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La strana storia della sirena e di want and able
Post n°168 pubblicato il 12 Novembre 2016 da Vasilissaskunk
Non so perchè ma son convinta di essere stata una sirena in una vita passata ... l'acqua è il mio elemento quello che mi fa scaricare le mie ossessioni .. mentre nuoto raggiungo uno stato di pace e grazia infinita .. nel frattempo muscoli e nervi scaricano il peso che la mente ostinata gli ha imposto ....ondulo delfinando nel liquido amniotico della mia mente ...
.... diceva want alla sirena " io voglio averti " la sirena cantava soave ..non conscia dell' effetto che il suo canto poteva avere .. lisciandosi con vezzo i capelli e gli occhi sognanti profondi come il mare ... roteando la lunga pinna e attorcigliandosi nella sua essenza sinuosa via si lasciava scivolare ... able ribattè ..." non puoi averla ..non puo' uscire dal suo elemento, la faresti morire " ...ma lei cosa pensava davvero ? Le sue lacrime erano invisibili e si confondevano con il mare mentre il suo canto faceva su uno scoglio emozionale want and able sfracellare ..... Lei voleva avere gambe per camminare ...cingere ed amare ... ma tutto questo pareva importare solo al mare .. " Now, want and able are two different things, One is desire, and the oher is the means . Like I wanna hold you, and see you, and feel you in my dreams But that's no possible, something simply will not let me " Jack White |
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Piccole storie e riflessioni ed immagini bucoliche di viaggi di una piccola impiegatina aSburgica che all'occorenza puo anche diventare ...
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(CXX DEL CANZONIERE CINIANO)
o ver d’altra manera viandante,
cogli occhi sì dolenti per cammino,
né così greve di pene cotante,
com’i’ passa’ per lo mont’Appennino,
ove pianger mi fece il bel sembiante,
le trecce biond’e ’l dolce sguardo fino
ch’Amor con l’una man mi pone avante;
e coll’altra nella [mia] mente pinge,
a simil di piacer sì bella foggia,
che l’anima guardando se n’estinge.
Questa dagli occhi mie’ men’ una pioggia,
che ’l valor tutto di mia vita stringe,
s’i’ non ritorno da la nostra loggia.
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CANZONIERE DI CINO DA PISTOIA
(CXII canto)
Oimè, lasso, quelle trezze bionde
da le quai riluciéno
d’aureo color li poggi d’ogni intorno;
oimè, la bella ciera e le dolci onde,
che nel cor mi fediéno,
di quei begli occhi, al ben segnato giorno;
oimè, ’l fresco ed adorno
e rilucente viso,
oimè, lo dolce riso
per lo qual si vedea la bianca neve
fra le rose vermiglie d’ogni tempo;
oimè, senza meve,
Morte, perché togliesti sì per tempo?
Oimè, caro diporto e bel contegno,
oimè, dolce accoglienza
ed accorto intelletto e cor pensato;
oimè, bell’umìle e bel disdegno,
che mi crescea la intenza
d’odiar lo vile ed amar l’alto stato;
oimè lo disio nato
de sì bell’abondanza,
oimè la speranza
ch’ogn’altra mi facea vedere a dietro
e lieve mi rendea d’amor lo peso,
spezzat’hai come vetro,
Morte, che vivo m’hai morto ed impeso.
Oimè, donna d’ogni vertù donna,
dea per cui d’ogni dea,
sì come volse Amor, feci rifiuto;
oimè, di che pietra qual colonna
in tutto il mondo avea
che fosse degna in aire farti aiuto?
E tu, vasel compiuto
di ben sopra natura,
per volta di ventura
condutta fosti suso gli aspri monti,
dove t’ha chiusa, oimè, fra duri sassi
la Morte, che due fonti
fatt’ha di lagrimar gli occhi miei lassi.
Oimè, Morte, fin che non ti scolpa
di me, almen per li tristi occhi miei,
se tua man non mi colpa,
finir non deggio di chiamar omei.
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