Abbandonare Tara

Questa, in realtà, non è la mia Itaca personale, ma quella di mio padre. Il fatto è che essendo io nata in una grande città, una città ambita come meta di percorso intellettuale (e turistico) da tanti, considerarla "Itaca" non mi riesce.

Invece ho sempre sentito questo paese di montagna come il luogo delle mie radici.

Mio padre, sì, che è stato un grande "marinaio" dello spirito: è partito di qui ragazzo, ma ragazzo sul serio, in un'epoca -quella fra le due guerre- in cui ancora di più un ventenne aveva tutto il diritto di sentirsi smarrito davanti al mondo.

Mio padre ha viaggiato tanto, ne ha visto di mondo! Africa, Europa, Medio Oriente.
Era un uomo libero, con tanta sete di novità e occhi aperti a bere la vita.

Sentirlo raccontare il suo avventuroso passato era una cosa meravigliosa: io lo adoravo. E lui adorava me, frutto tardivo. E ha saputo riversare su di me, che pur ero femmina (pensate a quali aspettative poteva avere un uomo di quel tempo su un figlio maschio!), desideri, esperienza, insegnamenti, futuro.

Ha voluto che viaggiassi, ha voluto che studiassi, ha voluto che crescessi libera. Lui mi ha spinta fuori dal nido. Con fermezza, anche con scontri generazionali e scatti di severità. Ma a lui per primo devo il mio viaggio.

E quindi da qui sono partita. Da questo paesino, anche oggi al di fuori dei grandi giri turistici. Dove anche lui ogni tanto tornava e mi portava. Un paese di soprannomi, di castagne, di fredda acqua di montagna, di vento e di odore di camini accesi.