Parole in cammino

E' arrivato l'inverno.
La neve sui monti è così vicina che se ne sente l'odore. La stufa è accesa a scaldarmi i pensieri.
Qualcuno in tv ripete da mesi che per i settembrini ci sarà un autunno col botto e io, abituata alle attese, per un momento ho pensato che una qualche beffa avesse deciso di catapultatarmi direttamente nell'inverno profondo, rubandomi la fragorosa sorpresa.
Ieri però ho avuto il mio autunno.
Mi sono stupita, durante il viaggio, nel vedere la pianura sferragliarmi accanto con i suoi orti rigogliosi coperti da quella leggera nebbiolina che solo sui campi della "piana" riesce così perfettamente romantica. Mi ha sorpresa, nel gelo padano, la zucca gialla appesa lungo la scarpata, come a voler fuggire alla sorte fermando anche lei un treno e partire per chissà dove. Ho goduto di quel molle abbandono che avvolge le coltivazioni quando finisce l'estate, quando la terra ancora produce frutti, ma la sazia ingordigia pare non voler più allungare la mano per la raccolta.
Tutto profumava d'autunno ieri, anche lungo il viale, quando il tram ha coinvolto in un mulinello le prime foglie secche e poi nel lungo, soffocante corridoio quando uscendo fuori, ho stretto forte il bavero della giacca per ripararmi dal vento e ho guardato il cielo grigio sopra la collina di Torino.
E' stato un botto silenzioso, senza clamori e senza pubblico.
Ho percorso a ritroso la pianura sù sù fino alla neve, lasciandomi alle spalle l'autunno e la malattia.