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Una vita a spina di pesce
 

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Fletcher XL

Post n°39 pubblicato il 25 Febbraio 2015 da marlow17






Guidò per tutta la notte e buona parte del giorno. Era assorta ma sveglia, confusa ma decisa. Arrivata ai piedi delle Colline aveva imboccato la strada stretta in direzione sud: tutta una via tortuosa e strizzastomaco con tornanti in pendenza dove non era raro vedere la scritta 15 %. Teneva le mani rilassate al volante e mano a mano che il tragitto proseguiva cominciava a vedere le cose in una luce positiva. Avrebbe convinto Fletcher ad abbandonare quel suo assurdo rifugio, l'avrebbe costretto a smetterla di torturare il povero Peter per avere un'arma giudiziaria contro Percace, lo avrebbe ricondotto alla ragione spiegandogli che non era allontanandosi fisicamente dal Dottore che sarebbe riuscito a svuotarne la perniciosa influenza psicologica e la dannosa e ingombrante presenza cerebrale. doveva affrontare l'idea che la Società si reggeva su un ordine che poteva anche sfuggirgli ma non per questo era meno efficace. In parole povere doveva essere in grado di affrontare Percace vis-a-vis e controbatterne le emanazioni, altrimenti sì che sarebbe impazzito e che la sua residenza sarebbe diventata una cella imbottita, come ai vecchi, gloriosi tempi. Seguiva il nastrino d'asfalto ipnoticamente, rivedendo attraverso gli occhi spalancati tutte le parole che avrebbe scaricato su Fletcher e le sue reazioni nevrotiche e sussieguose. In questa maniera si rese conto di essere arrivata nell'alta valle che accoglieva le recenti tracce del suo amato e di Peter: era una di quelle fenditure minacciose, stracariche di pini e querce, oscura fino al momento in cui sembrava aprirsi e dare su una un paesaggio più rado di bassa vegetazione e stelle alpine.
Cercò di riportarsi alla mente le descrizioni fatte da Fletcher riguardo all'hotel disperso fra le vette. Per Lei non era stato difficile arrivare sin lì; già da bimba aveva trascorso alcune escursioni con il padre 15 chilometri più in basso. Ma il difficile arrivava in quel momento, Perchè iniziava a sentirsi (con la sua piccola utilitaria) un puntino abbandonato nel vuoto inquietante della magnificenza di quelle montagne: da quando era sboccata nell'alta valle non aveva, infatti, incrociato nessuna macchina, neppure un fuori strada delle guardie forestali e ora procedeva a 30 all'ora cercando di orientarsi in mezzo a quella folta macchia. Gli aghi di pino cadevano sul cofano e le braccia tese degli alberi sfioravano i finestrini donandole una vaga impressione di terrore mentre il sole si era nascosto dietro un cumulo di nubi aggiungendo disorientamento alla paura. Cominciò a chiedersi se stesse seguendo il percorso giusto ma, del resto, non c'era altro da fare; nessun incrocio appariva al suo ristretto orizzonte e quindi, per forza, non poteva fare altro che continuare...dopo diverse miglia arrivò però al punto di essere sopraffatta dal senso di soffocamento e claustrofobia e così, trovato uno spiazzo che gli permetteva di assorbire l'astro dorato nei suoi raggi tranquilizzanti (era infatti pienamente riemerso dai cirri e dalle nebbie), fermò l'automobile e scese con le ginocchia che parevano sbattere sonoramente l'una contro l'altra. si gettò su un prato vicino a una sorprendente postazione con tanto di panchine in legno e tavolaccio grezzo e prese a respirare affannosamente tentando di controllare il battito impazzito del cuore. Poi, dopo 10 minuti, aprì le palpebre e tornò a sorridere.

 

 
 
 
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