Creato da betulla64 il 22/12/2005
Il coraggio non mi manca. E' la paura che mi frega. (Antonio Albanese)

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"La mia ferita emotiva più profonda è stata anche una fonte inesauribile di gioie". Non ti rivelerò perché questa frase è molto importante per me: è una questione troppo personale. Ma tu, Vergine, potresti fare un'affermazione simile? Potresti interpretare la tua vita in modo da vedere un'esperienza dolorosa come una fonte di intuizione, ispirazione e vitalità? Il 2009 sarà l'anno ideale per compiere questo cambio di percezione. E il periodo intorno al solstizio d'inverno è il momento perfetto per cominciare. (Rob Brezsny)

 
 

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Sulla via che mi porta al lavoro c'è una casa abbandonata che, mi hanno detto da qualche giorno, è abitata dai fantasmi.
Non lo sapevo. Ma appena me l'hanno detto ho pensato: la compro io.
 

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Messaggi del 22/02/2006

 

Post n°148 pubblicato il 22 Febbraio 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

Ogni volta che vado a Roma, dopo essermi preoccupata di stare male durante tutto il viaggio, dopo essermi premunita stando male in anticipo per quanto starò male dopo, e dopo aver finalmente respirato a pieni polmoni il cielo di quella città che è casa come nessun altro posto al mondo saprebbe essere, ebbene, dopo tutto ciò, regolarmente, mi si spezza il cuore e mi si incrina la coscienza.
Per una montanara abituata a percorrere l'intero centro del proprio villaggio in una manciata di minuti salutando i passanti ad una media di tre al secondo, Roma è decisamente destabilizzante. Se poi, invece di stare con lo sguardo incollato ai monumenti e alle Chiese, si decide di posare lo sguardo sui marciapiedi, ci si rende conto che il mondo vero è lì, in mezzo alle cartacce, alle cicche spente tra orli di impolverate gonne zingare, o lì, sui moncherini di arti saltati chissà dove e chissà in nome di quale dio.
Sulla strada vicino casa c'è spesso un vecchio, o almeno c'era l'ultima volta. Indossa un copricapo ricamato di foggia caucasica e sta lì sul marciapiede tutto il giorno e snocciola un rosario di parole in una lingua oscura, chissà se supplica o maledizione ai passanti. E io passo e tiro dritto. Tiro sempre dritto, o quasi. Perchè sono tanti, perchè non ho abbastanza monetine in tasca mentre dentro una voce mi urla che nessuno mi vieta di allungare loro una banconota. Perchè a volte penso che siano mattacchioni che hanno trovato un modo originale per irridere la fatica. Perchè ci raccontano che sono disgraziati gestiti dalla criminalità e che aiutarli è come foraggiare la mafia. Me la dice la sinistra questa cosa qua, quella sinistra che va a farsi le canne davanti al Parlamento, come se la Marijuana fosse legalmente distribuita dalla Caritas. E perchè mi hanno tirata su a forza di "non sappia la tua mano destra quel che fa la sinistra", mentre questo mondo sfrontato ci costringe a esibire la vergogna della mendicità e il pudore della carità. E così tiro dritto e lascio che ogni volta si infranga un pezzo di me e ho paura che alla fine resti solo un enorme buco dove prima c'ero io.

 
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Post n°146 pubblicato il 22 Febbraio 2006 da betulla64
 
Tag: Parole
Foto di betulla64Quanto amore
all'improvviso
Impeto per giovani cerbiatti
non per vecchi orsi spelacchiati.
Quanto amore
all'improvviso
Venisse la morte
ora
troverebbe il mio sorriso.

(Enzo Aprea)

 
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Haiti: la maledizione bianca

Post n°145 pubblicato il 22 Febbraio 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

Il primo giorno di questo anno, la libertà ha compiuto due secoli di vita nel mondo. Nessuno se n'è accorto, o quasi nessuno. Pochi giorni dopo, il paese del compleanno, Haiti, ha occupato qualche spazio nei mezzi di comunicazione; ma non per l'anniversario della libertà universale, bensì perché là si è scatenato un bagno di sangue che ha finito per rovesciare il presidente Aristide. Haiti fu il primo paese dove la schiavitù venne abolita. Tuttavia, le enciclopedie più diffuse e quasi tutti i testi scolastici attribuiscono all'Inghilterra quello storico onore. È vero che un bel giorno cambiò idea l'impero che era stato campione mondiale di traffico negriero; ma l'abolizione britannica avvenne nel 1807, tre anni dopo la rivoluzione haitiana, e risultò così poco convincente che nel 1832 l'Inghilterra dovette tornare a proibire la schiavitù.

Non c'è niente di nuovo nel fatto che Haiti venga ignorato. Da due secoli è vittima di disprezzo e castigo. Thomas Jefferson, padre della libertà e proprietario di schiavi avvisava che da Haiti veniva il cattivo esempio, e diceva che bisognava «confinare la peste su quell'isola». Il suo paese lo ascoltò. Gli Stati Uniti impiegarono sessant'anni a concedere il riconoscimento diplomatico alla più libera fra le nazioni. Nel frattempo, in Brasile si chiamava haitianismo il disordine e la violenza. I padroni delle braccia nere si salvarono dall'haitianismo fino al 1888. Quell'anno il Brasile abolì la schiavitù. Fu l'ultimo paese al mondo.

Haiti è ritornato a essere un paese invisibile, fino alla prossima strage. Mentre è rimasto sugli schermi e sulle prime pagine, all'inizio di quest'anno, i media hanno trasmesso confusione e violenza e hanno confermato che gli haitiani sono nati per fare bene il male e per fare male il bene. Dai tempi della rivoluzione, Haiti è stata capace di offrire solo tragedie. Era una colonia prospera e felice e adesso è la nazione più povera dell'emisfero occidentale. Le rivoluzioni, hanno concluso alcuni specialisti, conducono all'abisso. E alcuni hanno detto, e altri hanno suggerito, che la tendenza haitiana al fratricidio proviene dall'eredità selvaggia che viene dall'Africa. Il mandato degli antenati. La maledizione nera, che spinge al crimine e al caos.

Della maledizione bianca non si è parlato.

La rivoluzione francese aveva eliminato la schiavitù, ma Napoleone l'aveva resuscitata:
- Qual è stato il regime più prospero per le colonie?
- Quello anteriore
- E allora che venga restaurato.

E per tornare a impiantare la schiavitù ad Haiti mandò più di cinquanta navi piene di soldati. I neri ribelli vinsero la Francia e conquistarono l'indipendenza nazionale e la liberazione dagli schiavi. Nel 1804 ereditarono una terra bruciata dalle devastanti piantagioni di canna da zucchero e un paese bruciato dalla guerra feroce, ed ereditarono "il debito francese". La Francia fece pagare cara l'umiliazione inflitta a Napoleone Bonaparte. Poco dopo la sua nascita, Haiti dovette impegnarsi a pagare un indennizzo gigantesco per il danno che aveva fatto liberandosi. Quella espiazione del peccato della libertà le costò 150 milioni di franchi d'oro. Il nuovo paese nacque strangolato da quella corda legata al collo: una fortuna che attualmente equivarrebbe a 21.700 milioni di dollari o a 44 bilanci generali dell'Haiti dei giorni nostri. Molto più di un secolo ci volle per pagare il debito, che gli interessi di usura andavano moltiplicando. Nel 1938 si ebbe, finalmente, la redenzione finale. A quel tempo, Haiti apparteneva ormai alle banche degli Stati Uniti.

In cambio di quel capitale, la Francia riconobbe ufficialmente la nuova nazione. Nessun altro paese la riconobbe. Haiti era nata condannata alla solitudine.

Nemmeno Simón Bolívar la riconobbe, anche se le doveva tutto. Navi, armi e soldati gli aveva dato Haiti nel 1816, quando Bolívar arrivò sull'isola, sconfitto, e chiese protezione e aiuto. Haiti gli diede tutto, con l'unica condizione che liberasse gli schiavi, un'idea che fino ad allora non gli era venuta in mente. Poi, il padre della patria trionfò nella sua guerra d'indipendenza, ed espresse la sua gratitudine mandando a Port-au-Prince una spada in regalo. Di riconoscimento neanche a parlarne.

In realtà, le colonie spagnole che erano diventate paesi indipendenti continuavano ad avere schiavi, sebbene alcune avessero, inoltre, leggi che lo proibivano. Bolívar promulgò la sua nel 1821, ma la realtà non mostrò di accorgersene. Trent'anni dopo, nel 1851, la Colombia abolì la schiavitù, e nel 1854 il Venezuela.

Nel 1915 i marines sbarcarono ad Haiti. Vi rimasero diciannove anni. La prima cosa che fecero fu occupare la dogana e l'esattoria. L'esercito di occupazione trattenne il salario del presidente haitiano finché non si rassegnò a firmare la liquidazione del Banco de la Nación, che divenne una succursale della City Bank di New York. Al presidente e a tutti gli altri neri era proibita l'entrata negli hotel, ristoranti e club esclusivi del potere straniero. Gli occupanti non osarono ristabilire la schiavitù, ma imposero il lavoro forzato per le opere pubbliche. E uccisero molto. Non fu facile spegnere i fuochi della resistenza. Il capo guerrigliero, Charlemagne Péralte, inchiodato in croce contro una porta, fu esposto, per monito, sulla pubblica piazza.

La missione civilizzatrice si concluse nel 1934. Gli occupanti si ritirarono lasciando al suo posto una Guardia Nazionale, fabbricata per loro, per sterminare qualsiasi possibile rigurgito di democrazia. Lo stesso fecero in Nicaragua e nella Repubblica Dominicana. Qualche tempo dopo, Duvalier fu l'equivalente haitiano di Somoza e di Trujillo.

E così, di dittatura in dittatura, di promessa in tradimento, si andarono accumulando le sventure e gli anni.

Aristide, il prete ribelle, arrivò alla presidenza nel 1991. Durò pochi mesi. Il governo degli Stati Uniti aiutò a rovesciarlo, se lo portò via, lo sottopose a trattamento e una volta riciclato lo restituì, nelle braccia dei marines, alla presidenza. E un'altra volta ha aiutato a rovesciarlo in quest'anno 2004, e un'altra volta c'è stata una strage, e un'altra volta sono tornati i marines, che tornano sempre, come l'influenza.

Ma gli esperti internazionali sono molto più devastanti delle truppe d'invasione. Paese sottomesso agli ordini della Banca Mondiale e del Fondo Monetario, Haiti aveva obbedito alle loro istruzioni senza batter ciglio. Lo ripagarono negandogli il pane e il sale. Gli congelarono i crediti, nonostante avesse smantellato lo stato e avesse liquidato tutti i dazi e i sussidi che proteggevano la produzione nazionale. I contadini coltivatori di riso, che erano la maggioranza, divennero mendicanti e boat people. Molti sono finiti e continuano a finire nelle profondità del mar dei Caraibi, ma quei naufraghi non sono cubani e rare volte compaiono sui giornali.

Adesso Haiti importa tutto il suo riso dagli Stati Uniti, dove gli esperti internazionali, che sono persone piuttosto distratte, si sono dimenticati di proibire i dazi e i sussidi che proteggono la produzione nazionale.

Sulla frontiera dove termina la Repubblica Dominicana e inizia Haiti, c'è un grande cartello che avvisa: Lasciate ogni speranza...

Dall'altra parte c'è l'inferno nero. Sangue e fame, miseria, peste...

In quell'inferno tanto temuto, tutti sono scultori. Gli haitiani hanno l'abitudine di raccogliere lattine e ferri vecchi e con antica maestria, ritagliando e martellando, le loro mani creano meraviglie che si offrono nei mercati popolari.

Haiti è un paese gettato nella spazzatura, per eterno castigo della sua dignità. Giace là come se fosse un rottame. Attende le mani della sua gente.

Eduardo Galeano - Buenos Aires, 4 aprile 2004

 
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Agonia

Post n°144 pubblicato il 22 Febbraio 2006 da betulla64
 
Tag: Parole
Foto di betulla64

Morire come le allodole assetate
sul miraggio

O come la quaglia
passato il mare
nei primi cespugli
perchè di volare
non ha più voglia

Ma non vivere di lamento
come un cardellino accecato

(Giuseppe Ungaretti)

 
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 "Laudato sie, mi signore,
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"El bosque precede al ombre
pero le sigue el desierto"
 

"Grande importante malattia quella di Basedow!... tutti gli organismi si distribuiscono su una linea, ad un capo della quale sta la malattia di Basedow che implica il generosissimo, folle consumo della forza vitale, il battito di un cuore stremato, e all'altro stanno gli organismi immiseriti per avarizia organica..."

da "La coscienza di Zeno"
 
 

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