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Il coraggio non mi manca. E' la paura che mi frega. (Antonio Albanese)

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"La mia ferita emotiva più profonda è stata anche una fonte inesauribile di gioie". Non ti rivelerò perché questa frase è molto importante per me: è una questione troppo personale. Ma tu, Vergine, potresti fare un'affermazione simile? Potresti interpretare la tua vita in modo da vedere un'esperienza dolorosa come una fonte di intuizione, ispirazione e vitalità? Il 2009 sarà l'anno ideale per compiere questo cambio di percezione. E il periodo intorno al solstizio d'inverno è il momento perfetto per cominciare. (Rob Brezsny)

 
 

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Sulla via che mi porta al lavoro c'è una casa abbandonata che, mi hanno detto da qualche giorno, è abitata dai fantasmi.
Non lo sapevo. Ma appena me l'hanno detto ho pensato: la compro io.
 

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Post N° 525

Post n°525 pubblicato il 28 Gennaio 2008 da betulla64
 













Baissà-vous mountanhos, planos levà-vous,

perque posque veire mes amours ount soun

Se chanto que chante chanto pa per ieu
chanto per ma mio qu’es da luenh de ieu






Aveva otto anni quando la mandarono via. Troppe bocche da sfamare e gli studi di un fratello destinato a diventare prete, richiedevano il sacrificio di quella bimba bionda. Alla "Pia Casa delle Figlie Derelitte" le avrebbero insegnato la modestia e il ricamo, mentre il suo sguardo avrebbe cercato oltre le mura un qualche rilievo che somigliasse alla sua montagna. Uscì di casa con i piedi calzati da un paio di scarpe quasi nuove, regalate chissà da chi e premurosamente scippate dalla suora che l'accolse sul portone, poichè una bimba modesta calza zoccoli di legno, tiene lo sguardo basso, parla solo se interogata o per pregare l'Altissimo e non protesta se le dita sanguinano spaccate dal gelo mentre stringono un ago e imparano il rammendo invisibile. Rimase in quel collegio per otto anni, dipanando fili colorati e trasformandoli in fiori, animali e greche senza che la pianura pavese avesse un minimo di pietà, così che nessun monte si levò a consolarle la malinconia. Tornò a casa ormai giovinetta portandosi appresso, con la sua arte, un profondo terrore verso i luoghi chiusi, un curioso accento lombardo e la convinzione di essere derelitta.

La guardo ora formare ghirigori con la forchetta tra i chicchi di riso, la nausea dipinta sul viso tirato e spento, incapace di rifiutare un pasto offerto. La tolgo dall'imbarazzo levandole il cibo da sotto agli occhi. Sospira sollevata e sussurra un "era proprio buono sai..." poi si alza traballante e si accosta alla finestra, figura minuscola e ingobbita, solleva gli occhi scrutando la montagna. Vedo che segue con lo sguardo ogni anfratto di roccia, ogni via che solo lei conosce e inizia a parlare da sola, quasi un sussurro, di quella volta che il camoscio... e quell'altra che la nebbia, le carsene, la capra.... poi ride, si volta e mi racconta per l'ennesima volta di quando si trovò sullo sperone nel bel mezzo di un arcobaleno tondo e pensò di sè con orgoglio che doveva proprio somigliare ad una Santa. D'improvviso bestemmia Dio, suo fratello, tutti i santi e le madonne con l'anima dei trapassati. Scrolla il capo come a scacciare un pensiero molesto, mi sorride e chiede "ho già mangiato?" lasciandomi lì, impotente d'innanzi alla voraggine che si è aperta nella sua mente, a chiedermi se per caso il concetto di bella e sana famiglia di un tempo che qualcuno pretende di far passare come buono, somigli a quel padre e quella madre, così testardi nel credere che davvero nei disegni di Dio ci fossero un prete per forza e un'infelice per sempre.


Foto: valtaro


 
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da "La coscienza di Zeno"
 
 

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