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Il coraggio non mi manca. E' la paura che mi frega. (Antonio Albanese)

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"La mia ferita emotiva più profonda è stata anche una fonte inesauribile di gioie". Non ti rivelerò perché questa frase è molto importante per me: è una questione troppo personale. Ma tu, Vergine, potresti fare un'affermazione simile? Potresti interpretare la tua vita in modo da vedere un'esperienza dolorosa come una fonte di intuizione, ispirazione e vitalità? Il 2009 sarà l'anno ideale per compiere questo cambio di percezione. E il periodo intorno al solstizio d'inverno è il momento perfetto per cominciare. (Rob Brezsny)

 
 

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Sulla via che mi porta al lavoro c'è una casa abbandonata che, mi hanno detto da qualche giorno, è abitata dai fantasmi.
Non lo sapevo. Ma appena me l'hanno detto ho pensato: la compro io.
 

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Post N° 514

Post n°514 pubblicato il 06 Dicembre 2007 da betulla64
 


Tra la fine degli anni sessanta e la metà dagli anni settanta, mio padre e i suoi fratelli, cavalcando l'onda del boom turistico, si inventarono uno spettacolare skilift che fu palestra e parco giochi per molti bambini della mia generazione, me compresa.
Iniziai a sciare a quattro anni, in braccio a papà.

Mi portava in cima abbarbicata al suo collo, poi mi faceva appoggiare i piedini sugli attacchi dei suoi sci (i mitici attacchi a molla con i legacci in cuoio) e reggendomi per le ascelle mi conduceva piano piano fin giù. Questo fu per un po' di volte, poi recuperò un paio di vecchi sci di legno, me li mise ai piedi, mi infilò il piattello dello skilift tra la gambe e con una pacca sul sedere mi urlò "e non cadere!". Caddi mille volte e mille volte mi rialzai, fino ad imparare l'equilibrio. Quando fui più grandicella presi qualche lezione da un maestro, per il resto guardavo come facevano quelli bravi e cercavo di imitarli. Smisi di sciare per qualche anno quando le crisi di panico si fecero più forti, poi timidamente ricominciai, frequentando le piste più nascoste nei periodi di bassa stagione. Fu in uno di quei periodi che capitò l'incidente. Sciavo tranquilla su una pista poco frequentata, quando mi sentii investire da un'ombra scura che colpendomi lateralmente mi buttò a terra. L'impatto fu così forte che svenni e quando riaprri gli occhi mi trovai accerchiata da una piccola folla di sciatori preoccupati. Cercai di sollevarmi, ribellandomi a chi mi esortava alla prudenza e vidi che la mia tuta da sci era tagliata trasversalmente dalla spalla alla tibia. Il ginocchio, raggiunto dalla lamina tagliente dello sci, sanguinava e io mi sentivo come se nessun osso del mio corpo fosse più al suo posto. Mi dissero che un ragazzo mi era "sciato" addosso mentre tentava un salto in piena pista.
Ricordo che volevano chiamare l'elicottero, il medico, il soccorso alpino e quant'altro, ma il panico fu molto più forte del buon senso; riuscii ad alzarmi e, tamponando la ferita, decisi che se non avessi ripreso a sciare immediatamente, non lo avrei fatto mai più.
Di quella giornata conservo la sensazione di essere stata miracolata e una cicatrice sul ginocchio.
Provai a sciare ancora per un paio di anni, ma ogni raspar di lamine alle mie spalle era un tuffo al cuore con conseguente, repentina inchiodata a mettere in pericolo me e chi seguiva. L'avvento dello snowboard completò l'opera: ormai sciare non era più un divertimento, ma piuttosto un continuo schivare pericoli cercando di scacciare l'apprensione, così appesi gli sci al chiodo e ho ormai perso il conto degli anni che sono passati dall'ultima discesa. Quest'anno però, vuoi che stare in casa mi pesa sempre di più, vuoi che se non faccio un minimo di esercizio fisico lievito come una ciambella nel forno, ho pensato che non sarebbe male sperimentare la montagna invernale trovando un'alternativa allo sci alpino. La prima idea balzatami alla mente è stata di imparare a ciaspolare, ma temo di non essere abbastanza esperta per avventurarmi su pendii intonsi col rischio di causare rovinosi distacchi di masse nevose e finire a fare la superstar nei titoli di Studio aperto. Altra opzione potrebbe essere lo sci di fondo, se non fosse che, fino a quando il proposito resta entro i limiti dell'esercizio ludico del pensiero, sono tutta un "armiamoci e partiamo!", quando però si tratta di attivarmi perchè il pensiero si trasformi in azione, ecco che mi prende la tanto odiata e familiare morsa allo stomaco. Mi frena il dubbio di non essere all'altezza, mi intimorisce l'eventualità di aver bisogno di un istruttore, mi angoscia la prospettiva di un'esperienza sconosciuta da intraprendere sotto l'occhio critico della "gente". Gira gira, torno sempre allo stesso punto, in totale stallo di fronte all'altrui giudizio.
Servirebbe forse ancora la pacca sul sedere di papà, quel suo accompagnarmi con la mano tesa, incerta tra l'incoraggiare e il proteggere, sicura nell'incitarmi a provare. Basterebbe, forse, riscoprire quel suo sorriso di allora, scanzonato e fiducioso, a rammentarmi cosa promettevo di essere e cosa potrei tentare ancora di diventare.


 
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"Grande importante malattia quella di Basedow!... tutti gli organismi si distribuiscono su una linea, ad un capo della quale sta la malattia di Basedow che implica il generosissimo, folle consumo della forza vitale, il battito di un cuore stremato, e all'altro stanno gli organismi immiseriti per avarizia organica..."

da "La coscienza di Zeno"
 
 

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