Libri Rari: Novità by Libreria Aiace

Libreria

Essere un libraio oggi, che vuol dire ?

“Il mestiere del libraio, con buona pace di chi ci vorrebbe ormai dinosauri in via di estinzione, non invecchia. E mi permetto di dire che, se lavorano con competenza, passione ed entusiasmo, i librai hanno un ruolo importante nella nostra società. Per svolgerlo al meglio, però, devono esserne consapevoli. Ecco perché, ogni volta che ne ho occasione, ribadisco la necessità di una formazione adeguata: abbiamo bisogno di librai, non di semplici venditori di libri! Quello che davvero è cambiato, rispetto al passato, è la necessità di aggiornarsi rispetto alle evoluzioni tecnologiche e accettare che il libro coabiti all’interno della libreria con altri prodotti. Sempre, naturalmente, all’insegna della qualità. A mio avviso, il prodotto che meglio degli altri si abbina al libro è il cibo, meglio se locale: una proposta congiunta di cibo per il corpo e cibo per la mente!” ( Fonte: La Repubblica – I libri ti cambiano la vita
a cura di Romano Montroni – Longanesi )

Libreria Aiace Roma via Ojetti 36 Montesacro – Nomentana – Talenti

La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Libri & Letture

 

Aggiornato al 30 Novembre 2023

 

 

Libreria Aiace Roma – Libri Rari & Libri da Collezione

Biblioteca-Praga

Perché collezionare libri

I criteri che rendono un libro antico raro e ricercato nel tempo vanno distinti dalla moda rispetto al pregio di lunga durata: “Non esiste una tipologia specifica di libro più ricercato. Sebbene il criterio di rarità sia quello predominante, come tutti i beni di collezionismo anche i libri riflettono delle mode del momento. È sempre affascinante ed istruttivo sfogliare i vecchi cataloghi per confrontare i prezzi dei libri e osservare come siano aumentati o diminuiti a seconda della domanda e della moda; fino a una ventina di anni fa l’enciclopedia Treccani, fasto e prestigio degli studi dei liberi professionisti, costava diversi milioni di lire, oggi non si vende a più di 1.000 euro, questo perché la Treccani è passata di moda e perché la funzione delle enciclopedie in generale è stata sostituita da Internet…

Trent’anni fa le prime edizioni del ‘900 si potevano trovare a buon prezzo nelle bancarelle, come ad esempio la prima edizione dei Canti Orfici di Campana che oggi vale quasi 10.000 euro.

Chi compra libri lo fa principalmente per passione, per investimento o per entrambi: i libri particolarmente rari e ricercati sono sempre stati quelli con valutazioni in crescita, come dimostrano i rialzi in asta provenienti da tutte le parti del mondo.

Naturalmente i migliori investimenti sono quelli di lunga durata, purché tendenzialmente diversificati nelle materie». Nella sezione “Manoscritti e Incunaboli” dell’asta Gonnelli di gennaio uno straordinario Libro D’Ore siciliano pergamenaceo della seconda metà del XV secolo, con numerose miniature, è stato aggiudicato per 21.250 euro. Nella sezione dei “Libri dal XVI al XX secolo” la Encyclopédie méthodique, ou par ordre de matières; par une société de gens de lettres, de savants et d’artistes. Précédée d’un Vocabulaire universel del 1784 – 1817 di Charles-Joseph Panckoucke, una delle più imponenti imprese editoriali dell’Illuminismo, è stata aggiudicata a 20.000 euro contro una base di 9mila. Nella sezione dedicata alla collezione di libri illustrati di letteratura cavalleresca, galante ed erotica del professore ferrarese Vittorio Vigi, il volume “La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso con le figure di Giambatista Piazzetta alla sacra real maestà di Maria Teresa d’Austria” del 1745, è stato aggiudicato a 4.750 euro contro una base di 2.600 euro. ( Fonte: Il Sole 24 Ore )

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Libri & Letture

Aggiornato al 30 Novembre 2023

 

Il Piacere della Lettura: Proposte Letterarie

Leggere.1

BiblioTerapia

“Già Aristotele credeva che la letteratura potesse avere un’influenza positiva e curativa sulle persone, e i romani evidenziarono come potesse esserci un legame tra medicina e lettura, ma è stato solo nel 1937 che Menninger iniziò a parlare di libro-terapia nella cura delle malattie mentali.

Con il termine biblioterapia s’intende l’utilizzo di testi letterari, quali romanzi, ma anche saggi, come mezzo per promuovere il benessere psicologico, sociale, culturale, per ampliare la consapevolezza; ma anche come strumento di auto-aiuto attraverso cui assimilare conoscenze per far fronte a situazioni di disagio psicologico, sociale ecc.” ( Tratto da PsychonDesk http://www.psychondesk.it/ )

Nozze per i Bastardi di Pizzofalcone

Una ragazza, nuda, in una grotta che affaccia su una spiaggia appartata della città; l’hanno uccisa con una coltellata al cuore. Un abito da sposa che galleggia sull’acqua. In un febbraio gelido che sembra ricacciare indietro nell’anima i sentimenti, impedendogli di uscire alla luce del sole, Lojacono e i Bastardi si trovano a indagare su un omicidio che non ha alcuna spiegazione evidente. O forse ne ha troppe. Ognuno con il proprio segreto, ognuno con il proprio sogno ben nascosto, i poliziotti di Pizzofalcone ce la metteranno tutta per risolvere il mistero: la ragazza della grotta lo esige. Perché non solo qualcuno le ha tolto il futuro, ma lo ha fatto un attimo prima di un giorno speciale. Quello che doveva essere il piú bello della sua vita. ( Fonte Einaudi )

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Libri & Letture

 Aggiornato al 28 Novembre 2023

Leggere Leggere Leggere by Libreria Aiace Roma

Catullo

Catullo e i Poeti Nuovi

Catullo è per noi uno dei più noti rappresentanti della scuola dei neòteroi, poetae novi, ( cioè “poeti nuovi” ), che facevano riferimento ai canoni dell’estetica alessandrina e in particolare al poeta greco Callimaco, creatore di un nuovo stile poetico che si distacca dalla poesia epica di tradizione omerica divenuta a suo parere stancante, ripetitiva e dipendente quasi unicamente dalla quantità ( in riferimento all’abbondanza dei versi di quest’ultima ) piuttosto che dalla qualità. Sia Callimaco che Catullo, infatti, non descrivono le gesta degli antichi eroi o degli dei, ma si concentrano su episodi semplici e quotidiani. Per giunta, i neòteroi si dedicano all’otium letterario piuttosto che alla politica per rendere liete le loro giornate, coltivando il loro amore solo ed esclusivamente alla composizione di versi, tanto che Catullo dichiara nel carme 51: Otium, Catulle, tibi molestum est:/ otio exsultas nimiumque gestis [ L’ozio per te, Catullo, non è buono;/ nell’ozio smani e ti scalmani ]. Talvolta il poeta ostenta il suo disinteresse per i grandi uomini che lo circondavano e che stavano scrivendo la storia: nihil nimium studeo, Caesar, tibi velle placere [ non m’interessa, Cesare, di andarti a genio ] (carme 93), scrive al futuro conquistatore della Gallia. Da questa matrice callimachea proviene anche il gusto per la poesia breve, erudita e mirante stilisticamente alla perfezione. Si sviluppano, originari dell’alessandrinismo e nati da poeti greci come Callimaco, Teocrito, Asclepiade, Fileta di Cos e Arato, generi quali l’epillio, l’elegia erotico-mitologica e l’epigramma, che più sono apprezzati e ricalcati dai poeti latini.

Poetae novi

Il termine è la traduzione dell’aggettivo greco di grado comparativo νεώτεροι ( neòteroi ), denominazione che implicava desiderio di innovazione, data polemicamente da Cicerone al capitolo 161 dell’Orator che non risparmiò loro anche il nomignolo di cantores Euphorionis ( Tusculanae disputationes III, 45 ) per il gusto ellenizzante e aristocratico che essi possedevano e per il loro atteggiamento da innovatori.
Iniziati all’arte poetica da Partenio di Nicea ed educati idealmente alla scuola di Valerio Catone, dichiararono guerra ai lunghi poemi di imitazione enniana, preferendo gli epilli, i carmina docta, la poesia lirica. Il tono della loro poesia era spesso scherzoso e lieve ed è per questo che i loro componimenti, per quanto sempre raffinati e preziosi nella forma, venivano chiamati παίγνια ( pàignia ) in greco e nugae in latino, tradotto alla lettera “bagatelle”, “sciocchezze”, “cosucce”, “cose di poco conto”. I poetae novi erano legati da reciproca amicizia, vivevano in modo libero e spregiudicato ed erano avversi a Cesare. La loro poesia evitava infatti i grandi temi tradizionali del genere epico e drammatico, non amava trattare argomenti di carattere politico e sociale, ma si volgeva soprattutto alla sfera personale e aveva come tema centrale l’amore. ( Wikipedia )

Negozio Online by Libreria Aiace su eBAY: Catullo

 

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Libri & Letture

Aggiornato al 28 Novembre 2023

Libri Rari & Perduti nel Tempo: Proposte di Lettura

Biblioteca Alessandria Egitto

I dieci libri antichi andati perduti

Enciclopedie, testi sacri, scienza e opere letterarie: sono molti i testi antichi andati perduti nel corso della Storia e che oggi nessuno ha più modo di leggere.
Interessante l’articolo a firma di Giuliana Rotondi pubblicato nel 2018 su Focus ( https://www.focus.it/cultura/storia/la-top-ten-dei-libri-antichi-perduti )
 

1. I LIBRI SIBILLINI: erano una raccolta di responsi oracolari delle Sibille, le sacerdotesse degli dei ( soprattutto di Apollo ). I testi, scritti in greco e conservati nel tempio di Giove Capitolino, sul Campidoglio, erano custoditi da un collegio di sacerdoti e per nove secoli vennero considerati l’unico riferimento da consultare nel momento del bisogno, durante ogni crisi politica. Bruciarono in un incendio del tempio, nell’83 a.C. Si tentò di ricostruirli per ordine dell’imperatore Augusto, ma anche queste copie non ebbero fortuna: nel V secolo furono distrutte, pare per ordine del vandalo Stilicone che temeva potessero finire nelle mani dei visigoti. A noi sono giunti solo alcuni frammenti di pochi versi.

2. LE POESIE DI SAFFO: nel VI secolo a.C. la poetessa greca Saffo compose oltre diecimila versi. Gli studiosi della biblioteca di Alessandria raccolsero le sue opere in otto o forse nove libri. Di questa produzione ci è rimasto ben poco, appena pochi frammenti. L’unico componimento che ci è giunto per intero è L’inno ad Afrodite, una lirica dedicata all’amore.

3. L’ACHILLEIS DI ESCHILO: è una trilogia del drammaturgo greco Eschilo ( V secolo a.C. ). L’Achilleis riproponeva la guerra di Troia sotto forma di tre tragedie: i Mirmidoni, le Nereidi e i Frigi. Di queste tre opere teatrali esistono oggi solo pochi frammenti, anche se gli storici, partendo dalle citazioni di altri autori, sono riusciti a ricostruire il loro contenuto complessivo con ragionevole certezza.

4. I CODICI MAYA: sono libri della cultura precolombiana Maya, scritti fin dal IX secolo in geroglifici su stoffa di corteccia mesoamericana, una particolare “carta” utilizzata in quelle regioni. I libri erano molti, ma oggi ne sopravvivono meno di cinque: tutti gli altri vennero bruciati dai conquistatores nel Cinquecento.

5. I PAÑCHATANTRA: era una raccolta di antiche favole indiane in prosa o in versi, diffusa già nel 100 a.C. Non sappiamo quando fu scritta, perché l’opera originale è andata perduta: a noi sono giunte solo traduzioni e rifacimenti spesso molto differenti tra loro.

6. L’AVESTA: del libro sacro dell’antica religione zoroastriana della Persia sopravvive solo una collezione di frammenti, circa un quarto del testo originale. Gli ultimi manoscritti completi potrebbero essere bruciati quando Alessandro Magno conquistò Persepoli, nel 330 a.C.

7. IL SESTO CLASSICO DI CONFUCIO: un corpus di libri attribuito a Confucio che ancora oggi è considerato fondamentale nella letteratura classica cinese. Ci sono pervenuti i “Cinque Classici”, dedicati alla poesia, alla retorica, ai riti antichi, alla storia e alla divinazione. Il sesto libro, quello sulla musica, potrebbe essere scomparso nel III secolo a.C.

8. L’ENCICLOPEDIA YONGLE: fu commissionata dall’imperatore Yongle, della dinastia cinese Ming, nel 1403. Il progetto era enorme: per realizzarlo vi lavorarono 2.000 studiosi che scrissero 8.000 testi raccontando la storia cinese dai tempi antichi fino agli inizi della dinastia Ming. Ne uscirono 11.000 volumi su argomenti che spaziavano dall’agricoltura all’arte, alla teologia e alle scienze naturali. Molti volumi bruciarono nella Ribellione popolare cinese dei Boxer ( 1901 ): a noi è arrivato solo il 3% dell’opera.

9. I TRATTATI DI ALHAZEN: matematico medievale, astronomo e fisico, Alhazen scrisse un trattato di ottica ed elaborò un metodo scientifico che influenzò molti pensatori europei dei secoli successivi. Ancora oggi è considerato il padre dell’ottica moderna. I suoi studi contribuirono a mettere in discussione le vecchie teorie sulla natura e la diffusione delle immagini visive. Fino a quel momento infatti si riteneva che la luce fosse un’elaborazione soggettiva e relativa della psiche umana.

10. I LIBRI PERDUTI DELLA BIBBIA: La Bibbia che conosciamo noi è una versione parziale dei testi originari, accettata dalla gerarchia ecclesiastica. Sarebbero però esistiti anche diversi libri oggi mancanti a cui le Sacre Scritture fanno riferimento, come il Libro delle Battaglie di Jahvé citato nel Libro dei numeri o il Libro delle Cronache dei Re di Israele, di cui non si ha più alcuna traccia.

I libri perduti nel tempo, vivono per sempre, in attesa del giorno in cui potranno tornare nelle mani di un nuovo lettore, di un nuovo spirito. “L’ombra del vento” Carlos Ruiz Zafòn 

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Aggiornato al 28 Novembre 2023

Storia della Rote Armee Fraktion: Ulrike Mainhof

RAF

Rote Armee Fraktion

La Rote Armee Fraktion ( Frazione dell’Armata Rossa ), abbreviata in RAF e nelle prime fasi conosciuta comunemente come Banda Baader-Meinhof, è stata uno dei gruppi terroristici di estrema sinistra più importanti e violenti nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Fondata il 14 maggio 1970 da Andreas Baader, Ulrike Meinhof, Gudrun Ensslin e Horst Mahler, fu attiva fino al 1993 e formalmente disciolta nel 1998.

La Rote Armee Fraktion fu responsabile di numerose operazioni terroristiche, specialmente nell’autunno del 1977, che portarono a una crisi nazionale conosciuta con il nome di “autunno tedesco”. È stata responsabile di 33 morti tra figure di spicco in campo politico ed economico, rispettivi autisti e guardie del corpo, poliziotti, agenti di dogana e soldati americani, nonché del sequestro e omicidio di Hanns-Martin Schleyer, oltre a diverse prese in ostaggio, rapine in banca ed attentati esplosivi con oltre 200 feriti. Per mano della polizia e dei servizi segreti tedeschi, suicidio o sciopero della fame, 24 membri e simpatizzanti della RAF furono assassinati. Anche se più conosciuta, la RAF condusse meno attacchi terroristici rispetto alle Revolutionäre Zellen ( RZ ), formazione che fu responsabile di 296 attentati fra il 1973 e il 1995.

La RAF descriveva sé stessa come un gruppo di “guerriglia urbana” comunista e anti-imperialista, sul modello dei tupamaros uruguaiani, impegnato nella resistenza armata contro quello che loro definivano uno “stato fascista” e nella rivoluzione proletaria. Perciò, i membri della RAF, quando scrivevano in inglese, generalmente usavano il termine marxista-leninista “Fazione”.

Si sono evidenziate 3 fasi storiche nell’organizzazione: la “prima generazione” di Baader e dei suoi sodali; la “seconda generazione” della RAF, che cominciò a metà anni settanta e fu caratterizzata dall’ingresso nel gruppo di elementi dell’SPK (Collettivo Socialista dei Pazienti); infine la “terza generazione” degli anni ottanta e novanta.

Il 20 aprile 1998, una lettera dattiloscritta di otto pagine in tedesco firmata RAF (e con il caratteristico simbolo della pistola mitragliatrice Heckler & Koch MP5 sopra una stella rossa) fu inviata via fax all’agenzia di stampa Reuters, dichiarando lo scioglimento del gruppo. ( Wikipedia )

ULRIKE MEINHOF, AMMUTINAMENTO – SAVELLI

Ulrike Marie Meinhof ( Oldenburg, 7 ottobre 1934 – Stoccarda, 9 maggio 1976) è stata una giornalista, terrorista e rivoluzionaria tedesca, cofondatrice del gruppo armato tedesco-occidentale di estrema sinistra Rote Armee Fraktion, meglio noto come “R.A.F.” e conosciuto dalla stampa anche come Banda Baader-Meinhof.

All’inizio fu giornalista militante della sinistra radicale tedesco-occidentale, ed ebbe numerosi e fervidi contatti con membri dell’intellighenzia letteraria tedesca, tra cui Heinrich Böll, che scrisse un articolo su di lei[1], Hans Mayer e Marcel Reich-Ranicki. Fu coinvolta anche nel movimento anti-nucleare e fu editrice del giornale radicale konkret.

Nel 1961 sposò Klaus Rainer Röhl, giornalista ed editore del giornale comunista konkret, in cui lavorava la Meinhof, dal quale ebbe due figlie, le gemelle Bettina e Regine. Nel 1968 divorziò dal marito e aumentò il proprio impegno politico, venendo coinvolta in gruppi estremisti con base a Berlino Ovest, e maturando un senso sempre maggiore di frustrazione per l’inerzia e la poca forza ribelle dei gruppi radicali e della sinistra. Il 14 maggio 1970 aiutò il terrorista e rapinatore Andreas Baader a evadere dalla prigione, in quella che venne considerata la sua prima azione e l’inizio della Rote Armee Fraktion (RAF).

Dopo l’ evasione di Baader, Ulrike Meinhof si diede alla clandestinità insieme ad altri estremisti, dando vita al gruppo che venne ribattezzato dalla stampa tedesca “Banda Baader-Meinhof”.

Unita al gruppo di fuoco della RAF, Ulrike trascorse un periodo in Giordania per essere addestrata all’uso delle armi. Dopo il rientro in Patria, il gruppo effettuò furti e attentati a impianti industriali e basi militari statunitensi, nei quali rimasero uccise varie persone. Durante la clandestinità Ulrike Meinhof elaborò ciò che divenne il documento programmatico della RAF: ella infatti scrisse molti dei trattati e dei manifesti che il gruppo produsse, incluso quello sul concetto di guerriglia urbana, descrivendo quello che chiamava sfruttamento dell’uomo comune da parte dell’imperialismo dei sistemi capitalisti. ( Wikipedia )

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Victor Hugo: I miserabili nella Francia dell’Ottocento

 

VICTOR HUGO

Victor-Marie Hugo, più comunemente noto come Victor Hugo ( Besançon, 26 febbraio 1802 – Parigi, 22 maggio 1885 ) è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo e politico francese, considerato il padre del Romanticismo in Francia. Si cimentò in numerosi campi, divenendo noto anche come saggista, aforista, artista visivo, statista e attivista per i diritti umani.

Tra i principali teorici ed esponenti principali del movimento letterario romantico, seppe tenersi lontano dai modelli malinconici e solitari che caratterizzavano i poeti del tempo, riuscendo ad accettare le vicissitudini non sempre felici della sua vita ( dei quattro figli che giunsero all’età adulta, tre moriranno prima di lui, mentre la figlia Adèle finirà ricoverata in manicomio ) per farne esperienza esistenziale e cogliere i valori e le sfumature dell’animo umano.

I suoi scritti giunsero a ricoprire tutti i generi letterari, dalla poesia lirica al dramma, dalla satira politica al romanzo storico e sociale, suscitando consensi in tutta Europa.

I Miserabili di Victor Hugo 

I miserabili è un romanzo storico di Victor Hugo, pubblicato nel 1862 e considerato uno dei più eccelsi romanzi del XIX secolo europeo, fra i più popolari e letti dell’epoca. Suddiviso in 5 volumi, il libro è ambientato in un arco temporale che va dal 1815 al 1832, dalla Francia della Restaurazione postnapoleonica alla rivolta antimonarchica del giugno 1832, narrando le vicende di numerosi personaggi: in particolare la vita dell’ex galeotto Jean Valjean e le sue lotte per la redenzione. 20 anni di storia francese, con digressioni sulle vicende della Rivoluzione francese, sulle Guerre napoleoniche – in particolare la battaglia di Waterloo – fino alla Monarchia di luglio.

I suoi personaggi appartengono agli strati più bassi della società francese dell’Ottocento, i cosiddetti “miserabili” – persone cadute in miseria, ex forzati, prostitute, monelli di strada, studenti in povertà… – la cui condizione non era mutata né con la Rivoluzione né con Napoleone, o Luigi XVIII. È una storia di cadute e di risalite, di peccati e di redenzione. Hugo santifica una plebe perseguitata, ma intimamente innocente e generosa; la legge, che dovrebbe combattere il male, spesso lo incarna, come l’inesorabile personaggio di Javert. Il grande eroe è il popolo, rappresentato da Jean Valjean, fondamentalmente buono e ingiustamente condannato per un reato insignificante. Hugo riassunse così l’opera: «Il destino e in particolare la vita, il tempo e in particolare il secolo, l’uomo e in particolare il popolo, Dio e in particolare il mondo, ecco quello che ho cercato di mettere in quel libro». Nel racconto fluviale ci sono descrizioni e giudizi di grande rilevanza storica, permettendo di collocare i personaggi nel loro contesto storico-sociale: la battaglia di Waterloo, l’architettura della città di Parigi, la visione sul clero e i monasteri dell’epoca, le opinioni sulla società e i suoi mali, il quadro plumbeo della Francia della Restaurazione. ( Wikipedia )

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Luigi Santucci: il principale narratore milanese del secondo Novecento

Milano Anni 60

Luigi Santucci, scrittore, poeta e commediografo. È ritenuto dalla critica il principale narratore milanese della seconda metà del Novecento

In occasione del centenario della nascita di Luigi Santucci si è tenuto a Milano il convegno “Il testimone della gioia. Luigi Santucci e il ministero della parola”.

Casa Manzoni, Teatro Franco Parenti e l’Università Cattolica hanno ospitato una serie di dibattiti con ospiti del mondo accademico e non solo per ricordare lo scrittore lombardo, vincitore del prestigioso “Premio Campiello” con “Orfeo in paradiso” e autore anche di opere di poesia, teatro e saggistica.

Santucci nasce a Milano l’11 novembre 1918 che coincide con l’armistizio tra Impero tedesco e le potenze Alleate segnando la fine della Grande Guerra. Consegue la maturità classica nel 1937 per poi laurearsi nel 1941 in Lettere Moderne all’ Università del Sacro Cuore.

Cattolico ma non clericale, “testimone della gioia secondo la lezione del Consiglio Vaticano II”, si era opposto al regime fascista, unendosi alle formazioni partigiane in Val Cannobina.

Dopo vent’anni di insegnamento si dedica completamente all’attività letteraria con opere di successo di critica e pubblico: “Il velocifero”, il libro più famoso è del 1963.

L’ ambiente milanese e i luoghi manzoniani fanno spesso da sfondo alle sue narrazioni. Una lapide del Famedio nel Cimitero Monumentale lo annovera tra i più illustri cittadini.

Esordì nel 1942 con il saggio “Limiti e ragioni della letteratura infantile”. Nel 1946 pubblicò “Misteri gaudiosi” (quasi una dichiarazione di poetica), cui seguirono il romanzo “In Australia con mio nonno” (1947) e i racconti “Lo zio prete” (1951), opere in cui si precisa la sua religiosità serena percorsa da un vivace humour. La sua opera più nota è il romanzo “Il velocifero” (1965), storia d’ambiente milanese che fa rivivere figure, oggetti, interni domestici tra fine ’800 e primo ’900. Interessante, dopo “Orfeo in paradiso” (Premio Campiello 1967), “Non sparate sui narcisi” (1971), “Come se” (1973), soprattutto “Il Mandragolo” (1979), in cui l’angoscia della morte viene esorcizzata in chiave fantastico-grottesca e l’impasto fra sostrato dialettale e lingua colta raggiunge efficaci esiti stilistici. Tra le altre sue opere: “Fuga dall’Egitto” (1991); “Manoscritto da Itaca” (1991); “Il cuore dell’inverno” (1992); “Nell’orto dell’esistenza” (1996).

“Sintetizzo in una formula, in un’espressione il mio essere stato scrittore, credo che sarebbe questa: che scrivo per lodare … Io ho lodato, ho cercato di applaudire, di risuscitare nella lode, quante più cose ho potuto … La lode, sì, come messaggio, come linguaggio, se non per salvare il mondo (per guarirlo ci vuole altro!), per aiutarlo, perché recuperi una qualche stima, una qualche fiducia in se stesso; perché esca dall’autodisprezzo, dalla disperazione, e ritrovi l’amabilità … Perché senza un certo entusiasmo nei nostri confronti è poi quasi impossibile amare gli altri, si va a rischio al contrario d’infiltrare negli altri i nostri squilibri, il nostro scetticismo o addirittura pessimismo sull’umanità … E tutto quello che ho avuto l’ho davvero goduto, grazie penso alla mia natura di poeta, l’ho goduto (questo è molto importante) con consapevolezza.”

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La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Libri & Letture

 AGGIORNATO 26 NOVEMBRE 2023

Introduzione alla Storia dell’Editoria Italiana

Stamperia

Giovanni Filippo de Lignamine

Il primo editore / tipografo italiano fu Giovanni Filippo de Lignamine, attivo a Roma già intorno agli anni settanta del XV secolo. Le prime esperienze editoriali italiane, in un senso più vicino alla concezione moderna, si sono avute a Venezia, a cavallo tra il XV ed il XVI secolo, ad opera di Aldo Manuzio e Lucantonio Giunti. Oltre a lui, sono ben noti altri editori del Cinquecento, quali Nicolò d’Aristotele detto Zoppino, Giorgio Rusconi († 1522), Francesco Marcolini da Forlì († 1559), Gabriele Giolito de’ Ferrari (1508-1578) e Francesco Sansovino (1521-1586), anch’essi attivi a Venezia. A partire da quella fase ancora embrionale della produzione libraria “a stampa”, grazie all’invenzione della tipografia, è proprio la Repubblica di Venezia a distinguersi per la maggiore produzione libraria.

In Italia i primi grandi cambiamenti nel panorama librario e della stampa avvengono nel periodo napoleonico, con l’occupazione delle truppe napoleoniche di tutta la penisola, ad esclusione della Sicilia (1805 – 1814 circa). In questa fase il nuovo regime decretò la libertà di stampa, con l’abolizione della censura preventiva, sia governativa che ecclesiastica, e l’affidamento della censura repressiva agli organi di polizia. Inoltre l’abbattimento delle molte barriere doganali nella penisola diede la possibilità ai librai-tipografi di commerciare più ampiamente i loro libri. Infine, l’istruzione elementare obbligatoria pose le basi per un futuro allargamento del pubblico dei lettori (all’epoca ridottissimo) e per la nascita di un mercato di testi scolastici.

Va comunque ricordato che con decreto, dato a Monza il 27 novembre 1811, a firma di Eugenio Napoleone, furono elencati e classificati tutti i giornali che potevano trattare di politica; il lavoro di schedatura fu sottoposto all’attenzione del ministro dell’Interno.

Il regime napoleonico cambiò anche i rapporti interni al mercato librario. Tentò di accentrare la produzione libraria in città come Torino, Milano, Firenze e Napoli, a discapito di Genova, Bologna, Venezia (fino all’epoca centro editoriale fondamentale), gli Abruzzi e le Puglie. A Roma la breve parentesi napoleonica non solo non riuscì ad introdurre tali elementi di modernizzazione, ma provocò gravi depauperamenti alle tipografie pontificie. ( Wikipedia )

 

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Libri & Letture

Aggiornato al 27 Novembre 2023

LETTURA: La Tragedia del Vajont raccontata da Mauro Corona

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La Tragedia del Vajont

«Duecentosessanta milioni di metri cubi di roccia cascano nel lago dietro alla diga e sollevano un’onda di cinquanta milioni di metri cubi. […] Solo la metà scavalca di là della diga, solo venticinque milioni di metri cubi d’acqua… Ma è più che sufficiente a spazzare via dalla faccia della terra cinque paesi: Longarone, Pirago, Rivalta, Villanova, Faè. Duemila i morti.»

(Marco Paolini, Il racconto del Vajont )

Il disastro del Vajont è stato un disastro ambientale ed umano. Si è verificato la sera del 9 ottobre 1963, nel neo-bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont (al confine tra Friuli e Veneto), dovuto alla caduta di una frana dal soprastante pendio del Monte Toc nelle acque del bacino alpino realizzato con l’omonima diga; la conseguente tracimazione dell’acqua contenuta nell’invaso, con effetto di dilavamento delle sponde del lago, coinvolse prima Erto e Casso, paesi vicini alla riva del lago dopo la costruzione della diga, mentre il superamento della diga da parte dell’onda generata provocò l’inondazione e la distruzione degli abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone, e la morte di 1917 persone.

Le cause della tragedia, dopo numerosi dibattiti, processi e opere di letteratura, furono ricondotte ai progettisti e dirigenti della SADE, ente gestore dell’opera fino alla nazionalizzazione, i quali occultarono la non idoneità dei versanti del bacino. Dopo la costruzione della diga si scoprì che i versanti avevano caratteristiche morfologiche (incoerenza e fragilità) tali da non renderli adatti ad essere lambiti da un serbatoio idroelettrico. Nel corso degli anni l’ente gestore e i suoi dirigenti, pur essendo a conoscenza della pericolosità, anche se supposta inferiore a quella effettivamente rivelatasi, coprirono con dolosità i dati a loro disposizione, con beneplacito di vari enti a carattere locale e nazionale, dai piccoli comuni interessati fino al Ministero dei lavori pubblici. ( Wikipedia )

Mauro Corona: «Una mano assassina lanciò il sasso che distrusse la mia Erto»

All’epoca Mauro Corona aveva tredici anni e quelle preghiere della nonna, che da settimane invocava il Signore di non fare venir giù il Toc, le vedeva come una sorta di lamento scaramantico. Ma quella notte di 50 anni fa, alle 22.39 del 9 ottobre 1963, nel giro di pochi secondi, ha capito che quelle proteste dei paesani, che da mesi temevano per la loro incolumità, erano drammaticamente reali.

«Il ricordo più nitido – spiega Corona – è l’enorme boato che precedette e accompagnò l’onda assassina. Basti pensare al frastuono infernale che fa un camion di ghiaia quando ribalta il cassone in un cantiere. Nel nostro caso, si rovesciarono 300 milioni di metri cubi di montagna nel lago sottostante. Ancora oggi, quando sento rumori violenti, mi scuoto e la mente torna inevitabilmente a quella notte».

«In realtà – ricorda lo scrittore -, non ci accorgemmo subito del dramma, perché un costone del monte Borgà salvò la vita di tutta la famiglia, deviando la traiettoria dell’onda, che ci scavalcò miracolosamente. E nemmeno capimmo la portata della tragedia. I vecchi ci dissero di salire verso la vetta della montagna, fino a che, raggiunto un rifugio, mi misero a dormire sopra un tavolo. Nel frattempo, un compaesano scese a controllare cosa fosse successo. Tornò ore dopo, affranto: “Non vedo le case di San Martino” annunciò, in lacrime, dopo aver ispezionato l’area con la sola fioca luce di una pila tascabile, “ma soprattutto – disse – non riesco più a scorgere le luci di Longarone”».

L’alba spalancò, agli occhi dell’allora giovanissimo Corona e dei suoi congiunti, la vastità della tragedia. «Sotto di noi era tutto di colore giallo – rammenta -, una sorta di paesaggio lunare, informe. Nessuno aveva il coraggio di parlare. Furono minuti di annientamento psicologico, fino a che si udirono i rotori degli elicotteri dell’Esercito, che iniziavano ad arrivare sul fronte della frana».

Qualche ora dopo, Corona e i pochi altri superstiti vennero sfollati a Cimolais: «Fu lì che il giorno seguente, il presidente della Repubblica, Antonio Segni, mi prese in braccio visitando le popolazioni smembrate dal disastro. Fu anche l’unica volta che un Capo di Stato raggiunse Erto. Da allora, tutti si sono fermati a Longarone o alla diga, ma nessuno è venuto a vedere il paese che non c’è più, dilaniato dalla frana e dall’onda, mentre la comunità è stata divisa in due: una parte in Veneto e l’altra nella pedemontana friulana.

Assieme ai commenti fuorvianti dei grandi intellettuali dell’epoca: «Giorgio Bocca sostenne per tutta la vita la teoria della disgrazia naturale, mentre Dino Buzzati, sul Corriere della Sera, scrisse che fu come un sasso caduto in un bicchiere. No, caro maestro: quel masso non è caduto, ma l’ha lanciato la mano assassina dell’uomo, inseguendo il profitto a scapito di duemila vite umane». ( Tratto dal Gazzettino.it )

Dal libro di Mauro Corona: Vajont quelli del dopo

“Non esiste più niente della vita di un tempo. Tutte le civiltà scomparse sono state cancellate in qualche anno. La nostra in due minuti. Ci siamo ritrovati il giorno dopo a partire da zero, in altri luoghi, in altri modi, con altri tempi, usando cose che non conoscevamo. E’ stato come nascere un’altra volta. Nascere vecchi è come vivere morti. Non ci si adatta a ciò che non si conosce”.

“E’ vero, Rachele lanciò l’allarme quando vide manovre notturne. Allora ci mobilitammo tutti. Armati di bastoni e rancore, bloccammo il camion già quasi carico. Per una settimana giorno e notte a fare la guardia, con i fuochi accesi nella strada”.

“I nostri, morti non hanno tomba, sono spariti, come se non fossero nemmeno esistiti”.

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