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Una storia di violenza sulle donne

Post n°556 pubblicato il 27 Ottobre 2012 da odio_via_col_vento

 

Eugene Thirion, Joan of Arc, 1876

Eugene Thirion, Joan of Arc

 

Quella notte, in una fredda stanza di Pronto Soccorso, sotto luci livide che si specchiavano nelle piastrelle dal colore indefinibile (tra vomito e nausea), avevo ben altro a cui pensare.
Avevo dovuto accompagnato mia madre, un'altra tappa del suo lungo calvario: il suo dolore e la mia lotta contro la paura, la sorda rabbia verso un apparato indifferente e inconcludente, la rassegnazione e la ribellione, ore di attesa e lei su una barella minuscola che le impediva anche di muoversi (se solo avesse potuto o voluto).

Combattevo contro i miei fantasmi e il suo dolore e i lamenti di una donna, al di là di un paravento, mi sembrarono per un po' solo un rumore di sottofondo.

Poi entrò un uomo. Era un infermiere e cominciò a parlare alla donna. Lei non sembrava giovanissima, lui nemmeno. Ma chissà. Sembrava cercare di darle consigli.
"Fra poco arriverà il poliziotto di turno - le diceva - Lo sai".
Le parole penetrarono nella cappa di piombo della mia indifferente monade di sofferenza. Mi feci attenta.
"Ti sembra il caso di raccontargli i fatti tuoi? Lo sai, vero?, cosa succederebbe?
Poi perderesti tutto, potrebbero anche metterlo in carcere.
Ma ti conviene? Pensaci....Se non è la prima volta, in fondo, vuol dire che puoi sopportare ancora....Insomma, pensaci.....Ne succedono tante di disgazie in casa....Racconta che sei caduta dalle scale, che hai sbattuto in un mobile....Pensaci, non ti conviene...Pensaci....."

La nausea e l'orrore mi presero ancora più forte.
Non era più il mio dolore, il dolore di mia madre: era il dolore di quella donna di cui non sapevo nulla, di cui non avevo visto nemmeno il violto, ma solo una sagoma sotto una coperta.
L'orrore per quello che l'uomo diceva. Per quell'uomo.
Non capivo dalle parole e dal tono se conosceva personalmente la donna e la sua situazione, se la violenza che l'aveva portata lì, al pronto soccorso, aveva un nome e un volto per quell'infermiere.

Ma lui, per me, aveva un nome: COMPLICE.
e CARNEFICE, anche lui.

Improvvisamente dei rumori, smise di sibilare quelle parole, credo che avesse cercato di darsi un tono, facendo finta di fare qualcosa.
Era entrato un poliziotto.
L'infermiere uscì, ma il poliziotto chiese di me, doveva fare il verbale per mia madre.

Quella notte fece anche un altro verbale, un verbale diverso.
Non ho mai saputo cosa sia successo dopo, ma certo io non stetti in silenzio. 

 

 
 
 
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