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Post n°236 pubblicato il 17 Maggio 2017 da Vasilissaskunk
Sedeva Uragano in riva al fiume impetuoso della sua vita emozionale, percepiva il fresco dell’acqua corrente fino alla radice di ogni sua piccola cellula… ogni atomo vibrare ….reazioni chimiche in moltitudine a raccogliere e trasmettere quel piacere
“Ardore ho fame … molta fame” …Ardore la osservava nel vento ..dall’alto con occhio incuriosito tra le fronde fruscianti degli alberi …fronde abbandonate al movimento ..danzanti di quella passione che le fa tendere al libero … appendici in altura verso quel meraviglioso cielo di tarda primavera …ancorate salde alle radici che sognano di staccarsi e volare libere…
Erano così in sintonia uragano e ardore da potersi respirare …..
“Vuoi saziarmi ? Vuoi provarci ? La vedi quella pietra ? vedi come la corrente ci si infrange in moto perpetuo? Quella sono io ..io sto cercando di farla vibrare …. Ma ho bisogno di te ardore per riuscirvi …..”
“Voglio vibrazioni e le voglio intense …”
Poiché tutto nasce insorgendo da quella sconfinata voglia di espandersi in un universo d’amore
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ICH BIN EIN GOTTESANBETERIN
Piccole storie e riflessioni ed immagini bucoliche di viaggi di una piccola impiegatina aSburgica che all'occorenza puo anche diventare ...
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(CXX DEL CANZONIERE CINIANO)
o ver d’altra manera viandante,
cogli occhi sì dolenti per cammino,
né così greve di pene cotante,
com’i’ passa’ per lo mont’Appennino,
ove pianger mi fece il bel sembiante,
le trecce biond’e ’l dolce sguardo fino
ch’Amor con l’una man mi pone avante;
e coll’altra nella [mia] mente pinge,
a simil di piacer sì bella foggia,
che l’anima guardando se n’estinge.
Questa dagli occhi mie’ men’ una pioggia,
che ’l valor tutto di mia vita stringe,
s’i’ non ritorno da la nostra loggia.
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CANZONIERE DI CINO DA PISTOIA
(CXII canto)
Oimè, lasso, quelle trezze bionde
da le quai riluciéno
d’aureo color li poggi d’ogni intorno;
oimè, la bella ciera e le dolci onde,
che nel cor mi fediéno,
di quei begli occhi, al ben segnato giorno;
oimè, ’l fresco ed adorno
e rilucente viso,
oimè, lo dolce riso
per lo qual si vedea la bianca neve
fra le rose vermiglie d’ogni tempo;
oimè, senza meve,
Morte, perché togliesti sì per tempo?
Oimè, caro diporto e bel contegno,
oimè, dolce accoglienza
ed accorto intelletto e cor pensato;
oimè, bell’umìle e bel disdegno,
che mi crescea la intenza
d’odiar lo vile ed amar l’alto stato;
oimè lo disio nato
de sì bell’abondanza,
oimè la speranza
ch’ogn’altra mi facea vedere a dietro
e lieve mi rendea d’amor lo peso,
spezzat’hai come vetro,
Morte, che vivo m’hai morto ed impeso.
Oimè, donna d’ogni vertù donna,
dea per cui d’ogni dea,
sì come volse Amor, feci rifiuto;
oimè, di che pietra qual colonna
in tutto il mondo avea
che fosse degna in aire farti aiuto?
E tu, vasel compiuto
di ben sopra natura,
per volta di ventura
condutta fosti suso gli aspri monti,
dove t’ha chiusa, oimè, fra duri sassi
la Morte, che due fonti
fatt’ha di lagrimar gli occhi miei lassi.
Oimè, Morte, fin che non ti scolpa
di me, almen per li tristi occhi miei,
se tua man non mi colpa,
finir non deggio di chiamar omei.