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cavalleria rusticana - una novella, un dramma, un'opera (prima parte) 

Post n°348 pubblicato il 22 Gennaio 2008 da ilike06
 
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Il Verismo è un movimento letterario e artistico italiano che ispirandosi al Naturalismo francese e al Positivismo teorizza una rigorosa fedeltà alla realtà effettiva (al «vero») delle situazioni, dei fatti, degli ambienti, dei personaggi e una corrispondenza con il sentire e il parlare dei soggetti che vengono rappresentati.
Il movimento si sviluppa negli anni successivi all'Unità in un clima di espansione industriale, di fiducia nel progresso della tecnica, di scoperte scientifiche e prosegue fino al primo decennio del Novecento, raggiungendo la piena maturità nell'ultimo trentennio dell'Ottocento, periodo, in cui, però, si manifesta anche la questione sociale.
Rappresentanti di tale corrente sono Verga, Capuana, Serao, De Roberto, Di Giacomo, Deledda, Lorenzini, Giacosa, De Amicis ).
Il Verismo si rifà al Naturalismo francese delle opere di Emile Zola e di Goncourt, ma anche ad Alessandro Manzoni e alla scapigliatura e pertanto tende a descrivere la vita della gente umile, dei reietti dalla società che si affannano nella lotta per la sopravvivenza, contro la fatalità del destino.

Il Verismo pone attenzione alla realtà nella dimensione del quotidiano: lo scrittore predilige una narrazione realistica e scientifica degli ambienti e dei soggetti della narrazione; piuttosto che raccontare emozioni, lo scrittore presenta la situazione quotidiana come una indagine scientifica.
L'artista verista deve ispirarsi unicamente al vero. Deve desumere la materia della propria opera da avvenimenti realmente accaduti e preferibilmente contemporanei, limitandosi a ricostruirli obiettivamente.
La sua è una riproduzione obbiettiva ed integrale della realtà, secondo il canone della non interferenza dell'osservatore sugli oggetti osservati.
Il narratore, quindi, raccoglie il fremito delle passioni, delle sofferenze e lo rivela, impassibile, senza biasimi o esaltazioni, mettendosi da parte per lasciar parlare l'evidenza dei fatti, la logica delle cose secondo la teoria verghiana dell'impersonalità.
L'autore deve mettersi nella pelle dei suoi personaggi, vedere le cose con i loro occhi ed esprimerle con le loro parole. Il lettore deve avere l'impressione non di sentire un racconto di fatti, ma di assistere a fatti che si svolgono sotto i suoi occhi.
Deve far parlare i suoi personaggi, usando il loro linguaggio: uno stile stringato, una sintassi semplice e disadorna, una lingua paesana e viva, continuamente intercalata da espressioni popolaresche. La lingua e lo stile devono essere aderenti ai personaggi, agli ambienti, attingendo possibilmente alle risorse dei dialetti regionali.
Questo modo di fare viene spesso definito mimesi linguistica dell'autore intendendo per mimetizzazione il nascondersi nell'ambiente circostante in modo da risultare non–visibile.
Secondo il Verismo e il principio della mimesi, non basta che ciò che viene raccontato sia reale e documentato, deve anche essere raccontato in modo da porre il lettore faccia a faccia col fatto nudo e schietto, in modo che non abbia l'impressione di vederlo attraverso la "lente dello scrittore". Lo scrittore deve "eclissarsi", cioè non deve comparire nel narrato con le sue reazioni soggettive e con le sue riflessioni.
Quello che i veristi si proponevano era un'operazione letteraria distaccata da qualsiasi presa di posizione e di morale della favola. Questo distacco emotivo da parte dello scrittore si concretizzava in una forte presenza del discorso diretto, con marcate impronte dialettali, e con trame che hanno più il tono della semplice e rassegnata constatazione, piuttosto che quello di un cammino narrativo.
Se ne deduce che caratteri originali e diversi, rispetto al Naturalismo francese, del Verismo, sono:
il regionalismo: il verismo italiano ebbe una forte caratterizzazione regionale e, poiché le realtà regionali italiane erano profondamente diversificate a causa di un'unità nazionale che non si era tradotta in modi di vivere e atteggiamenti culturali comuni, diversi furono pure i temi e gli ambienti rappresentati dai veristi.
il pessimismo: dovuto ad una più debole fiducia italiana, rispetto al resto d'Europa, nei confronti del progresso scientifico, dovuta alla coscienza che l'unità non ha cambiato le sorti delle classi povere e ad una realtà industriale arretrata.
l'impersonalità: derivante dalla teoria verghiana già citata;
il linguaggio: caratterizzato, come già detto, dalla lingua nazionale comprensibile a tutti condita con alcuni termini dialettali e locuzioni popolari che riproducono il linguaggio popolare senza utilizzare il dialetto vero e proprio.

Il verismo in musica

IL Verismo in musica trae sicuramente spunto dalla corrente letteraria di cui sopra, ma realizza un percorso, per certi versi, differente.
Cavalleria rusticana, l'opera che più di tutte, insieme, forse, a Pagliacci di Leoncavallo viene ritenuta verista, dimostra il percorso, divergente dal verismo letterario seguito dalla musica di fine 800.
l libretto dell'opera è tratto da un dramma di Verga elaborazione dell'autore stesso di una novella omonima facente parte della raccolta "Vita nei campi". Il soggetto è pertanto, verista, ma viene sviluppato in maniera non del tutto confacente ai principi su elencati del verismo.
Relativamente al regionalismo e al pessimismo, anche il verismo musicale sembra essere in sintonia con la corrente originaria.
Quanto all'impersonalità e al linguaggio, un po' meno.
L'impersonalità nell'opera non è garantita. la freddezza descrittiva richiesta all'autore verista non è rispettata in quanto l'opera è intrisa di forti sentimenti e passioni sia dal punto di vista del libretto, sia da l punto di vista prettamente musicale.
Musicalmente parlando già Wagner e l'ultimo Verdi avevano eliminato la suddivisione rigida di Recitativo e Aria rendendo l'opera un continuum musicale senza interruzioni, senza cesure, al punto che si dilata anche nel tempo. Con il Verismo questa struttura si conferma: non isola i brani musicali, ma i sentimenti che vengono rappresentati: la scena e aria non corrisponde più al pezzo musicale, ma a ciò che il personaggio vuole esprimere. Al punto che la tradizione esecutiva, la pratica del teatro, ha dovuto creare dei tagli per gli applausi. E questo rende la passionalità a scapito della impersonalità.
Il recitativo, quindi perde la caratteristica che lo aveva contraddistinto fino ad allora, di essere un parlato che si muoveva per piccoli intervalli predisposto all'andare avanti dell'azione scenica ben distinto dall'aria. Mascagni propone soluzioni geniali e personali per quanto attiene al recitativo, che viene innervato di una carica melodica a dir poco inedita e si fonde con l'aria in un discorso continuo al punto che le arie principali non vengono terminate dal personaggio che le canta ma vi sono piccoli interventi interlocutori di altri personaggi.
E le arie sono una serie di nuclei melodici, dei pensieri musicali in sé conclusi, senza rispondenze strofiche, di diversa ampiezza e di carattere contrastante, che seguono lo svolgersi narrativo del testo diventando arie-racconto. Un valido esempio è la sortita di Santuzza, nella quale si possono individuare almeno tre blocchi lirico-espressivi (“Voi lo sapete, o mamma”, ripreso e variato nel successivo «Tornò, la seppe sposa»; il centrale «Quell’invida» e la chiusa «Priva dell’onor mio») che corrispondono alle fasi di un autentico ‘racconto’ che si dipana di fronte al pubblico, e sostituisce il principio dell’aria lirica, statica, che era stato il retaggio di quasi tre secoli di melodramma. E si consideri anche che l’assolo di Santuzza non si conclude sul la di «io piango», ma si salda senza soluzione con l’intervento di Mamma Lucia «Miseri noi...» e con le altre battute di dialogo fra le due donne.

L'opera riporta sul frontespizio la dicitura "melodramma" e pare rispettare i canoni melodrammatici per una distribuzione convenzionale dei ruoli vocali (i due amanti, tenore e soprano; la rivale, l’Altra, mezzosoprano, e l’Altro, baritono). Ma nell'esplicazione, poi si discosta dai suddetti canoni: si apre con un preludio e, soprattutto, con un coro d’introduzione, secondo la migliore tradizione del melodramma romantico. Preludio che con forma aperta, propone già al suo interno tutti i temi che caratterizzeranno l'opera. Frammenti ricorrenti, finalizzati ad attivare la memoria dell'ascoltatore, fino ad assumere la connotazione di un gioco wagneriano: ogni personaggio (o evento importante) un tema ( gioco che è passato senza difficoltà nella pratica della colonna sonora per film).
Ma all'improvviso il preludio si interrompe per lasciare spazio ad una "canzone" in dialetto siciliano, la siciliana, appunto “O Lola ch’ai di latti la cammisa”. Questa è sicuramente una novità con un effetto dirompente, mai visto prima. Caratteristica della canzone è quella di introdurre immediatamente il colore locale. Essa crea l'ambientazione siciliana ma allontana l'opera dai canoni del verismo che non prevede l'utilizzo del dialetto se non in piccole parentesi coloristiche.
Questa originalità di Mascagni è presente anche in altre occasioni: egli recupera le forme chiuse solo quando la vicenda drammatica richieda l’inserimento di una canzone. E' come se componesse ‘musica di scena’ in quei momenti in cui anche fuori della finzione scenica, nella vita, i personaggi impiegherebbero un canto intonato e non la semplice parola detta. Il coro “Gli aranci olezzano” descrive il paesaggio siciliano e dà un esempio di come il popolo è molto presente. Non è più il popolo del coro tragico, quello che commenta l'azione.
È il popolo che partecipa della vita quotidiana popolare. Quando il coro si suddivide in maschile e femminile descrive una realtà fatta di uomini che lavorano nei campi e di donne che aspettano il loro ritorno. Qui il coro maschile canta in 4/4 e quello femminile in 3/4 a creare una lieve cacofonia, in pratica, sono presenti i suoni di come canta il popolo.
Il popolo è presente anche nella preghiera “Inneggiamo, il Signor non è morto”, è il popolo della devozione, del Regina Coeli cantato in processione, che descrive le tradizioni locali per la Pasqua.
La sortita di Alfio carrettiere “Il cavallo scalpita”, lo stornello di Lola “Fior di giaggiolo”, il brindisi di Turiddu “Viva il vino spumeggiante” sono canti con il cui inserimento si ha la certezza di un’adesione al principio della ‘verità’, che l’estetica naturalistica trasmette a una forma tipicamente non-realistica come l’opera lirica, avviandone la radicale trasformazione verso il dramma musicale.
In particolare lo stornello toscano di Lola è il segno di un regionalismo che si sposta. Il brindisi pur aderendo all'estetica naturalistica esprime quell'enfasi che si discosta dai principi veristici.
Come accennato, il linguaggio risente del regionalismo. Fa ingresso con forza il dialetto della parola, ma anche il dialetto musicale.
qui è presente la scala con il secondo grado abbassato, così ricorrente nelle espressioni del sud Italia, oppure certi modi di piegare la melodia che dichiarano apertamente il riferimento locale della vicenda.
Nella nuova concezione verista dell'opera strumenti non dell'orchestra che fanno rumori, entrano nella partitura con la stessa presenza di violini, flauti, ecc… troviamo quindi lo schiocco della frusta di compare Alfio, e i sonagli del suo calesse.



Altra caratteristica dell'opera lirica verista è una nuova concezione della voce. Già con Verdi alla voce dei cantanti veniva richiesta una prestazione più energica supportata da una scuola che tenesse conto di un nuovo modo di respirare in funzione del repertorio. Con il verismo, la voce diventa anche parlato, ma soprattutto, diventa addirittura grido.
Riflettendo sulla mentalità dell'epoca, il verismo porta i musicisti della Giovine scuola (Mascagni, Leoncavallo, Puccini, Cilea e Franchetti)a cercare di conoscere il mondo e di riprodurlo. È presente il fascino della riproduzione artistica, che si stava affacciando anche tecnologicamente attraverso la fotografia e i primi esperimenti di paleocinematografia. Cavalleria Rusticana, Pagliacci, quindi, risposero pienamente ai desideri del pubblico che cercava la verità sulla scena.

 

 
 
 
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