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Messaggi di Dicembre 2010

SOMMARIO SETTIMANALE 25/31 DICEMBRE 2010

Post n°4190 pubblicato il 31 Dicembre 2010 da cile54

31- Piemonte: arpie nelle corsie. Un ciuccio per confessare un omicidio: la terapia post aborto del Movimento per la Vita

31- Precari: i termini reali per difendere il proprio contratto e per sbugiardare la pubblicità televisiva del governo

31- Questa Italia. Intervista a Giancarlo Majorino poeta, critico letterario, presidente della Casa della poesia di Milano

30- Il sessantotto, l'utopia reale di una generazione che ha cambiato l'Italia. Gli anni 2000 riprongono gli stessi obbiettivi di cambiamento

30- Continuano a salire i prezzi di beni e tariffe. I rincari sottrarranno alle famiglie italiane oltre mille euro

30- Valerio Evangelisti scrittore, giallista autore di "Rex Tremendae Majestatis", a sostegno del quotidiano Liberazione

30- Meglio una vita da pecorari che un giorno da ladroni. Ma siamo in minoranza in Italia a pensarla così. E il discrimine tra la civiltà e la barbarie oggi imperante

29- Incredibile immobilismo di un sindacato sotto il fuoco nemico. Sono in gioco anche le ragioni di un sindacato libero

29- Una piccola vittoria degli operai che la Thyssen voleva far sparire nel dimenticatoio della disoccupazione

29- Loriano Macchiavelli giallista, inventore della serie dedicata a Sarti Antonio, a sostegno del quotdiano Liberazione

28- 2011: stare a guardare è da vigliacchi, ripararsi nel qualunquismo è da incoscienti, delegare al popuilismo è letale

28- Sanità in Puglia: ieri, oggi e domani la protesta in Puglia in difesa del lavoro e della salute dei cittadini

28- Il disagio della classe media: firma condizioni di pagamento che poi non è in grado di rispettare

27- La paurosa genialità di Tremonti. Ma perché la bozza del cosiddetto "Decreto Milleproroghe" parla di 400 milioni di euro per il 5 per mille?

27- Gli studenti fanno paura? E' normale che il governo e la borghesia reazionaria siano preoccupati, non è normale che lo siano anche altri

27- L'Omelia di don Gallo alla Messa di Natale 2010 nella Chiesa di San Benedetto al Porto di Genova

26- Gli Operai superstiti della Thyssenkrupp di Torino puniti per le loro opinioni contro la multinazionale sotto processo

26- La “sana laicità” filoclericale del Cavaliere di Arcore non ricorda quella del Cavaliere di Predappio?

26- Un commento alla nota della Società Italiana di Neurologia sulla dipendenza dal cibo

25- Chiesa e politica: con quale morale, con quella di Berlusconi come individuo e come uomo pubblico?

25- Come da sempre neanche il Natale ferma i crimini israeliani contro la popolazione palestinese

25- Spett.le redazione LavoroeSalute. Riceviamo, dall'Osservatorio per la sicurezza sul lavoro, e volentieri pubblichiamo

25- Cgil “Lo sciopero generale? Mancano le condizioni” Incredibile immobilismo che oggettivamente aiuta governo e soci

SOMMARIO SETTIMANALE 16/24 DICEMBRE

SOMMARIO SETTIMANALE 8/15 DICEMBRE

SOMMARIO SETTIMANALE 1/7 DICEMBRE

 
 
 

Arpie nelle corsie. Un ciuccio per confessare un omicidio: la terapia post aborto del Movimento per la Vita

Post n°4189 pubblicato il 31 Dicembre 2010 da cile54
Foto di cile54

Piemonte: Cota all'attacco della legge 194

Lo scorso ottobre in Piemonte è stata approvata una delibera regionale scritta dall'Assessore alla sanità Caterina Ferrero, che permette e promuove l'ingresso del Movimento per la Vita, un'associazione cattolica antiabortista, nei consultori piemontesi. Nato nel 1975 con lo scopo di impedire l'introduzione nella legislazione italiana di qualsiasi normativa volta a regolamentare l'aborto, ancora oggi il Movimento per la Vita ha tra le finalità del suo statuto, l'opposizione alla legge 194.

Molti sono i dubbi e le contrarietà espressi non solo da donne, collettivi, gruppi, associazioni, ma anche dagli stessi ordini professionali rispetto ai contenuti del Protocollo Ferrero. Il problema della privacy, trattandosi infatti di volontari non saranno tenuti a rispettare il segreto professionale; potranno effettuare la prima accoglienza nei consultori anche senza la presenza del personale medico; e in ultimo la formazione stessa, erogata, secondo quanto dichiarato dal Presidente Roberto Cota, a spese della Regione, agli attivisti del Movimento e in generale del volontariato/privato sociale interessato.

Con altre donne di Me-DeA, un gruppo che da anni si occupa di politica di genere, abbiamo immediatamente espresso la nostra preoccupazione per quanto stava accadendo.

Abbiamo così deciso di andare a conoscere più da vicino e a indagare direttamente, in particolare per quanto riguarda la formazione, seguendo due dei corsi formativi per aspiranti volontari organizzati dal Movimento per la vita di Torino con la collaborazione di docenti universitari, consulenti famigliari, neuropsichiatri. Incontri destinati ad un pubblico evidentemente senza competenza o preparazione o esperienza medica, psicologica o sanitaria ma ben inquadrato nei Centri di Aiuto alla Vita presenti sul territorio provinciale.

L'intero iter formativo è stato punteggiato da espressioni fortemente lesive nei confronti del personale dei consultori e degli ospedali, più volte accusato dai relatori di estrema leggerezza e libertà nel "consigliare" l'interruzione volontaria di gravidanza.

Le donne che hanno scelto di interrompere una gravidanza sono state presentate o come malate da curare o come immature incapaci di assumersi responsabilità o come creature disperate dalla vita irrimediabilmente distrutta. Senza alcun rispetto per la privacy delle donne che hanno legittimamente deciso di rivolgersi, dopo l'aborto, alla consulente familiare che ha presieduto l'ultimo incontro, sono state lette le lettere scritte dalle pazienti ai "figli" non nati e facenti parte del loro personale e delicato percorso terapeutico.

Se pensiamo che secondo la delibera Ferrero, si tratterebbe della formazione di operatori che andranno ad affiancare l'equipe consultoriale o addirittura a svolgere attività di accoglienza delle donne in gravidanza presso le proprie sedi, il quadro è ancor più preoccupante. Sono stati presentati i diversi passaggi di una terapia post aborto a dir poco choccante che non è ammissibile possa essere svolta da personale non in possesso di titoli e requisiti: utilizzare un ciuccio, una tutina o un peluche per concretizzare il figlio morto nella costruzione di una relazione che porti la "mamma" ad ammetterne l'omicidio è quantomeno raccapricciante.

Siamo state catapultate in un'altra dimensione, in un tempo e in uno spazio in cui embrioni e feti sono bambini, le donne non sono donne ma mamme, sempre e comunque, la coppia è famiglia occidentale e cattolica, e il partner, rigorosamente maschio, è sostegno, protezione, aiuto economico e strenuo baluardo contro l'aborto.

Tutti i discorsi gravitavano ossessivamente intorno ad alcuni concetti cardine: un bambino, anche entro la dodicesima settimana, sente e capisce tutto, e naturalmente, pur senza menzionarlo, in questo modo l'uguaglianza tra aborto e omicidio è evidente; qualsiasi atteggiamento non ponga al centro il bambino, fin dai primissimi giorni di gravidanza, rappresenta una forma di egoismo e la mamma deve imparare ad acquisire una sensibilità etero centrata che ha nell'attesa della nascita la sua compiuta realizzazione.

Le donne che decidono di abortire ingannano se stesse dicendosi di aver fatto la scelta giusta ma in realtà la loro vita è finita e la cosiddetta scelta è solo una delega in bianco dettata da solitudine e immaturità, che non potrà che segnarle anche a distanza di anni.

Questi secondo loro i sintomi che una donna avrebbe dopo l'aborto: senso di colpa, incubi notturni spaventosi, dolore lancinante, ruminazione mentale, perdita di forza fisica, abuso di sostanze, disturbi alimentari, perdita della gioia di vivere, perdita del lavoro, angoscia, depressione, nevrosi, bassa autostima, incapacità a uscire di casa, insofferenza verso le donne incinte e, per finire, ritrazione sessuale.

Nessun riferimento accademico, teorico o scientifico, solo vaghi cenni a studi statunitensi, irlandesi e finlandesi degli anni 80, da cui, tra l'altro, emergerebbe che le minori che hanno abortito si suicidano sei volte di più delle coetanee.

Intercettate prima, prese in carico durante, terrorizzate psicologicamente dopo: è questo il destino che attende le donne nei consultori? Le donne saranno costrette ad avere a che fare, nei consultori, in un momento così delicato della loro vita, con persone assolutamente incompetenti e inadeguate come sono, evidentemente, quelle che hanno seguito l'incontro accanto a noi?

L'insistenza sulla estrema libertà dei medici nel convincere all'aborto è stato il leit motiv di tutto il percorso formativo. Mi vengono in mente le ginecologhe, le infermiere e le ostetriche che abbiamo avuto al fianco in questi anni o che ci hanno accolto nei consultori: disponibili, attente, sensibili, impegnate a far funzionare un servizio che è delle donne e per le donne... secondo il Movimento per la Vita, libere, troppo libere di scegliere e far scegliere.

Energico è stato il richiamo finale a ciò che interessa loro davvero: l'ingresso nei consultori e negli ospedali, con l'obiettivo di portarvi misericordia cristiana in generale e spazi di intervento nel particolare, in cui salvare bambini.

Medici, psicologi e ginecologi, che sappiamo sensibili e attenti e competenti nella grande maggioranza dei casi, hanno intenzione di rendersi complici di questo abominio e di lavorare fianco a fianco di volontari la cui formazione è quella cui abbiamo assistito?

E' in questo modo che si pensa di rispettare lo spirito della legge 194/1978 che tanto strumentalmente l'assessore Ferrero continua a citare?

Abbiamo visto ancora una volta i nostri corpi fatti scempio per un voto, per una promessa elettorale, per sconfiggere finalmente, a trentadue anni dall'approvazione della pur imperfetta legge 194, il nemico che fa loro più paura: la nostra autodeterminazione. La risposta delle donne non cambia: «sul nostro corpo, sulle nostre vite, sulla maternità, decidiamo solo noi».

Ed è questa una risposta di vita.

Chiara Cerruti

da nuovasocieta.it (29 dicembre 2010)

Per altri contenuti, materiali e approfondimenti vi invitiamo a visitare il sito www.medea.noblogs.org

 
 
 

I termini reali per difendere il proprio contratto e per sbugiardare la pubblicità televisiva del governo

Post n°4188 pubblicato il 31 Dicembre 2010 da cile54

La precarietà si combatte anche in tribunale

Con la legge Treu, il legislatore ha iniziato a prevedere ipotesi di lavoro cosiddetto flessibile attraverso il quale consentire alle aziende di utilizzare e sfruttare manodopera assunta da soggetti terzi, senza assunzione dei rischi di impresa che un qualsiasi rapporto di lavoro deve comportare.

Ed è attraverso tale sdoganamento che si è potuti arrivare al secondo passo del diabolico percorso, ovvero alla legge 30/03, attraverso cui si è compiuto un notevole salto in là nella codificazione del precariato prevedendo - con il tentativo di sovvertire il principio generale per cui ogni posto di lavoro nasce a tempo indeterminato salvo eccezioni - che dette eccezioni venissero trasformate in regola, consentendo all'impresa di potere disciplinare rapporti di lavoro di fatto pienamente subordinati con contratti che di tale tipologia nulla hanno a che vedere.

Con la riforma in questione il passo è definitivo ed il piano si sposta verso l'unico contesto i cui si fanno i giochi, ovvero quello processuale e della tutela effettiva dei diritti del lavoratore.

La precarietà ormai imposta e codificata sul piano dei rapporti sostanziali, viene ora introdotta sul piano delle conseguenze delle illegittimità del datore di lavoro, vuoi creando ogni artificio per rendere più difficile al lavoratore l'esercizio dei diritti connessi all'articolo 24 della Costituzione, vuoi tentando di abbattere completamente i costi e le sanzioni che le illegittimità del datore di lavoro dovrebbero ancora prevedere.

Il percorso parlamentare che ha portato alla riforma è stato poi assolutamente condiviso da tutte le forze politiche. A ciò si deve aggiungere che nei due anni che ci son voluti per l'emanazione della riforma nessuno dei sindacati confederali ha sollevato la ben che minima obiezione alle modifiche che si stavano introducendo.

Vediamo ora in breve alcune delle modifiche introdotte:

1) Viene introdotta la possibilità di spostare le vertenze di lavoro dall'autorità giudiziaria a collegi arbitrali, privatizzando in questo modo la funzione dei giudici del lavoro.

2) Viene introdotta la possibilità di certificare la regolarità dei contratti di lavoro e quindi la volontà del lavoratore. In questo modo il ricatto che prima era implicito nel rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, oggi viene addirittura ad essere certificato.

3) Viene introdotto l'obbligo di impugnazione entro 60 giorni di ogni forma di cessazione (scadenza, interruzione) di tutti i contratti atipici (contratti a termine, collaborazioni a progetto, somministrazione etc.). Tale obbligo è inoltre esteso nei casi di allontanamento verbale dal posto di lavoro.

4) Viene infine forfetizzato il risarcimento del danno dovuto al lavoratore che si sia visto riconoscere l'illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro. Fino ad oggi il risarcimento era commisurato alle mensilità che il lavoratore aveva perso per effetto dell'illegittima cessazione del rapporto di lavoro. D'ora in poi il risarcimento verrà liquidato fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità di retribuzione.

Questo il quadro generale. Un quadro che, tuttavia, presenta caratteri tetri, foschi e di drammatica previsione per i diritti di milioni di cittadini-lavoratori precari, che si vedranno praticamente azzerate le già residue di resistere alla forza d'urto del capitale.

Occorre comunque evidenziare che la riforma è stata scritta in modo assolutamente poco chiaro ed in alcuni casi presenta evidenti vizi di legittimità costituzionale. Ed è forse questo l'unico aspetto che può essere di conforto.

Al riguardo recentemente il Tribunale di Busto Arsizio, nell'ambito di un giudizio che aveva ad oggetto l'impugnazione di un contratto a termine, si è pronunciato evidenziando proprio tali lacune.

In particolare, il Giudice, dopo aver dichiarato l'illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, nell'applicare la norma introdotta dalla riforma che prevede la forfettizzazione del risarcimento nella misura da 2,5 a 12 mensilità, ha statuito che, in ossequio ai principi comunitari, la penale in questione non può che applicarsi in aggiunta al normale risarcimento che viene determinato nelle mensilità che il lavoratore avrebbe percepito dal momento che è stato lasciato a casa all'effettivo reintegro, che rimane comunque dovuto al lavoratore - anche dopo l'entrata in vigore della riforma - perché diretto a compensare la perdita di reddito connessa all'estromissione dal posto di lavoro (cd danno conseguenza), laddove, appunto la sanzione prevista dal collegato lavoro è invece da riconnettersi al mero ambito ed alla mera questione di una apposizione di termine intervenuta in contrasto con la legge (cd. danno evento).

Come si può vedere, se l'intento del legislatore era quello di limitare il costo economico delle illegittimità poste in essere dal datore di lavoro, il risultato ottenuto è completamente opposto ed il datore di lavoro in questione dovrà sborsare una somma superiore a quella in precedenza prevista.

Staff legale San Precario

30/12/2010

 
 
 

Questa Italia. Intervista a Giancarlo Majorino poeta, critico letterario, presidente della Casa della poesia di Milano

Post n°4187 pubblicato il 31 Dicembre 2010 da cile54

«C'è un regime invisibile, è la dittatura dell'ignoranza»

La dittatura dell'ignoranza, formula che ha ispirato un pamphlet in prosa di Giancarlo Majorino, poeta e scrittore, non è una boutade. Dalla prima all'ultima riga di questo volumetto uscito per Tropea ("La dittatura dell'ignoranza", pp. 96, euro 10) è tutto un corpo a corpo con le parole, una discesa al fondo di un regime autoritario globale, ma invisibile sotto un «parziale arredamento democratico». Il berlusconismo e l'Italia ne rappresentano un «campione effervescente», non l'unico però. Ma cos'è la dittatura dell'ignoranza? Una «dinamica sudditanza diffusa, inalata quasi senza avvedersene minuto dopo minuto». Si potrebbe anche dire «sfrenato bombardamento pubblicitario, istituzione permanente della spettacolarità, progressiva sostituzione del linguaggio con le immagini, sottovalutazione del pensare e del ragionare, dipendenza da stereotipi, scollamento dalle ricerche della cultura e dell'arte», ma soprattutto «dominio del Denaro e del Potere». E' una rivoluzione antropologica silenziosa che distrugge la vita. Di questo, Giancarlo Majorino - oggi docente di Estetica e analisi alla Nuova accademia di belle arti, oltre che presidente della Casa della poesia di Milano - ha parlato e scritto nei suoi versi, nei suoi poemi, il più importante dei quali è "Viaggio nella presenza del tempo".

La dittatura dell'ignoranza è l'effetto di una poderosa macchina simbolica, di un sistema sofisticato di comunicazione di massa che fa uso di tecnologie avanzate. Un paradosso che tutte le capacità simboliche siano utilizzate per creare un regime di distrazione di massa, no?

Sono argomenti che in poesia tratto da tanti anni. E infatti i critici mi rimproverano spesso un'eccessiva vicinanza della mia poesia con la realtà. La dittatura dell'ignoranza è un sistema ampio e pericoloso, ma inavvertito. E' una forza invisibile che va molto più in là dell'evidenza del berlusconismo, che è la nostra iattura. Questo grande imperio simbolico è ora che venga tolto dal buio. Però c'è un limite da parte dell'opposizione che non riesce ad andare oltre il dire no al "sì" che viene continuamente riproposto. Intendiamoci, il dire no è fondamentale, è un atto di denuncia di cui non possiamo fare a meno. Però il no è sempre un derivato del sì. Io propongo uno spostamento, cioè la possibilità di un discorso più ampio. Chi fa le domande, chi governa, chi ha il potere di nominare le cose mette l'opposizione in condizione di poter dire solo no. Bisogna sottrarsi a questa trappola.

L'ignoranza non sarà anche effetto del passaggio dalla scrittura all'immagine? Lo scritto richiede attenzione, l'audiovisivo invece è più liquido, non si sedimenta, è un continuo affermare e negare. Non è così?

C'è l'ossessione di tradurre la parola in immagini. E' opinione diffusa, ad esempio, che i cantautori siano poeti o che i disegnatori di fumetti siano pittori. Ci sono bravi cantautori e bravi fumettisti, non è questo il punto. Voglio dire che c'è ignoranza anche in chi ignorante non dovrebbe essere. La dittatura dell'ignoranza si esercita su tutti, anche su coloro che avrebbero la responsabilità di fare cultura o di opporsi politicamente allo stato esistente. Gli stessi artisti hanno una parte di colpa. Io parlo di fortezze nascoste, di intellettuali che preferiscono chiudersi e rintanarsi in un eccesso di gergalità. Si intendono solo tra loro. Poi arrivano i mezzi di comunicazione di massa a fare da tramite. Già nel nome di tali meccanismi appare chiaramente il loro fare trasformante le persone in pubblico, in massa.

Tra questi due estremi, le fortezze chiuse della cultura e la comunicazione massificata non c'è un'altra via, uno "spostamento" come lei dice? La televisione, ad esempio, si può usare per uno scopo diverso da quello per cui è attualmente utilizzata, oppure il "mezzo" determina irrimediabilmente il messaggio e non c'è scampo?

Qua e là faccio subentrare il sogno di una via di mezzo non subordinata al dominio. Ci sono possibilità interne di movimento. Ma c'è una mancanza di fondo o, meglio, una mancanza di avvertenza di fondo. La dico come si poteva dire un tempo. E' un intero sistema di sistemi che è entrato in crisi. In termini marxisti si potrebbe dire che è un'intera classe sociale, quella dominante, che sta crollando; ma questa caduta si prolungherà chissà per quanto tempo ancora, avendo la borghesia accumulato una capacità gigantesca di potere e di persuasività. Che poi in Italia tutto questo con Berlusconi acquisti un carattere particolare e particolarmente disastroso, è sotto gli occhi di tutti. Ma il discorso è molto più ampio.

Il poeta dispone nella lingua di una riserva inesauribile di creatività. Fino a che punto però è autonomo e dove comincia invece l'eteronomia, la dipendenza dall'epoca in cui vive? Chi può svelare quest'epoca senza rimanerne impigliati?

Nell'antologia da me curata "Poesie e realtà" dicevo che la bellezza oggi non può che essere tanto autonoma quanto eteronoma. Deve tutelare entrambi gli aspetti. A parte il paradosso che in Italia ci sarebbero centinaia e centinaia di migliaia di poeti - ma la gran parte fanno solo delle righe a capo, sono autori di evasione, solo in pochi scrivono versi - a parte questo, non è vero che l'Italia è un paese senza poeti, come sostiene Adriano Sofri. I poeti contemporanei esistono con le loro opere ma solo raramente appaiono sui giornali e nelle trasmissioni televisive, altrimenti cadrebbe lo stereotipo ottocentesco del poeta maledetto, dello strano tipo. Si scoprirebbe invece che il poeta può essere una persona tranquilla, magari persino intelligente e preparata, che difficilmente potrebbe essere spacciato per un "personaggio". Oggi in Italia abbiamo cinque, sei poeti veri, ma chi li legge?

Lei insiste molto sulla quotidianità, un luogo di orrore che non riusciamo neppure più a vedere. E' come essere già morti e non accorgersene. I mezzi di comunicazione ci restituiscono solo un simulacro di quotidianità, la ripetizione del sempre nuovo, della notizia. Chi è in grado di raccontarla davvero?

Gli artisti sono radunati in corporazioni che hanno linguaggi gergali, purtroppo. Magari in questo modo mantengono un livello alto di scrittura, ma la fregatura è che non vanno oltre se stessi. Gli unici lettori dei poeti sono i poeti. Io ho lavorato al mio poema quasi quarant'anni. M'era venuto in mente di distribuirlo una pagina alla volta all'entrata del metro. Occorrerebbe che i giornali dedicassero una parte permanente alla poesia, ma non intendo la classica terza pagina e neppure, ovviamente, gli articoli scandalistici. Ci vorrebbe una sensibilità idonea per tirare fuori poeti e scrittori dal loro isolamento. Altrimenti resteremo prigionieri della rappresentazione del mondo che ci viene propinata. Debord aveva avvertito questo rischio ne "La società dello spettacolo". I settimanali di gossip sono aumentati. La gente ha una sorta di idolatria per i divi, persone supposte felici. Chi si oppone, dall'altro lato, continua a dire no a tutto questo, ma non riesce a trovare le radici di questa sudditanza.

Appunto, è nel quotidiano, nella cosiddetta letteratura d'evasione, nei programmi televisivi di intrattenimento che si costruisce la dittatura invisibile dell'ignoranza. O no?

E' lì che si forma l'obbedienza. Marcel Proust diceva che noi siamo abituati a utilizzare al minimo le nostre facoltà più preziose - l'intelligenza, i sentimenti, l'immaginazione, una criticità permanente. Trasformiamo la nostra vita in "vitette", anziché godercela come matti. Abbiamo una sola vita. Dovremmo allenarci all'intensità, a vivere intensamente. La sostanza del presente è il gremito, siamo tutti strapieni, facciamo parte di una massa enorme di informazioni e finte opere d'arte. Ma accanto c'è una distruzione continua di vita, la cronaca nera imperversa eppure non sappiamo niente dei veri padroni, di quelli che spostano un ditino e licenziano centomila persone. Viviamo in un cosmo costruito sulla convenienza di chi ha potere, sull'enorme differenza tra chi ha, e quindi è, e chi non ha, e quindi non è.

Tonino Bucci 

30/12/2010

leggi www.liberazione.it

 
 
 

L'utopia reale di una generazione che ha cambiato l'Italia. Gli anni 2000 ripropongono gli stessi obbiettivi di cambiamento

Post n°4186 pubblicato il 30 Dicembre 2010 da cile54

IL MIO SESSANTOTTO

In questi giorni si sente parlare di sessantotto, come di un periodo nefasto fatto di giovani che non avevano voglia di studiare e che spaccavano tutto. Se andassimo insieme a fianco della scuola di Barbiana, in quel piccolo cimitero sperduto nella campagna toscana, di fronte alla tomba di Don Lorenzo Milani, costoro capirebbero ciò che per molti di noi significavano quei giorni. Lo confesso, eravamo "fuori di testa", perchè non ci accontentavamo di cambiare il sistema universitario; noi eravamo dei pazzi: volevamo addirittura cambiare il mondo. Lo eravamo a tal punto che negavamo cose "sensate ed intelligenti" come la guerra, le compravendite parlamentari, il trarre profitto dai terremoti, il ghettizzare lo straniero. Avevamo raggiunto addirittura la follia di considerare chi ha più del necessario, in un mondo in cui c'è chi ha meno del necessario, un ladro; e questo avveniva sulla scia degli antichi Padri della Chiesa. La nostra follia era giunta al punto che odiavamo la stupidità e la banalità di un mondo fatto di veline e di donne oggetto e volevamo seppellire questo mondo con una "risata" e salvarlo con la bellezza, come diceva Dostoievskij, e molte volte ci trovavamo d'accordo coi vescovi del Concilio Vaticano II, nutrivamo le stesse speranze, e coltivavamo le stesse pazzie. Eravamo contro i cartelli nei santuari che negano di fare la "carità" ai poveri, eravamo folli a tal punto che credevamo ancora in quello che ci insegna il Vangelo, "preferisco la misericordia al sacrificio" (Matteo 9,13), folli al punto da non misurare la nostra spiritualità dalla lunghezza dei pantaloni o dalle maniche della camicia. Allora i preti poveracci di campagna ci misuravano solo con la misericordia e sopportavano a fatica  al pari di noi i grassi cardinali vestiti di porpora. Giravamo per l'Europa con il sacco a pelo spingendoci a volte nelle vicinanze della  piana di Auschwitz, e nella mente le ballate di Bob Dylan e di Joan Baez. Un giorno mi sono avvicinato al portone sul quale c'era scritto: "Arbeit macht frei" che  indicava ai posteri la fine della nostra grande civiltà occidentale, quella civiltà millenaria che qualcuno, anche nella nostra terra, ha dimenticato. Da questo punto in avanti  il vocabolo "Popolo" assume la valenza concettuale di "Onnipotente"  senza limiti. Questo popolo comincia per incanto a considerare come "Padri della patria" i "palazzinari", o quelli che sbandierano i simboli "celtici" e  vogliono buttare nel "cesso" il tricolore o che lo convincono a tutti i costi che coltivare gli "odi ancestrali" significa essere aderenti alla realtà, col pericolo che l'umanità ritorni un giorno ad essere sterminata in quella "piana polacca maledetta". Che pazzi farabutti che siamo ancora, a pensare a queste cose assurde ed infantili, invece di insegnare ai nostri figli ad essere dei sani ragazzi rispettosi dello "status quo", desiderosi del buon  "posto in banca"! Che "pazzi Metafisici", che siamo ancora oggi a pensare come Marcuse, di poterci liberare una volta per tutte, dell'essere uomini ad una "sola dimensione".

Roberto Ettore Bertagnolio

 
 
 
 

L'informazione dipendente, dai fatti

Nel Paese della bugia la verità è una malattia

(Gianni Rodari)

 

SI IUS SOLI

 

 

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G8 GENOVA 2011/ UN LIBRO ILLUSTRATO, MAURO BIANI

Diaz. La vignetta è nel mio libro “Chi semina racconta, sussidiario di resistenza sociale“.

Più di 240 pagine e 250 vignette e illustrazioni/storie per raccontare (dal 2005 al 2012) com’è che siamo finiti così.

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Giorgiana Masi

Roma, 12 maggio 1977

omicidio di Stato

DARE CORPO ALLE ICONE

 
 
 
 

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