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Una vita a spina di pesce
 

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Fletcher LXXIX

Post n°78 pubblicato il 19 Giugno 2015 da marlow17







Sprofondarono, Tutti, ben presto in un sonno agitato e senza sogni. Qualcosa che si può ottenere solo dopo settimane di alta tensione, giorni di rabbiosa sollecitudine e ore di digrignare furioso di denti. Non si accorsero nemmeno che passavano dalla penombra all'oscurità più completa e, stesi, nelle loro brande erano sciolti (o forse attanagliati) dalle avventure sperimentate in precedenza. Qualcuno agitava ancora i pugni, un' altra si lasciava andare a singulti di disperazione, il terzo borbottava parole di minacce a un nemico invisibile ma onnipresente pure lì, in quella minuscola stanzetta. Fu verso le 3 che Fletcher si alzò da
l suo giaciglio con la gola in fiamme. Aveva bevuto solo sidro di mele e ora sentiva il gran bisogno di sciacquarsene il sapore con una caraffona di elemento puro. Notò un lavandino dietro una tendina e si avvicinò illuminato quasi a giorno dalla luna piena. Riempì un alto bicchiere fino all'orlo e poi se ne colmò lo stomaco in un'unica sorsata. Poi riempì di nuovo e tornò di là lanciando un'occhiata distratta ai suoi due sodali incoscienti. Peter era disteso sulla schiena e russava con discrezione e leggerezza, Christine stava abbandonata su un fianco e lasciava partire attraverso le labbra socchiuse un sibilo costante. Fletcher, con il bicchiere in mano, accostò una piccola scala all'abbaino e vi si inerpicò. Non aveva più sonno e voleva godersi lo spettacolo della tenuta dall'alto in quella notte estiva. Ben
presto giunse ai bordi del ripidissimo tetto e si sistemò fra tegole e metallo gettando lo sguardo
fin dove gli riusciva di arrivare. Era una notte illuminata dal pallido tepore dell'astro e il territorio circostante rimandava solo il costante ciack degli impianti di irrigazione automatizzati. non si notava anima in giro: nessun nottambulo o insonne e un'aria deliziosa rendeva giustizia all'afa della giornata. A un tratto l'Uomo si accorse di una figura umana che avanzava dai margini del bosco fino ai prati irrorati dall'acqua. Poteva sembrare una donna con una lunga vestaglia da notte che si stagliava con chiarezza contro i riflessi del paesaggio. Indossava anche un ampio cappello di paglia e pareva muoversi al ritmo di una danza interiore, accennando dei passi di valzer o di tango mentre scivolava framezzo alle gomme regolate che fornivano ristoro ai campicelli ustionati dal sole di giornata. Fletcher ebbe un sobbalzo e un'improvvisa, immotivata paura gli afferrò la gola facendolo tremare. Non riusciva a capirne il motivo ma quella donna in camicia da notte che vagabondava ballando sotto alla rugiada delle pompe automatiche Gli ispirava un assoluto e immenso terrore. Eppure, era talmente magnetizzato da quella scena dal non riuscire a staccarvisi se non con un supremo atto di Volontà. Fu quando la donna fece mostra di averlo visto e sollevò l'ampia tesa del giallo cappello paglierino, che Fletcher diede in un grido strozzato
e balzò all'interno del sottotetto scendendo le poche scale come un fulmine. Non si dimenticò di sbarrare l'ampio finestrone e, toccato il suolo familiare, prese a girare a vuoto tremando come una foglia. Si stupì che tutto quel casino non avesse destato Peter e Christine, ma dovevano essere talmente esausti da non avere lasciato nemmeno un grammo di energia alla naturale autodifesa.
Saltellando come un clown impazzito l'Uomo controllò che la porta di ingresso fosse chiusa e quale fu il suo orrore nel notare che non esisteva serratura! Arretrò di botto e prese l'unico oggetto contundente che si trovava nel circondario: una vecchia racchetta da tennis quasi sfondata nelle corde ma ancora ben solida nel legno d'acero. Poi aprì l'ingresso e diede un occhiata lungo lo strozzatoio di scala a chiocciola e pensò che magari il vecchio aveva serrato la porta in fondo a quella ripida discesa. A piedi nudi e il cuore in gola percorse i gradini solo per trovare che anche
l'ingresso alla sacrestia era semplicemente accostato. Passò in Chiesa ma riuscì a restarvi solo per due minuti. Il chiaro di luna che prorompeva dai vetri istoriati gli dava le vertigini, come se fosse in una sala di tortura con la lampada accesa in faccia. Mentre rientrava sui suoi passi sentì scricchiolare il pesante portone di ingresso e immaginò che Qualcuno fosse ormai determinato a salire la navata centrale fino alla sacrestia e fino a....Loro! Corse a ritroso e salì la scala a chiocciola tenendo spasmodicamente salda in pugno la racchetta da tennis e cercando di asciugarsi i
goccioloni di sudore che gli calavano sulle ciglia, accecandolo. Lì, in piedi dietro la porticina, continuando a lisciare il legno grezzo della Spalding rimase in attesa di sentire i passi dello sconosciuto o sconosciuta che salivano fino alla loro stanzetta. Aguzzando terribilmente le sue proprietà uditive riuscì a udire che qualcuno era entrato in sagrestia e aveva acceso la luce, camminando pesantemente da un angolo all'altro del locale. Poi, con sua agghiacciante angustia quel Qualcuno aveva spalancato la porticina che dava sulla scala a chiocciola interna e aveva posto un piede sul primo scalino. Fletcher aveva ficcato le unghie nel legno della racchetta. Era pronto a tutto. Poi, come per incanto, così com'era venuto quel passo molesto se n'era andato.
Aveva percorso la canonica con fare deciso e ne aveva poi chiuso la porta scomparendo nel suo eco attraverso la navata della Chiesa fino all'ingresso principale, e si era eclissato nel nulla. L'Uomo aveva emesso un sospiro di sollievo grande come un grattacielo ed era crollato al suolo, ancora con la Spalding in mano e gli occhi socchiusi dall'angoscia. Grosse gocce di sudore gli si stavano solidificando sulla faccia quando prese un po' di sonno verso il mattino, sempre con la schiena appoggiata al cancello di quelle che considerava essere le loro esistenze, salvate nell'estremo e fatidico corner. E così lo trovarono Peter e Christine, quando si riebbero con i primi raggi del sole ad entrare dall'abbaino.







 
 
 
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