FAJR

In effetti, i casi cui mi riferivo sono anteriori alla 626. Ad ogni modo è evidente che le responsabilità penali costituiscono ancora un deterrente insufficiente. L'incidente nel porto di Venezia (e non solo quello) mi sembra un caso evidente di scavalcamento delle procedure di sicurezza, con lo scopo di eseguire il lavoro più velocemente. Ad ogni modo, la responsabilità penale non significa che uno va in galera qualsiasi incidente accada, ma che ci va (se mai ci va) solo se è dimostrato la sua inadempienza. Nei luoghi di lavoro una parte della gestione della sicurezza è demandata ai lavoratori stessi, che devono segnalare il malfunzionamento (ed eventuali altre carenze) dei dispositivi preposti. È scritto sui cartelli appesi nella nostra officina, ed il coinvolgimento del lavoratore (nella misura in cui è) ci è ribadito anche da chi tiene i corsi di antinfortunistica nella ditta in cui lavoro (dove siamo invitati seriamente a rispettare le relative norme). Il lavoratore può essere indotto a soprassedere sulla propria sicurezza. Un esempio: se uno sale su una scala a pioli perfettamente a norma, ma posizionata in modo sbagliato, perché indottovi da un superiore, e poi cade da tre metri e si frattura qualcosa o si ammazza, il superiore può sempre "svignarsela". La responsabilità, in mancanza di testimoni, può essere caricata sul lavoratore stesso, che "era stato istruito ad operare in modo corretto, ma deliberatamente aveva corso un rischio non ammesso, senza motivo". Sotto a queste cose c'è spesso la minaccia implicita di una non prosecuzione del rapporto di lavoro nei confronti di un precario, e qualcosa di assimilabile nei confronti di un assunto regolarmente, se non ha un titolo, una qualifica, una preparazione professionale specifica, che renda la sua posizione "privilegiata" (cioè non a rischio).