Creato da card.napellus il 11/04/2008
L'importante è accorgersene

AUGURI

 

 

Crederò in Dio quando lui crederà in me!

 

ADOTTA A DISTANZA IL CARD.

Adotta a distanza il Card.

Questo semplice e relativamente economico gesto ti darà un senso di beatitudine mai provato prima.

Al solo costo di un Negroni al giorno (servito al tavolino del Danieli di Venezia), potrai avere la gioia incomparabile di contribuire alla crescita, alla salute e all'istruzione del tuo Card. prediletto.

Lui ti manderà tutti i mesi una foto, una letterina e se gli telefonerai ti parlerà con voce suadente dei suoi progressi nello studio e nella vita.

Inoltre se sei una donna, puoi contribuire anche in modo più interessante, e coinvolgente, allo sviluppo e alla crescita del tuo Card. 

E ricorda, un Card. è per sempre.

 

Area personale

 

DISCLAIMER

ATTENZIONE

Questo blog potrebbe sembrare una testata giornalistica visto e considerato il penoso livello della maggior parte dei quotidiani.

Si tratta invece di un contenitore di stronzare ad elevata densità, e come tale è regolato dalla legge n.173 del 29.02.2001 e dai successivi regolamenti attuativi.

Gli argomenti trattati in questo blog dovrebbero offendere pesantemente la sensibilità di tutti quelli che hanno un orientamento politico o religioso preciso. Non escludo che possano anche offendere qualche minoranza, ma il blog non è stato concepito espressamente per questo.

Nel leggere questo blog potreste pensare di essere idioti, o che sia idiota chi ci scrive. Entrambe le ipotesi sono valide e meritano di essere approfondite.

Il tempo perso qui non può esservi in alcun modo rimborsato.

Non ci sono più le mezze stagioni - di questo non può in alcun modo essere considerato responsabile il gestore del blog.

 

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Messaggi di Maggio 2016

Un raccontino - quarta parte (la quinta è già stata postata).

Post n°796 pubblicato il 24 Maggio 2016 da card.napellus

Ecco che mi tocca fare la parte del vecchio ringalluzzito che si fa abbindolare da una giovane che lo presenta agli amici come fosse suo zio. Ovviamente – pensò Adamo – stasera al bar può aspettare quanto vuole. Io fra l’altro ho da vedere un cliente, ce ne andremo a cenare “all’osteria dei passi perduti” che è a trenta chilometri da qui, e non ho nessuna intenzione di saltare quell’appuntamento per stare dietro a una giovincella.

Come ha detto “tanto non hai un cazzo da fare?” e invece qualcosa da fare ce l’ho anch’io. Vorrà dire che questa sera chiamerà a farle compagnia il nano cornuto.

Rientrò in albergo per cambiarsi, erano già le sei e quaranta quando pensò che non era il caso, per evitare di fare il vecchio porco, di essere scambiato per un vecchio rimbecillito.

Dunque prese il telefono con l’intenzione di chiamarla per scusarsi, ma alla fine decise che era meglio scriverle un messaggino.

Non aveva nemmeno scritto una lettera che l’ordigno vibrò.

Per un istante pensò fosse il cliente che rimandava l’appuntamento. Poteva anche starci, quell’uomo aveva sempre mille problemi che all’ultimo minuto facevano saltare tutto, ma pagava con regolarità, e questo faceva passare in secondo piano tanti inconvenienti.

Se fosse stato così avrebbe mandato ugualmente il messaggio a Renata, ma solo per avvertirla di un suo minimo ritardo, le persone importanti si fanno sempre un po’ desiderare.

Aprì la schermata degli sms e vide quello proprio della giovane bugiarda: scusa ma non posso essere al bar come previsto per le sette, una mia amica è stata investita da un motorino e ora è a casa con una mano fratturata, vado a fargli da mangiare perché vive sola e non può nemmeno rifarsi il letto in quelle condizioni.

Ah, che rabbia essere anticipati dalla persona che si vuole bidonare, per un solo istante!

Immediata la sua risposta: ok per il cibo, mangiare è un diritto, ma devi dire alla tua amica che quando prevede di farsi investire, ma comunque in ogni caso, il letto lo metta a posto la mattina dopo colazione, così se diventa una brava donnina poi trova un buon maritino, e non rompe le scatole alle amiche quando sta male.

Sorrise della stupidità del proprio commento. Normalmente non l’avrebbe mai scritto, ma era sicuro al 90% che quella fosse solo una scusa banale, e così non si sentiva in colpa per aver dimostrato il proprio cinismo.

Finì di prepararsi e uscì tranquillo e sereno. Come previsto il suo cliente arrivò con mezz’ora di ritardo, ma fu comunque una serata produttiva passata davanti a un tavolo a parlare di scatole di cartone, imballaggi espansi, nastri adesivi silenziosi. Come sempre quando due uomini si incontrano per qualche motivo, una volta sistemate le questioni lavorative, complice il vino, si apre il capitolo donne.

Ovviamente in questi casi è sempre un gioco prevedibile fatto di mezze verità, tristi ricordi, amici sfigati (in realtà inesistenti prestanome a cui vengono addossate le proprie figure di merda), commenti pesanti e gratuiti su qualche conoscenza comune o su attrici o donne dello spettacolo.

Adamo non era troppo adatto a queste conversazioni, non gradiva parlare delle proprie conquiste giovanili, né tantomeno del suo matrimonio finito in modo brusco e misterioso. Sapeva di non essere il solo ad aver sposato una mezza pazza che di punto in bianco sparisce, ma la cosa gli pesava. Così restava sempre sul vago, ora per esempio ricordava una giovane greca con la quale ebbe un’avventura a Corfù quando aveva nemmeno trent’anni.
Fu a questo punto, per dimostrargli quanto fosse ancora gagliardo, che il suo compagno di tavola, peraltro di dieci anni più vecchio, prese il telefonino per fargli vedere la nuova ragazza dell’ufficio, allucinandolo con particolari piccanti sul suo modo particolarmente eccitante di vestirsi (ma dalla foto sembrava una novizia) e su come lo guardasse quando si incrociavano per strada, visto che abitava molto vicino a casa sua.

Meccanicamente sorrise e abbozzò qualche becero commento, prese il proprio telefono anche lui, così per vedere se c’erano novità, e si accorse che Renata aveva mandato quattro messaggi. Strano.

Li lesse mentre sul suo viso si stampava un sorriso per celebrare l’ennesima porcata del suo compare, che ormai andava a ruota libera.

Esattamente con cadenza di un’ora a partire dalle sette gli aveva scritto le seguenti, brevi comunicazioni:

“Non hai nessun diritto di prendere per il culo una mia amica”

“Almeno rispondi quando ti tratto male”

“Adamo-Gustavo, ma ce l’hai un cuore?”

“Fra dieci minuti saluto la mia amica, il tempo di aiutarla a coricarsi. Alle undici penso di passare dal nostro bar per farmi una birra prima di tornare a casa. Hai un’occasione per farti perdonare.”

Non erano cose che una persona assennata potesse scrivere. Controllò l’orologio. Si alzò da tavola con una certa lentezza. – Caro Maranni, per me è ora di andare a letto. Domani dovrò tornare in sede e mi aspetta poi un altro viaggetto nel pomeriggio, seicento chilometri di autostrada che si sommano a quelli che ho già fatto in questo mese, tanti davvero. –

- Ma proprio ora che il discorso si faceva interessante, caro mio, ma che peccato – però anche lui mentre diceva così si alzò. – Chiamò il cameriere per farsi fare il conto. – Questa volta pago io, carissimo! –

Ovviamente non andò così. Il cameriere arrivò direttamente con il conto, la carta di credito che Adamo gli aveva dato appena entrato senza farsi vedere (conosceva quel locale da vent’anni e sapeva benissimo che poteva comportarsi così), e lo scontrino già stampato solo da firmare.

Appena fuori, esauriti saluti e imbarazzi per non aver potuto pagare, il signor Maranni si dileguò rapidamente. Erano le undici meno dieci. E sia, passiamo dal bar per controllare come vanno le cose.

Durante il breve tragitto verso il luogo fatidico, pensò alla sua buffa situazione. Gli sembrò di essere tornato indietro di quarant’anni, ma forse nemmeno quando era al liceo si sarebbe messo in una simile situazione, era un ragazzino perbene e non andava a caccia di ragazze strane. Invecchiando, invece, come capita alla maggior parte degli uomini aveva scoperto il suo lato porcello.

Accostò al marciapiede e scese prendendo dalla macchina solo il telefono. Dietro al banco c’era una donna sulla quarantina, che proprio mentre lui aprì la porta alzò gli occhi verso un grosso orologio. - Buonasera, desidera? -

Lui si guardò intorno. Il locale era praticamente vuoto. Decise che non era il caso di sedersi, per evitare che la barista pensasse a una sua lunga permanenza. Probabilmente era vicino l’orario di chiusura. - Una birra piccola, per favore, magari in bottiglia. -

L’altra tirò fuori due bottiglie senza dire niente, lui indicò quella di destra senza nemmeno guardare. Del resto gli occhiali li aveva lasciati sul sedile dell’auto e dunque quelle bottiglie erano per lui identiche.

- Siamo alla chiusura, vedo - una ovvia constatazione fatta solo per dire due parole - non si preoccupi, bevo in cinque minuti e me ne vado a dormire. -

- Il bar chiude tutte le sere all’una, che sia pieno o vuoto per me non cambia niente - la barista stava versando la birra nel bicchiere - in ogni modo ne ho ancora per un’ora e mezzo abbondante e dunque se si vuole sedere per me non ci sono problemi. -

Certo che non era entusiasta della sua compagnia, ma visto che lo invitava a sedersi, Adamo prese la birra e si piazzò a un tavolo accanto alla porta. Che seccatura rischiare di essere arrivato per primo. Pensò che ormai avrebbe atteso dieci minuti e non di più. Come sempre quando un uomo aspetta una donna, inevitabilmente quel tempo si dilatò notevolmente, mentre leggeva il giornale sportivo. Era ormai passata quasi un’ora, la birra era finita e nel frattempo si era aggiornato sulle trattative in corso fra Chelsea e Real Madrid per comprare un famoso attaccante, sul fallimento di un’azienda produttrice di biciclette da corsa, sulle modifiche normative per la formula uno.

In meno di un minuto si alzò dal tavolo, non senza aver dimenticato un suo biglietto da visita sul tavolo, pagò la birra e uscì. Salì in auto e partì mentre una utilitaria color crema si fermava davanti al bar. Ebbe l’impressione che ne uscisse proprio Renata, ma lui non era il tipo che una volta partito si fermasse o tornasse indietro. Buonanotte cara!

 
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Raccontino - quinta puntata

Post n°795 pubblicato il 23 Maggio 2016 da card.napellus

Si alzò la mattina dopo con la testa pesante. Adamo non aveva l’abitudine di protrarre cena e dopocena fino a mezzanotte, come la sera prima. Mangiava poco, quando poteva, e beveva pochissimo.

Mentre radunava le sue cose guardò il telefono, e rimase deluso nel non trovare chiamate o messaggi da parte della misteriosa Renata. Fra l’altro gli restava solo da passare a salutare un cliente e poi poteva tornarsene a casa, era venerdì e aveva lavorato abbastanza.

Scese a fare colazione ma aspettò a liberare la camera, tanto l’albergatore non aveva certo bisogno di tante camere libere per il fine settimana, il suo era un hotel da lavoratori, in un paese poco turistico e metà delle camere sarebbero rimaste vuote fra sabato e domenica.

- Dormito bene? - Il caffè fu posato sul tavolino accompagnato da queste parole, forse un po’ scontate e da una busta - Ieri notte hanno lasciato una lettera per lei. -

Prese la busta e la guardò sui due lati, era bianca, senza finestra o mittente. C’era scritto solo il suo nome con accanto “mezzanotte e mezza”. Aprì la busta, e lesse quello che era stato scritto con una grafia non troppo regolare:

Caro Adamo, perché hai fatto il coniglio? Non si scappa davanti al pericolo! Certo che ieri sono arrivata in ritardo, ma sono una Donna. Arrivare in ritardo è un Mio Privilegio. Io posso. Tu no. Non mi importa se fai lo scemo come mio fratello, non mi importa se hai l’età di mio padre, non mi importa se hai il cervello di mio nonno. Quando io ti dico un luogo e un’ora indicativa, tu mi aspetti. Cosa mai avevi da fare? Ora dovrai farti perdonare, perché queste cose a Una Donna non si fanno. Ho chiesto al portiere che mi ha promesso di consegnarti questa prima della tua partenza, e se sei un uomo la leggerai. E se sei un uomo ti farai trovare al ristorante dell’albergo a mezzogiorno e mezzo per farti perdonare. Se sei un uomo. Renata.

Tutto scritto così di fila, senza mai andare a capo, usando sempre la maiuscola per la parola donna e mai per quella uomo… Che noia farsi tirare dentro questo giochetto, ma perché mai aveva attaccato discorso con questa ragazzina… Alzò la testa verso il barista - Senti, io passerò prima di pranzo a ritirare le valigie, tanto a voi la camera libera per mezzogiorno non vi serve. Mangio qui, puoi lasciarmi libero un tavolo per due? -

Il barista, che lo conosceva abbastanza bene, portò via gli avanzi della colazione. - Si, certo. Oggi dovrebbe esserci il risotto di pesce, ne faccio mettere da parte due porzioni? -

- Perfetto, grazie. - Si rimise la giacca e uscì dall’albergo, diretto al piazzale posteriore dove aveva lasciato la macchina. Si meravigliò di vedere sotto al tergicristallo un foglietto rosa. Come aveva potuto prendere una multa? Lo sfilò curioso. Non era una multa. Dietro al dépliant pubblicitario di una salone di bellezza c’era disegnato un coniglio con scritto sotto “ADAMO”.

Alle undici e mezza la giornata di lavoro era ormai finita.

Tornò verso l’albergo, non prima di aver comprato un coniglietto di peluche

Entrò nella hall, lei era già lì, seduta su una poltroncina tutta presa a sfogliare una rivista.

- Ma le vere donne - disse piano avvicinandosi al suo orecchio - non dovrebbero farsi attendere dagli uomini fino allo sfinimento, e oltre, se necessario? -

- Le vere donne può anche darsi - posò la rivista e si voltò lentamente. Aveva un aspetto non proprio perfetto, si capiva che aveva dormito poco nonostante fosse ormai ora di pranzo - le vere donne non stanno tutta la sera da un’amica malata, non vanno in ritardo a un appuntamento, e soprattutto non richiamano prima di andare a dormire l’amica malata, sapendo che poi quella poveretta le convince a tornare da lei. E a passare la notte in bianco.-

- Ma cosa ha la tua amica?-

- Niente di contagioso, è stata lasciata da un tipo che nemmeno la meritava, ha smesso di mangiare da una settimana, non dorme, è uno straccio. E ora è arrivata una febbre da cavallo, ieri non voleva scendere sotto i 39°. E ha solo me, sono l’unica che può aiutarla, a meno che non torni dai genitori, ma lei preferirebbe morire. Probabilmente è sulla strada buona.

- Le donne sono strane. - provò a troncare il discorso. Lui non era mai stato un tipo altruista, di quelli pronti a dare il proprio sangue per il bene altrui, e non sopportava le lamentele altrui. Non era mai stato un mostro di sensibilità, se poteva fare qualcosa per un amico lo faceva, ma qualcosa che non comportasse ore di ascolto e comprensione. - non hai già qualche problema tuo, devi condividere anche quelli altrui? -

- Certo che ho problemi miei. Per prima cosa gli uomini: ne conosco solo di stronzi, e quelli che incontro lo sono sempre. Sempre. Secondo te c’è un motivo?-

Ignorò la velata allusione - Anch’io ho un problema del genere, tutte le donne che incontro hanno la sindrome della crocerossina. Aiutano gli amici, i bambini africani, le foche monache, i bonzi cambogiani, i delfini giapponesi. Mai che pensino anche alle mie modeste esigenze. Ora per esempio ho fame. -

- Andiamo - disse lei alzandosi - visto che sei un po’ cafone mi offrirai il pranzo.-

- Mi pare il minino. Prego, dopo di lei. - La seguì verso la sala da pranzo senza smettere per un solo istante di guardarle il culo. Giunti a un tavolo dove un cartoncino piegato riportava il suo nome, spostò una sedia - Prego signora, si accomodi. -

- Si accomodi anche lei, signor conte -

In due minuti il cameriere era già arrivato, lasciando il menù.

Adamo nemmeno lo aprì, sapeva già cosa prendere. - Ti consiglio il risotto di pesce, è ottimo. -

- Non mangio pesce il venerdì, lo fanno tutti. Prenderò le tagliatelle funghi e piselli. - Alzò gli occhi dal menù - se posso. Altrimenti se c’è l’obbligo del pesce… Ho visto ieri sera che hai una macchina bella grande. Mi aiuti a portare a casa la lavatrice?

Renata aveva una facilità nel cambiare discorso francamente irritante - No cara, non ti aiuterò a portare niente in nessun luogo se prima non accetterai di giacere con me.

- Come immaginavo sei solo un vecchio porco - ma rideva mentre lo diceva; l’espressione seria di lui e l’apparente assurdità delle sue parole in effetti non facevano pensare a una proposta seria - potresti essere mio padre. Quanti anni hai? -

Adamo si raddrizzò sulla sedia - sappi cara mia che ho festeggiato da non molto il mio quarantesimo compleanno -

- Da non molto? -

- Da sedici anni. -

- Ma allora hai quasi trent’anni più di me! Non ti vergogni? -

- Dovrei vergognarmi di essere nato cinquantasei anni fa? -

Lei lo guardò diritto negli occhi, spalancando i suoi - No, dovresti vergognarti di fare proposte oscene a una giovane e pura fanciulla. -

Lui non perse tempo nel replicare - La proposta oscena l’hai fatta tu. Non si chiede a un signore che non si conosce e potrebbe essere un tuo anziano zio di spostare una lavatrice usando in guisa di camioncino la sua auto con interni in pelle. A proposito, vivi sola? -

- Sei un po’ troppo curioso. Prima il trasporto della lavatrice, poi il resto. Se mangiamo in fretta possiamo farlo prima che io rientri al lavoro nel negozio di sport. Poi te ne puoi anche andare dove ti pare. -

- Stavo per dimenticarmi della cosa più importante - fece Adamo estraendo con fare teatrale il coniglio da sotto la giacca. - Ecco, questo è un coniglio! -

Lei prese il piccolo peluche. Non era un granché. - Adamo caro, non conosco i sistemi per l’approccio che andavano di moda quando non ero ancora nata, ma voglio darti un buon consiglio per il futuro. Ecco, è meglio non regalare niente a una donna se non c'è niente di buono o non hai un cazzo di idee. Questo coniglio fa veramente cagare. -

 
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Coppie e Olimpiadi.

Post n°794 pubblicato il 14 Maggio 2016 da card.napellus

Nel 1904 si sono svolte le Olimpiadi di Saint Louis.

Non sono passate alla storia per particolari record, a parte la lunghezza (quasi cinque mesi) e la scarsa partecipazione degli atleti non americani.

Una curiosità di questa edizione furono le competizioni pseudo sportive riservate a gruppi etnici (nativi, pigmei, inuit) o addirittura ai fenomeni da baraccone, inventate per divertire i visitatori della grande fiera che si svolgeva in contemporanea.

Oggi ci sembrerebbe l'espressione del più gretto razzismo, ma sono passati più di cento anni...

Lo stesso sarà fra cent'anni quando parleranno di una legge approvata in Italia che, per dare qualche diritto a una categoria di persone, crea apposta per loro uno pseudo matrimonio, e addirittura per chi non vuole sposarsi prevede la possibilità di disporre di nient'altro che dei propri diritti secondo strane regole e previa registrazione.

Oggi sembra una conquista di civiltà, ma se ci si pensa è più o meno come se esistesse un matrimonio speciale per i negri...

Fra un secolo rideranno pensando che esisteva un matrimonio di serie A e uno di serie B, come se l'amore si potesse catalogare.

 
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Un raccontino - terza parte (la quarta chissà quando ci sarà).

Post n°793 pubblicato il 10 Maggio 2016 da card.napellus

Interessante incontro, pensava il bevitore di birra tornando sui suoi passi, fuori dal locale. Era già tardi, ma tanto a lui nessuno l’aspettava a casa. Questa trasferta si stava facendo interessante. Non certo per quello che riguardava il lavoro, quello era per lui normale e tediosa routine, ma la giornata era iniziata bene davvero.

Aveva dormito di gusto – oggi non doveva lavorare – fino alle nove, per lui tardissimo, si era svegliato di ottimo umore, parlando con il direttore dell’albergo e aveva anche provato a vendergli la sua auto. Del resto quell'auto non gli serviva più, tanto valeva sbarazzarsene.

Una vettura così grande per il direttore dell’albergo, questo era stato il suo principale argomento di vendita, sembrava fatta apposta: una famiglia con due figli piccoli, la passione per lo sci, la necessità di dover andare personalmente ad accompagnare qualche cliente con il fardello di valige in stazione o all'aeroporto, le brevi vacanze al mare che imponevano un mezzo veloce e capiente…

Ripensò al fatto che alcune di queste motivazioni lui tre anni prima le aveva trovate per convincersi all'acquisto. E adesso gli sembravano buffe, inadeguate. Adesso non trovava un buon motivo per possedere una station wagon di oltre cinque metri.

Dopo aver offerto la sua auto era uscito per comprare un paio di pantaloni, visto che quelli che aveva portato in valigia erano si misteriosamente rovinati, e della cosa non sapeva esattamente quale lavanderia incolpare. Dunque era entrato in un negozio di abbigliamento con l’idea precisa di sostituire quel capo deteriorato con qualcosa di simile, ovvero in cotone grigio unito, di taglio classico. Una persona come lui non cambiava idea facilmente, quando aveva detto una cosa, quella era.

Uscì dal negozio con due paia di pantaloni, nessuno dei quali grigio. Non era un giorno da grigio, evidentemente.

Adesso, tanto per dirne una, aveva voglia di farsi due risate alla faccia della sua credulità, mandando a quel numero di cellulare datogli dalla bugiardissima ragazza del bar un criptico messaggino.

Si rendeva conto che l’eventuale (sempre che il numero fosse attivo) sconosciuto destinatario non avrebbe capito niente, ma in ogni caso quel messaggio lo avrebbe cancellato o gli avrebbe inviato una risposta per dirgli che aveva sbagliato numero.

Dunque prese il telefonino, copiò il numero che la Renata, se davvero si chiamava così, aveva scritto dietro al biglietto del cinema, e in due minuti trovò le giuste parole: Cara Renata, io non sono Gustavo ma volevo dirti che hai lasciato sul tavolino del bar la tua sciarpa di ciniglia, che ora ho con me. Se vuoi rivederla, fatti viva.

Era abbastanza idiota, come messaggio, lei non aveva nessuna sciarpa al bar. Gli parve perciò ancor più adatto alla bisogna.

Non erano passati dieci minuti dall'invio che sentì vibrare nella tasca. Lesse: Quale sciarpa? Ah, quella verde pallido? Passa pure dal negozio a riportarmela, stasera ci sono fra le tre e le sette.

- Ma allora non ti chiami Gustavo! –

Lui chiuse la porta alle sue spalle e si meravigliò di quel sorriso un poco eccessivo. Il negozio era vuoto, e lei era dietro alla cassa a recuperare dei capi invenduti.

- Certo che no, Gustavo è evidentemente un altro tuo zio. Per caso non hai uno zio Gustavo? –

- Ho uno zio che abita in Francia, ed è effettivamente vedovo, e una zia, Adele, che non si è mai sposata e che vado a trovare spesso. Gli voglio tanto bene – mentre lo diceva chiuse gli occhi e abbracciò la felpa che aveva appena piegata e stava rimettendo sopra lo scaffale – tanto tanto bene alla zia. Anche perché ogni volta che vado a trovarla mi lascia qualche spicciolo, o mi fa trovare un regalino, a volte insiste perché accetti dei vestiti che metteva quando aveva la mia età, e che poi conservo accuratamente sotto naftalina. Sai, io penso, anzi sono sicura, che fra vent'anni torneranno di moda. –

- Mi stai parlando di un amore sfegatato, nemmeno sfiorato da un'ombra di interesse... - si passò una mano sul volto, fingendo commozione – io non ho la lacrima facile, ma queste storie mi commuovono fino al midollo. Ma ora con Renzo come fai, se ti chiede notizie dello zio Gustavo, mica puoi far fare la plastica facciale a Adele, o portarlo in Francia dopo aver detto al tuo zio, quello vero, di truccarsi come me –

- Ma che sciocco che sei, Renzo stamattina si è già dimenticato del nostro incontro di ieri, magari lo rivedrò fra un mese – dall'espressione che fece si capiva che quel mese poteva essere anche un anno, e lei non si sarebbe preoccupata di questo – lui dice sempre che mi sposa, che mi porta all'altare, a volte passa mezz'ora a decidere del viaggio di nozze, ma lo fa tanto per dire. Non si sposerà mai, e forse nemmeno gli interessa. Io ci esco volentieri perché è simpatico e quando passeggiamo in centro e entro in un negozio per comprarmi qualcosa, non riesco mai a pagarlo. Appena mi avvicino alla cassa spunta la sua mano con la carta di credito pronta. –

- Un'altra struggente storia d'amore. Renata, sei davvero impareggiabile. A proposito, ma è il tuo vero nome? –

Si stava allontanando per andare alla cassa, dove un ragazzo aspettava di pagare le sue scarpe – Certo che è il mio nome, cosa credi, che vada in giro sotto mentite spoglie? –

Il ragazzo delle scarpe pagò e sorrise, Renata lo ricambiò – Ciao, se passi la prossima settimana c'è la nuova collezione delle polo a maniche corte. –

- D'accordo, non mancherò Irene. –

- Ragazza cara – lui nel frattempo si era avvicinato alla cassa con un pacco di calze grigie in cotone – hai una tendenza a mentire francamente sconcertante. Sei proprio sicura che tuo padre non si chiami Geppetto e che non faccia il falegname? –

Lei non rispose alla banale allusione, gli prese una mano e la posò sopra una coscia. - Ti sembra di legno? -

- Ma tutti sanno che anche Pinocchio alla fine diventa un ragazzino di carne e ossa! -

Lei lasciò la sua mano e lo guardò seria - Gustavo, o come ti chiami, ti fidi se ti dico che non sono un ragazzino? - ma subito la sua espressione perse ogni traccia di severità – del resto Pinocchio quando si trasforma smette di mentire, e allora forse vuol dire che io sono sempre di legno! -

- Comunque, tanto per mettere in chiaro le cose, io mi chiamo Adamo. Davvero, se vuoi ti faccio vedere i documenti, sono proprio Adamo. Il primo uomo! -

- Allora, stammi bene a sentire, siccome non mi piace interrompere le conversazioni e visto che sono le cinque e da un attimo all'altro tornerà il capo, e devo mettere via tre scatoloni di roba, troviamoci allo stesso bar verso le sette, quando chiudo. Tanto te, a quanto mi pare di capire, non hai mai un cazzo da fare.

– Ma insomma, ti chiami Irene o Renata?

- Come sei pedante, i nomi sono solo convenzioni, mi chiamo Renata, ma qui in negozio l’altra commessa ha preso l’abitudine di chiamarmi Irene perché gli ricordo il personaggio di un libro, o di un film, ma che cavolo ne so, insomma qui dentro mi sentono chiamare così e pensano che sia il mio vero nome. In fondo un nome vale l’altro. Ciao Gustavo! –

- Ciao, Anna. -

 
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