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Una vita a spina di pesce
 

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Fletcher XXIII

Post n°22 pubblicato il 25 Febbraio 2015 da marlow17

 






Al mattino si sollevarono a un'ora decente. Fecero colazione tutti insieme senza spiaccicare una parola. Poi si vestirono per prendere ognuno la propria strada: Fletcher diretto all'Agenzia del Lavoro per caricarsi di qualunque attività che gli potessero offrire, Christine indirizzata alla sua professione, Peter a portare in giro turisti sul suo taxi e Rihanna a fare il suo turno come donna di pulizie in qualche bicocca regale. Fletcher prese la sua corvair e la indirizzò su strade larghe e incroci bagnati da una leggera pellicola di pioggia che era calata durante la notte. Scavalcò Burnaby e prese la Kingway tutta diritta fino a Mount Pleasant. Beccato il Downtown Eastside svoltò a destra su Prior Street e arrivò a Grandview Woodland fino a Clark Drive. Lì parcheggiò senza curarsi troppo della precisione e degli sguardi torvi degli altri automobilisti. Poi, mettendo ben in vista il distintivo sul bavero, scavalcò un barbone collassato e fece il suo ingresso nella sala centrale. Si avvicinò ai tre allampanati scegliendone uno e apostrofandolo con un pizzico di risentimento :"Sono nelle Categorie Svantaggiate. Ho giusto perso il lavoro per una crisi di identità sessuale, a Chi posso rivolgermi per recuperare qualcosa?". L'impiegato, senza nemmeno osservarlo, affondò il colpo, talmente usuale da stupire Fletcher per la sua dabbenaggine :"Ha per caso un appuntamento?". "No, a dire la verità non c'ho pensato." "Schiacci il bottone in alto a sinistra" E indicò una macchinetta sputabigliettini a fianco dell'ingresso. "Poi si accomodi e attenda il suo turno, l'ufficio dove deve entrare è il 17". Fletcher guardò disperato in direzione del bugigattolo: già almeno una ventina di persone vi gironzolavano intorno e la cosa più terribile al mondo per Lui era aspettare. Vedere tanti disgraziati in condizioni prossime alle sue lo conduceva a un abisso di pensieri cupi e negativi, gli grattava via persino i più piccoli residui di dignità e lo buttava a tremare sotto il tallone di ferro dell'incompetenza e dell'inadeguatezza. La tentazione di fare dietrofront andò a farsi fottere nell'esatto istante in cui riflettè che non aveva alternative e che l'unica possibilità diversa era andare a passeggiare a vuoto lungo i viali nell'attesa che un collasso nervoso o un aneurisma lo mandassero definitivamente all'inferno. Non era questo il suo destino, pensò. Così si preparò a una lunga attesa e accavallò le gambe sedendosi su una piccola sedia gialla, guardandosi le mani arrossate. Possibile che con quegli artigli adunchi avesse tentato di far fuori Christine, spezzarle il collo come fosse una vecchia scopa inutilizzata, buona tutt'al più per alimentare un fuoco nella stufa? si sorprese di Se stesso. Era da quando aveva 16 anni che non picchiava più nessuno e ora si trovava a fare i conti con una buona dose di isteria pericolosa. suo padre? Già suo padre pestava la vecchia ma ne riceveva in contraccambio una buona dose di ciabattate sul muso. Adorava la grinta di sua madre. Faceva il tifo per sua madre. E quando li divideva non resisteva all'urgenza di trattenere un pò il vecchio nell'attesa che Lei lo legnasse per bene. Strana famiglia e strana crescita. si alzò per prendere il suo cedolino: segnava il 36 mentre nell'ufficio 17 erano al numero 24. Tornò a sedersi sulla stupida sedia gialla.
Christine si stava recando al suo lavoro in pullman e tentava di non cedere alle sbandate dell'automezzo mentre rifletteva sulla reazione spropositata di Fletcher nei suoi riguardi. Strano a dirsi non ne era turbata più di tanto, anzi provava ancora un brivido oscuro nel momento in cui il suo pensiero andava alle mani del tizio intorno al suo collo. C'era indubbiamente qualcosa che surrogava il piacere di un orgasmo nel soffocamento progressivo. Ma questo Lei non l'avrebbe mai confidato a nessuno, tantomeno a Percace. Pensava che l'esasperazione aveva portato entrambi ai limiti di una scopata regolamentare effettuata attraverso la pura violenza. Aveva ancora davanti agli occhi l'espressione vacua e indolore di Fletcher mentre le strizzava il collo. Al punto che dovette stringere le gambe per non lasciar fuoriuscire il piacere dalle sue grandi labbra. Si maledì silenziosamente. Dopo la Cura aveva trovato un posto alla Sezione Riscossioni dello Stato: lì svolgeva il suo lavoro con dedizione e senza clamore, continuava il suo percorso di riabilitazione e otteneva risultati notevoli persino davanti ai suoi occhi ipercritici. L'arrivo del tizio aveva però scombussolato tutto. Vecchie magagne e sensazioni che credeva superate si erano imposte nuovamente alla sua vita con il fragore delle esplosioni e tutto il suo corpo era come un fuscello abbandonato all'aggressività degli elementi furiosi. Scese dal pullman e si avviò verso i rondelli che davano accesso al Ministero. Frustate di calore la perseguitavano e la sua andatura era impacciata e sbilenca mentre tentava di chiacchierare con alcune colleghe che le si erano appostate a fianco. Ma mentre rispondeva di prammatica ed educazione la sua mente andava allo sguarso bolso e acerbo di Fletcher che tentava di ucciderla. Il suo cervello era in libera uscita e ci sarebbe rimasto tutta la giornata.
Peter caricò l'ennesimo rompiballe che si faceva scarrozzare alla Cittadella degli Affari. Mozzicava qualche parola e da Riley Park si faceva condurre fino a West Point Grey transitando per Shaughnessy, Arbutus Ridge, la W 16th Avenue e Alma Street. Il passeggero pareva un pò svanito, forse era ubriaco e aveva tirato fuori tutte le foto possibili di sua moglie e dei suoi due bambini maschi "Guarda che gnocca" sfiatava "E i bambini hanno 6 e 4 anni. Due gioielli. Sono molto orgoglioso di Me stesso." "Da dove viene?" Esalò Peter più per abitudine che per convinzione. "East Lauretus" rispose l'entusiasta "Sposati da 18 anni e mai una volta che si sia fatto l'amore, e nessun bisogno di farmaci o di coadiuvanti. solo lo spruzzo necessario per cavare fuori i due marmocchi. Niente Clinica, nessun Percace o come si chiama. La mia vita è sulla rampa di lancio, amico." Stavano tirando diritto e il tipo stava al collo di Peter che però non odorava nessun puzzo di bourbon a buon mercato. Era effettivamente così. "Mi chiamo Samuelson, faccio il broker, prima stavo alla Borsa di Groinville, poi m'hanno chiamato qui. Tu? posso sapere il tuo nome?". " Ellis Rowland" mentì Peter "Non aveva così tanta voglia di dare confidenza a Samuelson. Visto così gli sembrava un esaltato. "Siamo quasi arrivati, Signore". Il Broker si riscorsse dalle sue divagazioni e prese la borsa in pelle che aveva appoggiato in grembo. "Ottimo, Ellis, hai fatto un gran lavoro e sei simpatico. Ti va se ti lascio i miei estremi? Se hai bisogno di qualche buon investimento puoi trovarmi facilmente." E, sbattuta la portiera, si incamminò fischiettando lungo l'ampia scalinata del Deworks Exchange & Trade Building. Peter sorrise spento e ficcò in tasca il biglietto di presentazioni che gli aveva rifilato quel tizio mezzo suonato. "Chissà". Riflettè "Un buon investimento"
Rihanna lavorava presso la signora Driscoll in questo periodo. Una persona di 52 anni, sposata con Louis Simon, un ricco imprenditore del vetro soffiato, attivo nel suo ramo da quando aveva 17 anni. Rihanna Conosceva anche Louis e la loro figlia Jezebel e aveva sempre tratto un'ottima impressione da quella Casa. Le piaceva ed era trattata bene. Adesso la signora Driscoll è seduta con fare compunto in bordo di sedia, un vestito accollato sottolinea la lunga treccia castana che dal collo le arriva fino al culo. Una gonna con bordi damascati sopra il ginocchio e lo sguardo fisso sulle curvature di Rihanna mentre si piega a pulire. Le balza fuori la riga delle chiappe e le grosse poppe ballonzolano dalla canotta attillata. La Signora Driscoll ha lo sguardo rapito e succhia l'energia della giovane attraverso quello che intravvede nelle spaccature vertiginose. Uno strano sentimento di possesso la guarnisce tutta e la spinge a fissare Rihanna mentre svolge le sue incombenze. Sente, attraverso i brividi, che il suo dovere con suo marito l'ha fatto. L'ha sostenuto nella sua attività e l'ha incoraggiato. Adesso la piglia una strana sensazione di terrafranca, di possibilità di spingersi avanti lasciandosi andare a tutte quelle vibrazioni che ha represso per venti anni buoni. "Non sei buona, Rihanna." Lei si ferma. Crede di non avere sentito bene ciò che la donna ha scandito a voce ferma. "No, non sei davvero buona: meriti una ferma lezione." E la signora Driscoll si solleva e si dirige verso il portaombrelli, dove, insieme ai parapioggia stanno due verghe di mezzo metro, sottili ma affilatissime. La signora sorride e afferra una delle verghe in legno di ciliegio, se la passa sul culo e poi si solleva la gonna sino alle mutande e si infila l'aggeggio fra le gambe lasciandolo scorrere. Rihanna è lì, imbambolata in piedi con ancora lo straccio in mano, che osserva siderata e incapace, impossibilitata ad articolare qualsiasi tentativo di comprensione. "Vieni qua, togliti quelle cianfrusaglie." La signora Driscoll si è ricomposta: ora solo la verga tra le sue dita lascia trapelare qualcosa di strano. Ma il viso è duro e ghiacciato, le sue considerazioni non ammettono repliche. Rihanna attende ancora due minuti, per mettere in fila i pensieri e la decifrazione di tutta la scena. Poi urla. Prende il secchio di acqua sporca dai suoi piedi e lo lancia contro la signora, che ne viene totalmente ricoperta. Poi corre verso l'angolo e afferra lo spazzolone scagliandosi verso l'altra donna. La colpisce furiosamente. La costringe in ginocchio mentre la subissa di colpi, dall'alto verso il basso e di sbieco. La Driscoll alza le braccia mentre sta in ginocchio e cerca di difendersi come può dalla gragnuola. Quando Rihanna è stanca e sente le braccia dolerle e le dita pizzicarle per lo scarso afflusso di sangue, getta via lo spazzolone, ansima violentemente senza staccare le pupille dalla donna piegata e acciaccata, le indirizza contro un lungo sputo verdastro e si dirige, simile a un automa, verso la porta del lussuoso appartamento. Apertala, rinviene due divise ad attenderla e a salutarla portandosi le dita al berretto militare, un sorriso indecifrabile e le pistole ai fianchi
 
 
 
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