opera di Roth. Di famiglia ebrea, in seguito convertito al cattolicesimo, partecipò come volontario alla  Prima Guerra mondiale e fu prigioniero in Russia. Giornalista a Vienna , poi a Berlino  e Francoforte; nel 1933, all'avvento del nazismo, emigrò a Parigi, dove morì suicida

Hotel Savoy e Die Rebellion (1924; trad. it. in I cento giorni, 1977) e i successivi Die Flucht ohne Ende (1927; trad. it. 1976) e Zipper und sein Vater (1928; trad. it. 1986) riportano al composito mondo degli sbandati e degli sconfitti nell'Austria del dopoguerra, laddove in Hiob (1930; trad. it. 1932), il destino di un maestro ebreo assurge a emblema di un intero popolo. Accenti di elegia arricchiscono la gamma espressiva del romanzo che consacrò R. come il malinconico e lucido cantore di un'epoca, Radetskymarsch (1932; trad. it. 1934), rievocazione della monarchia di Francesco Giuseppe, che trovò un ideale seguito in Die Kapuzinergruft (1938; trad. it. 1974). La nostalgia per l'Austria ispira ancora il racconto favolistico Die Geschichte von der tausendundzweiten Nacht (1939; trad. it. 1964), mentre il tema della continua umiliazione degli Ebrei torna in Tarabas (1934; trad. it. 1935) e Der Leviathan (post., 1940; trad. it. 1986). Postumi sono anche apparsi Die legende von heiligen Trinker (1939; trad. it. 1975) e Der stumme Prophet (1966; trad. it. 1978), dedicato a L. Trockij. Accanto alle raccolte di reportages (Das vierte Italien, 1928, trad. it. 1995; Die weissen Städte, post., 1972, trad. it. 1987; Im Bistro nach Mitternacht, post., 2005, trad. it. 2009), si ricordano i libri di saggi Juden auf Wanderschaft (1927; trad. it. 1985), Panoptikum. Gestalten und Kulissen (1930), Der Antichrist (1934).

 
 
 

Je suis Claude

Post n°475 pubblicato il 08 Febbraio 2015 da ilio_2009

Claude e Marie Verneuil sono una coppia borghese, cattolica e gollista, che ha allevato 4 figlie secondo i principi di tolleranza, integrazione e apertura che sono nei geni della cultura francese.

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Ma il destino li mette a dura prova – non una ma ben 4 volte!  La loro primogenita decide di sposare un musulmano. La seconda sceglie un ebreo e la terza un cinese. Ormai tutte le loro speranze di assistere ad un tradizionale matrimonio in chiesa vengono riposte sulla figlia minore che finalmente, grazie al Cielo, ha incontrato un bravo cattolico…

 
 
 

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Inviato da: minarossi82
il 11/11/2016 alle 19:03
 
bello questo post. Buona giornata da Artecreo
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il 05/10/2016 alle 16:34
 
sempre amato Boccioni...
Inviato da: cloneselvaggio
il 24/04/2016 alle 09:01
 
E il dipinto...anche se ha quel titolo, non è neanche...
Inviato da: EMMEGRACE
il 20/04/2016 alle 18:20
 
Vraiment amusant! :)
Inviato da: lisalibera
il 15/04/2016 alle 17:57
 
 

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