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Abbandonare Tara

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sognare di viaggiare

Post n°587 pubblicato il 21 Marzo 2013 da odio_via_col_vento
 

 

Louis Leopold Boilly, The Geography Lesson   

 

Lui mi ha insegnato a viaggiare.
Era un uomo di grandi racconti, ma quelli sui viaggi glieli ho dovuti strappare a forza di domande, via via che crescevo. L'ho capito dopo, il perché. Perché erano viaggi legati alle guerre (ben due) e preferiva sorvolare.
Ma come si fa a sorvolare sull'Africa? Come si fa a sorvolare sui Sette Mari? Come si fa a non raccontare ad una figlia, avida di sapere, storie dell'Inghilterra piovosa, delle brughiere, delle torri di Oxford?
Lo guardavo ed era come se per me incarnasse Sandokan, e il Corsaro Nero e Ivanohe.
Che ne sapevo, io, dell'orrore vero? Vedevo solo l'avventura. 

Pian piano cominciò a lasciarsi andare davanti alle mie insistenze. A indicare sul mappamondo, col dito che scorreva lento, le traiettorie e le rotte. A tirare fuori microscopiche foto in bianco e nero da guardare con la lente di ingrandimento per scovare tutti i particolari di cui, via via, la sua voce mi narrava. 
I nomi degli alberi, la frutta esotica (non erano tempi in cui la trovavi in qualsiasi supermercato), le cascate, le savane, gli animali selvaggi.

E poi i ricordi inglesi, quella lingua che, lui fra pochi, della sua generazione, conosceva e che ha voluto a tutti costi, testardamente, che io imparassi. Trasmettendomi amore e cultura, necessità e praticità, insieme col ricordo. Un ricordo che si proiettava nel futuro, che immaginava già un mondo diverso ed una vita diversa per me.

Poi cominciarono ad arrivare in casa i libri di viaggi, libri fotografici, soprattutto. Mi piace pensare che in un cero senso anche io abbia influenzato lui, che le mie domande e le mie curiosità lo abbiano spinto a recuperare un passato duro e doloroso e trasformarlo in una cosa che arricchisce: esperienza.

Ricordo, fra tanti, un libro che si chiamava "L'Europa vista dall'Alto". Fotografie bellissime, attraverso le quali studiavo e sognavo palazzi, vie, piazze di città che erano sol nomi, in quel lontano momento, ma che mi appuntavo nel recesso del cuore con lo spillino rosso del desiderio.

Il ponte sul fiume all'ingresso di Oxford.
O Place des Vosges, a Parigi. 

Ricordo ancora la prima volta che ci ho messo piede, anni ed anni dopo. La sensazione di entrare in quella foto che avevo percorso mille volte collo sguardo e col dito.
Mi ritrovai in quello spazio aperto e istintivamente, per prima cosa, rovesciai la testa per guardare in alto, cercando di catturare il punto da cui avevo guardato la stessa scena di cui ora ero parte.
Una vertigine di memoria. Una vertigine da viaggio nel tempo. 

Anni dopo, tuttora, ripercorrere quei luoghi visti e sognati e raccontati è per me recuperare un piccolo pezzo di lui, di mio padre.
Pensare che il tempo è fatto così: vite che si susseguono, pietre che rimangono. 

 

 
 
 
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