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Messaggi del 31/03/2014
Post n°8748 pubblicato il 31 Marzo 2014 da cile54
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Post n°8747 pubblicato il 31 Marzo 2014 da cile54
Perché su Facebook ce le beviamo proprio tutte Il caso del fantomatico senatore Cirenga e il presunto "fondo per i parlamentari in crisi" durante il governo Monti è stato usato dalla Northeastern University di Boston per studiare il virus dei falsi sul web. "Colpa della confusione tra notizie e intrattenimento" È passato più di un anno e forse non molti ricordano la sollevazione popolare contro il disegno di legge del senatore Cirenga. Era la fine del 2012, e già si percepivano forti gli scricchiolii del governo Monti, quando su Facebook è apparso un appello che ha immediatamente raccolto decine di migliaia di adesioni. E come non indignarsi all'idea che, in un'Italia più che mai in crisi, il senato avesse approvato, con 257 voti favorevoli e 167 contrari, l'istituzione di un “fondo per i ‘parlamentari in crisi’ creato in vista dell’imminente fine legislatura” con uno stanziamento di 134 miliardi di euro? Peccato che fosse tutto falso: inesistente il disegno di legge, inesistente il parlamentare Cirenga, sbagliato il numero dei senatori (422 contro i reali – almeno per ora – 315, più i 4 senatori a vita), del tutto assurda infine la cifra stanziata, in base alla quale ogni senatore avrebbe ricevuto una faraonica buonuscita di 500 milioni di euro. Forse proprio per le dimensioni macroscopiche della bufala, l'“affaire Cirenga” è stato scelto dal Laboratory for the Modeling of Biological and Socio-Technical Systems della Northeastern University di Boston come caso da analizzare per una ricerca intitolata L'attenzione collettiva nell'era della (dis)informazione. Obiettivo del lavoro, condotto dalla fisica di origine rumena Delia Mocanu, con l'aiuto – tra gli altri – di due italiani, Luca Rossi e Walter Quattrociocchi, studiare il modo in cui le informazioni vengono “consumate” dagli utenti dei social network, in margine a un dibattito politico come quello italiano. O se si preferisce usare la più cruda definizione di Joshua Keating su Slate, «capire come mai i tuoi stupidi amici di Facebook possono essere così creduloni». Il risultato della ricerca è particolarmente interessante, e non potrà non piacere a chi ritiene che l'informazione tradizionale sia ancora la migliore, o comunque la più solida e attendibile: quello che è emerso, infatti, è che a cadere nella trappola dell'appello Cirenga, sono stati soprattutto coloro che, non fidandosi dei giornali o della televisione, preferiscono cercare le notizie da fonti “alternative”. Per condurre lo studio, Mocanu e i suoi collaboratori hanno diviso gli utenti in tre gruppi: quelli che attingono le informazioni dai siti di organizzazioni politiche, coloro che invece hanno come riferimento quotidiani di carta o online e telegiornali, insomma la stampa mainstream, e infine i diffidenti a oltranza, che preferiscono cercare altrove le loro fonti, in pagine web che disseminano informazioni controverse, spesso prive di solide basi d'appoggio e a volte in contraddizione con la stampa “ufficiale”. Sono proprio questi ultimi a essere più inclini a condividere contenuti falsi, in una percentuale – 56 per cento – doppia e tripla rispetto a quella registrata negli altri due gruppi (rispettivamente 26 e 18 per cento). Con una certa (fondata) perfidia Keating nota che «forse l'Italia, un paese il cui ex primo ministro possedeva tre importanti reti tv e dove un partito importante ha come leader un comico, non è il posto giusto per studiare il fenomeno», visto che da noi «la linea fra notizia, intrattenimento e propaganda è più sfumata che altrove». Ma lo stesso Keating riconosce che le bufale prosperano anche sul suolo americano e che c'è qualcosa di giusto nell'idea «che i critici più feroci dei media mainstream sono spesso i consumatori più acritici delle fonti alternative». Un'affermazione su cui i complottisti di tutto il mondo farebbero bene a riflettere almeno qualche minuto prima di condividere la loro ultima scoperta. Maria Teresa Carbone 21/3/2014 http://www.pagina99.it/ |
Post n°8746 pubblicato il 31 Marzo 2014 da cile54
Cisf: il punto di vista degli “italiani” sugli immigrati Il Rapporto Cisf 2014 sul tema “Le famiglie di fronte alle sfide dell’immigrazione”, per la prima volta ha raccolto le opinioni di 4mila famiglie, descrivendo diversi atteggiamenti, paure e rappresentazioni del fenomeno migratorio. Paure che – ha spiegato Pietro Boffi, responsabile del Centro Documentazione del Cisf – sono “nella stragrande maggioranza dei casi determinati dall’impatto dei mass-media, mentre tutte le volte che le persone si incontrano davvero faccia a faccia, la diffidenza e le paure non scompaiono del tutto, ma diminuiscono in modo significativo”. Per il 57,2% degli italiani, gli immigrati che vivono in Italia sono “troppi”. Il 42,7% degli italiani è “abbastanza d’accordo” sul fatto che gli immigrati siano necessari per fare il lavoro che gli italiani non vogliono fare. Per niente d’accordo il 19,6%. Il 47% è “abbastanza d’accordo” sul fatto che gli immigrati ricevano dallo Stato in termini di assistenza, sanità, scuola e pensioni più di quello che versano in termini di tasse; “per niente” d’accordo il 6%. Quasi il 70% degli intervistati ritiene che l’aumento degli immigrati favorisca il diffondersi del degrado e della criminalità. Secondo il sondaggio Cisf, il 58% degli intervistati si dice scettico sulla tenuta del rapporto di coppia tra italiani e immigrati. Per il 71,3% del campione il ricongiungimento dei familiari più stretti (coniuge e figli) degli immigrati regolari presenti in Italia favorisce la loro integrazione sociale. Fonte: www.migrantesonline.it |
Post n°8745 pubblicato il 31 Marzo 2014 da cile54
Blueprint e Ttip, l'acqua ai privati Di fronte al dramma della disoccupazione e dell'insicurezza sociale, confesso il timore che a parlare d'acqua e della sua privatizzazione risulti un parlare di cose marginali. Timore che si accentua con l'importanza dei prossimi appuntamenti: il governo Renzi, la campagna elettore per le europee, il semestre di presidenza italiana alla commissione europea e la formazione di una lista che auspico sia capace di unire la sinistra oltre le elezioni stesse e sia vissuta dai movimenti come cosa propria. La spettacolarizzazione delle sofferenze del lavoro zittiscono ogni altro argomento: chi parla più dell'arraffamento mondiale delle risorse, dei mutamenti climatici, del modello energetico insostenibile, del modello agricolo e alimentare che assorbe il 60% dell'acqua e il 47% dell'energia, dei rifiuti tossici e delle numerose terre dei fuochi disseminate al Nord e al Sud del nostro paese e nel mondo? Questioni con al centro il destino dell'acqua e che più che mai sono la base per ogni discussione seria sul lavoro, sulla chimera dell'impossibile crescita, sul senso delle privatizzazioni dei servizi essenziali, sulla svendita e la monetizzazione dei beni comuni. Questioni ineludibili per quanto si giocherà in Europa sull'acqua e che necessitano del protagonismo dei movimenti e di una presenza parlamentare in organico rapporto con questi. L'immagine della sala del Parlamento Europeo in cui si è svolta l'audizione sull'iniziativa europea Ice, promossa dai movimenti dell'acqua e che ha raccolto 1,8 milioni di firme, è lo specchio del degrado della presenza politica italiana in Europa; una sala piena con la presenza di parlamentari europei di tutti i paesi Ue e la totale assenza di parlamentari italiani. Venendo al dunque, il prossimo parlamento europeo dovrà decidere due questioni, la cui importanza è tale da cambiare il senso dell'accesso ai diritti fondamentali. Il primo è il Blueprint, il «Piano europeo sullo stato delle risorse idriche e le sfide inerenti la politica». Quelli che l'hanno ispirato riconoscono il disastro idrico, ma non per riflettere sull'idea della crescita illimitata che l'ha prodotto. Un quinto del territorio europeo è a rischio di carenza d'acqua, il 57% delle acque di superficie in pessimo stato, la preoccupante condizione delle acque sotterranee, il fallimento dell'obiettivo di migliorarle entro il 2015 e la previsione di un peggioramento generale a partire dal 2030. Il 70% della popolazione che nel 2050 vivrà nelle città con il conseguente problema dei servizi essenziali, a partire dall'acqua, e i problemi principali si ammette derivano dal settore agricolo e dai cambiamenti climatici, questa è la realtà descritta per sostenere la filosofia di fondo del Blueprint che parte dalla considerazione che se l'acqua buona scarseggia occorre innovazione tecnologica per riprodurla e garantire la crescita produttiva alle imprese. Tecnologie, quindi, di depurazione/purificazione e rimessa in ciclo (dovrà essere chiaro che berremo acqua più volte depurata), di trasferimento da un posto all'altro, di risparmio per unità di prodotto, di desalinizzazione del mare. Occorrono perciò finanziamenti di cui solo i privati e il mercato finanziario dispongono. L'acqua non può che essere un bene economico industriale, con un prezzo mondiale da definirne secondo la logica del mercato e del full recovery cost . Non solo la privatizzazione della gestione del servizio idrico, ma la monetizzazione/privatizzazione di tutte le acque. La corsa a mettere i picchetti come nella febbre dell'oro e la fine della naturalità dell'acqua, del suo essere elemento fondante della vita. Infine, la rinuncia alla sovranità da parte delle istituzioni verso la nuova governance dei portatori di interessi, in cui chi domina sono le multinazionali e la politica è subordinata a far leggi a loro salvaguardia. Da questa politica europea si può leggere lo svuotamento di tutte le architravi della democrazia in atto, dai partiti ai parlamenti, dalle amministrazioni locali alle Costituzioni. Il secondo punto è il Trattato di libero commercio Usa/Ue, ovvero la riedizione più feroce della direttiva Bolkestein da ratificare entro il 2015: le leggi di un paese, le delibere di un comune, le vittorie dei movimenti sociali, gli accordi sindacali, i referendum dei cittadini, dovranno essere compatibili con gli interessi delle aziende e la libera concorrenza e come tali verranno giudicati e sanzionati da Tribunali arbitrali privati e da avvocati aziendali. E le privatizzazioni rese obbligatorie. Il trattato è la privatizzazione dichiarata della politica. Pensate, si raccomanda che tutto ciò debba avvenire in silenzio, «per non creare ansia e senso di minaccia da parte dei cittadini». Non sarà quindi marginale parlare di acqua nella campagna elettorale europea e chi verrà eletto sarà bene che si impegni su questi argomenti. Il movimento dell'acqua ha regalato al pensiero di sinistra e alternativo una incredibile vittoria, ha creato un linguaggio, la cultura dei beni comuni, della partecipazione e dei diritti, ha rinnovato i richiami alla democrazia e alla Costituzione. Ha ricordato a coloro che si richiamano alla spiritualità oppure al materialismo, che nulla è più spirituale e nulla è più materialista delle materie: quelle naturali, quella degli elementi universali su cui si basa la vita di tutti. E che nulla come il loro possesso privato, la loro conquista, genera guerre, miseria e sofferenza umana. Emilio Molinari 28/03/2014 www.sbilanciamoci.info |
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(Gianni Rodari)
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Giorgiana Masi
Roma, 12 maggio 1977
omicidio di Stato
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