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"La mia ferita emotiva più profonda è stata anche una fonte inesauribile di gioie". Non ti rivelerò perché questa frase è molto importante per me: è una questione troppo personale. Ma tu, Vergine, potresti fare un'affermazione simile? Potresti interpretare la tua vita in modo da vedere un'esperienza dolorosa come una fonte di intuizione, ispirazione e vitalità? Il 2009 sarà l'anno ideale per compiere questo cambio di percezione. E il periodo intorno al solstizio d'inverno è il momento perfetto per cominciare. (Rob Brezsny)

 
 

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Ancora scritti antichi...

Post n°73 pubblicato il 24 Gennaio 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

29 Settembre 2001

Avete mai fatto un viaggio tra le vecchie borsette di una vita?
Se siete uomini è improbabile che lo abbiate fatto, se siete donne e pigre come me, vi sarà capitato almeno una volta negli ultimi vent’anni. Io l’ho fatto oggi.
Da quando ho ricominciato a frequentare il mondo mi sono accorta che, negli ultimi anni di clausura, la mia concezione di “guardaroba” non è stata esattamente quello che in genere si intende e che per anni ho acquistato capi di abbigliamento solo ed esclusivamente per coprirmi e non certamente per apparire carina a me stessa e agli altri. Inoltre il mio gusto estetico era strettamente legato alla necessità di non apparire, quindi sceglievo colori smorti, modelli stile “signorina senza grilli per la testa”, insomma cose senza gusto e senza allegria, tutti capi che mi nascondevano accuratamente agli sguardi e che mi facevano sentire sicura che nessuno mai avrebbe potuto interessarsi a me. Tutto questo lo facevo in piena coscienza, senza raccontarmi bugie e consapevole di farmi del male….ma tant’è, lo facevo.
Era un grosso problema fare acquisti.
Tutte le volte che mi serviva qualcosa dovevo prima fare un lungo lavoro su di me per costringermi ad uscire e quando finalmente ci riuscivo, non potevo certo bighellonare di negozio in negozio cercando la cosa più carina al prezzo più favorevole, bensì mi dovevo accontentare del negozio più vicino possibile al parcheggio dove avevamo l’auto e quello che trovavo andava bene, l’importante era uscire presto dal negozio e tornarmene a casa.
Altro metodo molto comodo era appropriarmi delle cose dimesse da altri.
Quando le mie sorelle buttavano qualcosa che non indossavano più, io subito me ne appropriavo contenta, senza badare al modello, alla taglia, al fatto che mi piacesse o meno; l’importante era che non fosse troppo sgargiante, poi tutto andava bene.
Negli anni della mia malattia ci sono stati alcuni matrimoni e vari battesimi, occasioni in cui “ci si veste bene” e si sfoggia il meglio del guardaroba; ebbene in tutte le foto io appaio come sfondo, neutra, vestita alla meno peggio e sempre in beige o in blu.
L’unica concessione che facevo al colore era il rossetto. Appaio sempre con rossetti sgargianti e credo avesse un senso: ”io sono morta, ma le labbra hanno vita a sè e parlano, dicono, urlano…guardatele, ascoltatele, perché se dentro e fuori io sono senza colori, le mie parole spiccano e vogliono solo essere udite”.

Le borse.

Ho sempre adorato le borsette. Piccole, grandi, di pelle o di stoffa, l’importante è che siano capaci di contenere il mio mondo. Una persona un giorno mi ha detto che sono una “lumaca” che deve portarsi sempre dietro mezza casa e forse è vero; non esco mai senza borsa e anche in casa la tengo a portata di mano, per poter frugare, cercare, essere certa che “sta tutto lì” pronto nel caso si debba uscire di corsa.
Ebbene oggi ho deciso di fare pulizia negli armadi: via i vecchi pantaloni beige, via le camicette da zitella acida e….via le vecchie borse.
Sono almeno una decina quelle che intendo buttare (non senza una stretta al cuore) e prima di infilarle nel sacco dell’immondizia ho controllato che fossero vuote. E quando mai!!! Ho la pessima abitudine di cambiare borsa senza svuotare quella usata fino a quel momento, riponendola nell’armadio e lasciandola lì per anni, colma di tutto, compresi i ricordi.
La prima che ho aperto è una vecchia borsetta di cuoio acquistata al mercato di Maranello quando ero fidanzata con Roberto.
Avevo vent’anni ed era la prima volta che andavo via di casa da sola; mi sentivo importante e sicura di me, felice di essere amata da un uomo “grande” e terribilmente certa che quel luogo sarebbe stata la mia casa per il resto della vita.
In quel periodo vestivo da rivoluzionaria, portavo i capelli lunghi e ricci e adoravo i vestiti indiani e le sciarpe di seta con le frange. La borsetta di cuoio grezzo era l’ideale, sapeva di libertà e ribellione e come la vidi fu mia.
Ci ho trovato dentro una penna a sfera, delle caramelle gommose alla frutta e tanti foglietti con indirizzi di persone dimenticate. All’interno, scritta a biro sul cuoio, c’è la firma di Roberto. Ho deciso che non la butto.
Apro una borsa di paglia, di quelle estive che si usano in spiaggia. Dentro, come in una serie di scatole cinesi, un’altra borsa e un’altra ancora e ancora e ancora……Sono tutte borse del mio periodo “malato” e poche sono quelle acquistate da me, per la maggioranza sono borse ereditate da sorelle, mamme, zie.
Inizio ad aprire e sorrido.
In ogni taschino interno di ogni borsa c’è almeno un pacchetto di caramelle Polo alla menta, il mio antipanico per eccellenza.
Quando, subito dopo il rientro dal viaggio di nozze, mi resi conto che i miei malesseri non si attenuavano, chiamai il dottore che venne a casa e mi fece la visita di rito. La cosa che più mi infastidiva era la costante nausea, e il medico mi consigliò la menta come rimedio; provai vari tipi di caramelle, ma l’unica che sortiva un certo effetto era “il buco con la menta intorno” e da allora non sono mai uscita di casa senza la mia bella stecca di Polo (Molto tempo dopo la mia analista mi fece notare l’assonanza tra “menta” e “mente”).
Continuo a cercare e noto un’altra cosa che accomuna tutte le borse: in ognuna c’è una busta per la spesa ripiegata. Questo mi fa sorridere meno. Ancora ora, prima di uscire da casa, controllo in modo maniacale che nella borsetta ci sia una busta di plastica e non perché pensi di dover fare spese e di averne bisogno, ma perché per anni ho avuto la sensazione di dover vomitare da un momento all’altro e la busta di plastica mi dava una sensazione di sicurezza, la certezza che non avrei sporcato e che in qualche modo avrei potuto nascondere quella cosa vergognosa e imbarazzante che è il dare di stomaco in pubblico. Il risultato di tutto ciò è che in casa mia non si butta mai via una busta della spesa e che se resto senza vado in crisi.
Riprendo ad affondare le mani nei taschini ed ecco saltare fuori decine di confezioni di magnesia bisurata, ossia l’antiacido per eccellenza.
Ho disseminato le mie borse di quantità smodate di antiacido come se il mio stomaco fosse il contenitore di milioni di limoni spremuti, quando a dire il vero i miei bruciori di stomaco erano rari e mai devastanti, ma, come tutti coloro che soffrono di paure infondate, basta una volta per renderti schiava del timore che possa succedere ancora e allora giù con la magnesia e guai se non c’è.
Le agendine…..una per ogni borsa, ognuna con gli stessi indirizzi e gli stessi numeri di telefono.
Gente che non ho mai chiamato, che non mi ha mai chiamata e a cui non ho mai dovuto dire nulla, ma che in qualche modo mi faceva sentire ancora parte di una comunità.
Il paradosso di una persona che non ha contatti umani ma che vuole ad ogni costo avere decine e decine di nomi da leggere, per poter dire: “li conosco, mi conoscono, se un giorno guarisco magari mi servirà avere il loro recapito”.
Ho la tentazione di tenerle, queste icone del passato, ma so che le devo buttare per dimostrare a me stessa che ora so scegliermi gli amici e che non mi serve un’agenda per contenerli. Sono pochi ma sono esattamente quelli che voglio io.
Oltre agli accendini, segno incontestabile che sono un’accanita fumatrice, sono saltate fuori un sacco di penne a sfera. A cosa mi servissero non lo so. Da ragazza scrivevo molto, ogni occasione era buona per scrivere una lettera o per appuntare su un diario i miei pensieri, ma dopo ho smesso perché non sapevo più a chi scrivere e perché i miei pensieri erano troppo confusi per poter essere espressi con parole scritte su un foglio. Però ho sempre amato comprare penne a sfera e anche oggi mi soffermo volentieri a guardare i contenitori colmi di biro di tanti colori e di tante forme diverse, solo che per scrivere uso il computer e non so se sia un bene, ma tant’è, non so più mettere inchiostro su un foglio.
Apro l’ultima borsa.
L’ho comperata la primavera scorsa per andare ad un matrimonio.
Nera, seria, ma molto molto “alla moda”. Ha dentro le immancabili Polo, il sacchetto di plastica, la biro, l’agenda, ma senza indirizzi e ….un biglietto di entrata al Foro Palatino di Roma, delle caramelle alla frutta, foglietti sparsi con su scritti pensieri sulle mie sedute di analisi….Ma allora non è vero che non so più mettere inchiostro su un foglio!
E le chiavi del ristorante.
Le mie chiavi, che servono per aprire ogni mattina le porte ai clienti.
Le mie chiavi che fanno di me una donna che lavora e che ha responsabilità.
Le mie chiavi che mi consentono di avere un reddito se pur piccolo, quel reddito che mi permetterà di comprare vestiti carini e borsette nuove da dimenticare nell’armadio per poi spuntare fuori fra tanti anni colme di ricordi, come ora.



24 Gennaio 2006
Il ristorante è chiuso da due anni.


(Foto e labbra: betulla64)

 
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