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Il coraggio non mi manca. E' la paura che mi frega. (Antonio Albanese)

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"La mia ferita emotiva più profonda è stata anche una fonte inesauribile di gioie". Non ti rivelerò perché questa frase è molto importante per me: è una questione troppo personale. Ma tu, Vergine, potresti fare un'affermazione simile? Potresti interpretare la tua vita in modo da vedere un'esperienza dolorosa come una fonte di intuizione, ispirazione e vitalità? Il 2009 sarà l'anno ideale per compiere questo cambio di percezione. E il periodo intorno al solstizio d'inverno è il momento perfetto per cominciare. (Rob Brezsny)

 
 

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Sulla via che mi porta al lavoro c'è una casa abbandonata che, mi hanno detto da qualche giorno, è abitata dai fantasmi.
Non lo sapevo. Ma appena me l'hanno detto ho pensato: la compro io.
 

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Post N° 494

Post n°494 pubblicato il 11 Ottobre 2007 da betulla64
 
Tag: dap

A volte ci penso a quando non uscivo mai e quando ci penso succede una cosa strana, come quando in analisi cercavo di ricordare quando ero "normale" e non ci riuscivo. Non ricordavo come fosse entrare in un negozio, prepararsi per una passeggiata, ridere in un bar con un'amica. Mi stavo quasi convincendo che quella parte della mia vita non fosse mai esistita. Ora mi ritrovo a strabuzzare il cervello cercando di ricordare cosa ero sette anni fa. Sette anni passati in un soffio eppure così lontani. Davvero non uscivo mai. Potevo passare mesi chiusa in questa cucina, con rare, rarissime uscite fino al cortile, alla cantina o al piano di sotto da mia mamma. Ma lì ci andavo poco perchè odiavo sentirmi ricordare che ero diversa dagli altri. Le giornate le passavo accoccolata sul divano leggendo, guardando telenovelas su rete4 (è lecito infierire) coccolando i miei gatti e aspettando che arrivasse sera e tornasse mio marito. E' stato così per anni e fu facile convincermi che sarebbe stato così per sempre. Per questo la morte era diventato un pensiero fisso. Non accettavo l'idea di invecchiare qui, dietro queste tendine, mentre la vita passava fuori dalla mia portata. Il suicidio era il mio pensiero consolatorio, e uno dei miei passatempi era cercare un modo non troppo doloroso per trasformare il pensiero in azione. Tutto questo fino a sette anni fa, quando in casa arrivò il computer. Raccontare cosa furono i primi due anni di vita in rete richiederebbe troppo tempo e una sincerità di cui non sono dotata. Fu però una magia in un mondo in chiaroscuro, con incontri, emozioni, sentimenti. Le anime che mi hanno sfiorata di là del monitor, sono custodite in un angolo di cuore dove la riconoscenza e l'affetto sono conservati intatti. Sono convinta che se sono viva, oltre all'amore di mio marito e alle capacità della mia analista, lo devo anche alle tante persone che hanno creduto e hanno voluto che io credessi nella mia capacità di dare, guidandomi attraverso la tastiera, verso un risveglio alla vita del tutto inatteso. Fu quel mondo fatto di chat, di messaggerie, di chiacchiere stupide, di racconti analitici alle tre di notte; fu da quel mondo che a tratti sapeva essere così torbido e angosciante, che se ne uscì un Amico maiusco. Fu lui più di tutti a convincermi che qualcosa di buono in me c'era e che, prendendomi per mano scelse di volermi sorreggere. Da lui ho imparato tanto. Ho imparato che un computer serve a cose infinitamente più divertenti di quanto possa essere una chat, ho imparato dai racconti dei suoi viaggi a temere di meno i miei, ho imparato che se lui mi crede intelligente, chi sono io per contraddirlo? Ho imparato che se anche sarò sempre una persona profondamente insicura, posso però riuscire a volermi un po' più bene. Una volta, mentre mi lamentavo della mia "anormalità" mi chiese se avessi idea di cosa fosse la "normale" vita degli altri esseri umani, se davvero fossi sicura di essere "anormale" rispetto a loro. Mi arrabbiai molto. Ci tenevo tremendamente al mio risultare diversa, unica, pur se questo significava essere ammalata, però ci pensai e ripensai a quella cosa e imparai così a guardare oltre i miei dolori per accorgermi cha anche il resto del mondo aveva i suoi. Quando si smette di sentirsi unici, si può cominciare a condividere e per condividere, una tastiera non basta. Bisogna uscire nel mondo.
Non sono guarita e nemmeno penso che guarirò mai, ma le cose che ho imparato esserci fuori dalla mia cucina, sono più forti della paura. Ci sono troppe cose ancora da scoprire e non mi mancano nè la curiosità nè la compagnia.

 
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lilith258
lilith258 il 15/10/07 alle 10:05 via WEB
^.^
(ultimamente son di poche parole"!!!)
 
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da "La coscienza di Zeno"
 
 

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