Abbandonare Tara
abbandonare le sicurezze, i luoghi comuni, alla scoperta di cosa c'è fuori di qui
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Ci sono tanti particolari che rischiano di sfuggirci, quando guardiamo un dipinto.
Specialmente un dipinto controverso ed "affollato" come quelli di Manet del post precedente, il "Bar aux Folies-Berger".
Affollato anche nell'apparente concentrazione sulla giovane barista bionda.
Per cominciare i personaggi che si riflettono nella specchio, alla sinistra della ragazza, appoggiati alla balconata:
Pare addirittura che fossero dei socialites parigini molto noti e molto riconoscibili per i contemporanei.
Mery Laurent è la signora con i fantastici guanti gialli; Jeanne de Marsy la donna più indietro, col cappello nero e il vestito giallo; Henri Dupray l'uomo con i baffi, alla sinistra.
Poi, forse ancora più nascosto, ma curiosissimo, il particolare che svela la trapezista che si esibisce nello spettacolo in corso in questo caffè-teatro.
Se ne vedono solo i piedi, calzati di verde, e le gambe, sopra il trapezio, all'estremità alta del quadro.
Altri particolari si possono dedurre da altre opere che rappresentano le Folies Bergere.
Queste sono le Folies Bergere dipinte da Jean Beraud, da cui si vedono bene i due balconi, quello a pian terreno, alla cui balaustra si appoggia l'uomo al centro, e il loggione superiore.
Questo è un bozzetto preparatorio fatto da Manet prima di dipingere il quadro:
Molto chiara il doppio livello di spazi per gli spettatori, sullo sfondo; il riflesso della barista è più coerente otticamente; la posizione dell'avventore, ribassata, fa dedurre che il bancone è rialzato; la ragazza non è più così assente, ma interagisce con l'uomo.
Ma se l'opera definitiva fosse stata così, uno spaccato della vita parigina e, forse, un pezzo di bravura di natura morta con bottiglie, in primo piano, avrebbe perso tutto il fascino che ha oggi. Conferitogli proprio da quella assenza emotiva e cronachistica della barista.
La sua stessa centralità la isola e la rende protagonista di un mondo parallelo nel quale vive e che la apparenta in un certo senso a noi spettatori, ma anche ci interroga e ci attrae per la sua alienità.
E infine questo è un manifesto d'epoca:
in cui il dettagli più interessanti non sono gli elementi architettonici o lo spettacolo di trapezio che pubblicizza, ma l'uomo con il cappello a tuba e i baffi che parla con la barista.
Ma anche in questo caso il confronto con Manet è senza storia.
Da un piccolo episodio di cronaca, una scenetta di genere, Manet (se pure vide e trasse l'idea dal manifesto) crea un episodio denso di pathos, capace di sedurre e spaventare ancora oggi.
Un volto nascosto, di cui pochi tocchi siggeriscono il pallore e il rossore, denunciano una avance non gradita, o forse un ineluttabile arrendersi.
Gli occhi dell'uomo, scavati come due orbite vuote, il volto affilato dell'uomo, da cui traspare il fondo del dipinto, ad accentarne l'aria spettrale, comunica una strana paura e una sottile ansia.
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