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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.
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Parole smarrite (prima parte)
Post n°117 pubblicato il 25 Marzo 2007 da falco58dgl
Posto un testo che ho recentemente pubblicato su un'antologia di racconti promossa da "Nuovi autori", intitolata "The first time i saw". il racconto è diviso in due parti e narra la vicenda di due quarantenni che smarriscono le proprie parole. - Oggi sono andata all'Ikea e ho visto un mobiletto splendido, ideale per la cucina. Se compriamo anche un piano lavoro in faggio, attrezziamo il cucinino in modo funzionale. Quella frase. Dove l'aveva sentita? Igor cercava di ricordare, ma non riusciva a rammentare il contesto, la situazione. Forse un viaggio, una conversazione con estranei. Sì, era un ragazzo, allora. Aveva chiesto un passaggio a una coppia di milanesi, due persone sulla cinquantina. Si era sistemato in quella vettura grande e comoda e aveva incominciato a discorrere con il guidatore, che gli aveva chiesto dove andava. "Va a Parigi? Ma cosa ci va a fare? In questa stagione si crepa dal caldo". "Veramente, Parigi è solo una tappa intermedia. Da lì, proseguo per Londra e la Scozia". Igor, senza che glielo chiedessero, aggiunse "vado a visitare una comunità antipsichiatrica, sa, quelle gestite da Laing e Cooper". Si voltò la signora - una donna bionda sul cui volto il tempo aveva scavato solchi di disillusione- e chiese " Non sarà pericoloso? Un mio cugino è stato ricoverato in una clinica psichiatrica e ne è uscito peggio di prima. Anche mio marito non è tanto normale...". Fu a quel punto che il signore guardò di sbieco sua moglie e ribatté "Ho intenzione di pagare una persona che ti stia ad ascoltare e parli con te". Igor aveva pensato che fosse una patologia tipica delle coppie benestanti, un esempio calzante di alienazione, di "morte in vita", com'era descritta brillantemente dagli psichiatri esistenzialisti. Da allora era passato un quarto di secolo e si era sorpreso a ripetere quella stessa frase, in modo quasi identico. Igor è stupito, colpito da questa coincidenza. E' inquieto, cammina su è giù per la casa. Si guarda intorno con fastidio. Poi si ferma. *** Non è stato sempre così. Ti amavo per davvero. Ogni volta che visitavamo un posto nuovo, lo battezzavamo con il "rito del cannone". Ci rollavamo uno spino e vedevano le chiese e le piazze con quella prospettiva circolare, espansiva e tremolante, che solo la marijuana sa dare. Ridevamo di sciocchezze, mi dicevi sempre che cercavamo gli spazi bianchi tra le parole. Il sesso. Facevamo l'amore con la stessa naturalezza di chi si veste. Sembrava l'invenzione di questo secolo ed era solo un momento di gioia fortuita. Quando ti ho conosciuto aveva una paura tremenda. Mi ero separato da poco da un'altra Giovanna e non avevo nessuna intenzione di buttarmi in una nuova storia, rinnovare il dolore. Hai pronunciato il tuo nome con un sorriso e mi è venuta voglia di fuggire. Poi ho preso la rincorsa e ti sono precipitato addosso, sperando di spaventarti. Ma tu mi guardavi curiosa, per nulla intimorita. Mi baciavi con foga, ridendo. E mi cavalcavi a gambe larghe, obbligandomi a parlare, a dire quello che sentivo. Fallo con leggerezza, mi dicevi, parla. Ci scambiavamo tante parole, leggere. *** Cosa rimane, oltre alle macerie? Igor pensa con la testa reclinata sulle braccia. Pensa e non trova risposte. Ha paura dei suoi stessi timori. Vorrebbe andare via lontano, partire. Giovanna invece dorme, con un sonno inquieto, pieno di immagini che dimenticherà al risveglio. *** Passati i quarant'anni, Igor e Giovanna si trovano davanti a un crocevia. Il passato si dispiega davanti a loro come un mare vitale, reso attraente dalle sue stesse omissioni, un turbine di eventi che la fantasia condensa in cinque o sei linee principali. Igor soffre la diminuzione della vitalità, del suo slancio, della capacità di amare la vita. Giovanna soffre i cambiamenti di Igor, vorrebbe sentirsi ancora desiderata, guardata come se fosse nuova. Entrambi odiano gli adulteri. In passato hanno tradito poche volte, concedendosi brevi avventure, episodi insieme inebrianti e dolorosi, cose di cui andare fieri e vergognarsi. Ma, in questo momento, forse per pigrizia o per realismo, non vogliono, scacciano l'idea con un moto di fastidio, come se fosse un pensiero inopportuno e incongruo. Hanno dovuto affrontare insieme diverse difficoltà. La mancanza di un figlio proietta su di loro un rimpianto nascosto, di cui parlano poco. Giovanna desiderava un bambino, ma si è dovuta arrendere davanti alle evidenze degli esami clinici. L'adozione di un minore dal sud del mondo, non rientra tra le sue scelte. No, Giovanna vuole sentire un essere crescere nella propria carne, gonfiarla, riempirla di messaggi, segnali, contatti. Vuole un figlio come lo vogliono le donne, alberi che fruttificano in modo naturale. Igor odia il suo lavoro. Ha provato a cambiarne uno ogni cinque anni, poi si è arenato come un capodoglio sulle secche di una compagnia di assicurazioni. Forma i venditori di polizze e, quando parla, sente l'eco delle sue parole come un borbottio estraneo, una voce che ripete frasi vecchie. Hanno dovuto affrontare tante difficoltà. Gelosie, stanchezza, desideri che si trasformano in abitudini, delusioni che vanno diventando consuetudini, ma non è quello che li ha spinti sull'orlo di una separazione temuta, anche se in modi differenti, da entrambi. No, Igor e Giovanna non trovano più le parole, le loro parole. Writer http://www.writer-racconti.org/
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avvenuto su un blog della community)
LA RECENSIONE
DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO
Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.
E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.
Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.
Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.
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