Arte by Libreria Aiace Roma Montesacro

Vaticano CappellaSistina

Giuseppe Viviani pittore e incisore

Giuseppe Viviani ( 1898-1965 ), pittore e incisore pisano, divenne professore di incisione all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1948, che avvenne alla matura età di cinquant’anni, prima della quale la sua abilità, soprattutto incisoria, non era sconosciuta ai collezionisti cittadini, ma che raggiunse fama nazionale solo con l’attività universitaria presso la cattedra già di Giovanni Fattori. Soprattutto nell’incisione raggiunse risultati eccezionali, tra i maggiori del Novecento italiano ( accanto a Giorgio Morandi e Luigi Bartolini ), trasformando in originali immagini la sua personale visione del mondo, con una particolare predilezione per la vita del litorale pisano che ben conosceva. Visse infatti lungamente a Marina di Pisa, e alla morte, seguendo le sue ultime volontà, le lastre originali delle sue opere furono gettate in mare al largo della piccola località costiera toscana. La vita di Viviani non fu facile: perse infatti il padre all’età di due anni e dovette trasferirsi insieme alla madre presso il nonno, un ortopedico che fabbricava arti finti, oggetti che devono essersi impressi nella memoria dell’artista bambino, tanto che poi li inserì in molte sue opere. Fino alla Seconda guerra mondiale svolse numerosi e diversi lavori, senza mai però abbandonare la sua attività artistica. È sepolto nella chiesa di San Francesco a Pisa. L’arte di Viviani è improntata ad una visione malinconica e decadente della vita, ed allo stesso tempo ad un grande amore per la vita stessa. Con un segno lineare ed essenziale ed una raffinata perizia tecnica, l’artista si è mosso tra un ingenuo immaginario popolaresco e la meditata ricerca di immagini della memoria, ricreando un mondo venato di profonda emotività e percorso da aperture metafisiche ricche di allusioni, suggestioni e significati. ( Wikipedia )

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Sociologia dell’arte. Dialettica del creare e del fruire

Le opere d’arte sono segmenti di esperienze e, come tutte le prestazioni culturali, sono dirette a scopi pratici. Solo con particolare sforzo e in particolari condizioni storico-sociali l’arte si lascia strappare al nesso di vita in cui è radicata, dalla prassi alla noesis universale con cui è intrecciata, ed esercitare e giudicare come attività autonoma, seguente proprie leggi e valori. Essa non si separa affatto dalle esperienze pratiche e della conoscenza teoretica nella maniera radicale che si suole ritenere. Nella misura in cui entrambe, arte e scienza, si occupano della soluzione di problemi che risultano dai compiti, dalle cure e dalle necessità della vita e hanno a che fare con la lotta per l’esistenza, costituiscono piuttosto una unità salda e in ultima analisi indissolubile. ( Tratto da Filosofico.net )

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Architettura Italiana nell’Era Fascista

L’architettura italiana nel periodo fascista comprende una serie di stili e correnti. Esaurito lo slancio teorico dell’architettura futurista con la scomparsa di Antonio Sant’Elia, negli anni venti e trenta in Italia si svilupparono varie correnti architettoniche:

a) l’architettura razionalista ( Movimento Moderno e Razionalismo italiano ) che rappresentava il movimento più moderno, in sintonia con le tendenze europee del funzionalismo;

b) il Movimento Novecento, che rappresenta una tendenza di “ritorno all’ordine”, con il rifiuto sia delle avanguardie del primo novecento ( liberty, futurismo, cubismo ) sia della nuova tendenza razionalista, con un riferimento al neoclassicismo lombardo ottocentesco e un linguaggio semplificato ed austero, in assonanza con la pittura metafisica di De Chirico. Principali esponenti ne furono Giovanni Muzio, Giò Ponti, Paolo Mezzanotte;

c) il monumentalismo o “neoclassicismo semplificato”, che media tra le tendenze razionaliste d’avanguardia e il conservatorismo dell’accademia, facendosi linguaggio architettonico di regime, teso a diffondere gli ideali fascisti tra le masse e trasmettere l’idea di grandezza del regime, e che privilegia la realizzazione di edifici monumentali e con forte caratterizzazioni scenografiche. Maggiore esponente ne fu Marcello Piacentini. ( Wikipedia )

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La raccolta 8 per 10 di Cesare Zavattini

Zavattini avverte la pittura come mezzo ideale per esprimersi, la pratica e la colleziona. Interpreta il collezionismo come un atto di amore verso la pittura degli altri. Già nel 1931, a Milano, chiede un disegno su un pezzo di carta ad Arturo Martini. Nasce così una delle più straordinarie raccolte d’arte italiane nel Novecento: la Collezione minima, iniziata nel 1941 dopo aver ricevuto in dono un mini dipinto di Campigli e due schizzi di Aligi Sassu su un pacchetto di sigarette. Composta da millecinquecento esemplari di formato 8×10 ne fanno parte i nomi più celebrati dell’arte italiana e internazionale come Fontana, Burri, Balla, De Chirico, Savinio, Capogrossi, Severini, Rosai, Casorati, Sironi, Mafai, Soffici, De Pisis, Campigli, Afro, Consagra, Depero, Guttuso, Sassu, Manzù, Leoncillo, Melotti, Marini, Schifano, Vedova, Rotella, Festa, Munari, Pistoletto, ma anche le opere di letterati ed intellettuali. Il piccolo formato è dovuto alle ristrettezze economiche ma, secondo Za, è nella piccola dimensione che l’artista concentra il meglio della sua cifra stilistica. Zavattini commissiona ogni opera ma lascia libertà di scelta di materia, tecnica e soggetto.
Nel 1979 Zavattini vende, per ragioni economiche, questa “enciclopedia della pittura” che verrà smembrata. Oggi i due nuclei più importanti si trovano al Museo Magi ‘900 e alla Pinacoteca di Brera alla quale sono stati donati 152 quadretti, tutti autoritratti, dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia. ( Tratto da CesareZavattini.it )

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Libreria Aiace in via Ojetti 36 Montesacro Talenti – Roma

La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Turismo by Libreria Aiace Roma Montesacro

Trentino

Vigo di Fassa, anima ladina nel cuore delle Dolomiti

Un borgo in legno e pietra dove si parla l’antica lingua ladina, luogo ideale per partire alla scoperta del gruppo del Catinaccio

La prima cosa che si noti quando si arriva a Vigo ( frazione di San Giovanni di Fassa – Sèn Jan ) è il panorama. Se ci si guarda attorno lo sguardo spazia dal gruppo dolomitico del Catinaccio fino alla Marmolada. Non è un caso se Vigo è stato uno dei primi centri turistici della valle. Fin dagli albori del XIX secolo infatti il borgo iniziò ad essere frequentato da geologi e alpinisti, per poi diventare destinazione privilegiata per gli amanti della montagna, sia in inverno sia in estate. Oggi Vigo è uno dei Borghi più Belli d’Italia, grazie alle sue ricchezze naturali e alla sua identità ladina, che puoi scoprire nel museo del paese o passeggiando lungo i vicoli, tra i fienili in pietra e le chiese con i tetti aguzzi… o magari a tavola, davanti a un piatto di cajoncie da fighes. Tappa obbligata in paese è il Museo Ladin de Fascia, un museo moderno e innovativo che ospita le collezioni etnografiche dell’Istituto Culturale Ladino. Supporti multimediali, punti informativi e le tavole del disegnatore Milo Manara aiuteranno a scoprire la cultura del popolo affascinante che vive da millenni in questo territorio. A poca distanza dal museo, c’è la bellissima Pieve di San Giovanni, chiesa simbolo di Vigo, con il suo caratteristico campanile alto ben 67 metri, rivestito di scandole di larice dalle tonalità grigie. Sempre nei pressi, merita una visita anche il Museo Mineralogico Monzoni, che ospita la più completa collezione di minerali dolomitici, emersi dal mare 250 milioni di anni fa, raccolti ed accuratamente custoditi. Lasciato il borgo, a piedi o in funivia puoi raggiungere la terrazza naturale del Ciampedìe, a 1998 metri di quota, da dove partono tanti percorsi alla scoperta delle Dolomiti di Fassa. In inverno Vigo è un punto di riferimento per chi ama lo sport sulla neve. Grazie agli impianti di risalita, direttamente dal borgo si può raggiungere gli impianti del Ciampedìe a circa 2.000 m s.l.m., al centro della Skiarea Catinaccio. Per i più piccoli invece c’è il Kinderpark Ciampedie Laurin, uno dei Baby Park più alti del mondo. Nella bella stagione invece il Ciampedìe diventa punto di partenza per tante escursioni nella natura, con meravigliosi panorami sulle Dolomiti. In estate poi non puoi perderti gli appuntamenti di Entorn Vich, con un ricco programma di eventi enogastronomici, concerti, esibizioni di gruppi folk e “revival” di antichi mestieri con artisti e artigiani del paese. Uno dei modi più gustosi per scoprire la tradizione ladina è assaggiando un piatto tipico, come ad esempio i cajoncie da fighes, ravioli con ripieno di fichi. Da provare poi i formaggi della zona come lo Cher de Fascia o il Puzzone di Moena Dop. ( Turismo in Trentino )

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LIBRERIA AIACE ROMA MONTESACRO – NOMENTANA – TALENTI via Ojetti 36

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MedioEvo by Libreria Aiace Roma Montesacro

Medioevo

La Civiltà dell’Occidente Medievale

«Ho centrato questo libro sui secoli tra il X e il XIII, che costituiscono in una piú ampia prospettiva un momento decisivo nell’evoluzione dell’Occidente», scrive Jacques Le Goff, nel presentare questo suggestivo panorama della civiltà medievale. La forza creatrice di quei secoli, infatti, è all’origine di molte delle innovazioni tipiche del mondo in cui viviamo: dalla nascita della città all’affermarsi di un nuovo modo di trasmettere il sapere e di studiare, legato alle università; al tempo stesso, nuove tecniche vengono allora messe in opera e «si fanno strada nuovi atteggiamenti nei confronti del tempo, del denaro, del lavoro, della famiglia». Caratteristica dell’attività storiografica di Le Goff è proprio la capacità di tendere a una visione del passato che ce lo ripresenti al di là degli schemi che irrigidiscono e isolano solo taluni fenomeni. Lo studioso francese pensa che tale impostazione sia particolarmente necessaria per un’epoca e una società che forse piú di ogni altra hanno sentito l’esigenza di una vita totalitaria. In questo modo ci troviamo davanti non solo a una narrazione densa e affascinante, ma a una grande lezione di storia, che ci mostra nelle loro profonde interdipendenze i vari atteggiamenti degli uomini. ( Einaudi Editore )

 

RECENSIONI LIBRI by Libreria Aiace Roma

 

La conversione di Ermanno l’Ebreo 

È la metà del XII secolo. Giuda è un giovane ebreo di Colonia. A soli tredici anni sogna di essere invitato a condividere la mensa e le ricchezze di un grande imperatore. Molti anni dopo, quando l’incontro con cristiani di fede incrollabile avrà innescato la sua crisi spirituale culminata nella conversione e nel sacerdozio, Giuda interpreterà il sogno come l’invito a unirsi ai cristiani per condividere la ricchezza della ‘vera fede’. Scrive così, con il nome di ‘Ermanno l’ex ebreo’, il racconto per i posteri della sua conversione. Dopo le Confessioni di sant’Agostino, l’Opusculum de conversione sua è una della prime autobiografie comparse in Occidente e ha posto agli storici un quesito insolubile: verità o finzione ? Ermanno l’Ebreo è esistito davvero, oppure è un personaggio confezionato dai chierici cristiani ? ( Editori Laterza  )

 

La Servitù nella Società Medievale

” In tutta l’Europa, nel Medioevo, gli uomini hanno parlato di libertà della persona e di servitù, vale a dire di privazione della libertà; i tribunali hanno cercato accuratamente, talora persino angosciosamente, di stabilire chi fosse libero e chi no. Ma secondo i paesi, secondo i tempi soprattutto, le realtà che queste parole sempre uguali pretendevano di esprimere hanno profondamente variato “. Marc Bloch

Nel medioevo si può parlare di servi, non di schiavi, come in età antica. Il diverso nome denota una differenza di sostanza: in età precristiana il padrone aveva un potere assoluto sullo schiavo, un potere che arrivava a disporne della stessa vita. Ora invece il servo ha dei precisi diritti, può essere proprietario anche di beni immobili, comprare e vendere, e il signore non ha su di lui un potere assoluto, ma prerogative ben delimitate. In ciò si può vedere l’influsso umanizzatore del Cristianesimo. La condizione servile è talmente poco insopportabile, che agli inizi dell’alto medioevo troviamo moltissimi casi in cui un uomo libero decide, liberamente, di rendersi servo. Certo, ciò avviene sotto la spinta di condizionamenti come la povertà, l’insicurezza, la precarietà, ma ci testimonia una larga tollerabilità dello stato servile.

 

Storia di Roma nel Medioevo

Il successore di Bonifacio VIII, Clemente V non mise mai piede a Roma, iniziando la serie di pontefici che ebbero la propria residenza presso la città francese di Avignone. Fu un periodo di forte decadenza per Roma, la cui economia si basava in larga parte sulla presenza della corte papale e sui pellegrinaggi. La rivalità tra gli Orsini e i Colonna non smise di manifestarsi, in particolare in occasione dell’arrivo in città nel 1312 dell’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, detto anche Arrigo, il quale dovette aprirsi con le armi la strada verso la Basilica di San Pietro. Papa Giovanni XXII nominò quindi Senatore della città e suo vicario, il re di Napoli Roberto d’Angiò, che governò la città per mezzo di funzionari. Nel 1328 giunse a Roma l’imperatore Ludovico il Bavaro, che venne incoronato da Sciarra Colonna nonostante l’opposizione del papa, causando l’interdetto papale contro la città. Nei successivi disordini l’imperatore fu costretto ad asserragliarsi entro le mura del Vaticano. Dopo la sua partenza Roberto d’Angiò riprese la carica di Senatore, che successivamente passò di nuovo allo stesso pontefice, Benedetto XIII.  Approfittando dell’assenza del papa, nel 1347 il Campidoglio, sede del Senato, venne occupato da Cola di Rienzo, un popolano che si proponeva di riportare Roma all’altezza del suo nome, ma il cui governo durò solo pochi mesi. Un suo secondo tentativo nel 1354 si concluse con la sua uccisione durante un tumulto. Il legato pontificio Bertrand de Deux provò allora a prendere possesso della città in nome della Chiesa e ad annullare i decreti del Tribuno, ma la restaurazione non andò in porto e nel 1358 la città si organizzò in un libero “comune di popolo”, che escludeva i magnati dalla gestione del potere e limitava l’ingresso dei ceti medi mercantili alle cariche pubbliche in una proporzione di minoranza di un “cavallerotto” ogni due popolari.  ( Wikipedia )

 

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Antropologia by Libreria Aiace Roma Montesacro

Tramonto-in-Sud-Africa

Poteri e identità in Africa subsahariana

Plasmate dalla storia, messe in scena sul teatro dell´alterità, le identità culturali appaiono spesso, in quella che si definisce post-colonia, oggetti intrattabili, e le loro retoriche rivelano la posta in gioco tutta politica che può esprimersi in uno spettacolo musicale, nelle barocche composizioni dei saperi della cura o nel ricorso alle forze dell´invisibile. I contributi del libro, per la maggior parte realizzati all´interno della Missione Etnologica Italiana in Africa Subsahariana, esplorano questo scenario dominato dall´insicurezza spirituale ed economica, dalla diffidenza e dalle accuse di stregoneria o da altre forme di violenza: l´obiettivo è analizzare le riconfigurazioni del potere e del sacro, la storicità propria delle società africane e l´immaginario al cui interno si affermano soggettività aggressive e inquiete. ( Liguori Editore )

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Manuali di Lingue straniere by Libreria Aiace Roma Montesacro

Lingua cinese

La Lingua Cinese

La lingua cinese nella sua accezione più generica è una vasta e variegata famiglia linguistica composta da centinaia di varietà linguistiche locali distinte e spesso non mutuamente intelligibili. Queste varianti fanno parte della famiglia delle lingue sino-tibetane, evolutesi a partire dalla fine del III secolo a.C. nell’area geografica grossomodo corrispondente alla Cina continentale durante l’affermazione, espansione e successiva decadenza delle Dinastie Qin e Han. Sono dunque note anche come “lingue sinitiche”, nate da una probabile divisione del Proto-Sino Tibetano / Trans-Himalayano rispettivamente in ceppo sinitico e in Tibeto-Birmano. Le lingue sinitiche sono poi suddivisibili in vari gruppi di dialetti. Ciascuna varietà locale del cinese ha comunque delle caratteristiche in comune con le altre: è caratterizzata dal fatto di essere una lingua tonale, isolante, in cui vige l’ordine dei costituenti SVO, la cui evoluzione è stata influenzata e determinata in maniera importantissima dall’esistenza di un sistema di scrittura standard basato sui caratteri cinesi. Il cinese ha la grande pecularità di non avere un alfabeto, ma di essere scritto con un corpus di decine di migliaia di caratteri detti “sinogrammi” o “caratteri cinesi” ( i più diffusi comunque sono 3000/3500 ) nati in origine per essere incisi sulle ossa oracolari messe a crepare sul fuoco per effettuare delle divinazioni. Sono basati su un sistema di unità minime, i radicali, di cui esistono due versioni / liste / sistemi fondamentali: i 214 radicali Kangxi, che sono lo standard pure nelle lingue sino-xeniche, e i loro antenati, i 540 radicali Shuowen. Con queste unità minime, la scrittura, ricerca su dizionari cartacei e digitali e memorizzazione è molto più agevole, come anche la ricerca filologica e paleografica a partire dalle ossa oracolari e dai bronzi del periodo Shang e Zhou, laddove già attestati. La pronuncia viene oggi indicata con un sistema di romanizzazione, il pinyin, che però non è un alfabeto. I caratteri cinesi sono stati pure esportati in Corea, Giappone e Vietnam. Il cinese, stando a Ethnologue 2020, è parlato da 1,3 miliardi di persone e la varietà mandarina / settentrionale ha 1,12 miliardi di parlanti ( gran parte lo parla come lingua nativa ); quest’ultima è la prima famiglia linguistica con maggior numero di parlanti nativi al mondo. Come parlanti totali, è al secondo posto, appena sotto l’inglese. ( Wikipedia )

 

 

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Italia: i Grandi Eventi del Novecento by Libreria Aiace Roma Montesacro

Vajont.2

Il Disastro del Vajont

Il disastro del Vajont è stato un disastro ambientale ed umano verificatosi la sera del 9 ottobre 1963, nel neo-bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont nell’omonima valle ( al confine tra Friuli e Veneto ), dovuto alla caduta di una frana dal soprastante pendio del Monte Toc nelle acque del bacino alpino realizzato con l’omonima diga; la conseguente tracimazione dell’acqua contenuta nell’invaso, con effetto di dilavamento delle sponde del lago, coinvolse prima Erto e Casso, paesi vicini alla riva del lago dopo la costruzione della diga, mentre il superamento della diga da parte dell’onda generata provocò l’inondazione e la distruzione degli abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone, e la morte di 1917 persone. Le cause della tragedia, dopo numerosi dibattiti, processi e opere di letteratura, furono ricondotte ai progettisti e dirigenti della SADE, ente gestore dell’opera fino alla nazionalizzazione, i quali occultarono la non idoneità dei versanti del bacino, a rischio idrogeologico. Dopo la costruzione della diga si scoprì infatti che i versanti avevano caratteristiche morfologiche ( incoerenza e fragilità ) tali da non renderli adatti ad essere lambiti da un serbatoio idroelettrico. Nel corso degli anni l’ente gestore e i suoi dirigenti, pur essendo a conoscenza della pericolosità, anche se supposta inferiore a quella effettivamente rivelatasi, coprirono con dolosità i dati a loro disposizione, con beneplacito di vari enti a carattere locale e nazionale, dai piccoli comuni interessati fino al Ministero dei lavori pubblici.

9 Ottobre 1963

Alle 22:39 del 9 ottobre 1963, circa 260 milioni di m³ di roccia ( un volume più che doppio rispetto a quello dell’acqua contenuta nell’invaso ) scivolarono, alla velocità di 30 m/s ( 110 km/h ), nel bacino artificiale sottostante (che conteneva circa 115 milioni di m³ d’acqua al momento del disastro) creato dalla diga del Vajont, provocando un’onda di piena tricuspide che superò di 250 m in altezza il coronamento della diga e che in parte risalì il versante opposto distruggendo tutti gli abitati lungo le sponde del lago nel comune di Erto e Casso, in parte ( circa 25-30 milioni di m³ ) scavalcò il manufatto ( che rimase sostanzialmente intatto, pur avendo subito forze 20 volte superiori a quelle per cui era stato progettato, seppur privato della strada carrozzabile posta nella parte sommitale ) e si riversò nella valle del Piave, distruggendo quasi completamente il paese di Longarone e i comuni limitrofi, e in parte ricadde sulla frana stessa ( creando un laghetto ). Vi furono 1917 vittime di cui 1450 a Longarone, 109 a Codissago e Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e 200 originarie di altri comuni. L’evento fu dovuto a una serie di cause, di cui l’ultima in ordine cronologico fu l’innalzamento delle acque del lago artificiale oltre la quota di sicurezza di 700 metri voluto dall’ente gestore, operazione effettuata ufficialmente per il collaudo dell’impianto, ma con il plausibile fine di compiere la caduta della frana nell’invaso in maniera controllata, in modo che non costituisse più pericolo. Questo, combinato a una situazione di abbondanti precipitazioni meteorologiche e a forti negligenze nella gestione dei possibili pericoli dovuti al particolare assetto idrogeologico del versante del monte Toc, accelerò il movimento della antica frana presente sul versante settentrionale del monte Toc, situato sul confine tra le province di Belluno ( Veneto ) e Pordenone ( Friuli-Venezia Giulia ). I modelli usati per prevedere le modalità dell’evento si rivelarono comunque errati, in quanto si basarono su una velocità di scivolamento della frana nell’invaso fortemente sottostimata, pari a un terzo di quella effettiva. ( Wikipedia )

 

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Letteratura Europea by Libreria Aiace Roma Montesacro

Europa 1800

Letteratura polacca: Bolesław Prus

Bolesław Prus, pseudonimo di Aleksander Głowacki ( Hrubieszów, 20 agosto 1847 – Varsavia, 19 maggio 1912 ), è stato uno scrittore e giornalista polacco, celebre esponente della Letteratura polacca e, più in generale, europea, noto soprattutto per i romanzi La bambola ( 1887-1889 ) e Il Faraone ( 1894-1895 ). È ricordato tra gli autori positivisti e, assieme all’amico Julian Ochorowicz è forse il maggior scrittore polacco di questo movimento. Nei suoi romanzi ha narrato la società polacca del suo tempo, con particolare attenzione alla nascente borghesia. Scelse lo pseudonimo Prus, poiché era legato da vincoli familiari ai Prus, famiglia prestigiosa appartenente alla Szlachta ( la nobiltà polacca ). Fu legato, come tanti altri autori suoi connazionali prima e dopo di lui, tanto alla Patria da prender parte, appena quindicenne, alla Rivolta di Gennaio ( 1863 ) contro l’Impero Russo oppressore: fu per questo catturato e imprigionato. Divenne giornalista nel 1872 a Varsavia e partecipò attivamente alla vita culturale della città. Occasionalmente, su alcuni quotidiani sono comparsi suoi brevi racconti e romanzi. Realizzata l’impossibilità di poter ottenere all’epoca l’indipendenza della Polonia dall’Impero, si dedicò attivamente allo studio dei problemi sociali del tempo. ( Wikipedia )

 

 

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Ideologie by Libreria Aiace Roma Montesacro

Lenin

Marx: Il Capitale

Il Capitale ( Das Kapital ) è l’opera maggiore di Karl Marx, considerata il testo-chiave del marxismo e una delle opere principali per la filosofia marxista. Il Libro I del Capitale fu pubblicato quando l’autore era ancora in vita ( l’11 settembre 1867 ), gli altri due uscirono postumi. Il Libro II ed il III uscirono a cura di Friedrich Engels rispettivamente nel 1885 e nel 1894, mentre il Libro IV venne pubblicato ( 1905-1910 ) da Karl Kautsky con il titolo di Teorie del plusvalore. Il Capitale non può essere considerato soltanto un trattato di economia in quanto – parlando del sistema economico – Marx espone anche le caratteristiche generali della società capitalistica e dei rapporti che ci sono tra i suoi componenti.  Alla base del Capitale c’è la tesi del materialismo storico, che si propone di spiegare attraverso la Dialettica, considerata come metodo, le condizioni e le caratteristiche della vita materiale attraverso le contraddizioni a cui danno luogo.  Secondo Marx inoltre le condizioni e le caratteristiche della vita materiale, incidono inevitabilmente sugli altri aspetti della vita sociale, in quanto esiste una struttura, che è costituita dall’economia, che determina varie sovrastrutture, che da questa dipendono. Marx analizza il sistema capitalistico per capire come questo sia nato, in modo particolare come si sia sviluppato e evidenzia le contraddizioni insite in questo modo di produzione. L’Autore è convinto che le caratteristiche delle diverse società storicamente esistite dipendano essenzialmente dai mezzi di produzione e dalle tecniche produttive utilizzati, nonché dei rapporti sociali di produzione. Per rapporti sociali di produzione si intendono i rapporti tra le varie classi che si fronteggiano nel processo produttivo. Per esempio il sistema schiavistico era basato sullo schiavo non libero e su un rapporto del tutto dispotico tra padrone e schiavo. La società feudale invece aveva sciolto questo vincolo ferreo, ma pur tuttavia le classi sfruttate erano tenute a effettuare prestazioni lavorative ( ad esempio le corvé ) per le classi dominanti in virtù di vincoli determinati da leggi, da regole religiose ecc. In sostanza neppure nel medioevo gli uomini erano tutti uguali di fronte alla legge. Con le rivoluzioni borghesi, invece, nelle società evolute si è affermato il modo di produzione capitalistico, in cui gli uomini sono tutti uguali davanti alla legge. Pur tuttavia i proletari sono costretti a lavorare per i proprietari dei mezzi di produzione a causa di una dipendenza che è tutta economica. Infatti la concentrazione della proprietà dei mezzi di produzione e dei mezzi di sussistenza dei lavoratori nelle mani di alcuni, costringe chi non ha niente a dover vendere le sue prestazioni lavorative per poter sopravvivere e mantenere la famiglia. ( Wikipedia )

 

Rinascita: la rivista fondata nel 1944 da Palmiro Togliatti

La rivista, che uscì a Salerno nel giugno del 1944, per trasferirsi a Roma nell’ottobre dello stesso anno, portava nel n.1 il titolo di testata “La Rinascita”. Per i primi decenni la periodicità della rivista fu mensile, fino alla primavera del 1962 quando si trasformò in settimanale. Fondata dal leader comunista Palmiro Togliatti si presenta come lo strumento per aprire la strada italiana al socialismo. Le linee del disegno togliattiano appaiono subito chiare dal “Programma” che esce sul primo numero: “Il nostro scopo principale è di fornire una guida ideologica a quel movimento comunista il quale, stretto alleato del movimento socialista, è parte integrante ed elemento dirigente del moto di rinnovamento profondo che sempre più tende oggi a manifestarsi e affermarsi in tutti i campi della vita del nostro paese (…) Le dottrine di Marx e di Engels, di Lenin e di Stalin, devono diventare nel nostro paese patrimonio sicuro dell’avanguardia proletaria e delle avanguardie intellettuali (…). Non siamo capaci di elevare barriere artificiose od ipocrite tra le sfere diverse dell’attività – economica, politica, intellettuale, – di una nazione. Non separiamo e non possiamo separare le idee dai fatti, il corso del pensiero dallo sviluppo dei rapporti di forza reali, la politica dall’economia, la cultura dalla politica, i singoli dalla società, l’arte dalla vita reale (…) E come la rinascita del movimento operaio è inizio e sarà nei suoi sviluppi fonte sicura di rinnovamento di tutto il paese, così la ripresa di un movimento di pensiero marxista non può non significare inizio di rinnovamento in tutti i campi dell’attività nostra intellettuale e culturale”. “Rinascita” ha rappresentato nel 1944, con la sua presenza costante nel dibattito politico-culturale italiano, lo strumento di elaborazione e diffusione della politica culturale del PCI. Fin dal primo numero apparve sulle pagine della rivista la pubblicazione delle Lettere dal carcere di Gramsci che continuò negli anni seguenti e comparvero i primi articoli di polemica della letteratura e cultura del ventennio fascista. Nell’agosto 1989 Rinascita sospese le pubblicazioni per riprenderle cinque mesi dopo ( gennaio 1990 ), sotto la direzione di Alberto Asor Rosa, con una nuova numerazione ed un nuovo formato, fino al 18 febbraio 1991 quando uscì in edicola il numero conclusivo di Rinascita. ( Wikipedia )

 

Marx: Storia delle Teorie Economiche

Karl Marx ( 1818-1883 ) rielaborò le tesi di Smith e di Ricardo, sostenendo che il valore di scambio delle merci dipende dal tempo di lavoro necessario alla loro produzione e che è merce anche la «forza lavoro», remunerata col salario. Il capitalista, secondo Marx, impiega «capitale costante» e «capitale variabile». Il primo è costituito dai mezzi di produzione (impianti, macchinari, materie prime ecc.) e si limita a trasferire il proprio valore nel prodotto finito; il secondo è costituito dal lavoro umano, che genera valore. Ma il lavoratore, secondo Marx, è occupato per un tempo di lavoro superiore a quello necessario per riprodurre il valore dei beni necessari alla sua sussistenza; il capitalista si appropria del tempo di lavoro eccedente, del «pluslavoro», da cui ricava un plusvalore che è all’origine del profitto. In ciò, secondo Marx, consiste lo sfruttamento dei lavoratori da parte dei capitalisti. Al tempo stesso, Marx sosteneva che i continui investimenti in capitale costante ( impianti e macchinari ), diminuendo la quota del lavoro sul capitale complessivamente impiegato, avrebbero determinato sia una sempre maggiore concentrazione industriale, sia una riduzione del capitale variabile, quindi della base stessa dei profitti. Da ciò dedusse una legge della «caduta tendenziale del saggio di profitto». La concentrazione industriale, inoltre, avrebbe favorito l’organizzazione dei lavoratori come classe, al punto da consentire loro di appropriarsi dei mezzi di produzione e di dar vita ad un nuovo sistema economico, il comunismo. ( Wikipedia )

 

Storia del Socialismo Britannico

Verso la fine dell’Ottocento, insieme alla Germania, l’Inghilterra era lo stato in cui gli scioperi dalla classe operaia erano più numerosi e partecipati. Per eliminare questa malattia
cronica ( l’espressione è di Élie Halévy ) non si fece ricorso alla violenza, ma a un altro strumento, tanto subdolo quanto efficace. Durante ogni loro protesta, infatti, inevitabilmente
gli operai finivano per violare una o più norme pubbliche; a partire dal 1895, una legge
approvata dal Parlamento impose che toccasse al sindacato pagare tutte le ammende e le
sanzioni pecuniarie imposte dalle autorità a seguito di tali infrazioni.
Temporaneamente bloccate da questo micidiale stratagemma, le agitazioni ripresero
vigore nel 1905 ( l’anno della prima rivoluzione russa ) e nel 1911, allorché gli scioperi
furono diretti e organizzati da Ben Tillett (1860-1943) e Tom Mann (1856-1941). Tali
scioperi rivoluzionari coinvolsero soprattutto gli operai dei trasporti e i ferrovieri; per la
prima volta, ci furono anche espliciti appelli all’uso della forza e della violenza da parte
di alcuni dirigenti sindacali britannici. La tempesta proseguì nel 1912 ( sciopero dei minatori ) e nei primi mesi del 1914: e mentre gli operai dei trasporti, i ferrovieri e i minatori ricevevano dai loro avversari il nomignolo dispregiativo di Triplice Alleanza Industriale, i sindacalisti più radicali sognavano addirittura lo sciopero generale rivoluzionario e il controllo diretto sulle imprese industriali da parte della classe operaia. La guerra pose fine a questa ondata di proteste guidate da estremisti, che resta
comunque decisamente anomala. In effetti, anche in questo momento di tensione sociale
particolarmente acuta, i rivoluzionari veri erano un’infima minoranza. Persino tra coloro
che aveva aderito agli scioperi, la maggioranza non inseguiva utopie messianiche d’alcun
genere: semplicemente, si era convinta che la determinazione a non cedere, da parte dei
capitalisti, esigesse una forma di lotta eccezionalmente dura, che non poteva escludere a
priori la violenza. ( Sei Editrice )

 

 

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La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Scienze & Medicina by Libreria Aiace Roma Montesacro

Luna esplorazione

Chi sono i nemici della Scienza ?

Giorgio Israel: Molti in Italia lamentano una crescente ostilità nei confronti della scienza. Il modo di curare questa situazione consisterebbe nel propinare una overdose di informazione scientifica sui giornali e in televisione. In realtà questa soluzione è parte del malessere di cui soffre oggi la scienza, ridotta sempre più a mera tecnica e a spettacolo, un malessere che affonda le radici nel più ampio dissesto della scuola italiana, che ha rigettato l’idea fondamentale per cui l’istruzione è soprattutto un processo educativo.

Antropologia culturale – Le Sirene: la seduzione dall’antichità ad oggi

Dal mare color del vino del racconto omerico sono migrate per giungere fino a noi, saltando come delfini da un genere all’altro, risalendo le correnti della rappresentazione, dall’oralità alla scrittura, dalla poesia alla pittura, dal cinema alla televisione, dall’analogico al digitale. Sono le sirene, che nel corso del loro viaggio interminato e interminabile hanno cambiato più volte sembiante. E continuano ad affiorare alla superficie della contemporaneità dai gorghi del nostro immaginario proprio perché restano i simboli della fluidità dell’essere. Il canto delle sirene ci seduce come la voce dell’amante natura che sembra volerci parlare, per poi voltarci le spalle incompresa. E tornare a inabissarsi nel suo mistero. ( Il Mulino )

 

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Perù

Storia del Perù: l’Invasione Spagnola

Gli spagnoli avevano conquistato progressivamente i Caraibi e le regioni occupate dagli Aztechi ( Messico ) e dai Maya ( America centrale ), iniziando quindi l’esplorazione dell’America meridionale. Già nel 1515 a Panama, presso gli spagnoli, non si parlava d’altro di una terra ricca d’oro. Nel 1508 una nave mandata in ricognizione in Brasile era venuta a conoscenza che all’interno del paese viveva un ricco popolo con le armature coperte d’oro. Probabilmente questi portoghesi erano venuti in contatto con la tribù dei Cario ( che occupavano la parte meridionale del Brasile ) e che erano in rapporti commerciali con gli inca. Nel 1526 Sebastiano Caboto ( figlio del famoso navigatore ), avendo sentito parlare delle favolose ricchezze del Pirù ( o Birù come era allora anche chiamato ) cominciò a risalire il Rio della Plata alla ricerca di oro e argento. Ma il suo viaggio fallì miseramente e dopo lunga permanenza nei pressi dell’odierna Santa Fe, fu obbligato a rientrare in Spagna. Tra il 1521 ed il 1525 Alejo García risalì il fiume Paraguay e continuò via terra arrivando fino ai confini est dell’impero inca ( dopo aver assoldato al proprio servizio anche indiani Guaranì ). Fece delle razzie e ritornò con un ricco bottino. Ma il mito del El Dorado doveva spingere altri avventurieri. Nel 1535 Pedro de Mendoza risaliva il Rio della Plata alla ricerca di una terra ricchissima sopportando incredibili disavventure e fallimenti. In realtà cercava una terra già scoperta. Il Perù venne visitato da Pascual de Andagoya nel 1522 e nel 1524 Francisco Pizarro ne raggiunse le coste in navigazione nell’Oceano Pacifico. In una seconda spedizione ( 1526-1528 ) si spinse nuovamente a sud fino a Río Santa e scoprì la prosperità delle popolazioni Inca che abitavano il territorio, riportandone oro, lama e alcuni indigeni. Tornato in Spagna, Pizarro ottenne dal re Carlo I aiuti e la nomina a viceré e governatore delle terre che avesse conquistato, e intraprese nel 1530 una terza spedizione insieme a Diego de Almagro, muovendosi per mare da Panama con tre navi fino alle coste dell’Ecuador. Si spinse quindi via terra fino in Perù, dove giunse nel 1532 dopo aver superato con una faticosa marcia le Ande. Il Perù era allora in preda a una guerra civile tra il figlio prediletto del re Huayna Cápac, Atahualpa ed il fratellastro Huáscar. Atahualpa dopo una battaglia vinta contro il fratellastro si trovava a Cajamarca. Il 15 novembre 1532 Pizarro arrivò a Cajamarca. Il giorno dopo catturò con l’inganno l’ultimo imperatore, Atahualpa, che, nonostante la straordinaria quantità di oggetti d’oro provenienti da tutto l’impero offerti per il riscatto, rimase  prigioniero. Egli venne ucciso nell’agosto del 1533. La capitale inca, Cuzco, venne distrutta nel successivo novembre e le popolazioni indigene vennero massacrate. Il perché Atahualpa permise agli spagnoli di entrare nel suo territorio, senza opporre alcuna resistenza e perché cadde così facilmente è ancora un mistero. Ricordiamo come gli spagnoli fossero 162 e gli inca circa 500 volte di più ( battaglia di Cajamarca ) Tra le ipotesi: – l’impero era in crisi ed era diviso da una guerra civile, scoppiata dopo una terribile epidemia di vaiolo che era giunto in America centrale e sud America con gli spagnoli 30 anni prima. La stessa epidemia aveva praticamente distrutto la corte di Huayna Capac. – gli spagnoli erano dotati di cavalli che gli inca non conoscevano. – gli spagnoli erano dotati di lance, spade e pugnali in acciaio, gli inca avevano solo bastoni, mazze ed asce fatte di pietra. – l’effetto psicologico di solo 12 archibugi degli spagnoli può aver contribuito. – Il fatto che gli spagnoli montassero dei cavalli, illuse gli Inca che fossero Dèi scesi dal cielo, e quindi amici. ( Wikipedia )

 

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