Creato da betulla64 il 22/12/2005
Il coraggio non mi manca. E' la paura che mi frega. (Antonio Albanese)

Area personale

 

FACEBOOK

 
 

Oroscopo

immagineVergine (23 agosto - 22 settembre)


"La mia ferita emotiva più profonda è stata anche una fonte inesauribile di gioie". Non ti rivelerò perché questa frase è molto importante per me: è una questione troppo personale. Ma tu, Vergine, potresti fare un'affermazione simile? Potresti interpretare la tua vita in modo da vedere un'esperienza dolorosa come una fonte di intuizione, ispirazione e vitalità? Il 2009 sarà l'anno ideale per compiere questo cambio di percezione. E il periodo intorno al solstizio d'inverno è il momento perfetto per cominciare. (Rob Brezsny)

 
 

Blo(g)cco Note

Sulla via che mi porta al lavoro c'è una casa abbandonata che, mi hanno detto da qualche giorno, è abitata dai fantasmi.
Non lo sapevo. Ma appena me l'hanno detto ho pensato: la compro io.
 

ARCHIVIO DEI POST

  '06 '07 '08 '09
gen x x x x
feb x x x -
mar x x x -
apr x x x -
mag x x x -
giu x x x -
lug x x x -
ago x x x -
set x x x -
ott x x x -
nov x x x -
dic x x x -
 

Archivio messaggi

 
 << Gennaio 2006 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
            1
2 3 4 5 6 7 8
9 10 11 12 13 14 15
16 17 18 19 20 21 22
23 24 25 26 27 28 29
30 31          
 
 

Ultime visite al Blog

BeppeCassissurlebancmariomancino.mbetulla64mdfacsdiscoinferno86mipiace1956annabaralisnicolabillaScottDouglasforestales1958cosimo.nettunomiracolo.iounlumedaunnumebagninosalinaro
 

Ultimi commenti

 

Sul comodino...



Preghiera della sera
 


 

Parole in musica

"El canto tiene poder,
tiene la fe que alucina,

la voluntad colectiva,
puede ser ola en el mar"

(Josè Seves)


 
immagine
immagine
immagine
immagine
immagine

immagine
immagine
 

Tag

 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
 
Citazioni nei Blog Amici: 19
 

Non conto un cazzo
 
 
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 

Messaggi del 28/01/2006

Siete troppo buoni, devo espiare...

Post n°84 pubblicato il 28 Gennaio 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

Fin da bambina ho avuto in testa una gran confusione tra regola e trasgressione della stessa, come una sorta di sentimento dualistico che faceva sì che provassi attrazione verso tutto ciò che era proibito e nello stesso tempo una sorta di terrore pensando alla possibilità di essere scoperta.
La colpa, il giudizio la conseguente punizione mi hanno perseguitato per anni. Lo fanno ancora.
Una delle cause di questo modo di affrontare la colpa può essere ricercata forse nella mia tendenza a cercare la perfezione, a voler essere impeccabile di fronte al mondo per ricevere la stima di tutti e perché nessuno possa trovare in me qualcosa di criticabile. Odio la critica, mi mette in ansia, mi fa vergognare, mi rende indifesa.
Da piccola volevo che tutti mi amassero ed entravo in competizione con le mie sorelle per accaparrarmi più affetto possibile, ma non una competizione fatta di trucchi o di tentativi di mettermi in mostra, anzi, era tutto un cercare di nascondermi, di rendermi invisibile o per lo meno di non disturbare troppo quel mondo di adulti che vedevo come un olimpo pieno di dei pronti ad incenerirmi al primo errore.
Non ero una brava bambina, ero semplicemente terrorizzata dal giudizio e dalla punizione e cercavo in ogni modo di evitarla.
Quando ora sento mia madre affermare che ero una bimba tranquilla, che non davo preoccupazioni, che ero buona e dolce, mi viene da rispondere che ero semplicemente già vile da bambina e che non ci sono meriti in me. Ma taccio e mi compiaccio segretamente.
Ho cominciato presto a frequentare la colpa, un po’ perché in casa non si parlava d’altro e quindi mi veniva spontaneo cercare di capire cosa fosse e poi perché con una sorella grande e smaliziata ho capito subito che “è colpa sua” poteva voler dire l’inferno. Cominciai a cercare un modo per evitare di prendermi la colpa e il modo era lì, sotto ai miei occhi, anzi, al piano di sotto, in casa della nonna.
Mia nonna si era ammalata abbastanza giovane di cataratta, solo anni dopo si sarebbe fatta operare ed avrebbe riacquistato una vista sufficiente a farle fare una vita quasi normale. Gli anni della mia prima infanzia li ricordo con una nonna che non vedeva quasi nulla, ma se dovessi giurare che fosse cieca totale non potrei farlo e nessuno ha mai saputo darmi risposte esaurienti, ricordo solo le raccomandazioni a stare attente perché nonna era “borgna” ossia cieca. Solo che da queste parti anche uno che porta occhiali da vista è definito “borgn” cosicché mia sorella ed io eravamo convinte di avere una nonna cieca, ma per quanto ne so può darsi che vedesse sufficientemente da spiare le nostre marachelle. Non lo saprò mai.
La casa di nonna era per noi il rifugio, lo scrigno con i segreti, il luogo della radio sempre accesa dove ascoltare “la corrida”, un posto pieno di tende e tendine dove nascondersi…..ed era la credenza.
La credenza di nonna era mitica, in laminato finto legno, con i vetri smerigliati raffiguranti dei cerbiatti al pascolo e con tre bei cassetti pieni di misteri. Ma la cosa più importante era quello che stava dietro ai vetri. Il barattolo delle caramelle.
In casa nostra le caramelle erano nascoste ed era impossibile rubarle, ma lì erano in bella mostra, nel barattolo di latta con i fiorellini rossi e il coperchio col manico finto osso…e nonna era cieca, non poteva vederci. Scoprii lì quanto sia bello trasgredire sapendo che nessuno lo saprà mai (illusa) e cominciai a rubare caramelle in quantità industriale. A dire il vero l’idea non fu mia. Io non avevo mai idee mie. Fu mia sorella, che dicendo “tanto e cieca”, cominciò ad arrampicarsi sulla sedia e ad aprire piano la vetrina scorrevole con mia nonna lì..ferma che non diceva nulla. Se non era cieca era sicuramente una santa.
Diventò un gioco frequente, e diventammo due ladre professioniste in un batter d’occhio, ma io sempre con il terrore segreto di venire scoperta.
Ancora oggi non so dire se provo tenerezza o vergogna per quei gesti furtivi, certo è che quando li ho confessati ero ormai certa che i fatti avevano subito quella meravigliosa metamorfosi che solo il tempo può produrre: trasformare gli atti illeciti in aneddoti esilaranti, permettendomi di evitare il giudizio.
Sono andata avanti così per anni e anni, fino all’imminenza del matrimonio.
A quel punto il bluff non poteva più reggere, il fatto di essere una persona nient’affatto docile e remissiva mi si parava davanti e non potevo farci nulla.
Dentro di me sapevo che la mia famiglia, il mio fidanzato, mi vedevano come la brava ragazza, la moglie devota, la figlia rispettosa, ma non era così. Io avevo dentro una curiosità, una voglia di provare tutto, di scoprire tutto che non avevo mai confessato nemmeno a me stessa, perché anche io ero convinta di essere una brava ragazza.
Solo una parte di me, della mia mente, aveva scoperto ogni cosa e cominciò a darmi segnali cercando di avvisarmi che prima di cominciare una nuova vita con un uomo avrei dovuto fare i conti con me stessa. Ma non ascoltai e tirai dritto chiedendomi cosa diavolo mi succedeva che d’improvviso stavo così male e avevo paura di tutto. Avevo semplicemente paura di non poter reggere il bluff. E non lo ressi.
Mi chiusi in casa e decisi che l’unico modo per non deludere tutta quella gente che mi credeva buona, era evitare ogni genere di tentazione, stare alla larga dal mondo e dalla vita con tutto quello che comportava: responsabilità e capacità di scelte coraggiose.
Ancora una volta rubavo le caramelle, convinta che una parte di me fosse così cieca da non accorgersene e ancora una volta mi convincevo che l’avrei fatta franca…e ancora una volta confesso, nella speranza che il tempo abbia fatto il miracolo.
Credevo sinceramente che fosse finita, che con l’analisi e tutti questi anni d’inferno avessi risolto qualcosa. Non ho risolto nulla. Torno nel mondo come ero a 24 anni, oppressa dalla colpa, incapace di evitarla e tanto vile da non voler affrontare il giudizio.
Ora mi crogiolo nell’illusione di farla franca, cerco scuse per giustificare la mia incapacità a rinunciare a ciò che desidero e non trovo il coraggio di dire che l’unica cosa che voglio è essere lasciata in pace col mio egoismo.
Pecco, mi giudico, mi punisco. Faccio da giudice supremo alla mia vita, ma non ho il coraggio di pormi innanzi al mondo e dire: “io sono così”.
Ma io sono davvero così.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Post N° 83

Post n°83 pubblicato il 28 Gennaio 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

Gennaio 1988

Mia nonna è stata certamente il grande amore della mia vita, non vi è giorno che non mi manchi.
Donna timida, semplice, molto attaccata alla famiglia, ci ha ricoperti d’amore e dolcezza e lo ha fatto così bene che nessuno di noi si è mai accorto che ci teneva stretti in pugno senza possibilità di scampo.
C’è qualcosa di peggio dell’amore totale per renderci asserviti?
Il ricordo è legato alla sua malattia. Non ricordo una nonna sana, mai. Non usciva di casa da sola, era preda dell’ansia; la folla, i luoghi caotici le provocavano malessere. Noi ci burlavamo un po’ di questa cosa e per tutta la vita ha avuto attorno persone che la massacravano dicendo:“devi sforzarti”. Rammento la frase che pronunciava spesso:”Se sabesià…” se sapeste….
Passavo le mie giornate con lei, che ormai viveva nell’albergo e scandiva il tempo con i giornali radio le riviste delle Edizioni Paoline.
La mattina alle nove scendeva nel salottino che la zia aveva sistemato per lei e il nonno, io prendevo il pettine d’osso e cominciavo a pettinarla: aveva capelli stupendi, di un grigio argenteo, i riccioli permanentati che io fermavo con delle mollette, accarezzandola piano sulle guance incredibilmente lisce, ascoltando le sue chiacchiere sul tempo e sui turisti e raccontandole sciocchezze che la facevano ridere.

Una sera arrivai al lavoro e mia zia mi disse che la nonna non si sentiva bene e avrebbe cenato in camera, così preparai un vassoio con un po’ di brodo, il suo tovagliolo, le posate, i grissini che adorava e che avevano da anni sostituito il pane e salii la scala verso la sua camera. La trovai a letto con l’immancabile Famiglia Cristiana sulle ginocchia, la aiutai a bere il brodo, giocai un po’ con le sue mani di seta, la accarezzai e mi feci accarezzare…l’unico essere al mondo con cui potevo passare ore in effusioni fisiche senza sentirmi in imbarazzo, la bacia e tornai al mio lavoro.
La mattina seguente arrivai all’albergo come sempre alle otto e vi trovai l’ambulanza.
La nonna stava male, andava ricoverata d’urgenza e mia zia mi chiese di salire sul mezzo di soccorso mentre lei ci avrebbe seguito con la macchina. E qui il dramma. Io ormai da due mesi ero preda di quegli strani malesseri, di quei mancamenti e la sola idea di salire sull’ambulanza mi faceva morire.
Non potevo addurre come scusa una cosa che nemmeno io capivo, così dissi semplicemente di no.
Quel no semplice semplice sarebbe stata la mia condanna all’inferno per gli anni a venire e forse lo è ancora. Ricordo bene lo sguardo di disprezzo negli occhi di mia zia, il dolore, la preoccupazione e io lì, immobile statua di cera a scrollare il capo e pronunciare quel no.
La nonna fu portata via e mai più la rividi cosciente.
Lo stesso pomeriggio la riportarono a casa per permetterle di morire tra le cose familiari.
Passai il mio tempo a vegliarla, accarezzando quelle mani dolci, scrutando il viso immobile, spiando il respiro che si spezzava a tratti e la guardai morire.
Come si fa a lasciar morire l’amore della vita quando si sa che quell’amore è stato tradito? Che cosa avrebbe potuto dirmi ancora quella donna nel tragitto da casa all’ospedale?
Credetti di dover in qualche modo pagare la mia vigliaccheria e feci la cosa più incredibile, più grandiosa, più distruttiva che potessi fare: mi appropriai della sua psiche nel momento in cui spirava e decisi che per espiare dovevo essere lei.
Freud dice che le eredità noi ce le scegliamo.
Io scelsi di ereditare la malattia di mia nonna, che per tutti è sempre stato “esaurimento nervoso”, per me donna del 2000 si chiamava pomposamente “Sindrome da attacchi di panico”.


 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 

Radiobet


 

È tempo di...



* * *

  
* * *

immagine
* * *


 

Parole al vento...

 "Laudato sie, mi signore,
cun tucte le tue creature..."


immagine


"El bosque precede al ombre
pero le sigue el desierto"
 

"Grande importante malattia quella di Basedow!... tutti gli organismi si distribuiscono su una linea, ad un capo della quale sta la malattia di Basedow che implica il generosissimo, folle consumo della forza vitale, il battito di un cuore stremato, e all'altro stanno gli organismi immiseriti per avarizia organica..."

da "La coscienza di Zeno"
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963