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Post n°177 pubblicato il 06 Settembre 2007 da odio_via_col_vento
 
Tag: di me

«C’è una dimensione metafisica nella perdita degli oggetti. Per me non è semplicemente come se avessi lasciato queste cose da qualche parte – io mi sento come se intorno a me ci fosse un campo di annichilazione : esse scompaiono nell’abisso. E una volta che sono scomparse, mi ritrovo a chiedermi se siano mai esistite».

Oliver Sacks

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Ho un lungo elenco in mente di cose che la vita ha perso per me - perché difficilmente ammetto di perdere qualcosa in quella nuvola di disordine che mi segue ovunque, un po' come il povero Pig-Pen dei Peanuts si porta dietro la nuvoletta di sporco.

Ma anche l'elenco - e come potrebbe essere diversamente - è disordinato: affiorano idee, sapori, odori, colori. E talvolta riescono a comporsi in un oggetto che ha nome. Talaltra no: rimangono frammenti che mi fanno stare male, perché mi pare che vogliano parlarmi, che mi chiamino dal buco nero della memoria, perché vogliono emergere, vogliono prendere forma, una forma che solo io potrei dar loro.





Ho perso un libro, ho perso delle schede, ho perso dei quaderni, dai tempi dell'Università. Li cercano la mia memoria inconscia, da tanto tempo, catalogazioni di fondi archivistici, scoperte e rivisitazioni di fototeche perdute: e mi convinco che senza quel libro (che avrei potuto ricomprare o fotocopiare in biblioteca migliaia di volte) non posso proseguire quello studio, non posso pubblicare quell'articolo, non posso.....

E tutti gli abiti che ho perso nelle lavanderie, dimenticati da un'estate ad un autunno.... o forse non mi stavano più e li ho impietosamente dati via. Ma li ho persi, come ho perso il mio corpo adolescente e poi il mio corpo giovane. Ma è più consolante pensare di aver perduto un vestito, di un brillante azzurro cielo, una gonna a fiori svolazzante, un top lilla.....

Ho perso la bigiotteria colorata, forse il nichel impietosamente diventato nero nel tempo, i ganci ossidati, un orecchino spaiato, un bracciale allentato che è caduto per terra.
Ho perso il lustro, lo splendore nell'erba, gli occhi stellanti, la gioia di andare incontro ad un futuro illimitato. Ma è meglio pensare che sono da qualche parte, in fondo ad un cassetto stracolmo, in una casa che non abito più.

Ho perso l'indirizzo di quel ristorante, di quell'albergo, non ricordo nemmeno come si chiama: eppure conservo tutto. Forse sono in una vecchia agenda (persa anch'essa), in scatole di fotografie dimenticate, in cassetti che si stipano e si riempiono di biglietti dei musei e del cinema, depliant, ricordi che proprio per essere troppi precipitano inevitabilmente nella dimenticanza.
Ma è meglio così, meglio che pensare che sarà stato gettato, perché tanto là non torneremo più, mai più nella vita. Perché ammettere che non c'è più tempo, voglia, idea di rifare quel viaggio?

Ho perso due aerei; ho perso un treno. Altri li ho presi al volo, arrancando, ringraziando il dio dei ritardi cronici dei trasporti.
Ho perso amici: li avrò dimenticati, estenuati, ad una fermata dell'autobus che non ho mai raggiunto?
Ho perso tempo, buttato da una finestra assolata sul mare, nella noia inetta di tanti pomeriggi domenicali, nell'illusione che fosse eterno e che si autoriproducesse.
Ho perso il rosa: troppo lezioso.
Ho perso l'arancio: troppo violento
Ho perso tante canzoni: troppo rumorose quando sei tutto teso a costruirti una vita. Ti distraggono. Ma perché mai poi le rimpiangi?
Posta mai arrivata, telefonate non fatte, visite rimandate. Occasioni, quante occasioni, perse?
Buone intenzioni: di quelle, infinite che lastricano la via del passato irrimediabilmente andato.







 
 
 
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