A PRESTO!
Cari amici vicini e lontani, in questo periodo, purtroppo, non ho proprio tempo di aggiornare il blog.
Aspettando giorni migliori, vi lascio in gentile compagnia...
...le trasmissioni riprenderanno in tempi ragionevoli, abbiate fiducia!
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PICCOLO DIZIONARIO REGGIANO
Alcuni termini dialettali sono spesso utilizzati in questo blog. Ecco un piccolo dizionario per una più immediata comprensione del testo:
- Bimblòn = fannullone. Spesso utilizzato anche come sinonimo di sempliciotto, tatone, susinone.
- Nani = piccina, tesorino, termine affettuoso utilizzato dalle nonne.
- Nèsi = sempliciotto, cretino... termine meno affettuoso del primo.
- Pita = tacchino. Questo termine si usa soprattutto nell'espressione "Fèr la pita" (traducibile più o meno con "fare l'oca") quando si vuole indicare un essere femminile particolarmente petulante e poco sveglio. Curiosamente anche l'aquila raffigurata sull'asso di denari delle carte da briscola piacentine è denominata "La pita".
- Rezdòra o Resdora (italianizzato) = donna di casa, "reggitrice" della dimora e signora dei fornelli... insomma: quella che comanda!
Se volete allenarvi nella pronuncia potete seguire anche qualche lezione on line.
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LA BELLEZZA CHE CI SALVA
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« La Gina (prima puntata) | Al tèimp ed guèra » |
Ci sono storie che la Bassa ti porta e che neanche ti sembrano vere.
Eppure le hai vissute e sono reali, ma le spesse nebbie che si spandono curiose durante la notte ce le fanno ritrovare al mattino velate di brina… e ti pare quasi di averle sognate…
Fu così che quell’inverno mi ritrovai nel bel mezzo di una tormenta di neve.
Non avevo mai visto niente di simile dalle mie parti.
Quando uscii dall’ufficio la luce dei lampioni rivestiva ogni cosa di un’aura giallognola. Tutto all’intorno era fermo e silenzioso. Solo neve spazzata dal vento.
Ti sentivi quasi catapultato in un’atmosfera ottocentesca e ti aspettavi, da un momento all’altro, di vederti spuntare da dietro l’angolo un qualsiasi Oliver Twist o Piccolo Lord o il ghigno di Mister Scrooge (l’avaro redento nel Canto di Natale di dickensiana memoria).
Arrivai all’auto e rimasi piuttosto sorpresa nel ritrovarla ancora nel posto in cui l’avevo lasciata al mattino. Cercando di mantenere la calma mi avviai verso casa.
La paura di scivolare giù dall’argine (una lunga strada rialzata che costeggia sinuosa il corso del Po) mi fece propendere per una delle tante e famigerate “strade basse” che intessono la pianura padana.
Quelle strade di campagna che, se le conosci perfettamente, magari ti consentono di arrivare a destinazione impiegando il doppio del tempo ma con il sicuro vantaggio di evitare file e incolonnamenti, ma che, se le imbrocchi di traverso, sono capaci di portarti in mondi paralleli fatti di campi e campi e campi… Quelle infinite linee piatte, tutte cielo con sotto un filo di orizzonte, di solito prive di qualsiasi forma di indicazione e immancabilmente punteggiate da rinomate bettole e solenni osteriole.
Insomma, mi trovavo lì, sospesa in un tempo e uno spazio indefiniti e indefinibili, sferzata dal vento e da una fittissima neve, con la prima innestata da secoli e con le ruote rullanti senza presa sull’asfalto ghiacciato.
Avevo percorso quella strada milioni di volte, tanto che iniziai a contare le curve che mi separavano da casa: una… due… tre… quattro… o forse tre?... e se fossi già alla cinque?... ma no, dev’essere la quattro per forza!... o la tre?
In breve: persi del tutto l’orientamento e, tra il buio, il vento, la neve, i campi e i fossi tutti uguali, mi assalì il terrore di aver tirato dritto ad una delle famose curve, andandomi ad infilare in chissà quale maledetta via secondaria.
E adesso, cosa faccio?
Proseguo?
Ma per andare a finire dove?
Telefono e chiedo aiuto?
Ma se non so neanche spiegare dove sono!
Mi fermo e aspetto che passi qualcuno?
Geniale! In questo modo potrei rimanere ibernata per millenni per poi essere rinvenuta dai posteri perfettamente conservata nel ghiaccio!
Provvidenza volle che, mentre ero assorta in queste considerazioni, due luci mi apparissero nella tormenta: erano due lampioni… erano due lampioni fissati a due pilastri… era l’ingresso di una casa!
Senza pensarci due volte decisi di rifugiarmi in quel cortile.
Mi aprì la porta una signora anziana. Superato l’iniziale stupore, mi fece accomodare in soggiorno.
Le spiegai chi ero fornendo le generalità dei miei nonni (che sono sempre un ottimo biglietto da visita in circostanze come queste) e rossa di vergogna fui costretta a chiederle dove mi trovavo.
Per la tormenta in corso la luce andava e veniva… ed andavano e venivano anche i figli della signora, impegnati, quella sera come tutte le altre trecentosessantaquattro dell’anno, a governare le vacche.
Ero finita, infatti, in una delle tante tenute agricole che ancora resistono all’assalto del cemento e della metalmeccanica, con la tipica casa padronale, il fienile e la stalla ricolma di bestie.
Dopo molti tentativi finalmente riuscii a contattare mio marito che mi disse di non muovermi (onde evitare altri naufragi!) e che sarebbe venuto prendermi.
Trascorse allora un tempo interminabile fatto di chiacchiere a lume di candela, di nuore affaccendate e bimbi gioiosi, di uomini ricoperti di neve che rincasavano dal lavoro, di imposte scosse dal vento… insomma, mi sentivo protagonista in un film di Ermanno Olmi…
Dopo aver soccorso alcuni cinesi scivolati nel fosso con l’auto, finalmente mio marito arrivò… con mia grande delusione non portava né baffoni né tabarro, né lanterna né galosce e, a malavoglia, fui costretta a scendere dall’albero degli zoccoli per tornarmene a casa.
Ma come succede nelle migliori novelle a lieto fine: colpo di scena!
Due piatti in più apparvero sulla tavola imbandita e con inviti affettuosi e genuini fummo costretti a rimanere per la cena.
Così quella sera persone perfettamente sconosciute mi diventarono care e ricorderò per sempre la loro gentile ospitalità.
Nel salutarci la signora esclamò con sagacia: “Mò veh, quest’anno cosa ci ha portato Santa Lucia!”.*
Era il tredici dicembre del 2001.
* Dalle mie parti la festa di Santa Lucia è molto attesa (“La notte di Santa Lucia è la più lunga che ci sia!” dicono le nonne) perché in barba al collega San Nicola (per gli amici anglosassoni “Santa Claus”, inspiegabilmente tradotto in Italia come “Babbo Natale”) è lei che porta i doni a tutti i bambini.
N.B. Foto di Concari - www.mondopiccoloimmagini.it
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A volte serio, molto spesso ironico e allegro,
si propone di allietare con semplicità le tue giornate.
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