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Blog di narrativa, suggestioni di viaggio, percorsi interiori, sguardi sul mondo.
SOLIDARIETà CON RED LADY E CON LOCANDA ALMAYER!
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Raccolgo l'invito di agentealcairo (alias Cris) che mi propone di raccontare perché ho aperto il mio blog. Le domande a cui dovrei rispondere sono:
Chi o cosa ti ha spinto a creare un blog?
Il tuo primo post?
Il post di cui ti vergogni di più?
Il post di cui sei più fiero?
Rispondo a modo mio, intrecciando presente e passato.
(extradigitale.ilcannocchiale.it/post/828886.html)
Blog, ultimo arrivato di una stratificazione ormai giurassica.
Dieci anni di web, un periodo equivalente a un’era geologica. All’inizio era la chat di Iol, 10 stanze senza privato, tutto sotto gli sguardi di tutti, compreso il sesso di gruppo, e i primi racconti fatti girare via mail. La rete allora era testuale e lenta. Ci voleva un tempo di minuti per caricare un’immagine di 500 Kb.
Poi i newsgroup, bacheche virtuali dove si scriveva, si veniva commentati, ci si prendeva in giro, si litigava (c’era un newsgroup dedicato ai litigi, alle flame e, all’inizio, non pareva un gioco), ci si incontrava nella vita reale, ci si disperdeva, ci si ritrovava con altri nick e altre sigle. Almeno duecento racconti inviati, lodati, massacrati, criticati, oggetto di osanna e sfottò.
Alle soglie del 2000, i forum. Di scrittura, di concorsi letterari, di cinema, di fantascienza. Nascono i portali: Digiland, le multichat, i profili, il privato. Mondi che si aprivano e chiudevano nel giro di una settimana, un battito d’ali di farfalla che preludeva spesso al silenzio e a nuove ricerche.
Nel 2003 – già con qualche anno di ritardo-, il sito, i testi ordinati, resi leggibile dall’html e incorniciati da fotografie. Incontri che preparavano collaborazioni letterarie, il primo libro di racconti.
Infine – anche qui con un ritardo sensibile rispetto ai primi-, il blog. Nato come strumento promozionale di un romanzo appena pubblicato, uno spazio quasi deserto i primi mesi, post che pubblicizzavano presentazioni a cui avevano assistito trenta persone che venivano letti da un numero di bloggers inferiore e commentati da un paio di amici. Il blog, come la scrittura, e’ una finestra sul mondo, ma era un mondo popolato da poche presenze distratte.
Poco più di un anno fa, la sfida, il desiderio di emergere, i contatti con altri spazi della community, postare a intervalli regolari, il numero di presenze che cresce, i commenti, le conferme, qualche troll, il desiderio di andare avanti, le campagne a favore di popoli diseredati, i giochi letterari, il piacere di organizzare macchine gioiose, diventare punto di riferimento, aprirsi ad altre piattaforme, ed è arrivato il giorno d’oggi.
Il primo post è stato un racconto di viaggio, una deriva immaginaria verso sud, il sud del mondo, in cui il protagonista fantastica di percorrere l’Africa, arrivare all’Antartide, attraversarlo da un lato all’altro e approdare in Nuova Zelanda. Desiderio di spostarsi, di nuovi cieli e nuovi orizzonti, di respirare all’unisono con la strada che scorre, voler sfuggire all’intrico di strade logorato da troppi pneumatici, da troppe persone, da troppi sguardi spenti.
Non mi vergogno di nulla di ciò che ho postato, anzi ne sono orgoglioso. Vorrei essere in relazione con migliaia, con decine di migliaia di blog, Entrare nel cuore della sfera, contaminarla con i miei testi ed esserne contaminato. Vorrei poter scrivere in dodici lingue diverse, sperimentare l’illusione dell’ubiquità e del rapporto globale con esperienze di tutto il pianeta.
Vado fiero non tanto dei miei racconti (spesso imperfetti e migliorabili) ma delle campagne di solidarietà a fianco di Emergency, del popolo Birmano, dei popoli di Oaxaca, di tutti coloro ai quali “la vita ha bruciato i propri sogni”.
Proprio per queste ragioni vi invito a mobilitarvi per aiutare le popolazioni del Bangladesh, su cui si è abbattuto un disastroso uragano che ha provocato 10.000 morti e centinaia di migliaia di sfollati. Chi volesse dare un aiuto concreto, può farlo qui oppure facendo una donazione a Medici senza frontiere che interviene in Bangladesh da anni.
Blog, spazio di libertà, di parola, di confronto, di scambio, di condivisione.
Adesso tocca a voi… passo la palla a:
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Elaborando
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Sardigna e altro
La donna camel
Antonio Cracas
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SI PREGA CHI VOLESSE RIPRODURLI O CITARLI DI INFORMARE PREVENTIVAMENTE L'AUTORE CHE SI RISERVA LA FACOLTA' DI CONCEDERE O NEGARE L'AUTORIZZAZIONE
(in seguito a uno spiacevole episodio
avvenuto su un blog della community)
LA RECENSIONE
DIECIMILA E CENTO GIORNI
Storie di uomini tra Italia e America Latina
di MARIA PIA ROMANO
Un tuffo che ha il colore del giallo ocra e del verde intenso, di mandorle amare, schizzi di sudore e deliri di lacrime. Di Italia ed America Latina, di viaggi e di fughe, di ritorni e di allontanamenti. Di esaltazione di popoli, di passioni e grida senza voce nella notte. Del blu e dell'azzurro di cielo e mare. Gli stessi che guardano fluire i giorni, i diecimila e cento giorni, mentre la brezza marina scuote il pino le cui radici restano annodate alla terra. All'amore, alla ricerca costante che dà un senso alle cose, alla vita che è fatta di scenari che cambiano, di sogni di libertà da
condividere con i compagni, di ansie e sconforti segreti, che si affondano nel dolore della bulimia, ingurgitando per rabbia e insoddisfazione cibi di cui non si riesce a percepire il sapore. Emersione, immersione, navigazione, approdo: in quattro sezioni si snoda avvincente la narrazione, che racchiude un arco di trentaquattro anni, dal 1970 al 2004.
E' uno di quei libri che si vorrebbe non finissero mai i "Diecimila e cento giorni" di Claudio Martini, edito da Besa. Ti capita tra le mani e lo leggi d'un fiato, perdendoti in quei nomi che diventano subito uomini e tu li ascolti e li vedi soffrire, gioire, respirare, far l'amore. Destini che s'incrociano e si salvano a vicenda, in un costrutto narrativo di suprema bellezza.
Ci sono immagini che s'imprimono nitide e vere nella mente, mentre insegui il tuo cuore rapito dalle storie. Storie di uomini. Storie che vengono fuori in una sorta di "stream of consciousness", in cui più che la cronologia conta il tempo interiore, che ti porta direttamente dentro le porte delle loro case e ti dischiude l'universo dell'anima. Fotogrammi sospesi tra un'Italia che si chiude dietro un perbenismo di facciata e cela solo irriguardose marginalità ed un'America Latina che grida la sua libertà con fierezza sconcertante, mentre è ancora oppressa da un macigno sul cuore che non la fa respirare.
Lo psicologo di origini tarantine, che ha una lunga esperienza di lavoro all'estero, proprio in America Latina, scrive di Perù, Nicaragua, Messico, Kosovo, Italia con la penna guizzante di una grande intelligenza che, come lama, squarcia la cortina dell'indifferenza dei tanti.
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