Inginocchiarsi per un delinquente: la resa della civiltà

Ave Socii

Spesso i gesti simbolici valgono più di mille parole. In questi giorni, tutto il mondo è attraversato da proteste e manifestazioni contro il razzismo. E, soprattutto, il mondo sembra unirsi in un unico gesto: quello di inginocchiarsi nel ricordo di un uomo inerme, ucciso per mano di un poliziotto. Che l’evento sia accaduto negli Stati Uniti, patria dei diritti e delle libertà, fa certamente riflettere. Che quell’uomo sia un nero rende ancora più simbolico il gesto di inginocchiarsi (non certo per la stupidità dei “razzisti”, semmai per la propaganda degli “antirazzisti”). Ma che quell’uomo abbia molteplici precedenti penali, se permettete, fa riflettere ancor di più.

Un tempo ci si inginocchiava dinanzi a Dio, a un sovrano, a un signore… Ben poche erano le categorie di soggetti dinanzi ai quali era chiesto di inginocchiarsi. E, soprattutto, erano categorie di soggetti rappresentanti un qualche potere, terreno o ultraterreno che fosse. Poteri espressione di un ordine sociale verso cui i popoli erano chiamati a rispodere, dunque a tendere. Beh, oggi ci rendiamo conto (ma forse non è una novità) che valori sociali e poteri tradizionali sono stati sovvertiti. Se un tempo ci si inginocchiava dinanzi alla legge e all’ordine, oggi ci si inginocchia dinanzi all’eversione.

Che il Presidente Trump abbia arginato, nonostante COVID-19, la crescita della disoccupazione negli Stati Uniti passa in secondo piano, dinanzi a maree umane inginocchiate nel ricordo di un pluripregiudicato afroamericano. E poco importa se, durante queste manifestazioni, si verificano assembramenti, scontri e tafferugli: sono manifestazioni “per i diritti”, quindi provengono dai “buoni” della società. Poco importa se il mondo è dilaniato dal coronavirus e dalla crisi economica: l’importante è inginocchiarsi per un delinquente. Poco importa se in Italia la crisi morde più che in altri Paesi: l’importante è inginocchiarsi per un delinquente.

Soprattutto nelle società progredite, è diffusa l’idea che ogni persona abbia diritto a sempre nuove possibilità. Stranamente, l’idea che arrivati a un certo punto dare nuove possibilità sia inutile sembra stridere col concetto di “libertà” che tanto ci piace sbandierare. E allora, nell’immaginazione, diventa tutto possibile. Come in un romanzo moralista, il nemico deve diventare per forza amico. Non esistono più differenze e culture diverse, tutti si amano senza alcun pregiudizio. Buono e cattivo si confondono, con buona pace della giustizia, delle fondamenta del diritto e della stessa civiltà.

Mai come oggi il buonismo è l’oppio dei popoli. Ma dopo lo sballo, bisogna fare i conti con la realtà. Se gli immigrati commettono, in proporzione, più reati dei cittadini autoctoni, forse un problema di culture e di radici esiste. Forse chi è forzosamente trapiantato in altre culture ha maggiori probabilità di “reagire male”, dinanzi alla cultura che dovrebbe accoglierlo. Pur di non farci un bel bagno di realtà e ammettere che la totale integrazione è solo un bel sogno, preferiamo farci di buonismo e sognare un mondo senza differenze e divisioni. Oggi l’oppio che offusca il mondo si chiama “mettersi in ginocchio”. Attendiamo solo che il suo effetto finisca…

Vostro affezionatissimo PennaNera

Magistrati intercettati, democrazia mutilata

Ave Socii

“Salvini ha ragione, ma va attaccato”… Da queste poche parole, intercettate dal telefono di un magistrato, si comprende che la magistratura (o almeno, una parte di essa) non è poi così staccata dalla politica (o almeno, dalla parte sinistra di essa). E che il potere giudiziario non è poi così indipendente dagli altri poteri e viceversa. Evidentemente c’è qualcosa nel sistema che non funziona. E non da oggi, in realtà. Infatti è da più di venti anni, in Italia, che una certa parte di magistrati è solita muovere attacchi soprattutto verso il ramo destro del Parlamento.

Attaccare le politiche migratorie di Salvini e della Lega è, da diverso tempo ormai, lo sport preferito della sinistra. Prima, del Pd e dei partiti più a sinistra; ora, addirittura, pure dei Cinque Stelle (che sui migranti, almeno fino alla nascita dell’attuale governo, sembravano schierarsi con la Lega). Tuttavia il tema risulta alquanto spinoso. Chi si schiera dalla parte degli immigrati risulta piuttosto impopolare in questi tempi. Se però a schierarsi apertamente fossero dei magistrati, finora considerati “buoni, onesti e al di sopra delle parti”, allora qualche speranza di “acquisire popolarità” potrebbe pure sorgere.

Questo discorso può valere, tuttavia, solo finché i magistrati sono considerati “buoni onesti e imparziali”. Dalle recenti intercettazioni, invece, viene fuori uno spaccato della magistratura tutt’altro che positivo. Molti magistrati, dichiaratamente “di sinistra”, hanno apertamente sostenuto le idee del Pd non “secondo giustizia”, ma “secondo appartenenza politica”. Che vi fosse pericolo di una “deriva giustizialista”, di un “golpe giudiziario”, è affermazione tanto forte quanto probabile. E il fatto che nelle intercettazioni compaiano esclusivamente magistrati di idee sinistrorse e personaggi di sinistra, non fa che corroborare tale tesi.

Ultimamente, poiché sostiene idee piuttosto fuori dal mondo, la sinistra intercetta un elettorato alquanto magro. Acquisire popolarità entrerebbe di diritto fra i suoi interessi. E a quanto pare, pur di acquisire popolarità, non si badava nemmeno alla separazione dei poteri, calpestando deliberatamente i dettami della Costituzione. Non riuscendo a sconfiggere l’avversario nelle urne, la sinistra ha pensato bene di schierare dalla propria parte un manipolo di magistrati compiacenti. Sperando così di riuscire nel suo intento di governare l’Italia, stravolgendo ogni principio democratico. Questa è la cruda realtà. Realtà radicata in Italia già da diversi decenni, purtroppo. Speriamo che queste ultime vicende convincano tutte le forze politiche (specialmente quelle “con le mani in pasta”) del bisogno urgente di una seria riforma del sistema. A cominciare proprio dalla giustizia.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Svuotacarceri durante una pandemia: sciacallaggio puro

Ave Socii

E’ un momento difficile per tutti noi italiani. Un momento nel quale tutti noi siamo costretti a restare il più possibile chiusi in casa, per evitare il diffondersi del coronavirus. Eppure, anche in momenti del genere, c’è chi non perde occasione per finire sotto i riflettori e accendere polemiche.

Ne è prova uno dei provvedimenti contenuti nel decreto cosiddetto “Cura Italia”: lo svuotacarceri. In pratica, far uscire di prigione i detenuti giunti quasi a fine pena. Far loro scontare la pena residua presso il proprio domicilio, onde evitare il sovraffollamento carcerario e, dunque, la possibilità di creare assembramenti.

Adottare un simile provvedimento è, secondo noi, riprovevole. Essenzialmente per due motivi. Primo. Con lo svuotacarceri viene meno il concetto di “certezza della pena” troppe volte evocato e, purtroppo, quasi sempre calpestato. Secondo. Mentre gli italiani onesti sono costretti a chiudersi, lo Stato apre ai carcerati. Il controsenso è più che evidente.

Per noi, invece, rimanere in carcere è forse una mossa vincente contro possibili contagi dall’esterno. Che una cella sia affollata è anche possibile. Ma una situazione simile, ad esempio, può verificarsi pure per un grande nucleo familiare costretto in una casa da quaranta metri quadrati. Per una simile famiglia non c’è possibilità di rimediare al sovraffollamento domestico. Perlomeno non tramite un improbabile “provvedimento svuotadomicili”. Non è questione di avere pregiudizi nei confronti di chi ha sbagliato. E’ una questione di mera praticità.

C’è un solo modo per evitare che le carceri, pure sovraffollate, non subiscano gli effetti del contagio del virus. Il modo è: evitare flussi di persone dall’esterno, ad eccezione ovviamente di quelli obbligati all’ingresso. Ciò significa, sostanzialmente, evitare le visite dei parenti dei carcerati. E forse è questo che ad alcuni carcerati non è andato giù, qualche giorno fa, quando in molte carceri d’Italia si sono verificati disordini ed evasioni.

Secondo noi, quei tafferugli si sarebbero potuti evitare prospettando sin dall’inizio la possibilità, per i carcerati, di usufruire di maggiori telefonate ai parenti. Questa sarebbe stata la cosa più giusta da fare. I carcerati sicuramente lo avrebbero capito, esattamente come tutti noi che stiamo fuori dal carcere. Perché un’emergenza del genere non può non unire tutti quanti, anche se distanti.

Certo, le teste calde si trovano ovunque. In carcere ma anche fuori. E il sospetto è che sia stato proprio qualcuno da fuori a fomentare le proteste di qualche giorno fa. Alcuni centri sociali, ad esempio. Coloro, in pratica, che da sempre portano avanti battaglie relative ad argomenti come amnistie o indulti.

In tempi del genere, proporre simili battaglie non può che essere considerato un atto di sciacallaggio. Quella dello svuotacarceri non è che una battaglia politica che i centri sociali portano avanti in maniera viscida. Affermano, a loro giustificazione, che la società ha pregiudizi verso i carcerati. In realtà, forse, sono invece certi soggetti ad aver pregiudizi ben più forti nei confronti delle Forze dell’Ordine e del resto della società. E vedere un governo che viene incontro a simili richieste, è un’immagine pericolosa per chi ancora crede nei valori della democrazia, dell’uguaglianza e della giustizia.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Prescrizione abolita e processi infiniti. Lo strapotere giudiziario continua

Ave Socii

Dal 1° gennaio è entrata in vigore la riforma che prevede l’abolizione della prescrizione. Un capolavoro del giustizialismo targato “Cinque Stelle” e che oggi solo i pentastellati rivendicano come una battaglia di civiltà di cui vantarsi. Chiaramente nessuno si fa convincere, forse solo il Pd. Che ovviamente è subito pronto a prendersela col “governo precedente”. Se la prescrizione è stata abolita, la colpa è anche stavolta della Lega, origine di ogni male… Ricordiamo che l’abolizione della prescrizione fu il frutto di uno dei tanti accordi fra Lega e Cinque Stelle… Abolizione della prescrizione, cavallo di battaglia dei pentastellati, in cambio di una radicale riforma della giustizia, voluta dai leghisti. All’epoca fu la Lega a cedere allo scandaloso giustizialismo del Cinque Stelle, al loro risentimento sociale. Ora, però, è il Pd e buona parte della sinistra a piegarsi dinanzi a questi odiatori di professione, senza peraltro opporre la benché minima resistenza.

In mancanza di una sostanziale riforma dei tempi dei processi, cancellare la prescrizione significa solo tenere i cittadini ostaggio della giustizia. Con il “fine processo mai”, prevediamo un aumento considerevole della domanda di avvocati. Quelli già operanti, infatti, saranno costretti ad occuparsi dei medesimi casi per buona parte della loro carriera. Al crescere dei casi da trattare, sarà necessario ricorrere ad un numero sempre maggiore di uomini del diritto. Un toccasana per gli avvocati in cerca di lavoro. Ma all’assorbimento dell’offerta in eccesso di avvocati, si contrappone il principio (assolutamente antigiuridico) della presunzione di colpevolezza già a partire dal primo grado di giudizio. Cittadini trattati come potenziali colpevoli… Ancora più tempo perso fra gli uffici giudiziari… E i detentori del potere giudiziario ringraziano. Chissà, forse un giorno ricambieranno il favore a certa parte politica… Magari eliminando giudiziariamente qualche avversario oggi politicamente ineliminabile…

Forse c’è ancora speranza che il Parlamento ribalti il prima possibile l’aberrante verdetto sull’abolizione della prescrizione. Staremo a vedere… Intanto ci auguriamo che dei cittadini finora innocenti non cadano nelle maglie della giustizia proprio in questo periodo caldo. E che alcune forze politiche la smettano di riversare le proprie malsane ambizioni e frustrazioni su un’Italia che già non ne può più della situazione in cui versa attualmente. Se il potere giudiziario è così potente, forse è anche un po’ colpa della debolezza e dell’incompetenza di certa politica.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Crescita economica. Perché alcuni vogliono bloccare l’Italia?

Ave Socii

Da tempo gli argomenti principali del dibattito politico in Italia sono l’immigrazione, il razzismo, il fascismo, l’ambiente, le tasse etiche… Nessuno intende più parlare seriamente di crescita, di sviluppo, di piani industriali, di lavoro, di autosufficienza energetica… Perché di certi argomenti si sente parlare poco o niente? Perché li si tira fuori solo verso fine anno, quando c’è da approvare il Def? O quando c’è da imbastire una campagna elettorale? O, peggio, quando una multinazionale rischia di abbandonare l’Italia e lasciare a casa migliaia di lavoratori? Eppure si tratta di tematiche evidentemente importanti. Magari più importanti di molte altre… Il Parlamento si preoccupa di istituire Commissioni sul razzismo… Ben vengano, ma allora perché non istituire pure Commissioni sulla tutela dei settori strategici dell’economia italiana? Qualcuno ha forse interesse a che di certe cose non si parli?

Ogni tanto alcuni si svegliano e iniziano a parlare di economia circolare, in effetti comincia a diventare una moda… Poi però ci si accorge che, all’atto pratico, siccome il “retto pensiero” impone di schierarsi contro i termovalorizzatori perché “inquinano”, i rifiuti debbono essere portati in altri Paesi. Qui vengono trattati e trasformati in energia, che ovviamente noi siamo costretti a comprare perché non autosufficienti. Tutto questo costa. Ma noi, pur di rimanere fedeli ai principi imposti da ambientalisti e teorici della decrescita, preferiamo pagare. Pagare sia per trasferire i rifiuti all’estero, sia per riprenderceli sotto forma di energia. Invece di sfruttare al meglio queste risorse a casa nostra. Con quale credibilità, allora, possiamo continuare a parlare di economia circolare?

Nel dubbio, meglio parlare d’altro. Di immigrati, ad esempio. Su questo tema in Europa fanno finta di nulla, forse proprio perché gli italiani concentrino ancor più la loro attenzione sull’immigrazione. Forse in Europa non vogliono che l’Italia si interroghi anche su argomenti come la crescita economica. Forse in Europa sperano proprio questo: che in Italia ci si arrovelli su ogni questione purché non sia quella della crescita. Forse è interesse dell’Europa mantenere l’Italia in una posizione subalterna rispetto agli altri Stati. Un’economia che arranca è costretta a chiedere aiuto agli altri. E questo agli altri conviene, poiché il nostro potere contrattuale ne esce fortemente ridimensionato. E lo è ancor più se la politica nazionale, invece di promuovere la crescita, promuove una condizione di mera stabilità o addirittura la decrescita. Intanto Paesi come la Cina stanno crescendo con rapidità impressionante. Inquinano come pochi, però gli ambientalisti continuano a prendersela con l’Occidente…

Eppure esistono misure che favorirebbero la crescita persino qui in Italia. Persino all’interno della gabbia dei Trattati europei. Persino nel rispetto dell’ambiente. Pensiamo alla riduzione delle tasse, sulle imprese soprattutto, per far ripartire il lavoro. Pensiamo alla liberalizzazione della giustizia civile, affinché almeno i processi per sbrigliare i contenziosi tra privati vengano accelerati. Pensiamo alla liberalizzazione dei sindacati, perché possano adattarsi più velocemente ai mutamenti del mercato del lavoro… Perché se ne continua a parlare poco o niente? Forse c’è davvero un interesse a che l’Italia resti al palo, contrattualmente debole, facilmente svendibile… Finché il governo sarà guidato da un’ideologia buonista, antimeritocratica, giustizialista, filocinese, contraria alla crescita, gli interessi dell’Italia saranno sempre posposti agli interessi di qualcun altro. Se non ci destiamo subito da questo torpore, presto vedremo il nostro tricolore lasciar posto a una bandiera rossa a cinque stelle.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Razzismo, stereotipi e Commissioni per valutare i pregiudizi

Ave Socii

Chiunque dovrebbe essere contrario al razzismo e alla discriminazione razziale. Nessuno oserebbe dire il contrario. Ma l’istituzione di una Commissione parlamentare apposita, chiamata a pronunciarsi anche su altri “argomenti affini”, rischia di condurre a giudizi ambigui e di parte. E dal condannare l’odio, l’antisemitismo e il razzismo, spesso si finisce per condannare pure il patriottismo e il nazionalismo. E si finisce per identificare i nazionalisti con i razzisti… Forzatura non da poco, che inevitabilmente influenza qualunque giudizio supposto “imparziale”. E intacca la serietà di qualunque Commissione che abbia la pretesa di dirsi “al di sopra delle parti”.

Va notato che, nella pronuncia dei giudizi, si fa spesso distinzione tra “fascisti cattivi” e “compagni che sbagliano”. E non solo in politica. C’è chi elogia chi sta dalla parte dei “diritti dei gay”, poi alla prima occasione utile dà a qualcun altro del “frocio” per i più disparati motivi. C’è chi dice di vedere nelle diversità una ricchezza, ma nel privato non perde occasione per emarginare l’altro percepito come “diverso”. I giudizi dipendono sempre da chi hai di fronte: se è un amico, si interpretano; se è un nemico, si applicano fino all’ultimo. I giudizi, specie se pronunciati verso un “nemico”, sono poi fortemente influenzati da stereotipi e pregiudizi. Pure se chi li pronuncia dice di essere apparentemente “libero da qualsiasi pregiudizio”. E’ bene guardarsi da chi si proclama “libero da pregiudizi”: spesso è il miglior modo per dire che solo i suoi pregiudizi sono quelli giusti.

Una Commissione davvero giusta non dovrebbe rispecchiare le forze parlamentari in proporzione alla composizione delle Aule. Dovrebbe, invece, garantire che ogni istanza, ogni partito, ogni parte della società apporti il medesimo numero di commissari. Solo così, secondo noi, si potrà dar luogo ad un organo intrinsecamente giusto ed equilibrato. Poi c’è l’influenza del contesto nel quale siamo immersi, ma si tratta di una questione a sé… Il problema fondamentale è capire cosa andare a giudicare. E chi lo debba giudicare. Se il “cosa” è variegato e ambiguo e il “chi” è mutevole e parziale, qualsiasi Commissione è ingiusta. Perciò che i partiti di centrodestra abbiano votato contro l’istituzione di questa Commissione è, a nostro avviso, un ottimo segnale. A differenza di quanto sostenuto dal vasto coro dei fascio-buonisti, tanto bravi ad accusare gli altri di populismo ma altrettanto bravi a servirsene quando opportuno.

Oggi viviamo in un contesto in cui la razza è vista come qualità negativa e il razzismo come atteggiamento biasimevole. Non è sempre stato così in passato, lo sappiamo. Ed è meritevole che ognuno di noi si batta perché simili atteggiamenti negativi siano evitati (o almeno limitati) per consentire un dibattito sereno fra le parti. Ma di qui a considerare alcune parti come “negative”, perché espressive di idee giudicate aprioristicamente immeritevoli e biasimevoli, va contro il principio della libertà di espressione. E pregiudica ogni sereno dibattito, perché elimina dalla dialettica attori certamente importanti e che poco o nulla hanno a che vedere col razzismo. Dirsi “sovranisti” potrebbe essere un problema, se una Commissione può censurare chiunque si proclami “difensore della patria”. Per assurdo, una simile Commissione dovrebbe censurare pure il governo… Tutti i suoi membri, infatti, giurano fedeltà alla Repubblica. E pure gli stessi parlamentari, in quanto rappresentanti della Nazione.

Siamo franchi! L’istituzione di questa Commissione sembra, in realtà, l’ennesimo tentativo per tentare di mettere all’angolo certe forze politiche. Quelle forze politiche, guarda caso, che ora godono del maggior consenso nel Paese. Strumentalizzare tematiche importanti e sentite quali l’antisemitismo e il razzismo, magari con lo scopo ultimo di screditare l’avversario politico, è la peggiore e più ipocrita delle strategie. L’ennesimo tentativo di affrontare l’avversario non con argomenti politici, ma attraverso battaglie intrise di moralismo e giustizialismo. Ci auguriamo, pertanto, che questa Commissione giudichi nella maniera più imparziale possibile. E che i suoi giudizi si trasformino il meno possibile in attacchi politici.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Interessi e conflitti: risorse, non problemi

Ave Socii

Abbiamo scoperto l’acqua calda: l’onestà non è di casa nemmeno nella magistratura. Anche lì ognuno coltiva i propri interessi. E non succede da ieri, a dire il vero. Anche negli organi teoricamente più imparziali potrebbero in realtà avvenire manovre non propriamente disinteressate. Bisogna avere fiducia nella magistratura… Certo, bisogna avere fiducia, ma non più e non meno che in altri organi dello Stato. La magistratura, a nostro avviso, non ha nulla di così speciale da meritare tutta questa smisurata fiducia. Specie alla luce degli ultimi accadimenti.

Ormai, per recuperare un po’ di credibilità, i magistrati inizieranno a picchiare duro pure contro quei “campioni d’onestà” dei Cinque Stelle… Lo stanno già facendo contro il sindaco di Torino, ma non solo. Se colpisce anche la magistratura, allora è proprio vero che la disonestà è la cosa più democratica che esista. E pensare che un tempo sembravano così uniti, Cinque Stelle e magistratura, sotto la comune bandiera dell’onestà! Ma da quando il popolo, dopo le recenti elezioni, ha voltato le spalle al più credibile baluardo d’onestà nel nostro panorama politico, ai giudici è stata al momento preclusa ogni possibilità di eliminare giudiziariamente gli avversari politicamente ineliminabili. Anche i Cinque Stelle “hanno fallito”… Perciò, d’ora in poi, pure loro potranno essere indagati liberamente. Anche se forse proprio i Cinque Stelle, in tutta la loro storia, hanno collezionato più avvisi di garanzia in proporzione ad altri partiti. Ma questi sono dettagli…

Poi è esploso lo “scandalo magistratura” e abbiamo scoperto che la corruzione serpeggia pure fra i giudici… Eppure, secondo noi, non c’è ragione alcuna per sentirsi così scandalizzati. Siamo tutti esseri umani e, come tali, siamo tutti interessati. L’interesse e la motivazione spingono ogni nostra azione. Chi ha interessi comuni, poi, si riconosce sotto una medesima bandiera e tifa per la categoria rappresentata da quella bandiera. Vale per lo sport come per la politica, passando per i poteri di uno Stato democratico. La democrazia stessa promuove il perseguimento di interessi a partire da una pluralità di categorie, le quali si confrontano (ad esempio, attraverso libere elezioni) deliberando quali siano gli interessi al momento meritevoli di maggior tutela (quelli proposti, ad esempio, dal partito o dalla lista che ha ottenuto più voti).

I poteri statali, il giudiziario nello specifico, dovrebbero essere esercitati all’interno di ogni categoria sociale. Non dovrebbe esistere una categoria che da sola detenga lo scettro di un potere intero: risulterebbe eccessivamente potente nei confronti delle altre. Occorre depotenziarla, dunque. Dividere i poteri non basta, per annullare l’effetto delle correnti ed assicurarsi il raggiungimento dell’indipendenza e dell’imparzialità. I poteri vanno anche suddivisi fra le categorie esistenti: non mediante una “divisione dei poteri” tout court, ma attraverso una sorta di “diffusione dei poteri”. Nella realtà non possono esistere poteri “al di sopra delle parti”. Tutti i poteri presentano comunque le loro suddivisioni in categorie, siano esse correnti o partiti. Ed è bene che queste categorizzazioni vengano fuori, invece di alimentare loschi sotterfugi celati sotto la maschera dell’imparzialità. A nostro parere è inutile, persino dannoso, alimentare l’ipocrisia che alcuni poteri siano immuni dall’influenza delle categorie.

La questione non dovrebbe essere se le categorie possano o meno influenzare i poteri, ma piuttosto stabilire quali categorie possono influenzare i poteri e quali no. Detto in maniera diversa ma equivalente, quali interessi sono meritevoli di tutela e quali no. In questo senso, la Costituzione potrebbe fornire delle linee guida, impedendo da subito la nascita di determinate correnti. Se certe correnti sono anticostituzionali diciamolo dall’inizio. Impediamo che nascano dal principio. Non aspettiamo, per esempio, che avvengano certi episodi a Roma per poi etichettarli come “aggressioni squadriste”. Così sembra quasi che si abbia interesse a che determinate correnti vengano alla luce, per trasformarle in capro espiatorio in determinate situazioni. E’ indubbio che episodi del genere vadano condannati. Ma certe correnti non dovrebbero nascere per niente, se veramente promuovono interessi contrari alla Costituzione… Che pure qui ci siano sotto degli interessi, magari proprio la costruzione di un capro espiatorio?

Passare dal paradigma dell’imparzialità a quello del perseguimento di interessi. E’ questo il punto. Non scansiamo il problema, affrontiamolo. Gli interessi esistono, non si possono evitare. Sfruttiamo questa situazione, invece di biasimarla. Invece di alimentare le false speranze di una magistratura indipendente, proviamo a sfruttare le potenzialità di una magistratura interessata.

La società tutta è divisa in categorie, o correnti. Ciascuna di esse dovrebbe accogliere magistrati propri, motivati a promuovere gli interessi di quella determinata categoria. Ogni categoria è costituita da rappresentanti e rappresentati. I primi dovrebbero ottenere benefici in base ai risultati positivi che conseguono per la loro categoria. Migliori sono i risultati, maggiori sono le possibilità di salire al vertice (che, nel caso del potere giudiziario, dovrebbe essere costituito da un magistrato per ciascuna categoria, così da garantire l’equilibrio fra i vari interessi coinvolti). Si presume, infatti, che i migliori siano quelli in grado di difendere meglio gli interessi di categoria. Ma i rappresentanti si possono anche cambiare. Un numero qualificato di rappresentati può sostituire i rappresentanti “non graditi”, come accade per le elezioni politiche. Tale metodo democratico dovrebbe essere applicato anche ai magistrati.

Ognuno di noi sarebbe contento se prevalessero sempre le idee che condivide maggiormente. Noi stessi saremmo contenti qualora prevalessero sempre certe categorie e certe linee di pensiero. Tipo la linea “sovranista”, la linea del “prima gli italiani”. O la linea del contrasto alla criminalità, all’immigrazione incontrollata e al traffico di droga… Ma sappiamo che purtroppo non sarà per sempre così. Perché nel tempo gli interessi di una società cambiano. La scala dei bisogni di una Nazione può variare. La popolarità di una categoria non dura per sempre. Si chiama democrazia. E pure i magistrati, secondo noi, dovrebbero riflettere le aspettative e le richieste di un popolo, se ci troviamo all’interno di una democrazia. Nei limiti, ovviamente, delle possibilità accordate dalla Costituzione.

Come risolvere eventuali contenziosi tra le diverse categorie? Ad esempio, si potrebbe costituire un organo composto da tre giudici, due di parte e uno imparziale (estratto a sorte tra i non contendenti). In caso di irregolarità, pagherebbero i tre giudici. Se le irregolarità coinvolgessero il vertice, pagherebbero in solido le categorie rappresentate dai tre giudici nel collegio giudiziario. In caso i rappresentanti siano suddivisi in più organi, purché di pari livello, è opportuno che tali organi non legiferino per se stessi. Specie se sono due, è bene che l’uno disponga le regole per l’altro e viceversa. Come nel caso di Camera e Senato: ciascuno dei due rami del Parlamento dovrebbe stabilire le norme non già per sé medesimo, bensì per l’altro. Specie per quel che concerne i compensi dei suoi membri.

La riforma della giustizia è sicuramente materia difficoltosa per chiunque, soprattutto in Italia. Magari proprio a causa degli interessi che qualcheduno vorrebbe salvaguardare. Ma comunque venga impostata la riforma, crediamo che la stella polare da seguire debba essere questa: depotenziare determinate categorie, al momento strapotenti, per raggiungere un certo equilibrio fra gli interessi in gioco. Finché una sola categoria sarà al comando di un potere, i suoi interessi prevarranno senza possibilità di replica. Solo quando tutte le categorie saranno in grado di esprimere rappresentanti propri per ciascun potere, compreso quello giudiziario, potremo finalmente dire addio alla subdola tirannia di una casta.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Morte e vita. Il diritto e la pena

Ave Socii

La vicenda della ragazzina olandese che ha deciso di darsi la morte, perché provata dal male di vivere, ha riacceso il dibattito sull’eutanasia. Chi si professa “progressista” crede che il progresso passi anche per la “buona morte”. Certo, consentirla a delle ragazzine minorenni forse non è il massimo. Anche l’Olanda, in realtà, ha norme piuttosto stringenti su questo tema.

Decidere di morire, perché si è stanchi di vivere… Se la “buona morte” ha un qualche senso, crediamo debba limitarsi ai soli casi di malattie terminali e malattie per le quali non esiste alternativa diversa dall’accanimento terapeutico. Di certo non dovrebbe servire per curare casi di depressione. Così l’aborto, se ha un qualche senso, dovrebbe limitarsi ai soli casi di rapporti sessuali non consenzienti. E ai casi di malattie gravi dell’embrione. E dovrebbe essere praticato, comunque, entro tempi non troppo lunghi dalla fecondazione.

Forse stiamo perdendo il “senso della vita”, presi come siamo dal “senso della morte”. Preferiamo tutelare chi sceglie di morire, invece di supportare chi vorrebbe scegliere di vivere. I fascio-buonisti, dall’alto del loro senso di progresso, premono per una regolamentazione delle “pratiche di morte”. Se per loro il concetto di vita è così relativo, allora per quale motivo non sono altrettanto pressanti in tema di pena di morte per i criminali? Va bene battersi per il diritto a una vita dignitosa. Però, a questo punto, non dimentichiamoci della dignità di vivere. E di chi, forse, per quel che ha combinato non merita una tale dignità.

Speriamo che mai nessuno debba morire per mano d’uomo, ci mancherebbe. Però, se proprio qualcuno deve perdere la vita in questo modo, preferiamo siano i colpevoli e non gli innocenti. Pensate che strani che siamo! I “politicamente corretti” cosa dicono, invece? Pena di morte per i criminali no, aborto e eutanasia sì… Saremo noi fuori dal mondo, ma questo ci pare un po’ un controsenso. Perché se un privato sceglie di morire va tutto bene… e se invece è lo Stato a decidere che uno deve morire, perché ha violato determinate leggi, ripiombiamo nel buio Medioevo?

E così, in nome del progresso, dobbiamo liberalizzare anche la morte… Così comanda la “retta dottrina” dei fascio-buonisti. Noi abbiamo un’idea di progresso diversa. Per noi una società è progredita se ognuno dei suoi membri si assume le responsabilità di ciò che fa. Chi nega il diritto alla vita di una persona, dovrebbe sapere che di quel medesimo diritto può anche essere privato. Non da un altro individuo, sia chiaro, ma dallo Stato. Anche gli aborti e i suicidi assistiti sono negazioni della vita. Per “giusti motivi”, ci mancherebbe… ma anche lo Stato può avere “giusti motivi” per privare qualcuno della vita, non solo i singoli. L’intervento dello Stato, anzi, potrebbe pure distogliere gli individui dal desiderio di farsi giustizia da sé, prevenendo il sorgere di eventuali faide e contribuendo ad abbassare il livello di tensione sociale. Lo Stato dovrebbe essere l’unico legittimato a compiere simili atti “di giustizia straordinaria”.

Noi vorremmo uno Stato in cui le pene siano certe e servano alla “rieducazione del condannato”, come raccomanda anche la Costituzione. Rieducazione finalizzata al reinserimento del reo nel tessuto sociale. In questo senso, l’ergastolo è forse la pena più inutile che esista… Fine pena mai, nessuna possibilità di ritorno alla vita sociale, quindi nessuna finalità rieducativa… Un posto in galera occupato a vita da un tizio che, nella maggioranza dei casi, trascorre i suoi giorni a meditare una strategia di fuga oppure il suicidio (che poi non è altro che una particolare strategia di fuga)… Ergastolo spesso commutato in altra misura perché magari il condannato ha dato di matto, oppure per “buona condotta”… Alla faccia della certezza della pena… E il tutto a spese dello Stato.

La Costituzione stessa, nella sua prima formulazione, prevedeva la pena di morte in casi eccezionali. Un tempo perfino la Chiesa condannava a morte i suoi colpevoli. Formalmente, lo Stato Pontificio ha abolito la pena di morte solo nel 2001. In realtà, tuttavia, le ultime condanne risalgono a circa due secoli fa. Ora la Chiesa, coerentemente, condanna espressamente qualsiasi forma di “negazione della vita”, che sia aborto o pena di morte o eutanasia. D’altro canto, uno Stato che ha tempo di interrogarsi sull’introduzione della “buona morte”, secondo noi, dovrebbe interrogarsi anche sull’introduzione della “pena di morte”. Sembrano ora riecheggiare a nostro sfavore le parole dell’illuminista Beccaria: perché lo Stato dovrebbe prevedere la morte come pena, quando la condanna come reato?

Eppure il nostro ordinamento non può non prevedere fattispecie di reati riguardanti, in un modo o nell’altro, il concetto di “morte”. Tutti noi saremmo contenti se non vi fossero omicidi, ma evidentemente la realtà dei fatti è un po’ diversa. Qualcuno potrebbe dunque obiettare a Beccaria: perché la morte può comunque esistere come reato, all’interno di uno Stato che la aborrisce addirittura come pena? Le considerazioni di Beccaria sulla pena di morte, perciò, dovrebbero essere ribaltate: se è sbagliato aborrire la morte solo come reato e prevederla comunque come pena, perché dovrebbe essere giusto aborrirla solo come pena e prevederla comunque come reato?

Siamo dell’idea che uno Stato davvero progredito debba prevedere la pena di morte per reati particolarmente efferati, che violano gravemente specifici diritti di rilevanza costituzionale. Vogliamo incominciare a ristabilire un po’ di certezza della pena? Ebbene, pena più certa di questa non esiste davvero. Chi nega la vita altrui dovrebbe sapere che può incorrere nel medesimo trattamento. Però non vogliamo la legge del taglione. Crediamo sia comunque opportuno dare un “tempo di recupero” al reo, per consentire la sua responsabilizzazione e “rieducazione”. Qualora poi il reo non sfruttasse adeguatamente questa possibilità, lo Stato potrebbe sempre prendere i dovuti provvedimenti. Fossimo noi lo Stato, arrivati a questo punto preferiremmo senza dubbio giustiziare il colpevole piuttosto che rischiare, per causa sua, di piangere altri innocenti.

Probabilmente non tutti condivideranno le nostre posizioni, i temi qui affrontati sono particolarmente delicati. Ma noi siamo per la cultura libera e per la libera espressione del pensiero. Neanche noi condividiamo le posizioni di alcuni, in merito a questi argomenti. Tuttavia le rispettiamo e auspichiamo un confronto costruttivo nel rispetto reciproco. Speriamo che pure il dibattito politico trovi al più presto una sintesi positiva e coerente fra le varie istanze.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Giustizia italiana. Un mondo tutto da riformare

Ave Socii

Controllare i controllori. Quando si è in presenza di un organo deputato al controllo, c’è forse motivo di dubitare della serietà e imparzialità dei suoi componenti? Tutti noi vorremmo che la risposta fosse no… Ma alla luce anche dei recenti “scandali” che stanno colpendo la magistratura italiana, forse ci domandiamo se chi controlla necessiti a sua volta di essere controllato.

Da più parti, e da molti anni, si parla di “riforma della giustizia”. Secondo noi, sarebbe necessario rivedere più in generale il ruolo di ogni organo di controllo. Compito non certo facile, visto che già nei tempi antichi qualcuno si domandava “chi controlla i controllori?”… Chi riveste ruoli di controllo e non è a propria volta controllato da nessuno, potrebbe abusare indiscriminatamente del potere conferitogli dalla carica che riveste. Inventare organi di controllo superiori complica il problema, invece di risolverlo. I controllori superiori controllano gli inferiori, ma chi controlla i superiori? Un nuovo organo di controllori collocato ancora più in alto? Ma poi chi controllerà questi ultimi? E così via, all’infinito.

E’ evidente che il “metodo gerarchico” fin qui descritto non è il massimo. E’ dunque necessario riflettere sulla possibilità di introdurre altre modalità di controllo. Magari di controllo “fra pari”. Se si motivasse adeguatamente le parti a controllarsi a vicenda, forse, si eviterebbero eclatanti abusi di potere. Nella Roma repubblicana, i consoli erano due proprio perché l’uno controllasse l’operato dell’altro e viceversa. Tornando ai giorni nostri, il sistema parlamentare italiano prevede che vi siano due Camere aventi i medesimi ruoli e poteri. Ognuna delle due Camere si autogoverna e stabilisce il proprio regolamento interno (cosiddetta “autodichia”). Non sarebbe più opportuno, invece, che l’una stabilisse le regole dell’altra e viceversa?

Si parla tanto di conflitto di interessi. Quello citato sopra potrebbe essere un esempio. Ma se esiste un conflitto di interessi davvero grave, forse è quello per cui l’organo dei controllori, la magistratura, si autogoverna. Quello per cui un giudice viene giudicato da un altro giudice. Un suo “simile”, diciamo così. E per gli amici, ovvero i simili, le regole spesso si interpretano nel senso più favorevole possibile. Alla faccia dell’imparzialità. E spesso l’incompetenza del Legislatore moderno contribuisce ad allargare in misura indeterminata le possibilità di interpretazione delle leggi da parte del potere giudiziario.

Fare in modo che esistano organi di controllo “alla pari”, che insistono cioè sui medesimi interessi, potrebbe essere una soluzione al problema. Il conflitto d’interessi dovrebbe essere esternalizzato, cioè ricondotto ad organi differenti, invece che rimanere internalizzato nel medesimo organo. Creare organi superiori, per l’appunto, è inutile poiché ripropone al proprio interno le medesime tipologie di conflitti. Se proprio deve esistere un “organo superiore”, questo dovrebbe accogliere al suo interno rappresentanti delle varie istanze di un sistema. Ognuna delle parti, rappresentative delle varie istanze, propone le condizioni cui le altre parti dovrebbero attenersi per salvaguardare al meglio i loro interessi. In sede congiunta, poi, si effettua una sintesi delle posizioni. Questo ci pare il metodo più corretto per trattare il problema del controllo. Una sorta di applicazione della teoria dei giochi.

Spesso anche i membri di diversi organi vengono scelti in rappresentanza dei poteri di un sistema. Si pensi ai componenti della Corte Costituzionale, scelti in egual numero dai tre poteri dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario). In presenza di conflitti fra questi poteri, ogni organo deputato alla risoluzione di tali conflitti dovrebbe accogliere rappresentanti di tutti i poteri coinvolti. Il Consiglio Superiore della Magistratura accoglie membri togati e laici, ma forse non basta. Perché ogni membro sia egualmente motivato a perseguire gli interessi della propria parte, dovrebbe essere ricompensato a partire dai risultati positivi conseguiti dalla parte che rappresenta. E, al contrario, penalizzato in base ai risultati negativi.

Il tema della “responsabilità civile dei magistrati” è collegato a quanto detto prima. L’innocente che abbia subito un processo lungo e ingiusto, dovrebbe essere risarcito direttamente dai rappresentanti del potere giudiziario. Costoro dovrebbero rispondere delle loro mancanze. Ciò potrebbe ridurre il ricorso al loro strapotere di interpretazione. Se un magistrato pagasse per le sue omissioni, potrebbero anche ridursi i tempi della giustizia. Se i compensi dei giudici fossero inversamente proporzionali al tempo dei processi, forse si uscirebbe da una situazione che definire “farraginosa” è un’offesa agli eufemismi.

Evitare la presenza di organi di controllo superiori, magari, farebbe pure risparmiare dei bei soldini. Così come decidere i compensi in base ai risultati conseguiti e non perché “si ha diritto a quei compensi”. Ma dei bei soldi pubblici si risparmierebbero anche liberando parzialmente le casse statali dall’onere di stipendiare indistintamente tutti i rappresentanti della giustizia. In questa direzione potrebbe andare un provvedimento incentrato sulla liberalizzazione della giustizia civile. In particolare, tutto ciò che concerne i contenziosi fra privati dovrebbe essere gestito da mediatori giuridici, non necessariamente facenti parte dell’apparato statale. Sia chiaro, anche lo Stato potrebbe decidere in merito alla disputa fra privati. Ma forse, liberalizzando la giustizia civile, si eviterebbe l’attuale ingolfamento dei Tribunali.

Lo Stato dovrebbe avere rappresentanza, mediante magistrati propri, solo in sede amministrativa (nei contenziosi fra pubblico e privato) e in sede penale (al momento della violazione delle relative norme). In entrambi questi casi, la sfera pubblica persegue interessi diretti ed è motivata a farlo. Ma nei contenziosi fra privati, dove l’interesse pubblico spesso non è in gioco, il pubblico interviene senza alcuna motivazione. Ed ecco che i processi possono durare un’eternità. Ecco che le udienze possono essere rinviate di mesi. Ecco che i giudici possono godere di ferie spropositate rispetto ad altri funzionari pubblici.

A nostro avviso, per far sì che uno Stato divenga più efficiente, c’è bisogno di cambiare paradigma. Passare, cioè, dalla “ricerca di imparzialità” (che sovente coincide con “inerzia”) alla “ricerca di motivazione e interesse”. Fare in modo che ogni parte coinvolta si metta nei panni delle altre, scrivendo le regole necessarie al perseguimento degli interessi altrui e non dei propri. Perché nessuno può essere imparziale, mentre scrive le regole per se stesso. Solo rendendo interessati i suoi membri, lo Stato può sperare di funzionare meglio. Agganciare i benefici dei funzionari pubblici ai risultati da loro conseguiti, per esempio, potrebbe spronare i funzionari stessi ad impegnarsi di più. E la macchina dello Stato a muoversi più velocemente. Ma finché i controllori non pagheranno, finché continueranno a suonarsela e cantarsela a modo loro, dimentichiamoci pure una legge uguale per tutti.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Il nostro appello contro ogni violenza

Ave Socii

La piazza sovranista di Milano è stata un grande esempio di democrazia e libertà di pensiero. Una piazza pacifica e propositiva, come tante nel nostro Paese. Tutte le piazze dovrebbero essere così: pacifiche e propositive. Per lo meno pacifiche.

Anche le piazze dei sindacati, dei lavoratori, dei residenti stanchi di subire certe situazioni, delle categorie che vogliono far sentire la loro, sono piazze pacifiche. Queste sono le piazze che vogliamo. Non serve che si usi violenza per dimostrare al mondo di esistere.

L’atteggiamento violento è agli antipodi rispetto al confronto pacifico della democrazia. Il confronto costruisce, la violenza distrugge e basta. Nessuno può permettersi di aizzare alcuni contro altri, per il mero fine dell’ottenimento della visibilità. Chi è violento nei modi, forse è debole nelle idee.

Nessuno può permettersi di gettare a terra il cibo destinato ad altri, o di gridare frasi ingiuriose e indegne come “Ti stupro”. Nessuno può permettersi di violentare delle ragazze, specie se appartiene a un movimento politico che fa della lotta alla violenza sessuale una bandiera. Guai, se a destra come a sinistra, si lasciasse spazio a persone del genere. Ci vergogneremmo di appartenere a quella fazione.

Nessuno può tuttavia permettersi di accostare gli atteggiamenti violenti alla cultura di una singola parte politica. Lo stupratore non ha colore politico, così come il violento in generale. Il periodo stragista e gli anni di piombo non ci hanno insegnato nulla? La violenza può tingersi di qualunque colore. Il violento è un soggetto che merita solo comprensione e aiuto. E se vuol rimanere violento, non merita nemmeno quello.

Nessuno può permettersi di bruciare libri o distruggere opere in nome di un qualsiasi credo. Molti, troppi pensano che cancellare il passato sia la strada migliore per costruire il futuro. Ma è solo una violenza contro la storia dell’uomo. Contro noi stessi.

Nessuno può permettersi di contestare l’altro bruciando la sua bandiera. Con essa ardono i cuori di un’intera Nazione. Nessuno può permettersi di minacciare di morte qualcuno, oppure offenderlo costruendo manichini da infuocare o appendere a testa in giù. Così si rievocano pagine buie della Storia.

Nessuno può permettersi di influenzare delle decisioni squisitamente politiche, se la carica che riveste non glielo consente. Anche questa è violenza. Violenza contro la Costituzione e contro la divisione dei poteri tipica di ogni Paese democratico.

Chi detiene il potere giudiziario non può pretendere di interferire con quello esecutivo, in nome della propria “indipendenza”. Da noi è il Parlamento a scrivere le leggi e il Governo ad eseguirle, non la magistratura. Perfino in tema di accoglienza. Una magistratura che pretende di essere indipendente soggiogando gli altri poteri è violenta contro la Costituzione. Bisognerebbe interpellare la Consulta, in caso ci fossero dubbi.

Chi è sindaco o pubblico funzionario non può disobbedire alle leggi o disapplicarle, se è in disaccordo con esse. La disobbedienza civile la fa il popolo, non la pubblica amministrazione. Perfino in tema di accoglienza. I pubblici funzionari che disobbediscono sono violenti contro la Costituzione. Bisognerebbe interpellare la Consulta, in caso ci fossero dubbi.

Se una qualche forza politica appoggia degli atteggiamenti violenti contro la Costituzione, probabilmente è complice seppur in buona fede. Perfino in tema di accoglienza. Ecco perché ancora non le arrivano tanti avvisi di garanzia tutti insieme. Come possono, i rappresentanti del potere giudiziario, sbarazzarsi così in fretta di politici che fanno il loro gioco? Marionette mosse dagli intricati fili dell’onestà. Ma prima o poi questi fili si romperanno pure per loro. Anche troppa onestà è violenta.

Siamo contrari ad ogni forma di violenza. Quelle più palesi e quelle più subdole. Quelle contro le persone e quelle contro il nostro modello democratico. Quelle che tutti deplorano e quelle che forse nessuno ha il coraggio di far notare. Quelle contro le opinioni. Quelle contro le regole.

Noi siamo per il rispetto. Per le persone e le loro opinioni. Per le Istituzioni e le loro regole. E voi?

Vostro affezionatissimo PennaNera