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Post n°280 pubblicato il 15 Maggio 2018 da Vasilissaskunk
Gelsomina va al mare
om gan ganapathaye namo namaha sono ancora sulla terra ferma e osservo la linea dell’orizzonte dove mare e cileo sembrano essere uniti ….poi parto entro in acqua, avevo promesso di portare Gelsomina al mare …. ora la muta si adatta al corpo anche se non troppo, prendi esempio dai pesci stai zitta e nuota .. il mare è fresco e spumeggiante mi avvolge con il suo verde giada …viene voglia di berlo nonostante salmastro mi gusto il suo sapore per poi risputarlo ... godo appieno di ogni piccola sensazione mi ci perdo e mi dimentico di essere in gara …l’unica competizione è con il tenpo che mi delimita …ed è piacere tagliarne con le mani l’onda, oppure girare la testa per respirare e notare quanto è bello il cielo da una prospettiva diversa: colorato dai gabbiani in movimento … tengo la rotta alzando la testa e poi sbraccio nuovamente per avanzare … nella fatica del mio percorso celebrale … dondolando in comunione con esso di attimo in attimo ..a volte bevo e a volte respiro … a volte penso a cio’ che sto facendo e a volte sono i pensieri che arrivano dagli abissi profondi della mia anima … li accolgo per poi remarli via con una bracciata Certo si potrebbe anche solo galleggiare ma io la mia vita la voglio nuotare |
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ICH BIN EIN GOTTESANBETERIN
Piccole storie e riflessioni ed immagini bucoliche di viaggi di una piccola impiegatina aSburgica che all'occorenza puo anche diventare ...
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(CXX DEL CANZONIERE CINIANO)
o ver d’altra manera viandante,
cogli occhi sì dolenti per cammino,
né così greve di pene cotante,
com’i’ passa’ per lo mont’Appennino,
ove pianger mi fece il bel sembiante,
le trecce biond’e ’l dolce sguardo fino
ch’Amor con l’una man mi pone avante;
e coll’altra nella [mia] mente pinge,
a simil di piacer sì bella foggia,
che l’anima guardando se n’estinge.
Questa dagli occhi mie’ men’ una pioggia,
che ’l valor tutto di mia vita stringe,
s’i’ non ritorno da la nostra loggia.
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CANZONIERE DI CINO DA PISTOIA
(CXII canto)
Oimè, lasso, quelle trezze bionde
da le quai riluciéno
d’aureo color li poggi d’ogni intorno;
oimè, la bella ciera e le dolci onde,
che nel cor mi fediéno,
di quei begli occhi, al ben segnato giorno;
oimè, ’l fresco ed adorno
e rilucente viso,
oimè, lo dolce riso
per lo qual si vedea la bianca neve
fra le rose vermiglie d’ogni tempo;
oimè, senza meve,
Morte, perché togliesti sì per tempo?
Oimè, caro diporto e bel contegno,
oimè, dolce accoglienza
ed accorto intelletto e cor pensato;
oimè, bell’umìle e bel disdegno,
che mi crescea la intenza
d’odiar lo vile ed amar l’alto stato;
oimè lo disio nato
de sì bell’abondanza,
oimè la speranza
ch’ogn’altra mi facea vedere a dietro
e lieve mi rendea d’amor lo peso,
spezzat’hai come vetro,
Morte, che vivo m’hai morto ed impeso.
Oimè, donna d’ogni vertù donna,
dea per cui d’ogni dea,
sì come volse Amor, feci rifiuto;
oimè, di che pietra qual colonna
in tutto il mondo avea
che fosse degna in aire farti aiuto?
E tu, vasel compiuto
di ben sopra natura,
per volta di ventura
condutta fosti suso gli aspri monti,
dove t’ha chiusa, oimè, fra duri sassi
la Morte, che due fonti
fatt’ha di lagrimar gli occhi miei lassi.
Oimè, Morte, fin che non ti scolpa
di me, almen per li tristi occhi miei,
se tua man non mi colpa,
finir non deggio di chiamar omei.