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vi ricordate la tesina su Monteverdi? 

Post n°312 pubblicato il 22 Novembre 2007 da ilike06
 

ho deciso di postarla.
è doveroso citare il tenore Mauro Ghilardini dal cui blog ho preso molte notizie interessanti e la tabella allegata

Il trattamento della parola e la retorica da Monteverdi a Bach
Claudio Monteverdi vive ed opera in un periodo che coincide più o meno con quello di passaggio dal Rinascimento al Barocco. Caratteristica importante dello scrivere di Monteverdi è quello che egli stesso chiamò seconda prattica e che contrappose alla prima prattica fondata sullo stile contrappuntistico polifonico di palestriniana memoria e che, nel primo Barocco, già non corrisponde più al modello cui si ispira in quanto già contagiato dallo stile “moderno”. È evidente che i due stili convissero per un po’ tanto che la musica da chiesa (la musica era suddivisa per funzioni sociali in musica da chiesa o ecclesiastica, musica da camera o cubicularis e musica per il teatro o theatralis) veniva composta sia nel vecchio che nel nuovo stile. La prima prattica era fondata sul principio “harmonia sit domina orationis” (la Prima pratica […] versa intorno alla perfettione dell’armonia, cioè considera l’armonia non comandata ma comandante, e non serva, ma signora dell’oratione) mentre la seconda ubbidisce al principio contrario “Oratio sit domina harmoniae (che versa intorno alla perfettione della melodia, cioè che considera l’armonia comandata e non comandante, e per questo signora dell’armonia pone l’oratione). Fra queste due consuetudini musicali “non vi è possibilità di dialogo o di mediazione: si tratta di due posizioni antitetiche che evidenziano mondi musicali e artistici opposti”.

È evidente l’importanza che la parola assume con l’avvento del Barocco. La distinzione tra prima e seconda prattica è data da quello che è l’aspetto fondamentale della musica barocca: l’espressione musicale del testo (expressio verborum), concetto che non coincide con quello di “musica espressiva” ma con quello di rappresentazione musicale della parola. Nella musica barocca, quindi, il sentimento è trasfuso nella musica indirettamente tramite una serie di figure retoriche musicali destinate, appunto, a rappresentare gli affetti. Il significato della musica è dato dalla parola direttamente o retoricamente. La teoria degli affetti era presente già nel Rinascimento, ma nel Barocco essa assume una forma estrema. Rappresenta il dolore più intenso o la gioia più esuberante. La Camerata dei Bardi composta da aristocratici musicisti dilettanti iniziò a contestare alla musica rinascimentale la eccessiva pedanteria e l’eccessivo utilizzo del contrappunto che faceva a pezzi la poesia a causa del contemporaneo utilizzo di testi differenti nelle varie voci o a causa dell’utilizzo di madrigalismi che, rappresentando il significato della parola con figure particolari (ad esempio il cielo con note acute e le onde con linee melodiche ondeggianti) annullavano il sentimento generale insistendo più sulla parola che sul senso dell’intero passo.

Nacque così il recitativo che abbandona completamente il contrappunto per asservire la musica alla parola. Il recitativo veniva eseguito con pathos realistico, con effetti teatrali, e inflessioni simili al parlato (sospiri, affanno, grida). Questo è il momento storico che coincide anche con la nascita dell’opera che diventa, quindi, l’esempio della realizzazione in musica degli affetti più estremi. Con il recitar cantando la musica imitava il parlare dell’oratore e il suo commuovere l’uditorio fondendo gli accenti del parlare naturale con quelli della musica.
Naturalmente la pratica vera, cioè le composizioni musicali di questi anni, non rispecchia in modo cosi antitetico questa situazione d’antagonismo; tutto è, come sempre, molto più velato, più sfumato; ma tale lite teorica resta sinonimo di grande fervore culturale del periodo e sintomo che qualcosa nel mondo musicale stava cambiando.
Tutti gli autori barocchi, in realtà, compreso gli appartenenti alla Camerata alternavano le loro composizioni tra vecchia e nuova scuola, del resto un conflitto tra scrittura contrappuntistica e scrittura accordale esisteva già nel Rinascimento. In quell’epoca si risolveva il problema, sia nella scrittura contrappuntistica che in quella accordale, seguendo il principio della scrittura di parti autonome, mentre nel Barocco si risolve il problema con una nuova interpretazione di entrambe le componenti della scrittura che porta a fondere armonia funzionale e contrappunto lineare in un equilibrio ideale di contrappunto armonico che ebbe la sua massima espressione con Bach.
Il recitar cantando, quindi è l’elemento portante e costante della musica di Monteverdi che, non solo mette la musica a servizio della poesia, ma concede alle formule di recitativo una vita propria: così il parlar cantando, strategicamente collocato in tutti gli episodi cardine delle sue opere, costituisce la ragione e l’essenza drammatica della “favola”, rendendola estremamente efficace dal punto di vista teatrale.

Nella seconda prattica musicale, quindi, il rapporto fra parola e musica è davvero particolare. La parola non è intesa come significato ed enunciazione di un pensiero e la musica intesa come interpretazione armonico-ritmica di quanto viene significato dalla parola stessa. Nella seconda prattica, protagoniste sono le implicazioni armoniche e ritmiche che la parola determina a livello fonico e significante. È’ ovvio, altresì, che prima e seconda prattica si riferiscano essenzialmente alla musica vocale anche perché lo strumentale di allora è chiaramente di derivazione vocale poiché in quest’epoca qualsiasi strumento è al servizio della voce e del Canto e che qualsiasi strumento, soprattutto a fiato e ad arco, doveva imitare, sfruttando al massimo le proprie particolari possibilità tecniche, lo strumento vocale in tutte le sue caratteristiche sonore.

L’essenza della 2ª prattica deve essere ricercata mediante l'analisi della PAROLA, prerogativa assoluta della razionalità manifestata mediante la VOCE UMANA.
Ne consegue che
a) la intenzione determina la scelta delle parole da dirsi;
b) la intenzione controlla, dopo averlo determinato, il modo di dire le parole scelte;
c) le parole scelte hanno particolari frequenze;
d) il modo di dire le parole scelte determina particolari SUONI caratteristici.

La SCELTA è, indubbiamente, in funzione della intenzione emotiva e quindi le parole, in tal caso, danno i TEMI della modalità (armonia) nella esaltazione interpretativa (in sintonia con la volontà espressiva contenuta nella parola scelta) del poeta-musico, anche se poeta e musico sono due entità pensanti diverse.
La parola scritta viene presa da Monteverdi quale emblema letterario ma egli ne capta l'essenza fonico-semantica e ne intuisce la sua portata emotiva rispetto alla verità dell'evento naturale.
Secondo Monteverdi vi è contemporaneità genetica tra la formulazione razionale della parola ed il suono di essa, per cui non possiamo avere nel parlar cantando monteverdiano una traduzione musicale del “senso della parola detta”, ma una parola espressa con quella particolare “emozione” che ne ha determinato la scelta lessicale in funzione del suono e del ritmo che l'emozione stessa detta. Armonia e ritmo nascono dalla parola. L'espressione monteverdiana rivestire di note è eloquente ed indica la notazione dell'atto creativo.

In termini pratici, d’ascolto, questa divisione comporta:
1. L’uso più o meno irrispettoso delle dissonanze: Nel comporre badando soprattutto all’oratione ed alla sua narrazione, e volendo “muovere gli affetti” cioè evidenziare, sottolineare e riprodurre emozioni e sentimenti forti e contrastanti, nasce l’esigenza di rendere anche musicalmente tali scontri e tali sentimenti. La dissonanza è quindi il mezzo più immediato per esprimere questo concetto e il suo uso, quindi, diviene pertanto meno accorto.
2. Una nuova concezione teatralizzante della musica: La differenza, infatti tra musica rinascimentale e musica barocca sta proprio nel modo di trattare la dissonanza.
Oltre a questo, altra caratteristica della musica monteverdiana e barocca in genere è la gestualità e la teatralizzazione con la quale viene accompagnata la musica. Questo elemento è riscontrabile anche nelle indicazioni monteverdiane d’esecuzione del Combattimento.
3. La volontà di produrre nuovi effetti: attraverso un nuovo utilizzo delle voci, di più strumenti suonati in modo nuovo, di stili. Monteverdi sembra essere letteralmente affascinato dall’idea “che la musica avesse un grande potere sull’animo umano, producesse grandi effetti, potesse mutare completamente il suo stato e trasformarlo in un altro”.

Si richiama, quindi, alla filosofia greca, in quegli anni riscoperta e ristudiata. È infatti in Platone che Monteverdi ritrova la sua “nuova” concezione di musica e soprattutto la certezza che essa è nata per toccare l’anima: “il ritmo e l’armonia penetrano profondamente entro l’anima, assai profondamente la toccano, conferendole armoniosa bellezza. Il fine ultimo della musica è l’amore del bello.” Tutto questo viene trasposto da Monteverdi, sul piano della finzione scenica e teatrale, egli si compiace di avere tra le mani questo strumento, la musica, che, usato adeguatamente, diventa un potente e meraviglioso mezzo per indurre qualsiasi tipo di emozione. Non è un caso, quindi, che, la prima opera nella quale Monteverdi per la prima volta utilizza un modello di nuova musica per teatro, tratti del mitico viaggio di Orfeo e della sua musica, capace, appunto, di smuovere gli affetti più profondi in ogni creatura!

I principali obiettivi della pratica perseguita da Claudio Monteverdi e con lui da tutti i musicisti della Camerata Fiorentina, sono, dunque espressione, gestualità, gusto teatrale, attenzione alla parola durante il canto, uso meditato ma insolente nei confronti delle antiche prassi della dissonanza, studio dell’orchestrazione, utilizzo di nuovi stilemi musicali, volontà di commuovere. Moltissimi di questi trovano la loro teorizzazione nella citata prefazione al Combattimento e addirittura nelle indicazioni presenti nella stessa partitura.
Il Combattimento è, infatti, un Madrigale con gesto un Madrigale drammatico.
L’attenzione alla teatralizzazione, alla gestualità, alla parola soprattutto e all’orchestrazione sono evidenti sin dalle prime parole delle indicazioni scritte in partitura:
“…si farà entrare alla sprovvista […] da la parte della Camera in cui si farà la Musica. Clorinda a piedi armata, seguita da Tancredi armato sopra ad un Cavallo Mariano” evidenzia la teatralizzazione;
“…faranno passi et gesti nel modo che l’oratione esprime, et nulla più né meno” sta a testimoniare la gestualità e l’espressione richieste;
“Clorinda parlerà quando gli toccherà,[…] così Tancredi”, “la voce del testo doverà essere chiara, ferma et di bona pronuntia […] atiò meglio sii intesa nel oratione” sono parole che evidenziano l’attenzione alla parola;
“…gli ustrimenti […] doveranno essere tocchi ad immitatione delle passioni dell’oratione”, e qui è evidente lo studio dell’orchestrazione.
E persino i nuovi stilemi musicali sono evidenziati da note come: “qui si lascia l’arco, e si strappano le corde con duoi diti” (che altro non è che una anticipazione di quello che sarà il “pizzicato Bartok”); “questa ultima nota va in arcata morendo”. Anche la presenza del Testo ha un peso in questa teatralità e attenzione alla parola. Esso è il personaggio più importante e non si limita a raccontare il dramma, ma nei momenti più intensi vi partecipa, lo vive.

Nel Combattimento di Tancredi e Clorinda, quindi, Monteverdi mette in pratica pienamente i principi della “seconda prattica”. La musica accompagna e interpreta le parole della poesia e gli affetti che esse comunicano. Grazie al Tasso che gli offriva tutti gli argomenti (teatralità, emozioni acustiche, scandaglio psicologico), con i quali potersi confrontare nella composizione Monteverdi mette in primo piano le “due passioni contrarie” che smuovono il canto: la preghiera e la morte; la prima espressione alta d’amore, l’altra conclusione inevitabile della guerra.
Nel combattimento compare anche quello che è chiamato “stile concitato” e che altro non è che la rappresentazione dell’ira. Monteverdi stesso parla di queste sue nuove prassi esecutive nella Prefazione dell’ottavo libro e, indirettamente, attraverso alcune lettere manoscritte dalle quali si evince che per il musicista tre sono le principali passioni dell’animo umano, degne d’esser tradotte in musica: ira, temperanza e umiltà, quante sono le qualità naturali della voce, alta, bassa o mezzana. In termini musicali queste passioni dell’animo corrispondono agli stili “concitato, molle e temperato”. E sono tre anche le “maniere di sonare” oratoria, armonica e ritmica e quindi tre i “modi d’adoperar la musica” da teatro, da camera e da ballo. Di qui, infine, eccoci giungere alla “intitolazione” dei generi musicali, guerriera, amorosa, e rappresentativa.

Tutto questo può essere riassunto in una discutibile, ma forse esplicativa tabella:

Nel “Combattimento” lo stile “concitato” trova la sua realizzazione più sublime.
Esso risulta, poi, praticamente essere il “veloce ribattere di note identiche per altezza e valore (assai piccolo, in sedicesimi) con agiontione di oratione[=testo poetico] contenente ira et sdegno”.
Il “concitato genere” tende a divenire elemento stilistico alla moda, utilizzato, quindi, anche in brani sia sacri che profani ed imitato da altri compositori, ma la prefazione citata è una indiscutibile asserzione della paternità monteverdiana di tale novità che contribuì alla fama di Monteverdi e alla fortuna di una “nuova maniera di comporre”.
Nel Combattimento tale stile musicale è utilizzato nelle fasi più “estreme” dell’azione:

* “quai due tori gelosi e d’ira ardenti” in piena contrapposizione con i precedenti “passi tardi e lenti”
* “l’onta irrita lo sdegno alla vendetta…” in un movimento di sedicesimi di immobilità melodica assoluta, ma di enorme impatto
* “tornano al ferro, tornano al ferro…” subito smorzato e contrapposto alla stanchezza seguente dei combattenti
* “O che sanguigna e spaziosa porta…”

Osservando lo spartito de “il combattimento di Tancredi e Clorinda”, possiamo quindi ritrovare tutto quanto esposto relativamente alla seconda prattica. L’importanza della parola è evidenziata, come accennato, tramite le figure retoriche musicali: il verso Va girando colei l'alpestre cima è immediatamente preceduto e quindi anticipato da una Circulatio (immagine sonora di circolarità) e subito dopo il Motto del cavallo è rappresentato da una Ipotiposi che descrive perfettamente il passo del suddetto cavallo. A battuta 34, persino il nitrito del cavallo è rappresentato da note ribattute. Con la figura della catabasi (linea melodica discendente) Monteverdi sottolinea la parola scende mentre Tancredi scende da cavallo. Un’altra ipotiposi (di vista e non di udito) con due battute fatte di minime, anticipa il testo che annuncia che i due combattenti si vanno incontro a passi tardi e lenti. Subito dopo vi è lo stile concitato di cui si è già detto, per descrivere appunto l’ira con cui i due contendenti si vanno incontro come due tori.

Qui, in pratica finisce una sorta di antefatto e inizia la sinfonia. Questo è il secundum exordium. Una tecnica secondo la quale l’opera ha qui il suo vero inizio proprio grazie alla sinfonia che garantisce l’attenzione del pubblico. Qui vi è anche un cambio di modo. Segue, a battuta 78 il passeggio. È quasi una danza con un cambio veloce di armonia che con 4 armonie per battuta, mima e descrive, appunto il movimento. È un passaggio dallo sfondo alla focalizzazione. La successiva invocazione alla notte, apre quella che è l’unica parte in cui sarebbe possibile effettuare delle ornamentazioni. Ancora una ipotiposi descrive con le note (figure piccole) la parola spieghi. Le parole non danno i colpi hor finti hor pieni hor scarsi sono rappresentate da una ipotiposi complessa: usa la tmesi (pausa in levare) al basso e la suspiratio (pausa in battere) nelle voce. Immediatamente dopo, le parole odi le spade sono sottolineate da una figurazione musicale che crea una danza-combattimento. Una successiva figurazione a note puntate descrive le parole urtarsi a mezzo il ferro che contrasta con il successivo sempre il piè fermo descritto da note più lunghe. Il seguente taglio fatto dalla spada è descritto con note in scale discendenti e ascendenti.

La scena seguente è quella in stile concitato già descritta. A battuta 175 la frase cozzan con gli elmi e con gli scudi è rappresentata da un procedimento di emiola che spostando gli accenti grazie ad un 2+2+2 invece che 3+3, crea un senso di agitazione per mezzo di una apparente maggiore velocità. Una stessa figurazione melodica ripetuta per 3 volte sottolinea le parole tre volte il cavalier la donna stringe. Un poliptoto e una sincope descrivono poi i nodi di battute 187-188. Una abruptio a carico degli strumenti interrompe appunto l’imitazione precedente, per sottolineare le parole ella si scinge. Dopo un altro frammento in stile concitato vi è una mutatio toni che esprime appieno il dolore. La successiva frase, nella quale descrive un momentaneo allontanamento dei due combattenti, è caratterizzata dalla suspiratio (pausa sul primo quarto della battuta) per sottolineare il respiro affannoso e con la successiva catabasi (melodia discendente) sottolinea la stanchezza dei due (appoggia il peso).

A battuta 248 la parola pianto è rappresentata da un accordo di sesta napoletana che con il suo 2° grado abbassato crea quel senso di oscurità (fisica o mentale) necessario ad esprimere, nel nostro caso il pianto. Un cromatismo a battuta 271 crea un passus duriusculus e, seguito dalle parole se tra l’armi han loco i prieghi esprime il dualismo preghiera-morte di cui si è già parlato.
A battuta 298, dove Monteverdi scrive GUERRA, torna lo stile concitato sulle parole torna l’ira nei cori.
Descrivendo le ferite che le armi producono reciprocamente ai due combattenti, il tenore prolunga una dissonanza su un pedale prodotto dallo stile concitato stesso. Alla fine dello stile concitato vi è una mutatio toni con relativo cambio di armonia per descrivere il momento in cui la vita di Clorinda deve giunger al suo fin. Qui, una parresia (falsa relazione) crea l’effetto di un sospiro. Nella scena dell’uccisione di Clorinda subentra una sorta di pudore da teatro classico e l’omicidio non avviene in scena. È il testo-tenore che ne parla e la musica lo rappresenta con una catabasi (melodia discendente) inframmezzata da suspiratio e con il basso che fa un falso bordone. Un climax descrive l’ultimo anelito di vita di Clorinda in cui ella pronuncia le parole con le quali Dio le infonde fè, carità, speme (3 virtù teologali). Clorinda parla perdonando il suo uccisore. Le sue parole sono interrotte da suspiratio che, però essendo prodotta da pause più lunghe, assume, sembianze di aposiopesi, vero e proprio silenzio.

Quando Tancredi torna con l’acqua per battezzare Clorinda, sulla parola mesto vi è un cambio di modo e, nel momento in cui riconosce nel guerriero ucciso la sua Clorinda, una omioteleuton (pausa generale) sottolinea lo stupore e la mancanza di parole di Tancredi. Sulla esclamazione che segue - (Ahi vita) - un salto discendente lo esprime appieno. Un saltus duriusculus di 7ª diminuita descrive il ferro che l’ha uccisa e 4 minime scandite sulle parole sacri detti rappresentano appunto il segno della croce che Tancredi pronuncia e il sorriso di lei che ne segue è rappresentato con una figura musicale onomatopeica. Alle parole finali di Clorinda s’apre il ciel io vado, corrisponde una anabasi (melodia ascendente) e sulla parola pace un ritardo che non risolve melodicamente e un’armonia priva di terza (ellissi) esprimono la morte in pace di Clorinda.

Da Monteverdi in poi, quindi, nelle opere di quasi tutti gli autori sono presenti le figure retoriche di cui si è parlato che, pertanto, corrispondevano alla decoratio, uno degli elementi costitutivi dell’orazione.
Da Purcell, a Vivaldi, a Haendel, tutti utilizzano tali figure per dare tutta l’importanza e il peso possibili al testo, sebbene l’applicazione della seconda prattica monteverdiana sia leggermente meno pedissequa man mano che si entra nel XVIII secolo e nel tardo Barocco nel quale si riscopre l’autonomia della musica nell’esprimere sentimenti. Vivaldi, Haendel e Bach, infatti giocano con un ritmo che può andare avanti senza l’ausilio di un testo e basandosi sulle strutture formali che sono puro ragionamento sulla musica. In Vivaldi, infatti, non è difficile trovare passi in cui il testo sembra essere adattato alla musica e non viceversa. Nell’aria “Domine Deus” del suo Gloria RV 589 in più punti è visibile la predominanza del motivo base al quale sono adattate parole il cui accento ritmico non corrisponde a quello del motivo musicale. Ad esempio a battuta 9 del suddetto brano il motivo base compie un salto di sesta ascendente sul quale è posta la sillaba “mi” della parola Domine. Pertanto, l’accento ritmico della parola risulta spostato sulla seconda sillaba, dando origine alla parola “Domìne”. A cavallo tra battuta 21 e battuta 22 vi è la parola “pater” le cui sillabe sono rispettivamente posizionate su una croma (mi) e su una croma col punto (fa). Anche in questo caso, sia per la figurazione ritmica delle note, sia per l’altezza dei due suoni relativi alle due sillabe, l’accento ritmico della parola risulta spostato sulla seconda.
Nel tardo Barocco, quindi, la musica si libera. Grazie alla retorica la musica riesce comunque ad avere un senso discorsivo, grazie alle formule retoriche il lessico diventa indipendente. Questo stato di autosufficienza è agevolato anche dalla nascita della tonalità (due modi e cadenze) che procura una sintassi musicale propria fondata sulla bimodalità, sulla forza delle cadenze e sulla dissonanza armonica. La musica senza parole sembrerebbe risultare sciolta e più scomoda da fraseggiare e da “legare” in una forma. È sicuramente più facile comunicare immagini e stati d’animo quando la musica riveste un testo, ma in questo momento storico si fa strada il concetto che ciò è possibile anche quand’esso è assente, proprio per il significato univoco e convenzionale che assumono le figure retoriche modellate, nella tradizione, sulla parola, come se le figure rappresentassero un vocabolario musicale. Nella visuale dell’estetica barocca la musica è un linguaggio in grado di esprimere con univoca e oggettiva precisione immagini, sentimenti e stati d’animo.
Questo può avvenire, dunque, grazie alla forza delle leggi dialettico-retoriche dell’organizzazione del discorso e soprattutto grazie alle figure musicali che – in analogia a quelle della ‘parola’ – hanno il potere di evocare, spiegare e definire un pensiero con la sua interrelazione di concetti.
L’unità di affetti, che era il collante del primo barocco realizzato tramite la parola, resta il cardine su cui si poggiano anche i musicisti del tardo barocco, ma, questo, è articolato su un ritmo costante e non sulla parola. La continuità ritmica continua l’affetto e l’unità di ritmo permette alle altre componenti (melodia, armonia e timbro) di variare. Nasce lo stile con trama a invenzione continua e la forma tipica del tardo barocco che è la forma ritornello.
In questo nuovo modo di scrivere vi è arricchimento timbrico e dinamico grazie all’alternanza di tutti e solo. La musica si sviluppa a terrazze dal punto di vista tonale e non essendoci agogica, le espressioni si realizzano con espedienti musicali. Ad esempio un crescendo si realizza con un climax, cioè con una scrittura che prevede una progressione in salita o con una settima diminuita. Nel tardo Barocco, quindi, la parola perde l’importanza che aveva nel primo e la musica stessa diventa parola. Dialoga e si muove come la parola grazie ai temi, alla texture e alla forma che ricoprono, pertanto i ruoli, rispettivamente, di personaggi, scenografia e dramma.

RETORICA
Per tutto il secolo XVIII i concetti retorici influenzarono la musica e i musicisti tennero accuratamente conto della retorica nelle loro composizioni, ma fu soprattutto in J.S. Bach che essa trovò la più perfetta applicazione. Già dalla fine del ‘700, tuttavia, quegli stati d’animo, quelle forme emotive che nel secolo precedente erano stati espressi nella musica, con immagini ben determinate, corrispondenti a concetti retorici, avevano a poco a poco perso tale connotazione di razionalità e venivano ormai identificati come stati soggettivi, propri del carattere di ciascun musicista e pertanto impossibili da rappresentare in modo univoco.

Esempi di formule retoriche sono:

PASSUS DURIUSCULUS: consiste in una scala cromatica ascendente o discendente che esprime dolore e afflizione (soprattutto in quella discendente), fatica e affanno (soprattutto in quella ascendente);

ANABASI: è tra le figure musicali che non trovano il loro corrispondente nelle figure retoriche. Si tratta quindi di una linea melodica ascendente che ci da la descrizione musicale della "exaltationem". E’ facile dunque collegare intense emozioni ai suoni acuti, come conferma il fatto che un grido è tanto più acuto quanto è più violenta l’emozione che lo provoca. Beethoven scrive: "le voci ascendono o discendono secondo che i sentimenti prendono o perdono forza";

ANAPHORA: viene definita come "figura che consiste nella ripetizione di una o più parole all’inizio dei versi o degli enunciati successivi, con una rimarcatura enfatica dell’elemento ripetuto". Analogamente in musica la ripetizione sottolinea e conferma il significato di cui è portatore il tratto ripetuto (imitazione);

ANTITHETON: l’antitesi, è definita nella retorica come "figura di carattere logico che consiste nell’accostamento di due parole o frasi di senso opposto". Si ha un effetto di antitesi quando vi è, durante il discorso musicale, un improvviso mutamento del materiale tematico (contrasto tematico). L’antitesi ha, dunque, un carattere contrario all’anaphora, essendo quest’ultima una ripetizione enfatizzante di un inciso o di una frase musicale;

PARONOMASIA: è una figura morfologica che si produce mediante l’accostamento di due parole con una analoga sonorità. Ad esempio "salendo e mirando" o l’anagramma "Silvia salivi". In musica consiste nella ripetizione (variata) di uno stesso frammento con aggiunte melodiche, ma anche con variazioni agogiche e dinamiche.


 

 
 
 
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…a volte il sogno ti raggiunge all’improvviso….aggirando la
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racchiudono un volto…..occhi tristi e sorridenti insieme….una voce
che immagini e che ti risuona comunque dentro….
…a volte il sogno disegna la tua immaginazione….avvolge i tuoi
sensi….. ti riporta a vivere EMOZIONI che credevi sopite….
….a volte il sogno si fa strada nei tuoi sogni….non serve fermarlo…invade la tua pelle…diventa cuore anima e si insedia nei
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….a volte il sogno è lì…di fronte a te
…a volte il sogno ti scopre bambino…imprime il suo messaggio a
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