Gender: libertà di scelta o dittatura del relativismo?

Ave Socii

L’uomo è una tabula rasa, sulla quale si può scrivere di tutto. Non ci sono limiti, ognuno è libero di autocompilarsi come meglio ritiene. Anche decidendo di cambiare i connotati che la natura gli ha donato. Questa sembra essere la premessa da cui partono i teorici del “gender”. Sesso e genere sono due caratteri distinti: il primo è frutto della natura, il secondo della psiche e della propria immagine in rapporto al mondo. Ma talvolta questa immagine può stridere con il corpo che la natura ci ha fornito. E allora, in nome della libertà e dell’integrità psicofisica del soggetto, il nostro corpo può cambiare.

Il corpo non è dato per sempre, se non mi sta bene io posso cambiarlo quando e come voglio. La natura non è padrona, io sono padrone di me. Io sono un essere libero, indipendente da una natura che sovente è matrigna con me. Io posso essere diverso da come gli altri mi vedono. Questo vorrebbero insinuare i teorici gender ad ognuno di noi. Ma in cosa consiste la “libertà” da loro professata? L’emancipazione dall’oppressione del corpo? La vittoria della mia immagine su quello che gli altri pensano di me? O piuttosto, una trovata come tante per attirare l’attenzione?

Da parte nostra, crediamo che il gender sia uno dei tanti frutti prodotti dal relativismo in cui ci troviamo immersi. E i frutti del relativismo, molto spesso, sono avvelenati. Visto che tutto è relativo, allora anche il mio corpo lo è. E se questo corpo non mi va bene, se gli altri mi giudicano, io lo cambio. Il “fenomeno gender”, dunque, sembra più una risposta al pregiudizio sociale che una vera e genuina manifestazione di libertà. Eppure molti sostenitori cavalcano una tale dottrina.

L’idea che ci siamo fatti è che questo sia l’ennesimo lavaggio del cervello proposto alle persone più deboli ed influenzabili. A quelle persone che, piuttosto che accettarsi per come sono, si piegano ai pregiudizi altrui. A quelle persone che si vedono sbagliate e proiettano le loro insicurezze sul mondo, sulla natura, sul proprio corpo. La mia bassa autostima dipende dal corpo nel quale sono imprigionato… Incentivando il ricorso alle “fisse mentali”, i gender contribuiscono a costruire una società di complessati.

Siamo forse dei complottisti? Può darsi, ma nessuno ci distoglierà dalla convinzione che tutto ciò sia architettato per una ben precisa finalità: mettere in discussione la nostra identità. In quanto persone, in quanto società, in quanto popolo dotato di cultura e tradizioni… Spesso le teorie gender vanno a braccetto con il concetto di “famiglie arcobaleno”. Tanto il relativismo non è mai troppo… Se ognuno è libero di modificare il proprio corpo, perché non affermare pure che ognuno è libero di andare con chi gli pare e piace? La libertà non ha prezzo… la maternità surrogata però sì!

Fare in modo che al mondo ci siano più coppie “di fatto”, non necessariamente in formato “coppia tradizionale uomo-donna”, le autorizza a pretendere dei diritti. Avere un figlio, secondo certi fascio-buonisti, sarebbe una di queste pretese da soddisfare. Anche per le coppie dello stesso sesso. In barba all'”interesse superiore del bambino” e alla “famiglia naturale” costituzionalmente tutelata. Finché si parla di immagine di sé e vita privata, ognuno può pensarla come gli pare e comportarsi di conseguenza. Ma quando c’è di mezzo anche la vita familiare o la vita di un bambino, si dovrebbero evitare determinati comportamenti irrispettosi pure della Costituzione.

Avere un figlio non è come comprare la pasta al supermercato. Eppure alcuni vorrebbero trasformare la genitorialità in un diritto per il “consumatore”, alienandolo dal concetto originario di “diritto del nascituro”. E’ il bambino ad avere diritto a una famiglia, non la famiglia ad avere diritto al possesso di un bambino. E che famiglie poi! Con tutto il rispetto… chiamereste “famiglia” una coppia di omosessuali? Una delle qualità che dovrebbe caratterizzare una famiglia è la “generatività”, ovvero la capacità di generare… Spiegateci cosa sono in grado di generare “famiglie” di omosessuali!

Quanto può essere “naturale” avere un figlio cresciuto nel grembo di un’altra donna? Oppure un bimbo “in provetta”? Va bene aiutare chi è sterile, ma che c’entrano gli omosessuali? La genitorialità surrogata, a questo punto, è forse più etica dello sfruttamento della prostituzione? Chi espande il concetto costituzionale di “famiglia naturale” ad unioni diverse da “uomo-donna”, implicitamente, sta legittimando il ricorso alla genitorialità surrogata. In altri termini, una moderna ed occulta forma di schiavitù. Dimentichi dell'”interesse superiore del bambino” e concentrati a soddisfare l’interesse di qualche adulto, trasformeremo l’essere genitore in mera azione di godimento di un bene.

Va bene che l’economia e i mercati debbono funzionare, ma trasformare la genitorialità in un mercimonio ci sembra un po’ troppo. E la teoria gender non farà che incentivare comportamenti di questo tipo, invitando sempre più persone ad incrementare le fila degli omosessuali o dei transessuali o di chi più ne ha… Presto forse l’annientamento dell’individuo sarà materia di studio anche nelle scuole, come per ogni dittatura che si rispetti… E poi, per un continente in piena crisi demografica come il nostro, la dottrina gender può integrarsi perfettamente con le politiche di accoglienza dei migranti. Magari saranno loro i futuri genitori surrogati… E noi ci troveremo tra le braccia sempre più figli di origine africana e sempre meno figli di origine europea… Se le inventano tutte, i fascio-buonisti, per cercare di indebolire la nostra identità e manipolarci meglio.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Quei sepolcri imbiancati che abitano la Chiesa

Ave Socii

Libera Chiesa in libero Stato. A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio… Per quanto differenti possano sembrare, Vangelo e Costituzione concordano nel sostenere l’indipendenza del potere temporale dal potere spirituale e viceversa. Ultimamente però, pare che queste due sfere siano un po’ in rotta di collisione.

La Chiesa si occupa di anime, lo Stato di cittadini. In teoria, la Chiesa non dovrebbe parlare agli uomini in quanto cittadini ma in quanto fedeli. E lo Stato non dovrebbe occuparsi delle cose di lassù ma delle cose di quaggiù. Nella pratica, Stato e Chiesa hanno sempre interferito l’uno con l’altra, in modo positivo o negativo. E questo è inevitabile che accada.

I rapporti fra questi due mondi, quello di Dio e quello di Cesare, dovrebbero limitarsi al rispetto costruttivo e all’umiltà di non metter bocca sugli affari di cui non si ha competenza. Il che è tutto il contrario di ciò che sembra accadere ultimamente.

Da una parte, politici che invocano l’aiuto e la protezione della Vergine. Dall’altra, cardinali che violano i sigilli per riallacciare la luce a degli abusivi. Assistiamo giorno dopo giorno ad un continuo tentativo di prevaricazione di una sfera sull’altra. Certamente non è un bello spettacolo, per dei fedeli che sono anche cittadini e viceversa.

Visto che le elezioni sono ormai alle porte, crediamo sia inevitabile che i politici adoperino tutto il loro arsenale per racimolare quanti più voti possibili. Comprendiamo meno, invece, il motivo per cui addirittura alcuni ecclesiastici si straccino le vesti additando determinati discorsi come inopportuni. D’altronde la religione è sempre entrata di prepotenza nella politica italiana. In decenni di Democrazia Cristiana nessuno s’è mai scandalizzato. Nessuno ha mai protestato perché un partito mostrava la croce nel proprio simbolo. Se ora qualche politico si azzarda a baciare un rosario o a invocare i Santi e la Madonna, è visto come inopportuno…  Francamente ci sembra un atteggiamento un tantino ipocrita. Quando qualcuno manifestava mostrando cartelli con su scritto “Dio, patria, famiglia: che vita di m…”, non abbiamo sentito tutto questo rumore.

Può darsi che la Chiesa sia cambiata parecchio, dai tempi della Dc a oggi, per tentare di recuperare dei fedeli disincantati. E non solo riguardo al modo di interferire con la politica. Forse è soprattutto l’incoerenza di alcuni pastori ad indignare di più. Proclamare determinati valori e comportarsi in tutt’altra maniera, dà l’idea di una istituzione poco credibile. Non bisogna far di tutta l’erba un fascio, è chiaro. Ma quando la Chiesa predica l’umiltà e l’accoglienza e poi si scopre che possiede immobili inutilizzati per migliaia di miliardi… E’ umano che qualche fedele possa anche sentirsi preso in giro!

L’accoglienza è uno dei più nobili principi evangelici. Ma il Vangelo parla agli individui, non agli Stati. Gli Stati dovrebbero seguire le Costituzioni, non il Vangelo. Le nostre comuni radici cristiane non figurano nemmeno nei Trattati europei, figuriamoci… L’accoglienza è bella se attuata liberamente dai singoli individui, ma se praticata dagli Stati è solo una catastrofe. Accogliere un immigrato può essere un gesto buono e lodevole per un singolo, ma a livello politico ricade anche sul resto della comunità. Affari tuoi se intendi porgere l’altra guancia, ma non puoi costringere gli altri a fare altrettanto.

Una Chiesa politicizzata, ad oggi, potrebbe far comodo ai fascio-buonisti. A quelli che, non riuscendo a fornire validi motivi politici alle proprie idee, si appellano ai principi cristiani. Come sull’accoglienza o la sicurezza… Ma anche la Chiesa si armava e combatteva lo straniero, fino a qualche secolo fa. L’incoerenza e l’ipocrisia sono fatti umani. Anche la maggioranza dei fascio-buonisti detesta le posizioni della Chiesa su famiglia e aborto.

Politica e Chiesa, vediamo, non possono evitare di incontrarsi e scontrarsi. Se ognuno si limitasse al proprio ambito di competenza, forse eviteremmo tutte queste polemiche. E ci concentreremmo maggiormente sulle questioni più scottanti. Le persecuzioni dei cristiani nel mondo, le missioni nei Paesi poveri per aiutare le persone a svilupparsi in loco e a non emigrare, le miserie delle nostre periferie, gli scandali… Forse è meglio scatenare tempeste in un bicchier d’acqua, quando si ha troppa paura di affrontare le tempeste dell’oceano. E’ facile cogliere la pagliuzza nell’occhio dell’altro, quando non si vuol avere a che fare con la trave nel proprio occhio.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Il nostro appello contro ogni violenza

Ave Socii

La piazza sovranista di Milano è stata un grande esempio di democrazia e libertà di pensiero. Una piazza pacifica e propositiva, come tante nel nostro Paese. Tutte le piazze dovrebbero essere così: pacifiche e propositive. Per lo meno pacifiche.

Anche le piazze dei sindacati, dei lavoratori, dei residenti stanchi di subire certe situazioni, delle categorie che vogliono far sentire la loro, sono piazze pacifiche. Queste sono le piazze che vogliamo. Non serve che si usi violenza per dimostrare al mondo di esistere.

L’atteggiamento violento è agli antipodi rispetto al confronto pacifico della democrazia. Il confronto costruisce, la violenza distrugge e basta. Nessuno può permettersi di aizzare alcuni contro altri, per il mero fine dell’ottenimento della visibilità. Chi è violento nei modi, forse è debole nelle idee.

Nessuno può permettersi di gettare a terra il cibo destinato ad altri, o di gridare frasi ingiuriose e indegne come “Ti stupro”. Nessuno può permettersi di violentare delle ragazze, specie se appartiene a un movimento politico che fa della lotta alla violenza sessuale una bandiera. Guai, se a destra come a sinistra, si lasciasse spazio a persone del genere. Ci vergogneremmo di appartenere a quella fazione.

Nessuno può tuttavia permettersi di accostare gli atteggiamenti violenti alla cultura di una singola parte politica. Lo stupratore non ha colore politico, così come il violento in generale. Il periodo stragista e gli anni di piombo non ci hanno insegnato nulla? La violenza può tingersi di qualunque colore. Il violento è un soggetto che merita solo comprensione e aiuto. E se vuol rimanere violento, non merita nemmeno quello.

Nessuno può permettersi di bruciare libri o distruggere opere in nome di un qualsiasi credo. Molti, troppi pensano che cancellare il passato sia la strada migliore per costruire il futuro. Ma è solo una violenza contro la storia dell’uomo. Contro noi stessi.

Nessuno può permettersi di contestare l’altro bruciando la sua bandiera. Con essa ardono i cuori di un’intera Nazione. Nessuno può permettersi di minacciare di morte qualcuno, oppure offenderlo costruendo manichini da infuocare o appendere a testa in giù. Così si rievocano pagine buie della Storia.

Nessuno può permettersi di influenzare delle decisioni squisitamente politiche, se la carica che riveste non glielo consente. Anche questa è violenza. Violenza contro la Costituzione e contro la divisione dei poteri tipica di ogni Paese democratico.

Chi detiene il potere giudiziario non può pretendere di interferire con quello esecutivo, in nome della propria “indipendenza”. Da noi è il Parlamento a scrivere le leggi e il Governo ad eseguirle, non la magistratura. Perfino in tema di accoglienza. Una magistratura che pretende di essere indipendente soggiogando gli altri poteri è violenta contro la Costituzione. Bisognerebbe interpellare la Consulta, in caso ci fossero dubbi.

Chi è sindaco o pubblico funzionario non può disobbedire alle leggi o disapplicarle, se è in disaccordo con esse. La disobbedienza civile la fa il popolo, non la pubblica amministrazione. Perfino in tema di accoglienza. I pubblici funzionari che disobbediscono sono violenti contro la Costituzione. Bisognerebbe interpellare la Consulta, in caso ci fossero dubbi.

Se una qualche forza politica appoggia degli atteggiamenti violenti contro la Costituzione, probabilmente è complice seppur in buona fede. Perfino in tema di accoglienza. Ecco perché ancora non le arrivano tanti avvisi di garanzia tutti insieme. Come possono, i rappresentanti del potere giudiziario, sbarazzarsi così in fretta di politici che fanno il loro gioco? Marionette mosse dagli intricati fili dell’onestà. Ma prima o poi questi fili si romperanno pure per loro. Anche troppa onestà è violenta.

Siamo contrari ad ogni forma di violenza. Quelle più palesi e quelle più subdole. Quelle contro le persone e quelle contro il nostro modello democratico. Quelle che tutti deplorano e quelle che forse nessuno ha il coraggio di far notare. Quelle contro le opinioni. Quelle contro le regole.

Noi siamo per il rispetto. Per le persone e le loro opinioni. Per le Istituzioni e le loro regole. E voi?

Vostro affezionatissimo PennaNera

Immigrazione e dis-integrazione

Ave Socii

Ci ha fatto molto piacere che il contestato sindaco di Riace sia stato invitato, alcuni giorni fa, all’Università “La Sapienza” di Roma. Oggetto del suo intervento, il modello di accoglienza diffusa che ha avuto proprio in Riace il suo più fulgido esempio. Il diritto di parola ed espressione, anche se ha ad oggetto idee e opinioni controverse, deve essere concesso. Sempre e comunque. Per quanto differente e indigesta possa apparire l’opinione che l’altro sostiene. Impedire che qualcuno possa esprimere il proprio pensiero non giova a un Paese democratico.

Per questo l’invito concesso al sindaco Lucano rappresenta un chiaro segnale di libertà e democrazia. E proprio per questo non ci capacitiamo ancora del fatto che, d’altra parte, a Torino si sia impedito ad alcuni editori di partecipare alla Fiera del Libro. Impedimento avallato, ricordiamolo, anche da rappresentanti istituzionali quali Comune e Regione. Le Istituzioni dovrebbero sempre garantire a tutti la piena libertà di espressione. Ogni penna ha diritto di scrivere. Ogni bocca ha diritto di parlare, in uno Stato democratico. Persino ex brigatisti e terroristi hanno diritto di parola in molte università…

Ma torniamo al tema scottante e controverso dell’accoglienza. Negli ultimi tempi il fenomeno migratorio ha assunto proporzioni notevoli, specialmente verso l’Europa. L’intervento in Libia da parte delle potenze occidentali, in nome delle fantomatiche “primavere arabe”, ha fatto perdere l’equilibrio ad una situazione già delicata ma fino ad allora relativamente stabile. E oggi ci ritroviamo a dover ospitare e integrare. E contro i nostri confini premono sia da fuori che da dentro. Da quanto tempo ospitiamo i rom? Hanno forse dato segnali positivi di integrazione? La cultura rom in taluni casi percepisce non proprio positivamente lo “stanziale”, il “diverso dal rom”… Quando si dice “pregiudizio”…

E noi ci preoccupiamo di fornire case e accoglienza a rom e migranti, facendoli perfino passare avanti agli italiani in base a non meglio precisati requisiti. Secondo il Vangelo saremmo buoni, avremmo “porto l’altra guancia” o “accolto lo straniero”. Però la legge è legge, a Cesare quel che è di Cesare. Assegnare le abitazioni in base a requisiti etnici viola l’articolo 3 della nostra Carta: nessuno può essere discriminato in ragione della sua “razza”. Discriminando positivamente qualcuno, si discriminano negativamente tutti gli altri. E poi i rom non erano nomadi? Da quando sono diventati stanziali al punto da pretendere una casa? Forse almeno loro si integreranno. E quelli che continuano a vivere nei campi? Più comodo stare fissi in un posto e spesso senza manco pagare i servizi, no?

Nonostante il loro plateale fallimento, i fascio-buonisti ancora parlano di immigrazione e integrazione come fossero diritti divini. Le loro politiche basate sui buoni sentimenti, oggettivamente, si sono rivelate un disastro. Se davvero l’immigrazione è un fenomeno epocale, se davvero l’accoglienza è un dovere etico universale, perché l’Europa si è girata dall’altra parte? E l’Onu che fine ha fatto? Se davvero gli immigrati pagano le nostre pensioni, perché gli Stati non fanno a gara per ospitarne quanti più possibile? Perché il modello progressista è entrato in crisi? Perché, d’altro canto, i populisti acquistano consensi pure nelle storiche roccaforti del progressismo?

Forse non hanno poi così torto quelli che sostengono che persone di un’altra cultura, sradicate dal loro contesto e costrette ad “integrarsi” presso altre culture con altre regole e tradizioni, siano portate ad emarginarsi, a coalizzarsi fra loro e talvolta perfino a delinquere. Il principio di base è semplicissimo: “il simile conosce il simile”. E spesso odia il dissimile. Razzismo e pregiudizio non viaggiano mai a senso unico: può esserci chi pre-giudica, così come può esserci chi si sente pre-giudicato comportandosi di conseguenza. La cura in grado di trasformare l’immigrazione da “problema” a “risorsa” in realtà esiste: è il lavoro il più importante ed efficiente strumento di integrazione. Peccato che al momento scarseggi. Ma tutti debbono vivere, immigrati compresi. Il pregiudizio non è che un meccanismo di difesa, sia di chi ospita che di chi è ospitato.

Se pure esistessero dei pregiudizi nei confronti degli immigrati, forse non sarebbero nemmeno troppo infondati. Se gli immigrati fossero l’8% della popolazione totale e la tendenza a commettere reati si distribuisse omogeneamente nella popolazione, nelle carceri dovremmo avere una percentuale di immigrati reclusi vicina all’8%. Se tale percentuale sale “inspiegabilmente” al 40%, forse qualche problemino c’è. Aiutarli “a casa loro” era una bestemmia fino a non molti anni fa. Ora sembra che da più parti si faccia largo questa istanza. Aiutarli “a casa loro” ci farebbe risparmiare sia in termini economici che sociali.

L’accoglienza non dovrebbe essere la normalità, ognuno dovrebbe vivere tranquillo nel proprio Paese. L’accoglienza è un principio evangelico che può funzionare bene tra i singoli, non certo tra gli Stati. I fatti più o meno recenti lo dimostrano. L’immigrazione non dovrebbe essere un diritto, ma un fenomeno patologico causato da Paesi che non sono in grado di proteggere e tutelare i propri cittadini costretti a emigrare. Un fenomeno da evitare, dunque. Paesi del genere non andrebbero sfruttati ma aiutati, possibilmente nel loro stesso territorio. Non si chiama colonizzazione, si chiama buon senso.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Libertà di censura. Quando certe opinioni non sono gradite

Ave Socii

Quanto accaduto all’ultima Fiera del Libro di Torino è inaccettabile. Censurare qualcuno solo perché promotore di opinioni diverse da quelle di alcuni non è tollerabile. Specie in un Paese come il nostro che si professa “democratico”.

In questo Paese si dovrebbero condannare un po’ di più le tante (troppe) forme di violenza, piuttosto che le opinioni altrui. Uno Stato che censura le idee, che impedisce ad alcune penne di scrivere solo perché hanno un colore che non piace, non è uno Stato libero.

La nostra Costituzione, all’articolo 21, tutela espressamente il diritto alla libera manifestazione del pensiero. Perché dunque certe idee vengono censurate? Per di più con l’avallo di alcuni esponenti istituzionali? E’ davvero questa la libertà al tempo dell’antifascio?

La nostra Costituzione nasce dalle ceneri di una dittatura ventennale. Grazie alla Carta, la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del “disciolto partito fascista” è tassativamente vietata. Se dunque alcune organizzazioni promuovono determinate idee giudicate “fasciste”, allora perché continuano ad esistere? Perché non sono state dichiarate “incostituzionali” ancor prima della loro venuta al mondo? Tacciarle ora di fascismo sembra, a nostro avviso, un tantino ipocrita.

E ci preoccupa ancor di più che il fatto in questione sia avvenuto a ridosso della più importante manifestazione di libri a livello nazionale. E’ evidente come in questo Paese sia in atto un grande e subdolo piano di censura, da parte di certa intellighenzia e di certi esponenti politico-istituzionali. A tutto svantaggio della libertà di espressione costituzionalmente tutelata.

Chi in questo Paese si riempie la bocca di Costituzione e poi si permette di non rispettarla, a nostro avviso non crede davvero nella democrazia. Il libero confronto fra le idee è ciò che maggiormente differenzia una democrazia da una dittatura. Quelli con la bocca piena di Costituzione dovrebbero saperlo. A Torino purtroppo non se lo sono ricordato.

Anche e soprattutto nella politica, la tentazione alla censura delle opinioni “scorrette” è molto forte. Cosa c’è da aspettarsi, ad esempio, da un movimento che raffigura cinque stelle sul suo simbolo, come sulla bandiera cinese, stringe accordi commerciali con la Cina e pretende di decidere chi è colpevole o no in base al mero sospetto (proprio come accade in Cina)?

E’ chiaro ed evidente a quale modello vorrebbe rifarsi una certa politica. Ma noi, al “modello Cina”, vogliamo contrapporre il nostro modello democratico garantito dalla Costituzione. Un modello per cui chi la pensa diversamente ha diritto di esprimere la propria opinione senza pericolo di censura. Un modello che tutela la divisione dei poteri e che consente a chi è indagato di difendersi prima di essere giudicato. Un modello che salvaguarda la nostra libertà impedendo la rinascita della dittatura.

L’impressione, da parte nostra, è che in realtà una dittatura si stia sviluppando. La “dittatura del retto pensiero”, quella che ci vorrebbe tutti appiattiti su certi valori e idee, dalla parte dei fascio-buonisti, senza possibilità di replica. Magari un giorno ci troveremo a dover cantare “bella ciao” perfino a Natale, senza ricordarci di aver scelto, fra tutte le possibili occasioni per ricordare i sacrosanti valori della Resistenza, quella forse più fuori luogo di tutte. Chissà cosa succederebbe se qualcuno osasse intonare “tu scendi dalle stelle” il 25 aprile!

Che una qualche forma di dittatura venga sposata pure da esponenti politici filocinesi e giustizialisti non ci pare un’ipotesi così remota. Perfino i cosiddetti “antifascisti” lo fanno. E neanche troppo di rado. Noi nel frattempo continuiamo a resistere e a manifestare liberamente le nostre idee. Che piacciano o meno. Nel nome della Costituzione e della libertà di opinione. E’ questa la vera forma di Resistenza oggi, al tempo dell’antifascio.

Vostro affezionatissimo PennaNera