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... come fiordalisi in un un campo di grano. (D. Bonhoeffer)

 

« ad un certo punto... del polite silence »

del capo coperto

Post n°108 pubblicato il 13 Febbraio 2008 da Fajr
 

Nei giorni scorsi il Parlamento turco ha approvato due emendamenti costituzionali che di fatto aboliscono il divieto di indossare il velo da parte delle studentesse universitarie.
La questione del velo è una di quelle "faccende" di non facile soluzione.
Il padre della Turchia laica e moderna, Kemal Ataturk, impose quel divieto per consentire alle donne turche di procedere più speditamente nel cammino di emancipazione.
Oggi viene reintrodotto il suo uso per consentire alle donne osservanti di uscire di casa e di proseguire con gli studi superiori.

Ho visitato la Turchia qualche tempo fa, caso ha voluto fosse nel mese del Ramadan. Ho lavorato per un breve periodo negli uffici governativi di Ankara, ho ragionato di Europa con i funzionari. Ho passeggiato per le strade della cittadella e tra le bancarelle del mercato, lungo i grandi viali e nelle zone commerciali all'occidentale. Ho indossato l'hijab per poter visitare la bellissima moschea moderna...

Sono affascinata dalla cultura e dalla religione islamica, ma sto con
Giuliana Sgrena quando scrive:

«Il velo rappresenta, e non solo simbolicamente, l’oppressione della donna nel mondo islamico. Dietro la sua imposizione non si nasconde solamente il tentativo forzato di reislamizzazione condotto dalle forze islamiche più tradizionaliste. È in atto una vera e propria guerra contro le donne, contro il loro corpo, visto come terreno di battaglia su cui affermare principi e consuetudini che in molti casi risalgono addirittura a ben prima della tradizione islamica, ma che si incrociano perfettamente con un “nuovo” ritorno all’ordine maschile e reazionario. Più dei carri armati americani, sono le donne, e le loro organizzazioni, come dimostra l’esperienza algerina, a poter fermare l’imponente ondata illiberale che sta per prendere il sopravvento nei paesi islamici. Si gioca qui la vera sfida democratica dell’altra sponda del Mediterraneo.»

G. Sgrena, "Il prezzo del velo", Feltrinelli

anche qui




 
Rispondi al commento:
Fajr
Fajr il 14/02/08 alle 15:41 via WEB
Non sto glissando su due questioni che, come dici bene, sono complesse e che sicuramente una campagna elettorale all'italiana non aiuterà a capire.
Per quanto riguarda la "scelta" del velo da parte delle donne musulmane mi chiederei innanzitutto chi sono questi "loro" di cui parli. In società fortemente maschiliste, come quelle a prevalenza islamica (ma non c'è da stare allegr* neppure con le nostre "radici cristiane"!), questi "loro" sono, ahimè, solo uomini. E scavando scavando si scopre che l'Islam, in quanto espressione di una fede e non come insieme di codici e codicilli, c'entra poco, come c'entra poco il cristianesimo. Non mi entusiasmano i cosiddetti "relativismi culturali" in virtù di una generica difesa delle differenze. Qui si parla di diritti della persona/individuo (ognun* scelga la definizione che più gradisce!). Se la donna musulmana sceglie di indossare il velo per manifestare pubblicamente l'appartenenza ad un insieme di valori e ad una fede, non ho nulla da eccepire. Ma se quel "segno" è nato per stabilire gerarchie di potere, per ribadire sottomissioni a volontà esclusivamente maschili che risalgono a ben prima di Maometto e del Corano, non ci sto proprio. A questo punto dovremmo anche accettare le mutilazioni genitali inferte a centinaia di migliaia di donne africane (anche per le mgf l'Islam c'entra ben poco e si fa un po' di confusione), anche queste fan parte e danno senso a certe culture (salvo poi definirle "primitive").
Per la questione della 194, il mio ragionamento è lo stesso. Chi sta decidendo ancora una volta cosa è giusto e cosa no per le donne? La legge, con tutte le sue imperfezioni, fu "concepita" per la tutela della donna e per il riconoscimento di un suo diritto a decidere che farne del suo corpo e di ciò che esso può accogliere oppure no. Ora, come credente e cattolica, sicuramente non smetterò mai di difendere il diritto alla vita dal suo concepimento fino al suo ultimo respiro, ma mi chiedo - alla luce anche di quanto la scienza ci offre con conoscenze inimmaginabili fino a pochissimo tempo fa - cos'è "vita"? chi dice questa sì è "vita", mentre questa non lo è mai stata o non lo è più? come si interviene e quando per dare e per togliere la "vita"? Non saranno certo figuri come Ferrara o Casini (quello del Movimento per la Vita) o quattro urlatrici in piazza a darmi le dritte per discernere. Mi pongo in una posizione di ascolto, di non-condanna, di interrogazione rispetto a ciò che concretamente - con i miei mezzi, ruoli, saperi e responsabilità attuali - potrei fare (in un commento sul tuo blog, scrivevo di un mio coinvolgimento nel campo delle politiche sociali locali). Per il resto rifuggo qualsiasi posizione di giudizio netto e tranciante e provo a non essere cieca e sorda verso le situazioni, le persone concrete che mi vivono accanto. La 194 è una legge incompiuta, perché tutto l'intorno (consultori, agenzie educative, famiglia, genitorialità responsabile, sostegni economici, servizi sociali in genere...) sono rimasti terribilmente inadeguati, non sostenuti, non realizzati. Io lì agirei, probabilmente "facendo" lì avremmo qualche dritta in più anche per definire concettualmente la "vita" e svincolarla da astrattismi filosofici e teologici di varia origine.
Me ne sono andata via coi miei pensieri... Ciao :o)
 
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