Abbandonare Tara
abbandonare le sicurezze, i luoghi comuni, alla scoperta di cosa c'è fuori di qui
Messaggi di Giugno 2015
Sherree Valentine Daines
Chi l'ha provato sa di cosa parlo, una specie di mistral del Mare Egeo, un vento insistente, forte, freddo. Cosa si fa, in Grecia, quando soffia il meltemi? Normalmente si cercano spiagge riparate, l'altra costa dell'isola, una baia sotto vento, una cala nascosta tra i dirupi della montagna che scende a picco sul mare. Senonché di solito hai preso a noleggio una delle solite auto greche: vecchie, senza ammortizzatori, con un vago ricordo della frizione, che non sanno nemmeno cosa sia la revisione. Il secondo "senonché " è dato dalle strade greche, soprattutto delle isole: anche queste sono spesso una scommessa, come una scommessa è la cartografia. Può capitarvi come a noi, spesso, di non avere più il coraggio né di andare avanti né di andare indietro, lungo un canyon suggestivo, ma senza parapetti, una discesa infinita con uno specchio di mare (ed una acropoli) in fondo. Ma come ci arrivavano gli antichi greci? Via mare, verosimilmente. E poi, i bizantini? Ma senz'altro a dorso di mulo. E noi oggi? Noi oggi abbiamo scherzato come disperati per esorcizzare la paura, scommettendo sul numero di tornanti, sulle frane di rocce e pietrisco che sembravano minacciarci se suonavamo il clacson, sulle capre che ci attraversavano la strada. E poi, in una escalation macabra, su chi era seppellito nei cimiteri sui costoni di montagna (viaggiatori troppo avventurosi?); su quanti metri di caduta a stile libero ci aspettavano; su quale numero telefonico chiamare in caso di emergenza; su come si dirà mai "aiuto" in greco; sul numero di auto che giacevano in fondo al dirupo. Poi le abbiamo viste: le auto in fondo al dirupo, dico. Giuro: ce ne erano almeno tre. Lamiere arrugginite. Abbiamo desistito e alla prima piazzola abbiamo invertito la marcia e siamo tornati indietro. Non sapremo mai di che colore era quell'acropoli sul golfo, né quanti avventurosi turisti villeggiavano sulle rive di quella meravigliosa ed isolata pozza di mare irraggiungibile. E allora come si passa la giornata di meltemi? Seduti nella piazza di uno sperduto, bellissimo paese di montagna, all'ombra di un platano, su una sedia di paglia, insieme agli uomini coi baffi e il cappello che bevono rezzina, guardando le donne vestite di nero e col fazzoletto in testa che tessono sulla soglia della porta. Esistono ancora, sì, questi luoghi che sembrano strappati a viva forza da un film d'epoca come Zorba il greco. Anche il meltemi ha i suoi vantaggi. |
Kleophrades, Amphora of Dionysus (detail)
Viaggiare per la Grecia è già una eccitazione e una follia fin dal volo. E poi l'applauso: non c'è volo low cost per la Grecia delle vacanze che non si concluda con un applauso al pilota all'atterraggio.
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Post n°823 pubblicato il 15 Giugno 2015 da odio_via_col_vento
Ellen Siegels, Study portrait
Per via di tutta una serie di eventi familiari (matrimoni e battesimi, soprattutto) riflettevo su una abusata considerazione che si legge spesso sulla stampa, riassunta nella frase "40 sono i nuovi 30" e via di seguito. Che significa, in pratica, che oggi le persone di 40 anni si considerano, ma non solo, vivono come se avessero 30 anni. Ma anche (cosa più interessante per certe generazioni che non ammettono di invecchiare) che i cinquantenni di oggi si considerano quarantenni, i sessantenni si comportano da cinquantenni e così via. C'e molto di vero in tutto ciò: le aspettative di vita e, fino ad un certo punto, la qualità della vita stessa, per quanto riguarda gli ultracinquantenni, hanno portato a dilatare questa età di mezzo, una volta riservata ai quarantenni, dilazionando oltre ogni dire il momento in cui una persona (ma anche una società) accetta di dirsi appartenente alla terza età (o, fuor di metafora, "anziano" e "vecchio"). Così per quanto riguarda i giovani, i trentenni, ma, a questo punto, anche i quarantenni che spingono prepotentemente all'indietro, verso la gioventù, la propria appartenenza generazionale (si veda anche il "nostro" presidente del Consiglio, che una riuscitissima definizione di Crozza qualifica come un quarantenne che si crede trentenne, veste come un ventenne e pensa come un decenne). Nel loro caso (M.R. e la sua gang esclusi, è ovvio), l'essere a 40 i nuovi trentenni deriva anche e soprattutto dall'incertezza economica e lavorativa che prolunga artificiosamente ma necessariamente il limbo adolescenziale, in cui un giovane dipende ancora economicamente dalla famiglia di origine. Di seguito, poi, vengono le mode, viene il come ti vesti, come ti atteggi, come ti DEVI sentire. Apparire quello che la società vuole che tu sia. Abiti, trucchi e famigerate e illusorie tinture per capelli, chirurgie estetiche, "stiraggi" della pelle vari. Ma anche come ti devi presentare, visto che lavori ancora, che sei chiamata e rappresentare quello che produci, a vivere una vita frenetica, in un'epoca in cui, nelle generazioni passate, si cominciavano invece a tirare i remi in barca. Poi, un giorno, mercé un certo abbassamento della vista, oppure una distrazione vaga (che dio-ne-guardi chiamare obnubilamento dell'età), ti capita di vedere casualmente per strada, in un'auto che passa, nel riflesso di una vetrina, sul marciapiede opposto, una persona che non esiti a classificare come VECCHIA nella tua percezione. Una nonna dal passo un po' incerto, un vecchione curvo, uno che ti dici "ma gli hanno rinnovato la patente?"; oppure "ma che avrà da guardare quella vetrina, mica sono abiti adatti a lei". E d'improvviso ti accorgi che è il tuo ex-compagno di scuola, la cugina con cui hai giocato intere estati al mare, il collega che hai sempre considerato (anche ieri) un bell'uomo fascinoso. Son colpi. Sì, colpi bassi che la vita ti gioca. Per quanto ancora puoi illuderti di essere un caso a parte, una felice combinazione genetica, una persona che non dimostra i suoi anni, rara avis in un mondo che inesorabilmente e crudelmente invecchia?
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Post n°822 pubblicato il 07 Giugno 2015 da odio_via_col_vento
Edvard Munch, A pine
C'era un sentiero che scendeva ripido verso il mare, in mezzo alla macchia mediterranea. Mirto e alloro, pini, rosmarino, oleandri; verso tarda estate, da certi cespugli cominciavano ad affacciarsi le more. Per trovare la strada più agevole per raggiungere una piccola spiaggia di ciottoli e poi la lunga scogliera, di massi piatti e squadrati tra i quali era facile trovarne uno su cui distendersi al sole; per arrivare alle pozze d'acqua tra scoglio e scoglio, ricche di pesciolini, ricci, perfino stelle marine; per raggiungere lo scintillio dei riflessi romboidali di sole nel mare, il frangersi consolatorio della risacca, il sapore e l'odore di salmastro; per vivere l'estate, quella vera. Il sentiero ad un certo punto passava sotto la ferrovia, un ponte basso, sotto il quale quasi dovevi abbassare la testa, un piccolo spazio di buio e ombra. Il treno sferragliava, quasi un rombo di tuono se ti trovavi lì sotto ad incrociarne il passaggio. I bambini avevano un po' paura, quel misto fra attrazione verso un pericolo misterioso e gridolini di gioia e corsette verso la luce, in fondo al buio. Era bello, invece, totalmente bello, fermarsi all'uscita, al sole, sedersi sul bordo del sentiero ed aspettare il treno successivo, per salutare gridando e sventolando le mani, i passeggeri. Come lungo tutte le linee ferroviarie che costeggiano il mare, infilandosi in una galleria dopo l'altra, i viaggiatori stavano assiepati e intenti al finestrino per catturare le rapide visioni di mare che si presentavano, brevi, e correvano via. Così si incrociavano anche le nostre vite. Ignare, inconsapevoli, leggere. Ero una mamma giovanissima: una ragazzina, se mi ripenso con la maturità di oggi. Loro erano bimbetti piccoli, quasi uccellini implumi, che si facevano sorprendere da tutto, curiosi di vita. Quelle erano estati così: belle e inconsapevoli, che venivano naturali, una dopo l'altra. Talvolta sono passata, anni dopo, dagli stessi luoghi, ma come viaggiatore su quel treno. Ho cercato il luogo magico dello squarcio di mare tra una galleria e l'altra. Non so nemmeno io se l'ho identificato. Ma che importa? Quello che cercavo, in realtà, non c'è più. |
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