Creato da Fajr il 30/10/2007

FAJR

... come fiordalisi in un un campo di grano. (D. Bonhoeffer)

 

« della vittima e del carneficeil violinista - al kamandjati »

del vento lieve

Post n°38 pubblicato il 25 Novembre 2007 da Fajr
 

Di pomeriggio, le quattro e un quarto. Sole in questa veranda, e un vento lieve che fa fremere il gelsomino. Vedi, dunque, un altro giorno è appena cominciato - quanti ne sono trascorsi da stamattina alle sette? Ora rimango ancora dieci minuti presso il gelsomino; e poi, sulla bicicletta permessaci, vado dal mio amico, che è nella mia vita da sedici mesi e che mi sembra di conoscere da mille anni - anche se a volte mi appare in una luce così nuova da farmi restare senza fiato. Com'è esotico il gelsomino: in mezzo a quel grigio e a quello scuro color di melma è così radioso e così tenero. Non capisco niente del gelsomino. Del resto non c'è bisogno. Si può benissimo credere nei miracoli in questo ventesimo secolo. E io credo in Dio anche se tra breve i pidocchi mi avranno divorato in Polonia.

La sofferenza non è al di sotto della dignità umana. Cioè: si può soffrire in modo degno, o indegno dell'uomo. Voglio dire: la maggior parte degli occidentali non capisce l'arte del dolore, e così vive ossessionata da mille paure. E la vita che vive la gente adesso non è più una vera vita, fatta com'è di paura, rassegnazione, amarezza, odio, disperazione. (...) ma se una vita simile viene tolta, viene tolto poi molto? Si deve accettare la morte, anche quella più atroce, come parte della vita. E non viviamo ogni giorno una vita intera, e ha molta importanza se viviamo qualche giorno in più, o in meno? (...)

Si deve anche avere la forza di soffrire da soli, e di non pesare sugli altri con le proprie paure e coi propri fardelli. Lo dobbiamo ancora imparare e ci si dovrebbe reciprocamente educare a ciò, se possibile con la dolcezza e altrimenti con la severità. (...)

La vita e la morte, il dolore e la gioia, le vesciche ai piedi estenuati dal camminare e il gelsomino dietro la casa, le persecuzioni, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me come un unico, potente insieme, e come tale lo accetto e comincio a capirlo sempre meglio - così, per me stessa, senza riuscire ancora a spiegarlo agli altri. Mi piacerebbe vivere abbastanza a lungo per poterlo fare, e se questo non mi sarà concesso, bene, allora qualcun altro lo farà al posto mio, continuerà la mia vita dov'essa è rimasta interrotta. Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione, sino all'ultimo respiro: allora il mio successore non dovrà più ricominciare tutto da capo, e con tanta fatica. Non è anche questa un'azione per i posteri? (...)

Una volta mi sentivo in dovere di concepire molti pensieri geniali al giorno, ora mi sento non di rado come una terra incolta su cui non cresce assolutamente niente, ma su cui si stende un cielo alto e tranquillo. Meglio così: in questo momento non mi fiderei di troppi pensieri brillanti, a volte preferisco lasciar riposare la testa, e attendere.


Etty Hillesum
Diario (1941-1943)
Adelphi
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Commenti al Post:
upmarine
upmarine il 25/11/07 alle 03:28 via WEB
Preferisco gioire. E far gioire. In attesa di pensieri migliori.
 
 
Fajr
Fajr il 25/11/07 alle 23:51 via WEB
Condivido.
Up, a proposito del "post nucleare", non ne ero autore. Perciò la mia "F" è autentica. :)
 
   
upmarine
upmarine il 26/11/07 alle 06:28 via WEB
E infatti m'era quasi preso un colpo. Non che la faccenda cambi qualcosa ma non avrei capito le mentite spoglie. La vuoi smettere di scopiazzare? Se no come faccio a capire chi sei? Anche se una mezza idea ce l'avrei. Sei mia madre, vero? Dai ma', torna a casa.
 
     
Fajr
Fajr il 26/11/07 alle 07:11 via WEB
scoooopiiiazzzaaaareeee!!!
che dire dell'intestazione del tuo blog?! esperto sarai tu di tale arte, che hai preso un po' di qua e un po' di là?! 8)
maaaadreeeee?!
e ti avevamo affidato la difesa anti-mine.... ah, così va il mondo! sì. 8(
 
Crepuscolando
Crepuscolando il 25/11/07 alle 06:15 via WEB
" Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione, sino all'ultimo respiro: allora il mio successore non dovrà più ricominciare tutto da capo, e con tanta fatica. Non è anche questa un'azione per i posteri? (...)": è quello che penso quando lotto contro l'idea dell'inutilità della mia esistenza. Bel pezzo, allegro...;-). Buona domenica, Fajr! P.S. Sempre dall'alto delllla mia ignoranza, non conoscendo nemmeno quest'autrice, ho letto la biografia tutta d'un fiato per vedere questa come si suicidava...:-)
 
 
Fajr
Fajr il 25/11/07 alle 23:32 via WEB
... inutilità della vita?! che resti solo una remota 'idea' in giornate grigie, please.
 
MacRaiser
MacRaiser il 25/11/07 alle 09:28 via WEB
Quando tutto attorno crolla, anche l'anima collassa.. e in qualche modo si deve pur cercare di rendere sacra (magari a posteriori) ogni vita SACRIficata. Ma "L'arte del dolore" non esiste, purtroppo. E' solo l'estremo omaggio che la vittima rende al proprio carnefice. E' vero, pero', che ha un senso tentare di trasmettere qualcosa di noi a chi viene dopo. Lei c'e' riuscita.. ed e' una cosa immensa.
 
 
Fajr
Fajr il 25/11/07 alle 23:44 via WEB
Io credo che molto (forse tutto) si gioca proprio in quel non superare la soglia dell'indegnità perché spinti dalla sofferenza, dal dolore. Questa bestia si sconfigge rimanendo reciprocamente vigili. Quando le "capacità" personali dell'uno si spengono interviene il sostegno dell'altro. La sacralità è già in ognuno di noi, non ha bisogno di olocausti per manifestarsi.
 
   
MacRaiser
MacRaiser il 26/11/07 alle 00:57 via WEB
Non ha senso parlare di dignita' al cospetto di Auschwitz, Buchenwald o Dachau. Il suono, nel pronunciarla, e' di parola quasi empia. I campi di sterminio furono eretti proprio per dimostrare che la dignita' di ogni singolo essere umano, il concetto del suo proprio valore, la sua stessa identita' personale e collettiva, possono essere spazzati via e cancellati come se non fossero mai esistiti. E ci sono riusciti egregiamente, occorre dire. Non c'era nessuna soglia da superare nei campi di sterminio, Fajr.. tutte le soglie erano gia' varcate nell'oltrepassare l'infame scritta. L'unica cosa che contava, una volta dentro, era sopravvivere. Il resto, dignita' compresa, era inutile e pericolosa zavorra.
 
     
Fajr
Fajr il 26/11/07 alle 01:57 via WEB
Non condivido.
La testimonianza dei sopravvissuti dice anche altro, e mi pare che serva più dell'empietà dei carnefici e rende giustizia del codardo silenzio dei vivi.
Quando Elisa Springer raccontava la sua storia di deportata e sopravvissuta ad Auschwitz (ed io ho avuto il privilegio di ascoltarla diverse volte), è vero - sì - che te la faceva "vedere" quella sua borsetta di velluto verde costretta a lasciare sul carrello, insieme a tutto il resto e alla sua giovinezza, è vero - sì - che ha continuato a vivere ad Auschwitz per quasi cinquant'anni, portando dentro di sé il peso di ciò che aveva subito, senza poterlo rivelare agli altri, ma perché gli altri non volevano ascoltare e capire. Eppure ha saputo andare oltre il suo dolore per quel dovere di "consegna ai posteri", perchè quel dolore da lei vissuto non si ripetesse per gli altri.
L'incipit del suo libro "Il silenzio dei vivi":
«Oggi più che mai, è necessario che i giovani sappiano, capiscano e comprendano: è l'unico modo per sperare che quell'indicibile orrore non si ripeta, è l'unico modo per farci uscire dall'oscurità. E allora, se la mia testimonianza, il mio racconto di sopravvissuta ai campi di sterminio, la mia presenza nel cuore di chi comprende la pietà, serve a far crescere comprensione e amore, anch'io allora, potrò pensare che, nella vita, tutto ciò che è stato assurdo e tremendo, potrà essere servito come riscatto per il sacrificio di tanti innocenti, amore e consolazione verso chi è solo, sarà servito per costruire un mondo migliore senza odio, né barriere. Un mondo in cui, uomini liberi, capaci e non schiavi della propria intolleranza, abbattendo i confini del proprio egoismo avranno restituito, alla vita e a tutti gli altri uomini, il significato della parola Libertà. Oggi ho compreso che Dio mi ha concesso di liberarmi dalla prigionia del passato, attraverso le pagine di questo libro.»
 
     
MacRaiser
MacRaiser il 26/11/07 alle 08:55 via WEB
Non ho letto, in queste sue parole, il termine "dignita'". E non credo sia un caso. Ripeto: parlare della FACOLTA' di mantenere la dignita' nell'occhio della Shoah o del Porrajmos, e' come dire che in campo di sterminio era possibile -concepire- di -sperare- di poter salvare altro dalla propria vita. Significa dire che c'era un dominio di te, fisico o no, che i tedeschi non potevano toccare, una volta rinchiusoti li' dentro. Semplicemente non e' vero. Non c'era piu' alcun potere. Eri semplicemente una bestia, un numero, una COSA da usare o eliminare. C'e' gente ancora oggi che si ritiene fortunata (ed in un senso osceno lo e') per essere passata dalle mani di Mengele, piuttosto che finita in cenere. E parliamo di dignita'? Quello che i sopravvissuti hanno salvato dall'olocausto esiste IN QUANTO e perche' sopravvissuti. I morti non possono certo parlare, men che meno di dignita', ma non ho mai sentito nemmeno un sopravvissuto parlare di "dignita'" salvata. Per il resto, basta scorrere Primo Levi. Altro e' dire che il racconto e la memoria sono necessari per salvare il futuro e perfino moneta utile al riscatto proprio e di tutti coloro che invece non sono mai tornati, questo e' accettabile, ha un senso. Ma se leggi bene e senza distogliere lo sguardo dall'orrore delle anime sfigurate, al di la' del ricordo, il sentimento della Springer (e quello comune dei sopravvissuti) e' quello dell'ASSURDITA', non di quello della dignita'. Ma la liberazione, quando c'e', arriva molto dopo. A volte non arriva mai.
 
     
Fajr
Fajr il 27/11/07 alle 00:24 via WEB
Non c'era bisogno, mac, che tornassi a parlare nel commento di dignità, perché ben più degnamente di me, ne parla la Hillesum, - a cui il post è dedicato perché il 30 novembre ricorre l'anniversario della sua morte ad Auschwitz.
E di lei, sempre da quelle pagine (135-137), ti riporto alcune parti che per sintesi avevo omesso e che meglio di ogni mio povero commento possono forse rispondere alla tua domanda: "e parliamo di dignità?" e a quella che chiami ASSURDITA'.
"... è un vivere la vita mille volte minuto per minuto, e anche lasciare spazio al dolore, spazio che non può essere piccolo, oggi. E fa poi gran differenza se in un secolo è l'Inquisizione a far soffrire gli uomini, o la guerra e i pogrom in un altro? Assurdo, come dicono loro? Il dolore ha sempre preteso il suo posto e i suoi diritti, in una forma o nell'altra. Quel che conta è il modo con cui lo si sopporta, e se si è in grado di integrarlo nella propria vita e, insieme, di accettare ugualmente la vita. Sto teorizzando dietro la mia scrivania, dove ogni mio libro mi circonda con la sua familiarità, e con quel gelsomino là fuori? E' solo teoria, non ancora messa alla prova da nessuna pratica? Non lo credo più. Tra poco sarò messa di fronte alle estreme conseguenze. (...) sono certa che la vita è bellissima, degna di essere vissuta e ricca di significato. Malgrado tutto. Il che non vuol dire che uno sia sempre nello stato d'animo più elevato e pieno di fede. Si può essere stanchi come cani (...), ma anche questo fa parte della vita, e dentro di te c'è qualcosa che non ti abbandonerà mai più."
 
     
Fajr
Fajr il 27/11/07 alle 00:31 via WEB
Magari, se riesci a trovare il tempo, leggilo tutto questo libro, giusto per fartene un'idea più completa rispetto a queste brevi citazioni. Non certo per accettarne a tutti i costi i contenuti, ma per conoscere un'altra visione vissuta della stessa storia...
 
     
MacRaiser
MacRaiser il 27/11/07 alle 10:05 via WEB
Mi spiace, Fajr, ma non accetto assolutamente questo paragone. Il dolore inflitto non e' uguale al dolore proprio del percorso esistenziale di ognuno. Ed e' nostro dovere dirlo chiaramente. Cosi' come il colpo inferto non e' uguale alla caduta accidentale. Entrambi dolori, si.. ma opposti per natura ed origine. Poi ad ognuno il suo modo di metabiolizzarlo, certo. ma non confondiamo la dimensione esistenziale e privata, con la fede o no e tutto cio' che ne consegue, con la dimensione storica e collettiva. Altrimenti si rischia di creare un'etica dell'agnello sacrificale, uguale e speculare a quella della soluzione finale. Occorre fare molta attenzione a quello che si scrive e dice in merito. E non perche' si e' stati vittime, allora tutto quel che si pensa e' vero o giusto. Esiste la ricerca del martirio, che ha anche aspetti psicologicamente rimarchevoli. Esiste la sindrome di Stoccolma (non parlo necessariamente della Hillesum). Detto questo, di "assurdita'" non parlo io, ma proprio lei: "..anch'io allora, potrò pensare che, nella vita, tutto ciò che è stato assurdo e tremendo, potrà essere servito come riscatto per il sacrificio di tanti innocenti..". Ciao :)
 
     
MacRaiser
MacRaiser il 27/11/07 alle 10:06 via WEB
Mi spiace, Fajr, ma non accetto assolutamente questo paragone. Il dolore inflitto non e' uguale al dolore proprio del percorso esistenziale di ognuno. Ed e' nostro dovere dirlo chiaramente. Cosi' come il colpo inferto non e' uguale alla caduta accidentale. Entrambi dolori, si.. ma opposti per natura ed origine. Poi ad ognuno il suo modo di metabiolizzarlo, certo. ma non confondiamo la dimensione esistenziale e privata, con la fede o no e tutto cio' che ne consegue, con la dimensione storica e collettiva. Altrimenti si rischia di creare un'etica dell'agnello sacrificale, uguale e speculare a quella della soluzione finale. Occorre fare molta attenzione a quello che si scrive e dice in merito. E non perche' si e' stati vittime, allora tutto quel che si pensa e' vero o giusto. Esiste la ricerca del martirio, che ha anche aspetti psicologicamente rimarchevoli. Esiste la sindrome di Stoccolma (non parlo necessariamente della Hillesum). Detto questo, di "assurdita'" non parlo io, ma proprio lei: "..anch'io allora, potrò pensare che, nella vita, tutto ciò che è stato assurdo e tremendo, potrà essere servito come riscatto per il sacrificio di tanti innocenti..". Ciao :)
 
lakonikos
lakonikos il 25/11/07 alle 10:09 via WEB
Ho letto quel libro. La testimonianza di un avvicinarsi alla fede, attraverso la scelta di condividere ogni volta i percorsi più aspri. Almeno, io lo ricordo così. Un percorso mistico in un contesto di eventi che ha spinto altri in una direzione opposta. Altrettanto comprensibile.
 
 
Fajr
Fajr il 25/11/07 alle 23:49 via WEB
Quello di Etty non è certo percorso agevole e "popolare", ma che possa far luce sui passi dei più, questo - sì - lo credo.
 
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