Creato da betulla64 il 22/12/2005
Il coraggio non mi manca. E' la paura che mi frega. (Antonio Albanese)

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immagineVergine (23 agosto - 22 settembre)


"La mia ferita emotiva più profonda è stata anche una fonte inesauribile di gioie". Non ti rivelerò perché questa frase è molto importante per me: è una questione troppo personale. Ma tu, Vergine, potresti fare un'affermazione simile? Potresti interpretare la tua vita in modo da vedere un'esperienza dolorosa come una fonte di intuizione, ispirazione e vitalità? Il 2009 sarà l'anno ideale per compiere questo cambio di percezione. E il periodo intorno al solstizio d'inverno è il momento perfetto per cominciare. (Rob Brezsny)

 
 

Blo(g)cco Note

Sulla via che mi porta al lavoro c'è una casa abbandonata che, mi hanno detto da qualche giorno, è abitata dai fantasmi.
Non lo sapevo. Ma appena me l'hanno detto ho pensato: la compro io.
 

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"El canto tiene poder,
tiene la fe que alucina,

la voluntad colectiva,
puede ser ola en el mar"

(Josè Seves)


 
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Messaggi del 27/02/2006

 

Post n°159 pubblicato il 27 Febbraio 2006 da betulla64
 
Tag: Parole
Foto di betulla64

Per il mio unico amico
scelto chissà come a nove ore di treno dal mio bisogno.

Sarà un cielo chiaro.
S'apriranno le strade
sul colle di pini e di pietra.
Il tumulto delle strade
non muterà quell'aria ferma.
I fiori spruzzati
di colori alle fontane
occhieggeranno come donne divertite.
Le scale le terrazze le rondini
canteranno nel sole.
S'aprirà quella strada,
le pietre canteranno,
il cuore batterà sussultando
come l'acqua nelle fontane -
sarà questa la voce
che salirà le tue scale.
Le finestre sapranno
l'odore della pietra e dell'aria mattutina.
S'aprirà una porta.
il tumulto delle strade
sarà il tumulto del cuore
nella luce smarrita.

Sarai tu - ferma e chiara.

(Cesare Pavese)

 
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Post n°158 pubblicato il 27 Febbraio 2006 da betulla64
 
Tag: dap
Foto di betulla64

Pensare di uscire. Si può fare forse, due pillole e via. Ma uscire per andare dove e vedere chi? Un unico amico scelto chissà come a nove ore di treno dal mio bisogno, e vent'anni a perseguire un unico scopo: distruggere ogni traccia della mia esistenza, ogni ricordo in chi un tempo mi conosceva. In un paese dove in tre minuti hai visto tutto il visibile e dove per fare qualsiasi cosa devi salire su un treno e andare in città. Gian Maria Testa la chiama città lunga Cuneo. E lo è lunga, coi suoi portici a riparare dalla pioggia in inverno e dal sole in estate. Dalla Stazione a Piazza Torino venti minuti, venti lunghissimi minuti di passione ripagati da vetrine sfavillanti e caffetterie invitanti golosità, dove non poter entrare perchè più del digiuno può il panico. A Cuneo ci vado ormai solamente in auto con mio marito per i controlli in ospedale. Oltre via Michele Coppino la mia Finisterre. Romantico il suo coincidere con la sagoma del Monviso sullo sfondo, ma triste che sia tutto lì il mio vivere la città: tra il parcheggio e l'entrata dell'ospedale. A volte c'è l'ipermercato, dove faccio una fatica boia, ma almeno ho la certezza che anche le persone sane si sentano a disagio in quel girone infernale, una sorta di mal comune mezzo gaudio. Quando torno a casa dopo una sessione di acquisti, ci metto poi due giorni a riprendermi, perchè il panico è bastardo, non si accontenta di attanagliarti durante, ha un che di scientifico anche nel suo agire dopo. Ti paralizza talmente da lasciarti come se fossi finita sotto a un autobus, con i muscoli a pezzi, in preda ad una gran sposatezza e con un solo pensiero in testa: "mai più!"
E allora. Metà del mio vissuto è trascorso così. Spese tutte le speranze, sforzandomi per quanto il mondo mi chiede di sforzarmi, ovvero oltre ogni limite umano, è possibile che ancora io stia qui a pensare di poter fare qualcosa di diverso dal guardare fuori dalla finestra? Conto sulle dita: quattro uscite in quattro mesi. Tre per andare in ospedale. Il resto del tempo l'ho passato in questa stanza, ora dopo ora. Doloroso constatare che questa ormai sia la norma, per me e per chi è costretto a causa mia. A questo punto stare a farmi paranoie sul significato di un blog mi sa di presa per il culo. Eppure se mi sono posta il problema vuol dire che qualcosa c'è sotto. C'è il piattino da mendicante citato tempo fa da lume. C'è che la solitudine è difficile e che di occhi per piangere ne ho solo due. C'è che serve distrarsi. C'è che aiuta parlare a ruota libera senza sentire il pregiudizio di chi sa da dove arrivi e dove non arriverai mai. C'è che l'analisi non me la posso nè voglio più permettere. C'è che anche cazzeggiare aiuta. C'è che mi è sempre scoppiata la vita dentro, continua a scoppiare e non so dove esploderla. C'è che non sembra, ma sono viva e merito qualcosa di meglio. Se fosse tana, pazienza.

Vamos, decíme, contáme
Todo lo que a vos te está pasando ahora
Porque si no, cuando está tu alma sola llora
Hay que sacarlo todo afuera, como la primavera
Nadie quiere que adentro algo se muera
Hablar mirándose a los ojos
Sacar lo que se pueda afuera
Para que adentro nazcan cosas nuevas.

(Mercedes Sosa)

 
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"El bosque precede al ombre
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"Grande importante malattia quella di Basedow!... tutti gli organismi si distribuiscono su una linea, ad un capo della quale sta la malattia di Basedow che implica il generosissimo, folle consumo della forza vitale, il battito di un cuore stremato, e all'altro stanno gli organismi immiseriti per avarizia organica..."

da "La coscienza di Zeno"
 
 

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