Un blog creato da principe69_9 il 31/08/2008

Le ragioni del mare

...l'orizzonte è lontano soltanto se si guarda con gli occhi e non con il cuore.

 
 
 
 
 
 

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MareVela.jpg

Onda del mare
di Tenir

Onda del mare
che rasenti la riva
silenziosa vieni a me
a sfiorarmi
a sussurrarmi
di gioia divisa
poi ti ritrai

di silenzio mi circondi
il tuo silenzio
io ascolto (fuggo)
evanescente
accarezzi la riva
trascinando sabbia
di infiniti granelli

mi bagni le labbra
ti stringo tra le mani
ma sfuggi
su tremule onde
che nascondono (verità)
silenziosi
battiti di cuore

dall'orizzonte
ritorni a riva
nuovamente
e silenziosa
aspetti
passi lontani

il sole
incuriosito
si china
su indifesi volti
lambiti dall'onda
che cancella
i ritrosi passi
bramosi di sabbia
bramosi dell'onda di mare.

Punto dove le onde si infrangono
dal web

Mi guarda impacciata
io ci riprovo di nuovo
mi volto verso la riva e mi spingo con le braccia
perdo l'equilibrio e giù ancora una volta sott'acqua
"non prendi il tempo giusto"
"c'è un punto in cui le onde si infrangono,
in quel momento devi partire e non devi mai smettere di spingerti"
si avvicina un'altra onda, questa è piu' grande
"vai, adesso, adesso"
non lo vedo piu'
mi sento leggerissima
non so quanto l'onda sia vicina
ma sento la brezza negli occhi.

gabbiani.jpg

Areati voli
di Tenir

Un bellicoso filo di luce pervade lise fenditure solcate dal tempo

e gli occhi si ritraggono smarriti e predati da luci acuminanti.

In vento impalpabile tramuto le vesti del cuore
quando l'inerte pietra del tempo

bracca l'inafferrabile mio essere.

Traiettorie libere compio su beffarede incertezze ma brada,
dissolvente è la mia anima.

 
 
 
 
 
 
 

INARTE

Wassily Kandinskt:
Quando l'astratto diventa sublime
Sinestesi: si ascolta con gli occhi, si guarda con le orecchie.
"Sentivo a volte il chiacchiericcio sommesso dei colori che si mescolavano:
era un'esperienza misteriosa; sorpresa nella misteriosa cucina di un alchimista"
Kandinskycomps6.jpg
Compenetrazione: E se l'insostenibile ti sopraffacesse d'un tratto fermati,
ascolta il pulsare fremente degli odori e dei colori,
tocca la plasticità dei suoni. Nella loro armonia Compenetrati.
Il contatto dell'anglo acuto di un triangolo con un cerchio
non ha minore effetto di quello del dito di Dio con le dita di Adamo in Michelangelo.
kandinskycomps8.jpg
Quadrato nero: un gran rettangolo nero all'interno del quale è inscritto un altro bianco più piccolo e delle figure geometriche colorate, linee verticali, orizzontali, oblique ed ondulate. Kandinsky vuole presentare opere in un involucro gelato, che avessero un contenuto ardente. In effetti, notiamo in questo quadro una rigorosa organizzazione geometrica (circoli, triangoli, rettangoli e frammenti di essi) in accordo con la sua collocazione: la linea orizzontale emana un senso caldo; quella verticale,freddo; il punto, silenzio e immobilità. La linea, successione di punti, è dinamica; la curva è materialmente instabile per poterla fissare, però è la più stabile spiritualmente come spazio circoscritto. Il giallo è caldo ed irritante e si relazione col triangolo e l'angolo acuto; l'azzurro è freddo, severo e si relaziona col circolo e con l'angolo ottuso; il bianco è silenzio che racchiude potere, mentre il nero è silenzio senza futuro.Corrientes Pictóricas de los siglos XIX e XX, del prof. Giancarlo Nacher Malvaioli.
KandinskyQuadratonero1.jpg

 
 
 
 
 
 
 

ESTATE

Poesia di Claude Clement
Madama Estate

Madama Estate gira per il mondo
e ritorna una volta all 'anno,
dopo aver percorso il mappamondo,
per festeggiare il suo compleanno.
Sulla testa ha un cappello color del cielo,
a punta come quello di una fata,

indossa un abito leggero come un velo,
fatto di sole e di sabbia dorata.

Quando lei viene, io sono contento
e ho sempre tanta voglia di giocare,
nuoto nell'acqua, corro come il vento,
e gioco con la sabbia in riva al mare.

 Vasto, il mio mare.

http://digilander.libero.it/principe69_9/ImmagineEstate2%20copia.jpg

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Messaggi di Novembre 2008

 

Lettera del passato

Post n°50 pubblicato il 29 Novembre 2008 da principe69_9
 
Tag: amore

Parigi, 07 agosto, 1906

“Ninsia, mio amore…"

"Una lettera è una gioia terrena non concessa agli dei” Dickinson Emily

Nel mondo antico, scrivere era un’attività di rilievo riservata a pochi specialisti, quale gli scribi a Roma e in Egitto, gli scrivani nei conventi dell’Europa medievale e poi negli uffici pubblici fino all’Ottocento.
Nel passato la lettera era formata da un foglio scritto ripiegato (la lettera vera e propria) che poteva essere spedito tal quale oppure dopo averlo inserito in un secondo foglio ripiegato denominato “sovraccoperta”; per preservare il segreto epistolare tutte le lettere venivano sigillate  a caldo con ceralacca o con ostie di gomma arabica (i primi adesivi a fusione). 
Quando si modernizzò il sistema postale verso la metà dell’Ottocento (coincidente con l’invenzione del francobollo) si diffusero le buste più eleganti e pratiche e la carta da lettera diventò più leggera.

La civiltà delle lettere tradizionalmente scritte a mano è ormai agonizzante e non ci sarà, è facile prevederlo, una resurrezione.
Le vecchie generazioni possedevano ben nascoste, in un cassetto o in un libro, le proprie lettere.
Erano pagine piene di sentimento, risalenti al periodo del fidanzamento, del servizio militare, della lontananza, ed esprimevano desideri umani ed eterni.

Accingersi a scrivere una lettera era già un gesto di attenzione e di amore più della stessa lettera: si ritagliava del tempo alla propria giornata, quasi sempre al crepuscolo, quando le ombre lunghe cancellano il mondo, per soffermarmi sui propri sentimenti.
Si cercavano le parole per comunicare qualcosa che doveva essere interpretato per quello che era senza fraintendimenti. 
La lettera consentiva di dire tutto, anche quello che a voce sarebbe parso sciocco, troppo sentimentale, troppo audace o troppo aggressivo: ma soprattutto poteva essere letta più volte finché i pensieri non fossero scesi nel profondo del cuore, mentre le parole, per belle che siano, si fermano prima, si logorano rapidamente e solo se hanno fortuna, si trasformano in musica. 
La vita delle lettere è lunghissima, talvolta più del sentimento che le ha espresse: conservate ne facevano affiorare l’incanto e la tenerezza a distanza di molti mesi, anni. La lettera d’amore, nello specifico, era il messaggero alato dei propri pudori, dei pensieri più intimi, più nascosti. Ad essa si affidavano, con candore e tenerezza, le verità mai dette, le emozioni, le speranze, i sogni di vivere la propria fetta di paradiso, di felicità.  
 
  
 
Le lettere che si raccontano, parlano, si confessano, nelle quali ci si rivolgeva a un amico come a un diario, consegnandogli con fiducia piccoli pezzi di vita fatta di gioie e delusioni.
La lettera: da aprire e ripiegare migliaia di volte, da fare ingiallire nella scatola dei ricordi più belli, uno strumento capace di rendere eterno un sentimento; la lettera, con il suo francobollo timbrato, contenente affetti, sogni, dolori, nostalgia, amore, rabbia, vita. 
Oggi noi, che siamo i protagonisti di questo tempo che ci condanna  al ruolo di fruitori veloci, non scopriremo mai l’ emozione che può regalarci una lettera presa nelle mani, negandoci  così la più raffinata forma di comunicazione.
Oggi tutto è cambiato. Il mondo è cambiato. La penna è stata sostituita con i tasti, il foglio di carta con il monitor. E forse anche le parole del cuore.

Lettera del passato
Parigi, 07 agosto 1906

Ninsia, mio amore

ogni volta le mie lettere sono senza nome, ma Tu sai sempre chi sono.

E’ il metodo più stupido per lasciarmi immaginare. L’amore non ha bisogno di nomi, e il mio diventerebbe superfluo se io Te lo ricordassi. Lascio voce eclatante al Tuo ricordo, in un forziere lucente di tenere parole..

Ah! l’attesa.

I giorni si dissolvono ed io bramo lucentezza dal Tuo sguardo..

Solo tra qualche settimana sarò da Te, e le emozioni, sciolte al vento, vibrano come rose in attesa di essere odorate e sfiorate con gentilezza.

Oggi lavoro come sempre, il mio è un vizio che non riesce a distogliere la Tua mancanza. Ti amo, e l’amore per me è un dono, un volto da ritrarre, una castità alle mie peggiori intenzioni. Amo tutto ciò che mi circonda, e Tu, folle ebbrezza di distanza mi assorbi anche nella Tua assenza, mostrando in me un velo inquieto di malinconia.

Ti amo! Ti amo! Ti amo!

Ti amo mille volte ancora di quelle che posso scrivere e non è mai abbastanza; la solitudine di Te mi rende orfano..mai ho compreso me in Tua assenza!

Non esiste ritratto che possa dipingere che eguagli la tua bellezza, talvolta, non esigo perfezione dai miei quadri, solo perché non vivo Te, il Tuo consiglio esigente e la Tua formula eccentrica nella critica. Mi chiedo:

“Può, la mia inconscia veduta della moralità, aleggiando in similitudini, dimostrarsi indecente nelle mie opere?

Può, il mio stanco pensiero, dirigersi in un’alcova, mentre dipingo il mio ricordo di Te?

Perché mutare le mie tentazioni in parole, quando i colori, corrotti dalla mia audacia, ne dimostrano le stesso valore ?”

Scusami, talvolta mi fregio della fragilità più emotiva, che, a maldicenza della gente è mostrata con blasfemia. Io dalla mia ho la creatività e il mio amore per Te, e non possiederò altro affinché la vita mi negherà altro.

Ti amo Ninsia.

Anonimo Pittore.

Riflettendo sul contenuto delle vostre lettere, mi sono procurato una grande agonia, non sapendo come interpretarle, se a mio svantaggio, come si può vedere in alcune righe, o a mio vantaggio in altre…” Da Enrico VIII ad Anna Bolena   1491.

“Vieni, Sophie, che io possa torturare il tuo cuore ingiusto  al fine, che io, da parte mia, possa essere spietato nei tuoi confronti. Perché ti dovrei risparmiare, visto che tu mi derubi della ragione, dell’onore, e della vita?”  Da Jean Jacques Rosseau a Sophie d’ Houdetot,     Ermintage, Giugno 1757.

“Avendovi detto questa mattina che vi amavo, mia vicina di ieri sera, provo ora meno vergogna a scrivervelo.” Da Guillaume Apollinaire a Lou, Nizza, 28 Settembre 1914.

“In questa notte nera, la corona delle tua braccia m’è come una costellazione indelebile. Perché oggi in quei pochi attimi di sogno, ho avuto dalle tue giovani braccia una sensazione luminosa, come se tu avessi cinto d’un fuoco bianco la mia tenerezza e la mia tristezza?” Da Gabriele D’Annunzio a Jouvence, Mezzanotte, 24 Aprile 1923.

                                      

 

 

 

 

 
 
 

Stare immobili e fermare il tempo, Ari Nunes

Post n°49 pubblicato il 27 Novembre 2008 da principe69_9
 

Il desiderio dell’uomo di registrare immagini da conservare nel tempo risale alla preistoria. La fotografia nasce dal forte desiderio indotto da una precedente invenzione: la stampa che, dai tempi delle prime abbozzate incisioni su legno, si era evoluta in maniera vigorosa.
Molti e disperati furono i tentativi di riuscire a “scrivere con la luce”, difatti fotografare significa “scrivere con la luce”.
 
          


La fotografia, nel tempo, venne usata anche per farsi conoscere e rappresentare il proprio status sociale, compresa la realtà di tutti i giorni.
Le foto sono la memoria della nostra vita e del nostro piccolo mondo.
Le riguardiamo mostrandole agli altri, o le ripassiamo da soli per ricordare una stagione della vita, gli amici persi di vista negli anni, i neonati ormai padri o nonni. La fotografia imprime i ricordi nelle immagini e dalla loro sequenza è possibile leggere la nostra storia, il nostro passato, il nostro stato d’animo, la nostra spiritualità.
 
              
        

Guardando un album di foto si scopre di rivivere dettagliatamente tutti i momenti di quegli eventi;
affiorano nella mente persone e cose fotografate, si percorrono le circostanze a loro collegate, silenziosamente si sorride o si piange, e guardando l’ultima foto si ha sensazione di aver finito di leggere un libro, un proprio libro alla quale è difficile attribuire un titolo perché si è molto spaziato nei ricordi avendo percorso un lungo tratto della propria vita.
       
         
La fotografia ci ha fornito l’illusione di credere che fermare il tempo era diventato possibile.
Illusione, luogo comune, una fotografia non ci mostra mai il mondo così com’è, ma, al massimo, come quel frammento di mondo appariva a chi in quell’istante  ha schiacciato il pulsante dell’otturatore di una macchina fotografica. Ciò che la rende  intrinsecamente diversa da ogni altra immagine è che la fotografia è carica di tempo.
   

La fotografia ci fornisce la prova della nostra esistenza nella continuità del tempo e forse è proprio da questo è nata la gigantesca nevrosi di “immortalare”  fotograficamente i momenti della vita che consideriamo più importanti.
E’ probabile che questa enorme massa d’immagini abbia finito col costruire un muro insormontabile piuttosto che un ponte, tra noi e il reale.
E’ possibile anche che la fine imminente della fotografia analogica a favore delle immagini digitali, che inevitabilmente fanno perdere alla fotografia il suo prestigio di documento, di traccia del reale, finiranno col cambiare la ragione e il senso stesso del fotografare.
 
 

Già l’enorme diffusione dei telefonini che fanno foto ha trasformato il fotografare da consapevole scelta di istanti significativi da ricordare in gesto compulsivo di effimero appunto della quotidianità, da cancellare subito. Immagini usa e getta, tempo usa e getta, come tutto il resto.
Forse non c’interessa più la fotografia come sfida al tempo ed esercizio di memoria. Forse quello che chiederemo sempre di più alla fotografia digitale e ai computer saranno immagini, finzioni di vita che non abbiamo vissuto e fingeremo di aver vissuto.
 

Esiste però una grande scatola in cui riporre le foto della nostra vita, e non ha importanza il modo e lo strumento con cui sono state scattate, se la luce era giusta o meno, o quando tempo è trascorso; esse resteranno immutate nel tempo perché riposte nel cuore:
la nostra grande scatola dei ricordi.



Citazioni:

Il desiderio di scoprire, la voglia di emozionare, il gusto di catturare, tre concetti che riassumo l’arte della fotografia” H. Newton.

E’ un’illusione che le foto si facciano con la macchina..si fanno con gli occhi, con il cuore, con la testa” H. Bresson.

“Le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento” H. Bresson.


                   






 
 
 

Lo specchio: sei quel che vedi?

Post n°48 pubblicato il 25 Novembre 2008 da principe69_9
 

La storia dello specchio è anche la storia dell’uomo con la propria immagine, con il proprio doppio. Nell’unire verità e apparenza, dimensione intima e collettiva, lo specchio assume su di sé passioni  e proiezioni e diviene per alcuni il riflesso del divino, per altri strumento di  seduzione o simbolo di menzogna: una cornice immancabile della nostra vita.                                                  
Amato – odiato specchio, testimone indifferente e confessore segreto, “doppio” di noi stessi eppure dotato di una sua presenza misteriosamente autonoma ed inquietante, davanti alla quale ci sentiamo “nudi” e disarmati.


E’ innegabile che lo specchio abbia un fascino magnetico, oggi è addirittura divenuto l’icona del tempo, il giudice imparziale e a volte spietato di una realtà che pare vivere a sua volta di un caleidoscopio di riflessi.
Esso è l’emblema di una società che guarda all’esteriorità, alla superficie, a un immagine peritura e chimerica. Insomma lo specchio riassume in sé l’assurdità di un dualismo che sembra seguire le leggi della vita: esso è realtà e finzione, verità ed illusione, immagine cangiante e volubile di attimi di vita, di corpi, di forme, di spazi mutevoli e complessi.                                 
 
Lo specchio è il doppio, identico in tutto all’originale, uguale nel minimo dettaglio, nelle pieghe dell’abito, nelle rughe del viso, nel gesto delle mani, nel profilo del volto. 
                                   
Osservare il mondo che sosta o che passa sullo specchio è come vederne la copia fotostatica. Eppure resta viva l’impressione di guardare non un clone ma un altro da sé, non un identico, ma una copia, un simile, persino un diverso da sé, in un incredibile mix di identità e alterità.
In questo paradossale gioco di rimandi l’io è l’altro, e l’altro è l’io. Dal confronto si aprono però due vie: la conoscenza o la paura di sé.

Tra queste due possibilità Pirandello  ne insinua una terza: il dubbio di capire se quello che io vedo riflesso è quello che veramente sono e se, in seconda battuta, quell’essere riflesso e che io probabilmente conosco per essere già diverso da quello che l’immagine lo specchio mi rimanda, è visto anche dagli altri con gli stessi occhi.
Quindi gli altri mi vedono come mi racconta lo specchio o mi vedono come realmente sono? Ed io sono quello che vedo?
Lo specchio affascinò Socrate e Seneca che lo raccomandavano come strumento per conoscere se stessi; lo specchio, l’attributo della Prudenza che incarna la Sapienza; lo specchio, immagine di un’immagine, alterego, fantasma, doppio del soggetto che ne condivide il destino. Le Sirene, la Lussuria, la Vanità vi si guardano. 

Le innumerevoli rappresentazioni di donne allo specchio, il loro consigliere delle grazie (cortigiane, grandi dame, cameriere, modelle, Venere e Psiche) perpetuano il tema allegorico in un contesto di ambiguità dove l’esistenza materiale si sdoppia in luoghi inaccessibili e allo stesso tempo in incantesimo. 
“L’armadio a specchio, scrive Barbey d’Aurevilly, è come un grande lago dove vedo navigare le mie idee assieme  alla mia immagine.”   E’ in uno specchio, dono di Lord Henry, che Dorian Gray si accorge di conservare il dono della bellezza e della gioventù mentre il suo ritratto invecchia. Geroglifico della verità lo specchio è anche geroglifico della falsità.
Moltiplicato, diversamente disposto o diversamente incurvato esso muta le apparenze della vita che vi si disfa e vi si riforma liberandosi totalmente dalle sue misure e dal suo equilibrio.
Ed io sono quel che vedo?


Citazioni:
                                             

Prendi uno specchio e volgilo in tutte le direzioni. Ecco che avrai prodotto un sole, dei corpi celesti, una terra, te stesso  e ogni sorta di animali e piante...”  Socrate.




“Bellezza è l’eternità che si contempla in uno specchio; e noi siamo l’eternità, e noi siamo lo specchio”  Gibran.




“Gli specchi farebbero bene a riflettere prima di rimandarci la nostra immagine”  Cocteau.

 
 
 

Principe Giuseppe visto dalla matita di Antonio.

Post n°47 pubblicato il 24 Novembre 2008 da principe69_9
 

Pubblico il regalo del mio amico Antonio De Blasi, un regalo a me molto gradito.

Grazie Antonio.

Invito tutti a visitare il suo sito: De_Blasi.A

 
 
 

Design 3: La Molletta per i panni

Post n°46 pubblicato il 22 Novembre 2008 da principe69_9
 
Tag: Design

Terzo appuntamento sul Design, come abbiamo detto in precedenza parliamo di oggetti, che più rispondono alla definizione di classico.
Oggi parliamo della molletta per i panni.
Nella moda tutto ciò che è diventato parte del nostro lifestyle, siamo portati a voler attribuire ogni articolo a un singolo genio; molti articoli di cui facciamo uso sono spesso anonimi e di origini banali. E’ il caso della molletta per i panni.
  
                            
Il merito dell’invenzione della molletta è attribuibile agli Shaker, una setta religiosa fondata negli Stati Uniti nel 1772.

Essi furono artefici di oggetti di arredamento originali, che ritenevano essere l’espressione tridimensionale della loro fede. Ogni oggetto inventato o prodotto da loro era basato sulla massima semplicità, ogni dettaglio era essenziale, ogni decorazione era discutibile. 
La molletta non era altro che un semplice pezzo di legno con una fenditura nel mezzo, in seguito, nel 1853 grazie D. M Smith di Springfield, la molletta classica sarà di due pezzettini di legno uniti da una molletta di acciaio.

La classica molletta contemporanea nacque nel 1944 per merito di Mario Maccaferri, che relizzò una molletta in plastica.
Una sera a casa, sua moglie si lamentò che tutte le mollette da bucato di legno erano rotte o marce a causa dell'umidità dei panni. Così, Maccaferri tornò alla fabbrica e progettò una molletta di plastica: la prima del suo genere e la brevettò.
La molletta di plastica divenne così famosa che acquistò un complesso di tre edifici e nove macchine e presto ne produsse un milione al giorno.

Fu quello l'inizio della Matro Industries, che divenne subito così grande che una ditta italiana impiegava una sessantina di meccanici solo per fare le parti e stampi per le fabbriche Mastro. 
  
                  
                        
        
Parlando di Design, la molletta è diventata uno degli oggetti più esemplari del design grazie all’artista Claes Oldenburg, quando nel 1976 realizzò un’opera d’arte gigantesca, intitolata Clothespin, alta 13,7 metri e posta nella Center Square Plaza i Florida.                                                          
Nessuno oggi può rivendicare l’invenzione di questo oggetto utilissimo, ma possiamo dire che l’ufficio Brevetti degli Stati Uniti tra il 1852 e il 1887 convenne 146 tipi di mollette, ma la maggior parte di esse si basavano sul principio degli Shaker.
  
 
                                                                                    
        
L’ultimo oggetto creato o meglio l’ultima molletta disegnata si chiama Kilip per opera del designer indiano Paul Sandip, una molletta molto particolare, progettata per mettere e togliere il più veloce possibile le mollette al bucato steso.
Infatti, nell’India è dominante la concezione che i progetti in metallo siano migliori di quelli in plastica.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Le donne sono abituate a vivere su più livelli.
Dividere in compartimenti è parte della loro biologia.
Non è ipocrisia;
è puro e semplice decoro non mostrarsi tutte in una volta...

John Updike

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Donna
di Pensierimiei1962

Donna...
femmina è la donna
madre è la Terra
gioia è femminile

Amore è femminile
serenità è femminile
femminile è Bontà
e come puzzle si compone negli anni...una Donna
... per regalare la sua essenza

... nella fatica di ogni giorno, nella sua interiorità personale,
cresce..per vivere e far vivere meglio...
... capita o non capita, allegra o piangente..

la donna
cammina a volte sbagliando, altre volte leggera...

Serena, compie i suoi passi di Donna,
... fa il bene che può fare,
...non si volta.. a prender applausi
e silenziosa continua...

nel rispetto
il cammino
del suo essere Donna...
...la Donna...

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Essere donna è meraviglioso,
scoprire dentro di se l'infinito...

 
 
 
 
 
 
 

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"Il ritmo e la musica, grazie al loro carattere sentimentale,
sono particolarmente atti a penetrare nell'anima e a commuoverla;
allo stesso tempo, mitigano l'elemento irascibile presente nell'anima
", Platone.

Le terapie espressive come la musicoterapia, l'arte terapia hanno dimostrato che una persona può guarire o migliorare la propria salute attraverso l'uso dell'immaginazione e dell'espressione creativa è definita un intervento di aiuto e di sostegno alla persona a mediazione non verbale che utilizza i materiali artistici e il processo creativo come sostituzione o integrazione della comunicazione verbale, nelle relazione tra operatore e paziente.

Durante il lavoro artistico accade qualcosa di molto importante: la persona attua un riconoscimento di sé e della propria presenza in grado di lasciare una traccia.

L'arteterapia ha trovato la sua applicazione in ambito psichiatrico, di recente viene proposta anche in altre situazioni terapeutiche come nel sostegno all'anziano, Alzheimer o Parkinson.

 
 
 
 
 
 
 

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