Creato da betulla64 il 22/12/2005
Il coraggio non mi manca. E' la paura che mi frega. (Antonio Albanese)

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Oroscopo

immagineVergine (23 agosto - 22 settembre)


"La mia ferita emotiva più profonda è stata anche una fonte inesauribile di gioie". Non ti rivelerò perché questa frase è molto importante per me: è una questione troppo personale. Ma tu, Vergine, potresti fare un'affermazione simile? Potresti interpretare la tua vita in modo da vedere un'esperienza dolorosa come una fonte di intuizione, ispirazione e vitalità? Il 2009 sarà l'anno ideale per compiere questo cambio di percezione. E il periodo intorno al solstizio d'inverno è il momento perfetto per cominciare. (Rob Brezsny)

 
 

Blo(g)cco Note

Sulla via che mi porta al lavoro c'è una casa abbandonata che, mi hanno detto da qualche giorno, è abitata dai fantasmi.
Non lo sapevo. Ma appena me l'hanno detto ho pensato: la compro io.
 

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"El canto tiene poder,
tiene la fe que alucina,

la voluntad colectiva,
puede ser ola en el mar"

(Josè Seves)


 
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Messaggi di Gennaio 2006

Post N° 91

Post n°91 pubblicato il 31 Gennaio 2006 da betulla64
 
Tag: Cucina

 Erano buoni! 



Ed ecco la bagna bianca:

150 gr. di panna
50 gr. di burro
3 porri
un bicchiere di latte
sale e pepe

Soffriggete lentamente nel burro i porri finemente affettati, facendo in modo che restino morbidi. Aggiungete la panna, il latte. Salate e pepate (e per pepate intendo PEPATE, non uno sputacchio) Lasciate cuocere per qualche minuto a fiamma bassa e in ultimo unite una manciatina di formaggio grana.
Ottimo condimento per la polenta di grano saraceno e per gli gnocchi ... oltre che per i crusèt.




(Foto: betulla64)

 
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Crusèt

Post n°90 pubblicato il 31 Gennaio 2006 da betulla64
 
Tag: Cucina
Foto di betulla64

(Sono stata stuzzicata nell'orgoglio)



Ingredienti:

500 gr di farina di frumento
2 uova
un cucchiaio d’olio
1/2 bicchiere d’acqua tiepida

Preparazione

Disporre a fontana sulla spianatoia la farina, rompervi le uova, unire l’olio, l’acqua e impastare finchè il composto è omogeneo e morbido.
Tagliare la pasta a pezzetti e farne dei filoni grandi come un dito. Tagliarli a dadini e schiacciarli uno per uno con un movimento rotante del pollice, come per ottenere delle orecchiette.
Cuocere in acqua bollente salata, condire con burro fuso e salvia e spolverizzare di abbondante formaggio grattugiato.
(Io li condisco con la bagna bianca, ma questa è un'altra ricetta...)


Aggiornamento: I crusèt sono pronti.... più tardi vi renderò edotti sulla reazione del palato.

(Foto: betulla64)

 
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Post n°89 pubblicato il 31 Gennaio 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

Ci stanno scippando la libertà.
Lo fanno subdolamente, in silenzio, approfittando del fatto che molti Italiani non sanno cosa sia Internet e quali siano le sue potenzialità. Potenzialità che conoscono bene le persone che hanno deciso (da almeno 30 anni lo hanno deciso...leggetevi il programma di Gelli ) di decidere per noi cosa leggere, cosa guardare, su cosa informarci. Non va bene che non guardiamo Emilio Fede e il TG1. Non va bene che leggiamo notizie di controinformazione. Non va bene che ci informiamo all'estero su cosa succede nel mondo: devono dircelo loro cosa succede, echecapperi!
Leggete su Punto Informatico di oggi, l'articolo di Vittorio Bertola . Io sono senza parole e ormai pure quasi senza speranze... Viva l'Italia, Viva la Libertà.


 
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Post N° 88

Post n°88 pubblicato il 30 Gennaio 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

La mia montagna un tempo era un vulcano.
Un mio antico avo decise che qui era il fieno migliore e che costruirci un capanno non sarebbe stata una cattiva idea.
Fu mio nonno a rischiare tutto quello che aveva per trasformare il capanno a 1000 metri sul declivio di un monte in una casa per la sua famiglia.
Erano gli anni trenta.
Lui, operaio delle ferrovie, aveva rifiutato il tesseramento fascista, era stato licenziato e costretto a tornare contadino, così come era nato.
E allora, indebitandosi, acquistò campi e li dissodò, acquistò giornate di acqua con cui irrigò i campi, abbeverò il bestiame e costruì un acquedotto. Tutto sulle pendici del vecchio vulcano.
Io ero la sua nipote prediletta.
Vivo col culo sul vecchio vulcano e a differenza dei miei avi pratico l'ignavia in modo vergognoso, ma per qualche strano motivo, quando tutto è silenzio come ora, quando la neve copre tutto di un manto bianco, io e solo io sento la mia montagna borbottare e ricordo che era un vulcano e che io e le mie miserie non siamo che un soffio, un solletico sulla crosta del mondo.

 
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Post n°87 pubblicato il 30 Gennaio 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

... il tetto di casa visto dalla mia mansarda....
minimo sono 120 cm....
e non smette...



(Foto: betulla64)

 
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Post n°86 pubblicato il 29 Gennaio 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

Accidenti....
proprio oggi doveva venire sbruciacchiata!

Però era ottima :)


Dopo aver guardato la mia torta, date un'occhiata al sito linkato qui sotto

 
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Post n°85 pubblicato il 29 Gennaio 2006 da betulla64
 
Tag: dap
Foto di betulla64

Provate ad immaginare.

Soffrite di vertigini e un giorno qualcuno viene a dirvi che per andare al lavoro, per fare la spesa, per divertirvi, per curarvi, per stare dietro alla burocrazia e per quant'altro possa essere il vivere su questo mondo, ebbene, per tutto ciò dovete attraversare una corda tesa sopra al Gran Canyon. Puntate lo sguardo su quella corda e vedete che i vostri amici, i vostri familiari, il vicino di casa, i bambini, tutti camminano sulla corda e attraversano il canyon. Allora vi dite : "posso farlo pure io" e armandovi di coraggio attraversate. Immaginate quanto sia terrificante stare nel vuoto, immaginate la testa che gira, le ginocchia che si piegano... ma dovete farlo perchè LO FANNO TUTTI CAZZO! e andate. Vi sentite morie ma ce la fate. Subito è euforia pura ...DIO MIO HO SAPUTO FARLO!! Poi però vedete che nessuno vi dice bravo, che per gli altri è tutto così normale ed è lì che si innesca il senso di inadeguatezza e di inferiorità che si aggiunge alla vertigine. Sapete che dovrete ripassare su quella corda tesa e, oltre alla paura, ora avete l'impressione che tutti vi guardino con scherno. Fate la cosa più saggia di questo mondo e andate da un medico, che vi prescrive una medicina che vi aiuterà. Fiduciosi ingoiate la pillola e ricominciate il percorso sulla corda, ma subito vi accorgete che la medicina non toglie la vertigine, semplicemente vi fa vedere il baratro un po' più sfocato, ma sapete che è lì, pronto ad ingoiarvi se appena fate un passo falso. Sì, forse le gambe sono più ferme, ma la corda resta una corda e il canyon un canyon...e la gente continua a chiedersi cosa cacchio ci sia di così difficile nell'attraversarlo su una corda tesa. Dopo che avrete passato metà della vostra vita a tentare di convincervi che il baratro è un soffice prato di margherite e la corda un sentiero di aghi di pino, vi arrenderete dando partita vinta alla vertigine.

Morale: Siete tutti fantastici, ma non cercate di curarmi perchè io non ci credo più. Sono per il sacrosanto diritto alla vertigine e ancor di più all'incurabilità di molti mali. L'accanimento terapeutico è odioso anche quando si applica alla mente umana.

(Foto: betulla64 - Lacs de Peyrefique dalla Rocca dell'Abisso 2755 m.)

 
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Siete troppo buoni, devo espiare...

Post n°84 pubblicato il 28 Gennaio 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

Fin da bambina ho avuto in testa una gran confusione tra regola e trasgressione della stessa, come una sorta di sentimento dualistico che faceva sì che provassi attrazione verso tutto ciò che era proibito e nello stesso tempo una sorta di terrore pensando alla possibilità di essere scoperta.
La colpa, il giudizio la conseguente punizione mi hanno perseguitato per anni. Lo fanno ancora.
Una delle cause di questo modo di affrontare la colpa può essere ricercata forse nella mia tendenza a cercare la perfezione, a voler essere impeccabile di fronte al mondo per ricevere la stima di tutti e perché nessuno possa trovare in me qualcosa di criticabile. Odio la critica, mi mette in ansia, mi fa vergognare, mi rende indifesa.
Da piccola volevo che tutti mi amassero ed entravo in competizione con le mie sorelle per accaparrarmi più affetto possibile, ma non una competizione fatta di trucchi o di tentativi di mettermi in mostra, anzi, era tutto un cercare di nascondermi, di rendermi invisibile o per lo meno di non disturbare troppo quel mondo di adulti che vedevo come un olimpo pieno di dei pronti ad incenerirmi al primo errore.
Non ero una brava bambina, ero semplicemente terrorizzata dal giudizio e dalla punizione e cercavo in ogni modo di evitarla.
Quando ora sento mia madre affermare che ero una bimba tranquilla, che non davo preoccupazioni, che ero buona e dolce, mi viene da rispondere che ero semplicemente già vile da bambina e che non ci sono meriti in me. Ma taccio e mi compiaccio segretamente.
Ho cominciato presto a frequentare la colpa, un po’ perché in casa non si parlava d’altro e quindi mi veniva spontaneo cercare di capire cosa fosse e poi perché con una sorella grande e smaliziata ho capito subito che “è colpa sua” poteva voler dire l’inferno. Cominciai a cercare un modo per evitare di prendermi la colpa e il modo era lì, sotto ai miei occhi, anzi, al piano di sotto, in casa della nonna.
Mia nonna si era ammalata abbastanza giovane di cataratta, solo anni dopo si sarebbe fatta operare ed avrebbe riacquistato una vista sufficiente a farle fare una vita quasi normale. Gli anni della mia prima infanzia li ricordo con una nonna che non vedeva quasi nulla, ma se dovessi giurare che fosse cieca totale non potrei farlo e nessuno ha mai saputo darmi risposte esaurienti, ricordo solo le raccomandazioni a stare attente perché nonna era “borgna” ossia cieca. Solo che da queste parti anche uno che porta occhiali da vista è definito “borgn” cosicché mia sorella ed io eravamo convinte di avere una nonna cieca, ma per quanto ne so può darsi che vedesse sufficientemente da spiare le nostre marachelle. Non lo saprò mai.
La casa di nonna era per noi il rifugio, lo scrigno con i segreti, il luogo della radio sempre accesa dove ascoltare “la corrida”, un posto pieno di tende e tendine dove nascondersi…..ed era la credenza.
La credenza di nonna era mitica, in laminato finto legno, con i vetri smerigliati raffiguranti dei cerbiatti al pascolo e con tre bei cassetti pieni di misteri. Ma la cosa più importante era quello che stava dietro ai vetri. Il barattolo delle caramelle.
In casa nostra le caramelle erano nascoste ed era impossibile rubarle, ma lì erano in bella mostra, nel barattolo di latta con i fiorellini rossi e il coperchio col manico finto osso…e nonna era cieca, non poteva vederci. Scoprii lì quanto sia bello trasgredire sapendo che nessuno lo saprà mai (illusa) e cominciai a rubare caramelle in quantità industriale. A dire il vero l’idea non fu mia. Io non avevo mai idee mie. Fu mia sorella, che dicendo “tanto e cieca”, cominciò ad arrampicarsi sulla sedia e ad aprire piano la vetrina scorrevole con mia nonna lì..ferma che non diceva nulla. Se non era cieca era sicuramente una santa.
Diventò un gioco frequente, e diventammo due ladre professioniste in un batter d’occhio, ma io sempre con il terrore segreto di venire scoperta.
Ancora oggi non so dire se provo tenerezza o vergogna per quei gesti furtivi, certo è che quando li ho confessati ero ormai certa che i fatti avevano subito quella meravigliosa metamorfosi che solo il tempo può produrre: trasformare gli atti illeciti in aneddoti esilaranti, permettendomi di evitare il giudizio.
Sono andata avanti così per anni e anni, fino all’imminenza del matrimonio.
A quel punto il bluff non poteva più reggere, il fatto di essere una persona nient’affatto docile e remissiva mi si parava davanti e non potevo farci nulla.
Dentro di me sapevo che la mia famiglia, il mio fidanzato, mi vedevano come la brava ragazza, la moglie devota, la figlia rispettosa, ma non era così. Io avevo dentro una curiosità, una voglia di provare tutto, di scoprire tutto che non avevo mai confessato nemmeno a me stessa, perché anche io ero convinta di essere una brava ragazza.
Solo una parte di me, della mia mente, aveva scoperto ogni cosa e cominciò a darmi segnali cercando di avvisarmi che prima di cominciare una nuova vita con un uomo avrei dovuto fare i conti con me stessa. Ma non ascoltai e tirai dritto chiedendomi cosa diavolo mi succedeva che d’improvviso stavo così male e avevo paura di tutto. Avevo semplicemente paura di non poter reggere il bluff. E non lo ressi.
Mi chiusi in casa e decisi che l’unico modo per non deludere tutta quella gente che mi credeva buona, era evitare ogni genere di tentazione, stare alla larga dal mondo e dalla vita con tutto quello che comportava: responsabilità e capacità di scelte coraggiose.
Ancora una volta rubavo le caramelle, convinta che una parte di me fosse così cieca da non accorgersene e ancora una volta mi convincevo che l’avrei fatta franca…e ancora una volta confesso, nella speranza che il tempo abbia fatto il miracolo.
Credevo sinceramente che fosse finita, che con l’analisi e tutti questi anni d’inferno avessi risolto qualcosa. Non ho risolto nulla. Torno nel mondo come ero a 24 anni, oppressa dalla colpa, incapace di evitarla e tanto vile da non voler affrontare il giudizio.
Ora mi crogiolo nell’illusione di farla franca, cerco scuse per giustificare la mia incapacità a rinunciare a ciò che desidero e non trovo il coraggio di dire che l’unica cosa che voglio è essere lasciata in pace col mio egoismo.
Pecco, mi giudico, mi punisco. Faccio da giudice supremo alla mia vita, ma non ho il coraggio di pormi innanzi al mondo e dire: “io sono così”.
Ma io sono davvero così.

 
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Post N° 83

Post n°83 pubblicato il 28 Gennaio 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

Gennaio 1988

Mia nonna è stata certamente il grande amore della mia vita, non vi è giorno che non mi manchi.
Donna timida, semplice, molto attaccata alla famiglia, ci ha ricoperti d’amore e dolcezza e lo ha fatto così bene che nessuno di noi si è mai accorto che ci teneva stretti in pugno senza possibilità di scampo.
C’è qualcosa di peggio dell’amore totale per renderci asserviti?
Il ricordo è legato alla sua malattia. Non ricordo una nonna sana, mai. Non usciva di casa da sola, era preda dell’ansia; la folla, i luoghi caotici le provocavano malessere. Noi ci burlavamo un po’ di questa cosa e per tutta la vita ha avuto attorno persone che la massacravano dicendo:“devi sforzarti”. Rammento la frase che pronunciava spesso:”Se sabesià…” se sapeste….
Passavo le mie giornate con lei, che ormai viveva nell’albergo e scandiva il tempo con i giornali radio le riviste delle Edizioni Paoline.
La mattina alle nove scendeva nel salottino che la zia aveva sistemato per lei e il nonno, io prendevo il pettine d’osso e cominciavo a pettinarla: aveva capelli stupendi, di un grigio argenteo, i riccioli permanentati che io fermavo con delle mollette, accarezzandola piano sulle guance incredibilmente lisce, ascoltando le sue chiacchiere sul tempo e sui turisti e raccontandole sciocchezze che la facevano ridere.

Una sera arrivai al lavoro e mia zia mi disse che la nonna non si sentiva bene e avrebbe cenato in camera, così preparai un vassoio con un po’ di brodo, il suo tovagliolo, le posate, i grissini che adorava e che avevano da anni sostituito il pane e salii la scala verso la sua camera. La trovai a letto con l’immancabile Famiglia Cristiana sulle ginocchia, la aiutai a bere il brodo, giocai un po’ con le sue mani di seta, la accarezzai e mi feci accarezzare…l’unico essere al mondo con cui potevo passare ore in effusioni fisiche senza sentirmi in imbarazzo, la bacia e tornai al mio lavoro.
La mattina seguente arrivai all’albergo come sempre alle otto e vi trovai l’ambulanza.
La nonna stava male, andava ricoverata d’urgenza e mia zia mi chiese di salire sul mezzo di soccorso mentre lei ci avrebbe seguito con la macchina. E qui il dramma. Io ormai da due mesi ero preda di quegli strani malesseri, di quei mancamenti e la sola idea di salire sull’ambulanza mi faceva morire.
Non potevo addurre come scusa una cosa che nemmeno io capivo, così dissi semplicemente di no.
Quel no semplice semplice sarebbe stata la mia condanna all’inferno per gli anni a venire e forse lo è ancora. Ricordo bene lo sguardo di disprezzo negli occhi di mia zia, il dolore, la preoccupazione e io lì, immobile statua di cera a scrollare il capo e pronunciare quel no.
La nonna fu portata via e mai più la rividi cosciente.
Lo stesso pomeriggio la riportarono a casa per permetterle di morire tra le cose familiari.
Passai il mio tempo a vegliarla, accarezzando quelle mani dolci, scrutando il viso immobile, spiando il respiro che si spezzava a tratti e la guardai morire.
Come si fa a lasciar morire l’amore della vita quando si sa che quell’amore è stato tradito? Che cosa avrebbe potuto dirmi ancora quella donna nel tragitto da casa all’ospedale?
Credetti di dover in qualche modo pagare la mia vigliaccheria e feci la cosa più incredibile, più grandiosa, più distruttiva che potessi fare: mi appropriai della sua psiche nel momento in cui spirava e decisi che per espiare dovevo essere lei.
Freud dice che le eredità noi ce le scegliamo.
Io scelsi di ereditare la malattia di mia nonna, che per tutti è sempre stato “esaurimento nervoso”, per me donna del 2000 si chiamava pomposamente “Sindrome da attacchi di panico”.


 
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Post n°82 pubblicato il 27 Gennaio 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

Ieri, dopo 25 anni e 1500 giovedì, le Madri di Plaza de Mayo hanno fatto la loro ultima manifestazione.
"Abbiamo sempre marciato contro il potere, ma oggi il Presidente Kirchner è un amico delle Madri e sta facendo cose che non avremmo mai sperato di vedere realizzate" dice Hebe de Bonafini, rappresentante del gruppo.

Non la pensa così Estela Carlotto, presidente delle Abuelas de Plaza de Mayo.
Lei continuerà a chiedere conto della sorte di 30.000 desaparecidos di cui ancora nulla si sa.

Continuerà a chiedere giustizia perchè non tutti gli assassini sono stati messi in prigione.
Continuerà a chiedere dove siano i più di 500 bambini rubati, strappati all'amore delle loro nonne, che ancora mancano all'appello.
Private dei figli e dei nipoti, non si arrendono.

E allora, cosa c'è di più forte dell'amore di una Madre?
... Quello di una Nonna.


(Colonna sonora: Carlos Gardel-Mi Buenos Aires q
uerido)

 
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Post N° 81

Post n°81 pubblicato il 27 Gennaio 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

avrei voluto baciarti
con la forza del vento
urlarti che t'amo

con un filo di voce
ti salutai
come si saluta il panettiere

(Pier Mario Giovannone)

 

 
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Post n°80 pubblicato il 27 Gennaio 2006 da betulla64
 
Tag: Parole
Foto di betulla64

Un grido è stato udito in Rama,
lamento e pianto amaro:
Rachele piange i suoi figli,
rifiuta di essere consolata perchè non sono più.

(Geremia 31,15)

 
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Post n°79 pubblicato il 26 Gennaio 2006 da betulla64
 
Tag: dap
Foto di betulla64

Nevica.
Stamattina era una nevicata indecisa, quelle nevicate fredde che non fanno volume e non aiutano il turismo... Stasera nevica forte e la valle comincia ad assomigliare a qualcosa di invernal-montano. E io sono triste.
Ha vinto Hamas.
Domani è la giornata della memoria.
Dai siti di controinformazione che consulto giornalmente faccio un rapido calcolo di quanta gente sta subendo tortura in questo momento.
Forse i preti violentano le suore.
Forse le suore si inventano che i preti le violentano.
Il Presidente del Consiglio del mio Paese insulta il suo avversario politico accusandolo di soffrire di attacchi di panico.... Caro Presidente, oggi ha perso una bella botta di voti sa? Soffriamo in molti di attacchi di panico, ma abbiano la memoria buona. Ci ricorderemo del suo insulto il 9 Aprile, stia certo.
Ma per quanto il portatore nano di infelicità mi faccia arrabbiare, non è colpa sua se sono triste.
E' che nevica ed è così bello il paese...
Fini in tv spiega perchè siano giusti 20 anni di galera per un po' di canapa indiana.
Spiega anche perchè sia giusto sparare a uno che ti sta rubando in casa.
Spiega perchè Hamas dovrebbe abbandonare la violenza.
Aspetto che dica lo stesso al Governo USA.
Ma non è Fini che mi rende triste.
E' che nevica. Nevica e piace a tutti. Nevica e io lo vedo da dietro un vetro. Vedo nevicare da 41 inverni qui nella mia valle, e non ricordo quando sia stata l'ultima volta che ho toccato la neve.

(Foto: betulla64)

 
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Post n°78 pubblicato il 26 Gennaio 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

Guardando i TG assisto allibita ai commenti su Padre Fedele: a sentire la gente è impossibile che un religioso faccia certe cose.
Mi viene da pensare che quindi ritengono normale che una religiosa se le possa inventare.

Che rabbia questa abitudine di processare le vittime. Sempre!

 
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Lager

Post n°77 pubblicato il 25 Gennaio 2006 da betulla64
 
Tag: Parole


Cos'è un lager?
è una cosa nata in tempi tristi, dove dopo passano i turisti,
occhi increduli agli orrori visti (non gettar la pelle del salame!)
Cos'è un lager?
è una cosa come un monumento, e il ricordo assieme agli anni è spento,
non ce n'è mai stati, solo in quel momento, l'uomo in fondo è buono, meno il nazi infame!
Ma ce n'è, ma c'è chi li ha veduti, o son balle di sopravvissuti?
Illegali i testimoni muti, non si facciano nemmen parlare!
Cos'è un lager?
Sono mille e mille occhiaie vuote, sono mani magre abbarbicate ai fili,
son baracche e uffici, orari, timbri, ruote, son routine e risa dietro a dei fucili,
sono la paura l'unica emozione, sono angoscia d'anni dove il niente è tutto,
sono una pazzia ed un'allucinazione che la nostra noia sembra quasi un rutto,
sono il lato buio della nostra mente, sono un qualchecosa da dimenticare,
sono eternità di risa di demente, sono un manifesto che si può firmare.
è un lager.
Cos'è un lager?
Il fenomeno ci fu. è finito! Li commemoriamo, il resto è un mito!
L'hanno confermato ieri, giù al partito, chi lo afferma è un qualunquista cane.
Cos'è un lager?
è una cosa sporca, cosa dei padroni, cosa vergognosa di certe nazioni,
noi ammazziamo solo per motivi buoni. Quando sono buoni? Sta a noi giudicare.
Cos'è un lager?
è una fede certa e salverà la gente, l'utopia che un giorno si farà presente,
millenaria idea, gran purga d'occidente, chi si oppone è un giuda e lo dovrai schiacciare.
Cos'è un lager?
Son recinti e stalli di animali strani, gambe che per anni fan gli stessi passi,
esseri diversi, scarsamente umani, cosa fra le cose, l'erba, i mitra, i sassi,
l'ironia per quella che chiamiam ragione, sbagli ammessi solo sempre troppo dopo,
prima sventolanti giustificazione, una causa santa, un luminoso scopo,
sono la curiosa prassi del terrore, sempre per qualcosa, sempre per la pace,
sono un posto in cui spesso la gente muore, sono un posto in cui, peggio, la gente nasce.
è un lager.
Cos'è un lager?
è una cosa stata e cosa che sarà, può essere in un ghetto,
fabbrica, città,
contro queste cose o chi non lo vorrà, contro chi va contro o le difenderà,
prima per chi perde e poi chi vincerà, uno ne finisce ed uno sorgerà,
sempre per il bene dell'umanità, chi fra voi kapò, chi vittima sarà
in un lager?

(Francesco Guccini - Metropolis)

 

 
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Post N° 75

Post n°75 pubblicato il 24 Gennaio 2006 da betulla64
 
Tag: dap
Foto di betulla64

Su un altopiano delle Ande Argentine si trovava un indio con le sue capre. Era lì steso sull’erba soffice, con il capo appoggiato mollemente su una pietra, colpito da quel malessere dovuto all’altitudine che i locali chiamano “mal de puna”.
E proprio l’apunamiento dava a costui quella tipica aria pigra e indolente tanto criticata dai cittadini; se poi aggiungiamo che per impedire che le orecchie si tappassero masticava foglie di coca come fossero chewin­gum, potrete capire come rimase infastidito il turista cittadino che proprio in quel momento decideva di passare di lì.
Nonostante il fastidio, l’uomo della città era pur sempre persona educata, così si rivolse gentilmente all’indio chiedendo: “Cosa fai buon uomo, qui sull’altopiano?”
L’indio aprì gli occhi e senza fare alcun movimento, giacchè gli costava fatica anche parlare, rispose: “Pascolo le capre signore”
Così cominciò il seguente dialogo:
E cosa ci fai poi con il latte delle capre?”
Lo bevo “
E non fai il formaggio?”
Certo”
E che ne fai”
Lo mangio”
Tutto?”
Certo”
Perché non lo vendi?”
E perché dovrei venderlo”
Perché così guadagneresti del denaro”
Per farne che, signore?”
Per comprare altre capre e fare più latte e più formaggio!”
E a che mi servirebbe, signore?”
Ad avere più latte e più formaggio da vendere”
Perché dovrei fare più latte e più formaggio?”
Così guadagneresti altro denaro, compreresti altre capre, produrresti di più, di conseguenza venderesti di più e diventeresti ricco”
L’indio pensò un po’ poi chiese: “E a cosa mi servirebbe essere ricco?”
Esasperato il cittadino rispose: “Se tu fossi ricco non dovresti più lavorare e potresti riposare!”
L’indio richiuse gli occhi e sussurrando rispose: ”Es lo que estoy haciendo señor...”.

 
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Finestra sulle proibizioni

Post n°74 pubblicato il 24 Gennaio 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

Sul muro di un locale di Madrid c'è un cartello che dice: E' proibito il canto flamenco.

Sul muro dell'aeroporto di Rio de Janeiro c'è un cartello che dice: E' proibito giocare con i carrelli portavaligie.

Il che vuol dire che c'è ancora gente che canta e c'è ancora gente che gioca.

(Eduardo Galeano - Las palabras andantes)

 
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Ancora scritti antichi...

Post n°73 pubblicato il 24 Gennaio 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

29 Settembre 2001

Avete mai fatto un viaggio tra le vecchie borsette di una vita?
Se siete uomini è improbabile che lo abbiate fatto, se siete donne e pigre come me, vi sarà capitato almeno una volta negli ultimi vent’anni. Io l’ho fatto oggi.
Da quando ho ricominciato a frequentare il mondo mi sono accorta che, negli ultimi anni di clausura, la mia concezione di “guardaroba” non è stata esattamente quello che in genere si intende e che per anni ho acquistato capi di abbigliamento solo ed esclusivamente per coprirmi e non certamente per apparire carina a me stessa e agli altri. Inoltre il mio gusto estetico era strettamente legato alla necessità di non apparire, quindi sceglievo colori smorti, modelli stile “signorina senza grilli per la testa”, insomma cose senza gusto e senza allegria, tutti capi che mi nascondevano accuratamente agli sguardi e che mi facevano sentire sicura che nessuno mai avrebbe potuto interessarsi a me. Tutto questo lo facevo in piena coscienza, senza raccontarmi bugie e consapevole di farmi del male….ma tant’è, lo facevo.
Era un grosso problema fare acquisti.
Tutte le volte che mi serviva qualcosa dovevo prima fare un lungo lavoro su di me per costringermi ad uscire e quando finalmente ci riuscivo, non potevo certo bighellonare di negozio in negozio cercando la cosa più carina al prezzo più favorevole, bensì mi dovevo accontentare del negozio più vicino possibile al parcheggio dove avevamo l’auto e quello che trovavo andava bene, l’importante era uscire presto dal negozio e tornarmene a casa.
Altro metodo molto comodo era appropriarmi delle cose dimesse da altri.
Quando le mie sorelle buttavano qualcosa che non indossavano più, io subito me ne appropriavo contenta, senza badare al modello, alla taglia, al fatto che mi piacesse o meno; l’importante era che non fosse troppo sgargiante, poi tutto andava bene.
Negli anni della mia malattia ci sono stati alcuni matrimoni e vari battesimi, occasioni in cui “ci si veste bene” e si sfoggia il meglio del guardaroba; ebbene in tutte le foto io appaio come sfondo, neutra, vestita alla meno peggio e sempre in beige o in blu.
L’unica concessione che facevo al colore era il rossetto. Appaio sempre con rossetti sgargianti e credo avesse un senso: ”io sono morta, ma le labbra hanno vita a sè e parlano, dicono, urlano…guardatele, ascoltatele, perché se dentro e fuori io sono senza colori, le mie parole spiccano e vogliono solo essere udite”.

Le borse.

Ho sempre adorato le borsette. Piccole, grandi, di pelle o di stoffa, l’importante è che siano capaci di contenere il mio mondo. Una persona un giorno mi ha detto che sono una “lumaca” che deve portarsi sempre dietro mezza casa e forse è vero; non esco mai senza borsa e anche in casa la tengo a portata di mano, per poter frugare, cercare, essere certa che “sta tutto lì” pronto nel caso si debba uscire di corsa.
Ebbene oggi ho deciso di fare pulizia negli armadi: via i vecchi pantaloni beige, via le camicette da zitella acida e….via le vecchie borse.
Sono almeno una decina quelle che intendo buttare (non senza una stretta al cuore) e prima di infilarle nel sacco dell’immondizia ho controllato che fossero vuote. E quando mai!!! Ho la pessima abitudine di cambiare borsa senza svuotare quella usata fino a quel momento, riponendola nell’armadio e lasciandola lì per anni, colma di tutto, compresi i ricordi.
La prima che ho aperto è una vecchia borsetta di cuoio acquistata al mercato di Maranello quando ero fidanzata con Roberto.
Avevo vent’anni ed era la prima volta che andavo via di casa da sola; mi sentivo importante e sicura di me, felice di essere amata da un uomo “grande” e terribilmente certa che quel luogo sarebbe stata la mia casa per il resto della vita.
In quel periodo vestivo da rivoluzionaria, portavo i capelli lunghi e ricci e adoravo i vestiti indiani e le sciarpe di seta con le frange. La borsetta di cuoio grezzo era l’ideale, sapeva di libertà e ribellione e come la vidi fu mia.
Ci ho trovato dentro una penna a sfera, delle caramelle gommose alla frutta e tanti foglietti con indirizzi di persone dimenticate. All’interno, scritta a biro sul cuoio, c’è la firma di Roberto. Ho deciso che non la butto.
Apro una borsa di paglia, di quelle estive che si usano in spiaggia. Dentro, come in una serie di scatole cinesi, un’altra borsa e un’altra ancora e ancora e ancora……Sono tutte borse del mio periodo “malato” e poche sono quelle acquistate da me, per la maggioranza sono borse ereditate da sorelle, mamme, zie.
Inizio ad aprire e sorrido.
In ogni taschino interno di ogni borsa c’è almeno un pacchetto di caramelle Polo alla menta, il mio antipanico per eccellenza.
Quando, subito dopo il rientro dal viaggio di nozze, mi resi conto che i miei malesseri non si attenuavano, chiamai il dottore che venne a casa e mi fece la visita di rito. La cosa che più mi infastidiva era la costante nausea, e il medico mi consigliò la menta come rimedio; provai vari tipi di caramelle, ma l’unica che sortiva un certo effetto era “il buco con la menta intorno” e da allora non sono mai uscita di casa senza la mia bella stecca di Polo (Molto tempo dopo la mia analista mi fece notare l’assonanza tra “menta” e “mente”).
Continuo a cercare e noto un’altra cosa che accomuna tutte le borse: in ognuna c’è una busta per la spesa ripiegata. Questo mi fa sorridere meno. Ancora ora, prima di uscire da casa, controllo in modo maniacale che nella borsetta ci sia una busta di plastica e non perché pensi di dover fare spese e di averne bisogno, ma perché per anni ho avuto la sensazione di dover vomitare da un momento all’altro e la busta di plastica mi dava una sensazione di sicurezza, la certezza che non avrei sporcato e che in qualche modo avrei potuto nascondere quella cosa vergognosa e imbarazzante che è il dare di stomaco in pubblico. Il risultato di tutto ciò è che in casa mia non si butta mai via una busta della spesa e che se resto senza vado in crisi.
Riprendo ad affondare le mani nei taschini ed ecco saltare fuori decine di confezioni di magnesia bisurata, ossia l’antiacido per eccellenza.
Ho disseminato le mie borse di quantità smodate di antiacido come se il mio stomaco fosse il contenitore di milioni di limoni spremuti, quando a dire il vero i miei bruciori di stomaco erano rari e mai devastanti, ma, come tutti coloro che soffrono di paure infondate, basta una volta per renderti schiava del timore che possa succedere ancora e allora giù con la magnesia e guai se non c’è.
Le agendine…..una per ogni borsa, ognuna con gli stessi indirizzi e gli stessi numeri di telefono.
Gente che non ho mai chiamato, che non mi ha mai chiamata e a cui non ho mai dovuto dire nulla, ma che in qualche modo mi faceva sentire ancora parte di una comunità.
Il paradosso di una persona che non ha contatti umani ma che vuole ad ogni costo avere decine e decine di nomi da leggere, per poter dire: “li conosco, mi conoscono, se un giorno guarisco magari mi servirà avere il loro recapito”.
Ho la tentazione di tenerle, queste icone del passato, ma so che le devo buttare per dimostrare a me stessa che ora so scegliermi gli amici e che non mi serve un’agenda per contenerli. Sono pochi ma sono esattamente quelli che voglio io.
Oltre agli accendini, segno incontestabile che sono un’accanita fumatrice, sono saltate fuori un sacco di penne a sfera. A cosa mi servissero non lo so. Da ragazza scrivevo molto, ogni occasione era buona per scrivere una lettera o per appuntare su un diario i miei pensieri, ma dopo ho smesso perché non sapevo più a chi scrivere e perché i miei pensieri erano troppo confusi per poter essere espressi con parole scritte su un foglio. Però ho sempre amato comprare penne a sfera e anche oggi mi soffermo volentieri a guardare i contenitori colmi di biro di tanti colori e di tante forme diverse, solo che per scrivere uso il computer e non so se sia un bene, ma tant’è, non so più mettere inchiostro su un foglio.
Apro l’ultima borsa.
L’ho comperata la primavera scorsa per andare ad un matrimonio.
Nera, seria, ma molto molto “alla moda”. Ha dentro le immancabili Polo, il sacchetto di plastica, la biro, l’agenda, ma senza indirizzi e ….un biglietto di entrata al Foro Palatino di Roma, delle caramelle alla frutta, foglietti sparsi con su scritti pensieri sulle mie sedute di analisi….Ma allora non è vero che non so più mettere inchiostro su un foglio!
E le chiavi del ristorante.
Le mie chiavi, che servono per aprire ogni mattina le porte ai clienti.
Le mie chiavi che fanno di me una donna che lavora e che ha responsabilità.
Le mie chiavi che mi consentono di avere un reddito se pur piccolo, quel reddito che mi permetterà di comprare vestiti carini e borsette nuove da dimenticare nell’armadio per poi spuntare fuori fra tanti anni colme di ricordi, come ora.



24 Gennaio 2006
Il ristorante è chiuso da due anni.


(Foto e labbra: betulla64)

 
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Post N° 72

Post n°72 pubblicato il 23 Gennaio 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

Queste righe le le scrissi quando ancora pensavo di poter tornare ad essere una persona normale.

 
.... Quando mi resi finalmente conto che il mio problema non era dovuto allo stress, che dagli esami clinici risultava godessi di ottima salute e che nulla al mondo giustificava un tale stato di cose, decisi di affrontare il problema e chiesi consiglio al mio medico, il quale, da persona molto intelligente, ammise di non capirci nulla e mi inviò da uno psichiatra.
Non è facile spiegare con che criterio si sceglie di affidarsi ad uno specialista piuttosto che ad un altro, probabile che ci siano diversi criteri di scelta. Io scelsi il più banale per non accettare quella prima opzione: il professore era troppo affascinante e mi pareva che il transfert sarebbe stato pericoloso per una ragazza appena sposata. In seguito avrei scoperto che quello che mi raccontavo era solo una scusa, ovvero avevo intuito che quell’uomo era geniale ed aveva capito tutto di me dopo appena due incontri e questo mi toglieva “il piacere” di scavare, di cercare e di capire, io, cosa mi stava succedendo. In poche parole non volevo che mi venisse svelato nulla, la caccia al tesoro dovevo farla io e il premio in palio era la mia vera personalità.
Il tempo passava, ormai erano due anni che stavo male e a parte qualche blando ansiolitico non facevo null’altro per migliorare la situazione che , anzi, peggiorava.
Non so dire se fu il caso o cosa a far si che conoscessi Pablo, simpatico ragazzo proveniente dal paese dove sono più gli psicanalisti che i malati: l’Argentina.
Pablo era amico di mia sorella e si stupì molto nel sapere che io esistevo ma nessuno mi vedeva mai, così, curioso come tutte le persone del sud, cominciò a fare domande a mia sorella ed infine volle parlarmi.
Lo incontrai nel ristorante di mia zia e lui mi disse di conoscere una psicologa argentina che teneva studio a Cuneo e che era molto brava, che avrei potuto provare e che in Argentina tutti facevano analisi…non era mica la fine del mondo!
Di psicanalisi sapevo tutto quello che sa una qualsiasi persona abbia visto un film di Woody Allen, più qualcosina su un certo Sigmund Freud, che ricordavo aver sentito nominare da mia sorella quando preparava l’esame di maturità. Nulla di più.
Mi chiesi se la nipote di un contadino, una ragazza timida e ancorata alle rocce delle sue montagne, avrebbe potuto intraprendere un simile percorso e soprattutto se ero degna di una cosa così terribilmente intellettuale. Decisi che il momento delle domande non era ancora arrivato, chiusi gli occhi e feci la telefonata che avrebbe cambiato per sempre il mio modo di vedere il mondo. 

Il 2 febbraio 1990 vidi per la prima volta un lettino da psicanalisi e con mio sommo dispiacere non mi ci stesi. Conobbi la dottoressa Maria Josefa Rico seduta su una comoda poltrona e cominciai il racconto. Lei mi lasciò parlare, poi mi spiegò le regole dell’analisi: due incontri a settimana, parlare a ruota libera e nessun tempo preordinato, la seduta poteva durare dai cinque minuti all’ora, si sarebbe interrotta ogni qual volta avessi raggiunto un nodo, un qualcosa da sviscerare con calma. Mi disse che questo era il metodo di Jacques Lacan. E Freud che fine aveva fatto? Chi diavolo era stò Lacan? Da vera snob cominciai ad avere dei dubbi sulla mia scelta, ma ero così disperata che anche uno sconosciutissimo psicanalista francese poteva bastarmi. Mi dissi anche che probabilmente era questo il motivo delle 40.000 lire a seduta "costa poco perché Lacan non lo conosce nessuno". La presi come una vendita promozionale di un tipo di analisi non d’élite. Qui si capisce appieno con quale preparazione culturale io affrontassi la psicanalisi.
Poi feci la domanda da dieci milioni di dollari :” Quanti mesi ci vorranno?”
Vi fu una pausa imbarazzante, poi la dottoressa mi guardò negli occhi e lì capii che dovevo aver detto una grande sciocchezza. La sua risposta fu pacata senza lasciare adito a dubbi:”Non ne ho la più pallida idea, i mesi non so quantificarli, ma in genere ci vogliono almeno quattro anni, a volte molti di più”. Mi crollò il mondo addosso quella sera e per la prima volta mi resi conto che non si stava giocando, che non ero Woody Allen e che sarebbe stato un calvario in piena regola....

Oggi, 23 Gennaio 2006, ringrazio Dio e Pablo per avermi fatto incontrare la Dottoressa Rico. E' stato un percorso duro, massacrante, durato tredici anni, che mi ha fatto conoscere la vera Antonella.... Però continuo a stare qui, fuori dal mondo. Conscia di quello che sono, ma incapace di vivermi.

Un abbraccio a vogliofarelamore.

 
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 "Laudato sie, mi signore,
cun tucte le tue creature..."


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"El bosque precede al ombre
pero le sigue el desierto"
 

"Grande importante malattia quella di Basedow!... tutti gli organismi si distribuiscono su una linea, ad un capo della quale sta la malattia di Basedow che implica il generosissimo, folle consumo della forza vitale, il battito di un cuore stremato, e all'altro stanno gli organismi immiseriti per avarizia organica..."

da "La coscienza di Zeno"
 
 

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