Natalità e immigrazione incontrollata

Ave Socii

Gli ultimi allarmanti dati confermano una tendenza che purtroppo sembra lungi dall’essere invertita. Nel nostro Paese le nascite diminuiscono sempre di più. La nostra popolazione diventa sempre più anziana. Il ricambio generazionale è ridotto ai minimi termini.

Ovviamente si tratta di un problema dalle ricadute economiche notevoli. In termini di lavoro e pensioni, ad esempio. Ma in questa sede, in particolare, vorremmo concentrare la nostra attenzione sull’aspetto sociale e demografico della questione. Le politiche a favore della natalità dovrebbero essere priorità di qualsiasi governo, in un Paese che invecchia di anno in anno. Eppure chiunque sia andato al governo pare essersi dimenticato di questo che è uno dei problemi più gravi che ci attanagliano.

Al massimo, qualche politico ha pensato di aumentare il livello di natalità ricorrendo ai flussi migratori. Siccome i vuoti vanno riempiti, allora pare ovvio e pacifico che venga operato un vero e proprio “travaso” di popolazione da dove c’è troppa a dove c’è troppo poca. C’è tuttavia un piccolo aspetto che andrebbe tenuto in considerazione: la cultura. La cultura è l’insieme di tutte le qualità che ci accomunano, ma anche delle qualità che ci contraddistinguono rispetto agli altri. Se pensassimo che tutta la popolazione umana debba appartenere ad un’unica cultura, probabilmente decreteremmo la fine di ogni cultura.

Secondo alcuni, il suddetto ragionamento porterebbe ad una sorta di apologia del razzismo. Non è assolutamente così. Il razzismo è la conseguenza dell’estremizzazione delle differenze, declinate per di più all’interno di un atteggiamento bellicoso e intollerante. La cultura occidentale ha ancora i suoi problemi di razzismo, ma mai così dilaganti quanto quelli che ebbe tempo addietro. Ogni cultura, infatti, sviluppa nel tempo gli anticorpi che le consentono di evitare gli estremismi. Ad oggi, esistono sicuramente diverse altre culture ben più estremiste, razziste e intolleranti della nostra. Perciò finiamola di dire che la colpa di tutto è sempre nostra!

Ciò premesso, è fondamentale che una cultura stabilisca le proprie differenze rispetto alle altre culture. E che tramandi queste differenze per preservare la propria identità nel tempo. Ebbene, la promozione dell’immigrazione incontrollata va proprio contro questo principio. Oggi purtroppo, seguendo le sirene del politicamente corretto e del buonismo, siamo incitati ad accogliere chiunque senza se e senza ma. E accogliere qualcuno spesso proveniente da culture diverse dalla nostra, spesso inconciliabili con questa. Altrimenti siamo sovranisti, che tradotto vuol dire “brutti, cattivi, trogloditi, fascisti”. Che ne è, dunque, della nostra identità?

E’ allora davvero opportuno pensare che la soluzione ultima al decremento di natalità sia l’accoglienza di persone che facciano figli al posto nostro, nonostante la provenienza da culture diversissime? Oppure sarebbe meglio incentivare le nostre famiglie, ossia quelle italiane, al concepimento e alla cura dei figli? E incentivare, in particolare, quelle famiglie in grado di generare: ossia le coppie uomo-donna. Perché la generazione di un figlio non può che passare per l’incontro fra un uomo e una donna. Nonostante la pronuncia di un Parlamento a favore di coppie di ogni tipo, la Natura non può essere cambiata con una legge.

In conclusione, solo incentivando le famiglie “tradizionali” si può sperare di promuovere la natalità in Italia. Sarebbe questo il primo vero provvedimento di un Paese che volesse esercitare la propria sovranità. Ognuno viva la propria vita accanto a chi vuole: uomo, donna o persone di qualunque altro genere. La generazione dei figli è un’altra storia. Solo le coppie uomo-donna riescono a dare qualcosa (o meglio, qualcuno) alla società. Ogni altra coppia, invece, sa ricevere e basta.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Strade sempre più insicure, soprattutto per i pedoni

Ave Socii

Da tempo immemore, purtroppo, la cronaca mostra che, sulle nostre strade, c’è chi si mette al volante ubriaco o drogato. E c’è ancora chi, tra le forze politiche, è addirittura favorevole ad aumentare il numero di sostanze legalizzate. Come se non bastasse l’alcol, vogliono aggiungere la cannabis e magari pure qualcos’altro. E poi si arrabbiano, quando qualcuno si fa vedere un tantino più “proibizionista”… Allora perché non fermiamo anche la vendita di alcolici? Questo si domandano, dandoci degli ipocriti. Sanno benissimo, furbetti, che la vendita di alcolici non si può limitare facilmente. E pensano bene di proteggersi dietro a questo scudo. Ci si sballa con l’alcol, tanto vale sballarsi pure con altro. Perché l’alcol sì e la cannabis no?

Questo giochino del “mettere sotto scacco i proibizionisti”, tuttavia, dà per scontata una cosa che in realtà scontata non è affatto. Ossia, che alcol e droghe abbiano la stessa natura e servano, fondamentalmente, per sballarsi. Questa pericolosa identità è oggi sponsorizzata in primo luogo dai trapper e dai loro testi musicali, tanto amati da giovani e giovanissimi. E’ un’identità pericolosa e fuorviante. Bere alcol non significa necessariamente sballarsi; farsi una canna, invece, conduce sempre ad un’esperienza di sballo. Perché gli alcolici sono degli alimenti, i cannabinoidi dei medicinali. Chi pensasse di trattare l’alcol come una droga tout court, in pratica, giungerebbe a considerare “spacciatori” perfino quei viticoltori che mantengono alto il nome del “Made in Italy” nel mondo. D’altro canto, la cannabis è una sostanza psicotropa che ha certamente effetti benefici su determinate patologie. E, in quanto tale, dovrebbe essere trattata come un farmaco, non come un passatempo ricreativo.

Ritornando a chi viaggia sulle nostre strade, potremmo chiederci perché certa gente si mette a guidare in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti. Probabilmente è gente che soffre, gente depressa che ha bisogno di sballarsi. Gente totalmente incentrata sui propri problemi, perciò incurante di tutto il resto. Una sostanza non provoca sballo finché non è legata ad una particolare esperienza. Bere tre dita di vino a pranzo, accompagnando i pasti, è forse un’esperienza di sballo? Persino la somministrazione controllata di cannabinoidi in ambito sanitario, per curare il morbo di Parkinson ad esempio, non porta ad uno sballo propriamente detto. D’altro canto, chi prima si fa una canna oppure svariati bicchieri di alcolici e poi scorrazza per le strade… Beh, forse ha bisogno di curarsi.

Chi ha avuto particolari esperienze di vita, soprattutto all’interno di famiglie problematiche, tende a cercare al di fuori del nido familiare la propria ragion d’essere. E spesso la trova nel divertimento estremo, nello sballo appunto. Mettere a rischio la vita altrui è forse una componente essenziale di quest’esperienza. Come dire: io ho sofferto tanto e ce l’ho con la società, perciò la società deve capire cosa vuol dire soffrire. A volte il fatto stesso di aver sofferto giustifica, agli occhi di costoro, la sofferenza che può capitare ad altri membri della società. L’invidia nei confronti del mondo li rende pericolosi: si lamentano che la loro vita è un inferno, quando certe volte sono loro stessi a rendere infernale la vita degli altri. E’ forse “libertà di divertirsi” questa? Nessuno può permettersi di affermare la propria libertà, arrivando a negare la libertà altrui.

Mettendosi nei panni di queste persone, si finisce senza dubbio per giustificarle. Le loro “vite difficili” coinvolgono e commuovono. Se sbagliano non importa, l’importante è che prima o poi si redimano… Perché la redenzione è possibile per tutti… Si tratta di un pensiero (purtroppo) assai diffuso oggi, dove sembra che ai criminali sia concesso tutto e che delle vittime tutti si dimentichino. Perché è così che dovrebbe essere considerato uno che scorrazza per le strade in preda allo sballo: un criminale. Il fatto che dei pedoni abbiano attraversato col rosso non giustifica un conducente in stato di ebbrezza che li travolge. Non vogliamo fare la solita predica sul divertimento sano e senza eccessi. Se volete bere, bevete. Se volete drogarvi, drogatevi. Ma per tornare a casa, fatevi almeno accompagnare da chi sta meglio di voi. Ne va non tanto della vostra vita ma della vita altrui, dei pedoni soprattutto.

Purtroppo il clima di buonismo negli ultimi tempi imperante ha varcato pure i confini del diritto. Dinanzi a un sistema che concede attenuanti a persone che “hanno sofferto”, noi rispondiamo con un progetto ri-educativo serio di reintegrazione e reinserimento nella società. Un progetto basato sulla rielaborazione del senso della vita, sull’abbattimento del vittimismo e sulla responsabilizzazione. Crediamo che ai soggetti devianti debbano essere concesse possibilità che magari non hanno mai avuto. Ma non all’infinito. Qualora tale progetto fallisca, infatti, non rimane che trattare queste persone come in effetti vogliono essere trattate: da criminali. E, nel caso risultino nuovamente coinvolte in reati provocati da situazioni di sballo, provvedere alla loro neutralizzazione.

L’applicazione della pena di morte, in realtà, non dovrebbe valere solo per chi viaggia per le strade in preda a droghe o alcol. Dovrebbe valere per tutti coloro i quali mettono a rischio la vita altrui, fra i quali anche spacciatori e assassini. Perché la vita è un diritto sacro e, in quanto tale, nessuno dovrebbe permettersi di insidiarlo. Qualora questo accada, potrebbero aprirsi degli spiragli per un intervento dello Stato nel caso il reo sprechi le possibilità di reinserimento nella società. Speriamo, ovviamente, che interventi tanto drastici non trovino mai applicazione pratica. Tuttavia crediamo che ognuno di noi avrebbe un motivo in più per responsabilizzarsi, se sapesse di rischiare grosso. E’ così strano sentir parlare di morte per i colpevoli, in uno Stato in cui si parla spesso di morte per gli innocenti?

Vostro affezionatissimo PennaNera

Ideali scomodi. Il coraggio dell’impopolarità

Ave Socii

Lo strumento della politica dovrebbe servire per portare avanti degli ideali e trasformarli in realtà. E’ questo il bello della politica: combattere per degli ideali in cui si crede. Continuare a combattere per essi, anche se sono ideali passati ormai di moda. Oppure ideali che cozzano contro posizioni attualmente di moda. Battersi per degli ideali, in democrazia, espone al rischio di trovarsi contro le mode del tempo, contro le tendenze, contro il popolo. E purtroppo è proprio questo che, molto spesso, impedisce ai politici di lottare liberamente per gli ideali in cui credono davvero.

In realtà, un po’ tutte le forze politiche tendono a comportarsi come il popolo vorrebbe si comportassero. Il populismo, checché se ne dica, alberga a sinistra così come a destra. Mettere nuove tasse è certamente impopolare, specie in uno Stato dove la pressione fiscale è già alta. Se tuttavia una forza politica ha il coraggio di proporre simili misure, dovrebbe poi avere anche il coraggio di sostenerle fino in fondo. Ciò che in sostanza questo governo negli ultimi giorni non ha fatto, rinviando tasse proposte e avallate proprio da alcune forze di maggioranza. Pur di mostrarsi compatto e “favorevole al popolo” ha deciso di non decidere, spacciando questa “non decisione” per un “miracolo”. Pensando magari che gli italiani avrebbero ringraziato elettoralmente, quasi avessero l’anello al naso. Dalle tasse rinviate alle sardine, se le stanno inventando tutte pur di riacquistare consensi. Se alle prossime elezioni regionali non dovessero farcela neanche così…

L’essere popolari, come detto, è un vincolo che caratterizza e influenza tutti i partiti, soprattutto i più grandi. Accanto ad argomenti popolari, invece, ogni partito dovrebbe pure sostenere posizioni e ideali che vadano al di là del proprio tornaconto elettorale. C’è chi propone lo ius culturae per i minorenni nati in Italia da persone immigrate, benissimo… C’è chi propone di superare il concetto di “modica quantità” e trattare con durezza ogni tipo di detenzione di stupefacente, benissimo… Si abbia, però, anche il coraggio di portare avanti queste battaglie. Con serietà, determinazione e coerenza. Perché la coerenza paga. E se non paga adesso, perché momentaneamente vanno di moda altri ideali, magari pagherà in un futuro neanche troppo lontano. Perché le bandiere che il popolo segue possono cambiare. La sfida è farsi trovare pronti. E farcisi trovare, per quanto possibile, da una posizione che nel tempo si è mantenuta coerente.

Secondo noi, esistono molte battaglie politiche per cui varrebbe la pena combattere, in questo preciso momento storico. Andare in mezzo ai giovani e spiegare che la cannabis fa male. Legalizzare la prostituzione, invece che le droghe. Colpire i consumatori, oltre che i trafficanti di stupefacenti. Almeno discutere di pena di morte per i criminali, così come si discute di aborto e eutanasia per gli innocenti. Consentire l’organizzazione di ronde per sopperire alla carenza di pubbliche forze dell’ordine, oltre che regolamentare la legittima difesa nella proprietà. In casi eccezionali, per salvaguardare la sicurezza pubblica, provvedere a limitare alcuni diritti.  Affermare che l’integrazione è sì buona e bella, ma impraticabile perché ogni immigrato ha i suoi valori, spesso incompatibili con quelli del Paese che lo ospita. Sostenere che alcune famiglie, nell’accudimento dei figli, sono più adatte di altre. Schierarsi contro la deriva ambientalista, sostenendo che avvantaggia i petrolieri piuttosto che l’ambiente…

Quante battaglie si potrebbero sostenere, se non si badasse esclusivamente al consenso del popolo! Ma schierarsi apertamente contro certi ideali significherebbe, per alcuni partiti, crollo sicuro nei sondaggi. Visto che ultimamente si tengono elezioni a distanza molto ravvicinata, certe battaglie non vengono intraprese. Ce li vedete, voi, i politici ad andare in mezzo ai giovani, spiegando loro che la cannabis fa male? Gli riderebbero addosso, in fondo “è solo una cannetta, tutta roba naturale”… O a dire che, a determinate condizioni, certi diritti vanno limitati? Darebbero loro dei “barbari”… O a sostenere che certi nuclei familiari, pur legittimati da un Parlamento, sono una spanna al di sotto della “famiglia tradizionale” nella cura dei figli? Politici del genere sarebbero etichettati come “retrogradi e sfigati”… O a mettersi contro l'”onda verde”, contro chi riempie le piazze manifestando a favore dell’ambiente? Tali politici verrebbero messi al rogo, pure a costo di inquinare l’atmosfera…

Ci auguriamo che alcuni abbiano il coraggio di assumere queste (ed altre) posizioni scomode. E di assumerle in maniera continuativa, senza timore per una situazione di impopolarità temporanea o prolungata nel tempo. E di continuare a navigare nella stessa direzione, pure quando il popolo volta le spalle e il vento cambia. Perché un giorno il vento tornerà a soffiare in questa direzione. Perché un giorno il popolo volgerà di nuovo lo sguardo verso questa parte. Perché quel giorno chi è rimasto coerente raccoglierà i frutti della propria coerenza.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Anziani, baluardo a difesa dei valori e delle tradizioni

Ave Socii

Nessuno tocchi i nostri anziani! L’attenzione alla terza età e alle età successive dovrebbe essere questione prioritaria per ogni partito. Specialmente qui in Italia, Paese dove l’età media della popolazione è in continua crescita. C’è chi vede il bicchiere mezzo pieno, c’è chi (purtroppo) lo vede mezzo o tutto vuoto. Qualcuno vorrebbe addirittura toglier loro il diritto di voto. Magari per darlo ai sedicenni, anche figli di immigrati che risiedono in Italia da molto meno tempo. Chi ha contribuito alla ricostruzione del nostro Paese dovrebbe meritare un minimo di rispetto in più. Taluni rigurgiti pseudo-sessantottini lasciano il tempo che trovano. Certo, chi non ha radici non ha una cultura di riferimento a cui appigliarsi. Perciò è più facilmente manipolabile. Magari proprio dai medesimi geni che sostengono l’immigrazione incontrollata, il fantomatico ius culturae e lo stesso voto ai sedicenni.

Gli anziani sono i depositari più autentici delle nostre tradizioni. Gli anziani rappresentano le nostre stesse radici. Per certi versi, sono difensori di valori anche religiosi. Avendo vissuto in periodi storici certamente meno disincantati del nostro, possono tramandare molti insegnamenti alla cosiddetta “generazione 2.0”. Non c’è bisogno di esser bigotti per tramandare dei valori religiosi: anche le tradizioni più pagane e popolari costituiscono valori da preservare. In una parola, gli anziani tramandano la nostra identità come popolo.

La maggior parte delle uscite dello Stato serve per pagare le pensioni ai nostri anziani… E’ forse una colpa? Quante volte gli anziani aiutano i figli, impegnati col lavoro, nella gestione e nella crescita dei nipoti? I soldi che lo Stato spende in pensioni hanno probabilmente un effetto benefico non solo per i nonni, ma anche per i loro discendenti. E’ forse una colpa avere uno Stato che spende tanti soldi in pensioni? Se in ballo c’è la tutela della nostra identità culturale, ben venga qualunque spesa pensionistica!

Gli anziani costituiscono pure un baluardo a difesa della famiglia. A fronte di tutte le liberalizzazioni introdotte dalla modernità, il focolare domestico ha un modello privilegiato: la famiglia tradizionale. Nessuna liberalizzazione delle relazioni potrà mai competere con l’immagine della famiglia tradizionale. Quando altri tipi di nuclei pretendono di sedere sul trono della società, invece di porsi in atteggiamento di rispetto e riverenza, la società incomincia a decadere. Ne sono un drammatico esempio la sempre più pronunciata decrescita demografica, il dilagante relativismo culturale, la crisi dei rapporti sociali, la crisi delle agenzie educative…

Smettiamo di considerare gli anziani come individui non più produttivi, da badare, da buttar via, o perfino da eliminare… C’è un forte pregiudizio nei confronti dei nostri vecchi. Forse bisognerebbe avere più rispetto per coloro che hanno fatto grande e continuano a far grande il nostro Paese. Nel bene e nel male, per carità, ma nessuna generazione è perfetta. Chi manca di radici manca di cultura, senza eccezioni di sorta. Ogni pianta ha le sue radici. Ogni pianta cresce bene nel terreno in cui si è sviluppata. Sradicarla e piantarla altrove, oppure addirittura reciderne le radici, porta spesso ad una sola nefasta conseguenza: la morte.

La morte di ogni cultura… Forse è quel che vogliono i fascio-buonisti, eliminare qualsiasi elemento d’intralcio all’appiattimento culturale dell’umanità… Eliminare ogni residuo di identità dei popoli, per affermare la dittatura dei “valori universali”… Valori imposti, perciò indegni di appartenere alla cultura di qualsiasi popolo. Dinanzi a questi valori privi di qualunque sostanza, noi affermiamo con orgoglio la nostra identità e i nostri valori come popolo. E con orgoglio sempre ci affideremo a chi la nostra identità e i nostri valori li sa difendere davvero: i nostri anziani.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Laicità dello Stato e cultura cristiana

Ave Socii

Sovente il progresso di una società è accostato al principio di laicità dello Stato. Nella nostra cultura, un tale principio è declinato nella celebre formula “libera Chiesa in libero Stato”. Una formula che afferma l’esistenza di due realtà distinte, quella spirituale e quella temporale, aventi pari dignità di essere al mondo. Nessuna delle due, pertanto, dovrebbe piegarsi per cedere più spazio all’altra. Ciascuna delle due dovrebbe influenzare ambiti differenti e non sovrapponibili della cultura umana. Ciascuna delle due dovrebbe rappresentare un arricchimento, per ogni singolo e per la società tutta.

Quanto detto finora, tuttavia, non contrasta col fatto che uno Stato possa difendere e promuovere le tradizioni culturali e religiose del proprio popolo. Per un semplice motivo: non può esistere al mondo un solo popolo senza religione. Tempo addietro, l’Unione Sovietica provò a costruire un sistema basato sull’assenza di qualsiasi riferimento religioso… Sappiamo com’è andata a finire. La laicità è ben altra cosa dall’ateismo. La religione è un fatto culturale e pertanto non può essere negata, nemmeno dallo Stato più autoritario. Se uno Stato può essere laico, di certo un popolo non può esserlo. È pertanto auspicabile che ogni Stato, pur rimanendo fedele al principio di laicità, tuteli la religione caratteristica del proprio popolo. Come si può pretendere che una cultura rispetti la religione e i simboli altrui, quando non riesce a rispettare nemmeno la religione e i simboli propri?

Uno Stato è laico nel momento in cui aggiunge qualcosa, non quando toglie qualcosa alla sua storia. Togliere i crocifissi dalle aule scolastiche rende uno Stato più debole, non più forte. Perché toglie un simbolo che rappresenta la storia di quel popolo. Un popolo non può essere culturalmente neutro, in ambito religioso come in vari altri ambiti. La scelta del neutro non è mai neutra, è sempre una delle tante scelte che genera conseguenze. Non c’è nulla di speciale nello scegliere di adottare la neutralità culturale. Neutri non si nasce, lo si diventa: non importa raggiungere il neutro, ma la via percorsa per raggiungerlo. E se quella via è diretta a togliere invece che aggiungere, il popolo è privato dei suoi riferimenti. Quel popolo non sarà più in grado di confrontarsi alla pari coi popoli di altre culture e, ben presto, finirà per soccombere sotto la sua procurata ignoranza culturale.

L’effetto generato dal percorso tra i riferimenti precedenti e la neutralità attuale non è l’affermazione della neutralità attuale, bensì la negazione dei riferimenti precedenti. Chi diventa neutro rischia di piegarsi a chi neutro non è o non vuole diventarlo. Prima o poi ogni vuoto, anche culturale, deve essere riempito. Il non neutro, infilandosi nel neutro, rischia di determinarne la distruzione. Esistono Stati che, lungi dall’essere laici, potrebbero approfittare della situazione per sottomettere Stati culturalmente indeboliti da una finta laicità. Gli Stati islamici, nei quali la laicità non è certo un tratto qualificante, potrebbero fare della sovrapposizione fra Stato e religione un punto di forza. Qualora ci riuscissero, con che coraggio potremmo poi affermare che il mondo vada ancora nella direzione del progresso?

E non basterà aprirsi alle novità portate da famiglie arcobaleno o immigrati di altre culture, per poter affermare il progresso. Forse nemmeno la “Famiglia di Nazareth” era così perfetta come ci è stata consegnata dalla tradizione… Forse Gesù era figlio di uno stupro, più che dello Spirito Santo… Forse avrà avuto pure dei fratelli… Forse lui e i suoi genitori non saranno stati così “senza macchia” come viene descritto… Ciò toglie forse la bellezza della fede e il modello, seppur ingigantito, che quella famiglia ha rappresentato nei secoli e tuttora continua a rappresentare? Perché oggi ci si dovrebbe quasi vergognare di sposarsi in chiesa? Il matrimonio, checché se ne dica, è un fatto che la sfera civile non può che mutuare dalla sfera religiosa. Allo stesso modo qualsiasi nucleo familiare, per quanto “diverso” dalla cosiddetta “famiglia tradizionale”, non può non fare riferimento alla “famiglia tradizionale” stessa.

Oggi va di moda sostenere battaglie per affermare principi come l’uguaglianza, il rispetto del diverso, l’apertura al prossimo. Ma che questi principi siano scritti nel Vangelo non si può dire, perché professarsi “cristiani” sembra più una vergogna che un vanto. Meglio definirsi “ricchi e atei”, così si è più credibili. Anche l’accoglienza è un principio prettamente evangelico, seppur trasposto anche da altre culture antiche. Oggi si pensa che debbano essere gli Stati a realizzare simili “opere di giustizia”… Magari con tanto di violazione di ordinamenti sovrani e lezioni di moralità ai “disumani”. A chi pretende di seguire il Vangelo, magari senza mai averlo letto, ricordiamo la mirabile lezione di laicità contenuta nel Vangelo stesso: a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio. Lo Stato non dovrebbe pretendere di seguire il Vangelo, quando non è capace nemmeno di seguire le leggi e la Costituzione.

Un popolo che adotta la neutralità è in pericolo, un popolo non può perdere da un giorno all’altro i propri riferimenti senza correre rischi, per giunta all’interno di una società complessa. Pensare di adottare la neutralità è come pensare di riacquistare la verginità perduta. Uno Stato con una identità culturale forte: questo è il vero progresso, secondo noi. Uno Stato che si mantenga separato dalla religione, ma capace di proteggere la sua cultura religiosa e le sue radici. Uno Stato che non prenda a modello quelle culture dove legge e religione vanno a braccetto. Uno Stato che sia fondato non sui principi scritti su un libro sacro, ma sui principi scritti sulla carta costituzionale. Uno Stato dove Cesare segua la Costituzione e dove il Vangelo sia lasciato alla libertà di chi vuol conoscere Dio. Questo è il progresso di cui andiamo orgogliosi.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Perdonare i propri nemici: la rivoluzione di Gesù

Ave Socii

Il Vangelo è una miniera di consigli sul come vivere bene e felici. In quanto a spunti di questo tipo, il cristianesimo non ha assolutamente nulla da invidiare al buddismo e a simili altri credo religiosi. Il Vangelo non è roba da vecchi e noiosi preti o dottrina piena di inutili insegnamenti. Oggi va di moda fare yoga o prendersi qualche psicofarmaco, per arrivare a sentirsi felici. Chi legge il Vangelo è invece uno che non sta bene e ha qualche rotella fuori posto, secondo molti… Eppure una riscoperta del Vangelo sarebbe più che opportuna, al giorno d’oggi. In quel libro piccolo piccolo si celano forse tutte le risposte ai principali dilemmi dell’uomo.

A ben vedere il Vangelo sconfina, va oltre i recinti prettamente religiosi. Il Vangelo è un incredibile compendio di consigli utili al buon vivere e alla serenità d’animo. Forse vi si possono riconoscere valori propri non solo della cultura cristiana, ma dell’umanità tutta. Per una vita serena, ciascuno di noi ha bisogno di sentirsi perdonato e, soprattutto, di perdonare. Perdonare, non farsi vedere rancorosi per un torto subito… Piuttosto dimenticare e andare avanti, magari continuando a incontrare l’altro come se nulla fosse accaduto. Il “nemico” non si aspetterebbe mai una cosa del genere. E’ questo che lo spiazza. Sotto sotto, a beneficio del proprio senso di onnipotenza, lui vorrebbe che il suo comportamento influenzasse l’altro invece di lasciarlo indifferente.

Perdonare i propri nemici… Il messaggio di Gesù è qualcosa di rivoluzionario. L’uomo è per sua natura incline a suddividere la società in amici e nemici, in buoni e cattivi. Con gli amici si continua a parlare, con i nemici no… Questo è il nostro comportamento naturale. Eppure forse c’è un modo per sentirsi ancora più realizzati: parlare anche con i nemici, come se non ci avessero mai fatto niente. Ciò probabilmente contrasta con il buon senso… La nostra più alta realizzazione non è forse far vedere ai nostri nemici quanto valiamo? Dopo averci colpito con i loro attacchi, i nostri nemici vorrebbero che noi rimanessimo a terra doloranti. Noi invece meditiamo vendetta, spesso rispondendo agli attacchi per farci vedere più forti di loro. Eppure così siamo vittime del loro gioco, volto a farci sentire “sotto scacco” e a rispondere per evitare figure da babbei.

Rispondere agli attacchi è umano ed è una strategia lecita. Ci sono casi, però, in cui non ci è possibile rispondere in maniera adeguata… Quando ci sentiamo meno forti del nostro avversario, ad esempio. Oppure quando lui stesso è troppo forte e ci costringe alla resa dopo un braccio di ferro più o meno lungo. In entrambi i casi, prevale un senso di frustrazione che può influenzare le nostre scelte successive. Quando l’attacco avversario è tanto forte da minare la nostra autostima, spesso subentra in noi una sorta di stato depressivo. Il non sentirci adeguati ad affrontare certe situazioni alimenta il nostro stato di insoddisfazione e depressione… Desidereremmo raggiungere determinati obiettivi, ma il ricordo di certi insuccessi brucia e non intendiamo ripeterne l’esperienza.

Ci sentiamo proprio come agnelli in mezzo ai lupi… E come potremmo mai sopravvivere, se la depressione e la paura dell’insuccesso ci attanagliassero in questo modo? Ebbene, quel minuscolo libro chiamato “Vangelo” ci offre una soluzione insperata: perdonare gli avversari. Nostro Signore, in un mondo che fa della lotta e delle guerre di sopraffazione una regola inderogabile, ci raccomanda di perdonare… Non importa rialzarsi, importa come ci si rialza… Ci si può rialzare attaccando, ma ci si può rialzare anche come se nulla fosse accaduto. Rispondere ad un attacco con un altro attacco, molto spesso, dà un’idea di forza o debolezza rispetto al proprio avversario. Perciò, se rispondiamo alla violenza con altra violenza, siamo condannati a rispondere in modo più forte per non passare per quelli “deboli”. E così via…

La strategia della forza, vediamo, porta spesso ad una degenerazione dell’esito della partita. Nessuno vuol passare per debole, perciò ognuno cercherà di condurre attacchi sempre più forti per sopraffare l’avversario. E se invece non volessimo fargli capire se siamo forti o deboli rispetto a lui? In altre parole, tenerci lontani dalle sfide che lancia e farlo rimanere col dubbio… Rispondere vorrebbe dire uscire allo scoperto, farsi capire, rendersi prevedibili… D’altro canto, perdonare è forse l’arma più potente che abbiamo quando il gioco si fa duro. L’arma del perdono, considerata la natura attaccabrighe dell’essere umano, riporta un’aura di imprevedibilità all’interno della partita.

Per sopravvivere, insomma, è bene non mostrarsi né troppo pecora né troppo lupo… Far vedere che la strategia del lupo non è sempre quella vincente… A volte adottare strategie “da pecora” può avere effetti benefici… Talvolta anche adottare strategie miste può essere la mossa giusta… Giocare quasi in maniera casuale, quando il gioco si fa duro e imprevedibile, per diventare noi stessi imprevedibili ed elusivi agli occhi degli altri… Questo si conclude leggendo il Vangelo… Perfino Trump segue il Vangelo, allora! Oppure Gesù è un precursore della teoria dei giochi! Accostamento ardito, quello fra Gesù e Trump… Chi siamo veramente solo Dio lo sa, Colui in grado di scrutare i segreti del nostro cuore e di conoscere ogni nostro singolo capello. Gli altri, invece, è bene che non abbiano tutta questa “chiarezza di vedute”: potrebbero quasi illudersi di essere Dio. E’ bene distoglierli da questo delirio di onnipotenza.

La miglior vendetta è il perdono. Ecco l’insegnamento più grande della nostra religione. Una religione che parla ai cuori dei singoli. Una religione che non dovrebbe confondersi con le dinamiche degli Stati, dalle quali inevitabilmente escono fuori vincitori e vinti. Una religione che dovrebbe lasciare a Cesare quel che è di Cesare e che, invece, alcuni vorrebbero strumentalizzare proprio per screditare Cesare. Anche lo Stato è fatto da esseri umani… E’ fisiologico che le dinamiche degli individui si confondano con quelle dello Stato. Eppure ricordiamoci di questo: il nostro credo non si chiama Islam. Facciamo in modo che la fisiologica influenza tra Stato e singolo non divenga patologica. Lo Stato è lo Stato, il singolo è il singolo. Cesare è Cesare, Dio è Dio.

Il perdono non può che essere una strategia personale, inapplicabile alle moltitudini di uomini e alla legge. La legge si limiti ad essere dura e implacabile, il perdono è ben altra cosa! Nessuno Stato può pretendere di essere buono, quando talvolta non riesce nemmeno ad essere giusto. Il perdono è affare dei singoli e non è affar da poco. Il perdono è una sfida per il singolo. Una sfida da vincere nei confronti di quelli che forse non vorremmo mai perdonare. Chi strumentalizza il “sentirsi vittima e giudicato dagli altri”, ad esempio… Fanno sorridere quelli che pretendono che tu non li giudichi, quando magari si fanno una canna o si comportano in maniera oggettivamente deviante, e che poi sono i primi a giudicarti quando gli fa comodo. Perdono per loro! Forse lo fanno per non sentire il peso della depressione e del “sentirsi inferiori rispetto agli altri”.

Presunti fondi stranieri a qualche partito italiano? Non sarebbe certo la prima volta… Ma la notizia era già nell’aria da tempo… Perché esce fuori solo ora e solo ora si grida allo “scandalo”? Forse per mettere in cattiva luce un partito al governo? O forse per gettare ombre su un Paese intero, così da renderlo marginale in Europa al momento della decisione delle nomine di peso? Se qualcuno getta fango sull’Italia, non è solo un partito che deve perdonare ma una Nazione intera. Quando un Paese risulta scomodo si cerca di destabilizzarlo… E’ successo qualche anno fa con la storia dello spread a 500, succede ora con la storia dei fondi stranieri e della corruzione internazionale… Riusciremo mai a perdonare questi nemici dell’Italia?

Strappare dei bambini a famiglie “normali e sane”, magari per affidarli a famiglie “arcobaleno” e forse nemmeno tanto sane… Questa mania dei diritti civili sta distruggendo quanto di meglio possiamo avere dalla vita: una famiglia. Certamente si può incappare in famiglie problematiche: allora sarà opportuno affidare i bambini ad altre famiglie meno problematiche… Pure a famiglie “arcobaleno”, se è proprio necessario… Ma indurre dei piccoli a simulare maltrattamenti che non ci sono mai stati, per screditare la famiglia d’origine a beneficio di altre famiglie (magari di coppie omosessuali) è un fatto che rasenta la patologia mentale. Se questo significa promuovere i diritti civili… Per quelli che li promuovono possiamo implorare solo perdono, sempre che qualcuno sia capace di perdonare una cosa del genere.

Fanno sorridere quelli che vorrebbero sottoporre noi cristiani a certi vomitevoli ricatti morali. Quando si parla di famiglia e diritti civili ci danno dei “retrogradi” e degli “sfigati”… Quando invece si parla di immigrazione vengono a cercarci perché bisognosi di consensi… Siete cristiani, perciò dovete accogliere… Il Vangelo non parla alle Nazioni, ma ai cuori di ogni singolo individuo. Per fortuna non siamo in uno Stato islamico, dove invece la religione va a braccetto con la legge. L’accoglienza è un principio cristiano, non una norma di legge. Qui ognuno è libero di porgere o meno l’altra guancia. E di porgerla come quando e a chi vuole lui. Nessuno può permettersi di strumentalizzare il cristianesimo, sperando di metterci in difficoltà. Se comunque qualcuno dovesse permettersi, perdono per costui!

E poi ci sono i nemici peggiori, i traditori: chi un tempo diceva di essere nostro amico e poi ci ha abbandonato per seguire chissà chi, o chissà cosa. Signore, tu che più di ogni altro conosci il tradimento, aiutaci a perdonare sinceramente anche i nostri peggiori nemici!

Vostro affezionatissimo PennaNera

Pregiudizio. Alcuni miti da sfatare

Ave Socii

Quante volte avete sentito dire che “per conoscere il diverso non bisogna avere pregiudizi”? Della serie: se hai pregiudizi sarai sempre un ignorante e non conoscerai mai davvero… Perciò apriamo le frontiere, abbattiamo i muri e superiamo i limiti! In realtà, la questione è un po’ più complessa di come viene semplicisticamente insegnata. Siamo esseri umani, pertanto sempre inclini all’errore. Per di più siamo quasi sempre influenzati dalle nostre esperienze passate, nelle scelte attuali e future. Cancellare i pregiudizi non è affar da poco, dunque. Ognuno di noi, chi più chi meno, corre il rischio di essere influenzato da qualche pregiudizio. La differenza, pertanto, non è tra chi ha pregiudizi e chi non li ha. La differenza, semmai, è tra chi ammette di averli e chi vuol far credere di non averli. Chi dice di non avere pregiudizi è un ipocrita. Speriamo perlomeno che non lo sia in mala fede.

Forse parlare di “pregiudizio” non è che l’arma migliore per scatenare sensi di colpa e di inadeguatezza in persone che hanno pensieri scomodi e “politicamente scorretti”, in modo da farle tacere. Un’arma utilizzata per affermare determinate idee e deprecare le idee di chi la pensa diversamente. Il senso di colpa che chi condanna il pregiudizio vorrebbe scatenare, nella nostra società occidentale, scaturisce il più delle volte dalla apparente discordanza fra norma giuridica e morale cristiana. Ma esse hanno campi di applicazione diversi, non dovrebbero essere confuse. Alcuni invece vorrebbero trasformare questo dualismo in un punto debole per la società occidentale. Avranno certamente i loro (loschi) interessi per fare una cosa del genere… Magari favorire determinate culture tradizionalmente ostili a quella occidentale… Culture che magari confondono il culto con la legge e ne fanno, al contrario di noi, un punto di forza… Intenda chi ha orecchie…

Il pregiudizio agisce sempre a doppio senso: c’è chi pre-giudica, ma c’è anche chi si sente pre-giudicato e vorrebbe far sentire agli altri il peso di questo pregiudizio. Per farli sentire in colpa facendosi vedere “vittime”, metterli in difficoltà e cercare di ottenere quanto desiderato. Magari trattamenti “più umani”, invocando un fantomatico “stato di necessità”, pure a costo di violare la legge. Prendete il caso dei rom… Costoro dovrebbero spostarsi periodicamente, in quanto “nomadi”… Tuttavia se hanno la possibilità di avere un alloggio stabile e confortevole, non fanno certo troppi complimenti… Magari occupano abusivamente le case altrui, oppure si allacciano abusivamente ai servizi, o entrambe le cose… Si circondano di donne incinte, così nessuno può cacciarli… Rubano e magari pretendono pure di essere compresi, perché “povere vittime” in “stato di necessità”! Contrastare le leggi con la “presunta umanità”: così fanno le “vittime”, appoggiate spesso da qualche “paladino dei diritti umani”.

Pregiudizio nell’immigrazione. Per fronteggiare il continuo calo di popolarità, ogni tanto i fascio-buonisti ricorrono ad immagini forti e tentano di “scuotere le coscienze”… Adesso tutti si turbano, per quella foto che ritrae padre e figlia morti annegati durante l’attraversamento del fiume… Chissà in quanti saranno morti in quel modo e per quanto tempo, purtroppo, senza che a nessuno sia mai passata per la mente l’idea di parlarne… Perché se ne parla solo in certi momenti? Perché certe immagini vengono esibite solo quando i fascio-buonisti sembrano trovarsi in difficoltà? Ah, questi ipocriti “paladini dell’umanità” a intermittenza! Si attaccano a tutto, pur di screditare l’avversario politico… Anche se i flussi totali sono crollati, dicono che la linea dura non paga perché tanto i migranti arrivano coi “barchini”… Tutti a dire che il problema è l’Italia che non accoglie, invece di dire che il problema vero sta in Africa…

Dovrebbero solo vergognarsi, certi politici millantatori di presunta umanità! Prima consentono che arrivino immigrati a frotte… Poi fanno gli scandalizzati e gridano al pregiudizio e al razzismo, perché il “decreto sicurezza” lascia per strada migliaia di “disperati”. Forse la responsabilità è pure di chi a suo tempo ha ingiustificatamente aperto le porte a tutti questi “disperati”, o no? Le tensioni in Libia ormai fungono quasi da pretesto… Improvvisamente l’Italia sembra essere diventata l’unico porto sicuro del mondo, anche con quel “selvaggio razzista disumano troglodita” di Salvini al Ministero dell’Interno. Trasformare l’Africa in una polveriera forse fa comodo a qualcuno, almeno i migranti saranno sempre giustificati a non mettervi più piede e andare altrove. Sennò non si spiegherebbero il silenzio e l’immobilismo dell’Onu… Con tutti gli “ambasciatori dei diritti umani” che annovera tra le sue fila, qualcuno potrebbe pure preoccuparsi di cosa succede in Libia! O no?

L’ultimo ricorso presentato “dai migranti” della nave olandese è stato respinto dalla Corte Europea… Vuol forse dire che anche i giudici hanno dei pregiudizi verso gli immigrati? L’assistenza va garantita, ma perché la nave deve per forza puntare in Italia, quando batte bandiera olandese e l’equipaggio è tedesco? L’Italia che c’entra? La nave forza più volte il blocco perché “i migranti sono allo stremo”… E c’è pure chi applaude, invece di invocarne l’affondamento. Siamo noi quelli disumani? Chi invece viola deliberatamente le leggi per ottenere un po’ di visibilità, mettendo a rischio la vita di decine di persone, è forse meno disumano? E se la prossima volta schierassimo i cannoni? Non lasciamoci intenerire da chi fa finta di stare dalla parte dei più deboli. L’immigrazione non è un diritto. L’accoglienza si fa in ben altro modo. Non confondiamo i principi evangelici con le prese per il c…

Finché in Italia c’erano altri governi andava tutto bene. Nessuno in Europa si preoccupava della questione migranti, tanto c’era l’Italia che pigliava su tutti… Finché accoglievamo porci e cani potevamo pure sperare in un minimo di flessibilità… Ora invece rischiamo perfino la procedura di infrazione per debito eccessivo. L’ipocrisia dell’Europa è stata svelata, è dunque evidente che questo governo vada di traverso a qualcuno. E non solo in Europa… Nel mondo c’è chi pensa che l’immigrazione sia un diritto… Quando forse non è altro che la risposta (spesso patologica) alle carenze di Paesi che non riescono a dare un futuro ai propri abitanti. Mettiamocelo in testa: il problema dell’immigrazione non sta da noi, sta da loro! Ed è “a casa loro” che va risolto, creando condizioni tali affinché queste persone non siano costrette ad emigrare e ad essere trattate come “disperati”.

Pregiudizio di chi si droga verso l’autorità e il resto della società. Chi si droga lo fa in aperto contrasto con l’autorità e con una società percepita come contraddittoria nei messaggi che manda. La società prima mi dice che sono libero, poi però mi giudica se mi comporto in certi modi… L’autorità non mi ama, è buona solo a bacchettarmi e a mettermi in difficoltà… Perciò l’autorità deve sentirsi in colpa e io, pure a costo di rischiare la vita, voglio farla sentire in colpa… Così ragiona chi si droga o, in generale, assume comportamenti rischiosi. L’autorità trova difficile sanzionare tali comportamenti, se di mezzo c’è una relazione che potrebbe naufragare. Perché una relazione che naufraga genera sensi di colpa. E l’autorità si trova in difficoltà, poiché sente tutto il peso del senso di colpa. Peso mitigato dalla sostanza, invece, per chi si droga o assume comportamenti simili.

Tutto il precedente ragionamento è sostenuto, guarda un po’, da un pregiudizio di fondo: il drogato crede che all’origine della sofferenza sia sempre l’autorità, mai la relazione. E se una relazione va male, la colpa è sempre dell’autorità e mai della “vittima”. E’ l’autorità, con le sue regole, che mette a repentaglio la relazione, non la vittima con i suoi comportamenti rischiosi. Perciò è l’autorità che deve piegarsi, eliminando le regole e liberalizzando questi comportamenti. Ma proviamo a cambiare prospettiva: dal lato dell’autorità, se essa è stata coerente nelle sue scelte e nell’applicazione delle regole, non c’è nulla che le possa essere rimproverato. Se l’autorità, nella relazione, ha dato tutto l’amore di cui era capace, ogni suo senso di colpa è ingiustificato. La sofferenza, in tal caso, non può che provenire dal capriccio di una relazione malata. Questa autorità, pertanto, non trova alcuna difficoltà a troncare una relazione del genere.

Ma quale autorità riesce a mostrarsi davvero credibile e coerente, alla luce di una società contraddittoria come la nostra? Quale genitore oggi avrebbe il coraggio di dire a un figlio drogato “io ho fatto tutto il possibile per te, se il tuo desiderio è morire va’ e ammazzati!”, senza sentirsi più o meno in colpa per questo? Molti in questa società dicono che è bene provare qualsiasi esperienza, ma che in caso di difficoltà bisogna intervenire in ogni modo per evitare il peggio… Messaggio che va a nozze con l’atteggiamento del drogato, il quale per definizione prova esperienze al limite così da scatenare sensi di colpa in chi non si mostra capace di aiutarlo fino in fondo. E molte volte l’autorità, per inseguire i capricci del drogato, tollera certi comportamenti financo a liberalizzarli.

La società deve tornare ad essere coerente, se vuol sperare di generare delle autorità credibili. Solo allora si potrà invertire la rotta, in tema di liberalizzazione e simili, relegando ai margini i comportamenti “da drogato”. Tutto il contrario di ciò che accade ora, poiché oggi al margine forse stanno proprio quelli che non si sono mai fatti una canna. Da diversi studi sta emergendo pure che il consumo di cannabis aumenta spaventosamente, proprio qui in Europa ad esempio… E che questo può comportare un aumento del rischio di dipendenza… Bella scoperta, meglio tardi che mai! Allora speriamo che vengano presi conseguenti provvedimenti nelle opportune sedi. Perché drogarsi non è un diritto.

Altri pregiudizi. Bello vedere che nel calcio c’è posto anche per le donne. E’ certamente un segnale di integrazione e di abbattimento di pregiudizi. Alcuni vorrebbero che uomini e donne fossero equamente retribuiti in ogni lavoro… Un sogno, ma davvero un giorno si realizzerà? Certamente lo speriamo tutti. Però ricordiamoci di questo: se le donne sono pagate meno degli uomini, non è perché la società ha dei pregiudizi verso di loro. Ma per una questione ben più pratica: ad un’azienda, a parità di altre condizioni, le donne costano più degli uomini. E questo per motivi tutt’altro che sociali. Che le donne siano predisposte ad attraversare una gravidanza non lo decide la società, ma la natura. Una donna che va in maternità rappresenta un costo per l’azienda. Non sempre una donna gravida è in grado di lavorare e “produrre” tanto quanto una donna non gravida. E’ la natura, non è pregiudizio…

Anche per questo siamo dell’idea che ognuno di noi, che sia uomo o donna, debba essere libero di svolgere lavori domestici, pure in via esclusiva rispetto ad altri lavori. E che il lavoro casalingo debba essere retribuito come un qualsiasi altro mestiere. Sarebbe un toccasana per tutti i nuclei familiari, soprattutto per i figli. Ma ad alcuni questo ricorda troppo la famiglia “tradizionale”, ovvero il “Medioevo”… Così si costringono le donne a stare a casa… Ecco, anche questo è un pregiudizio secondo noi. Chi ha detto che debba essere per forza la donna a stare a casa e badare ai figli e alle faccende domestiche? Anche un padre può farlo, se la madre lavora al di fuori dell’ambito domestico. Nessuno lo vieta.

Madre, padre e figli: questo secondo noi è il modello di famiglia che dovrebbe prevalere, rispetto a famiglie affidatarie e altri tipi di famiglia. Nella nostra cultura, ogni altro tipo di famiglia non può che prendere a modello la famiglia nucleare suddetta. Siamo noi che abbiamo un pregiudizio verso i “genitori” omosessuali e le famiglie “arcobaleno”, o piuttosto altri che hanno pregiudizi verso la famiglia “tradizionale”? Per poterli affidare, i figli bisogna prima farli. E’ la natura, non è pregiudizio…

Condannare il pregiudizio verso i diritti civili, le minoranze, il “diverso”… spesso non è che una trovata dei fascio-buonisti per disgregare la società democratica e indebolirne l’identità culturale. Come se tutto quel che è stato conquistato in passato sia da dare per scontato, oppure da accantonare per far posto al “nuovo”. Intanto l’identità culturale occidentale traballa pericolosamente: scossa dall’avanzata dei “diritti civili”, all’interno, e dall’avanzata di culture ostili e intolleranti, all’esterno. Accogliere tutti per creare un’accozzaglia sociale indistinta, senza radici certe e dunque più influenzabile e controllabile da certi centri di potere… Forse è questo l’obiettivo che alcuni intendono raggiungere, ben consapevoli che il pregiudizio non smetterà mai di esistere e di influenzarci.

Vostro affezionatissimo PennaNera

I figli sono sempre di chi li accudisce

Ave Socii

Per fare in modo che si realizzi quella che alcuni denominano “libertà”, assistiamo a un continuo tentativo di separazione fra sfera naturale e sfera culturale. Invece di armonizzarle, alcuni vorrebbero cercare di farle venire in contrasto. In nome dell’abbattimento di quelli che loro chiamano “pregiudizi”. Come nel caso della genitorialità e dell’affidamento dei figli. Siamo tutti d’accordo sul fatto che i bambini siano sempre figli di chi li accudisce. Ma a volte e bene ricordarsi anche di chi li fa. L’accudimento dei figli è, in prima battuta, un dovere che spetta alla famiglia biologica che li ha procreati. La legge, in verità, dovrebbe perfino premiare chi si dedica in via esclusiva all’accudimento dei figli, rinunciando ad altri lavori.

Osserviamo il rapporto esistente tra procreazione e accudimento in una qualsiasi famiglia. Nella realtà di tutti i giorni, normalmente genitore biologico e genitore legittimo coincidono. E così dovrebbe presumere anche la legge. Però a volte il genitore legittimo può trovarsi fuori dalla cerchia dei genitori biologici. La legge, quindi, dovrebbe prevedere questa eventualità come eccezione alla regola generale (la corrispondenza fra genitorialità biologica e legittima). Per noi è così che dovrebbe esprimersi il concetto di “famiglia naturale” scritto in Costituzione. In generale, si presume valido l’ordine predisposto dalla natura: accudisce chi procrea. In via eccezionale, se ciò non è possibile, si guarda all’intorno sociale in modo da ricostituire un ordine il più possibile vicino a quello naturale.

In caso di affidamento, i nuclei con all’interno almeno un componente dell’originaria famiglia biologica dovrebbero essere preferiti agli altri. In mancanza, si dovrebbe passare ai nuclei con all’interno almeno un parente o affine di un genitore biologico (entro, ovviamente, un certo grado di parentela). In mancanza anche di questa possibilità, ci si può rivolgere agli altri nuclei familiari. Dato che una famiglia biologica è sempre composta da due genitori, dal punto di vista della “dimensione familiare” la priorità andrebbe data ai nuclei composti da due persone. Solo in via residuale si potrebbe optare per le famiglie “unipersonali”. Il tutto dovrebbe avvenire in ossequio al principio di conservazione della corrispondenza fra genitorialità biologica e legittima.

Tale ricerca di continuità fra natura e diritto risponde in realtà ad un principio ancor più alto, quello dell’interesse superiore del bambino. Principio che, come è facile intuire, va tutelato prioritariamente e non può essere scavalcato dall’interesse di un nucleo familiare qualsiasi. In base all’interesse del bambino, è dunque opportuno e auspicabile che si attui una vera e propria discriminazione tra le famiglie, prediligendo quelle biologicamente più vicine al neonato. Questa ci sembra la migliore sintesi, operabile dalla legge, in grado di tenere adeguatamente in conto sia gli aspetti naturali che quelli socio-educativi del rapporto fra genitori e figli.

Nessuno vieta che possano subentrare anche nuclei familiari costituiti da persone omosessuali. Specie se uno dei componenti di tali nuclei è genitore biologico del bambino. Tuttavia un tale nucleo dovrebbe essere posposto nel diritto all’affidamento, nel caso in cui l’altro genitore biologico faccia parte di un nucleo familiare eterosessuale. In tal caso, sarebbe quest’ultimo nucleo ad essere preferito nell’affidamento. Perché non si può non tener conto del modello della “famiglia naturale”, che molti vorrebbero circondare di interpretazioni che, a nostro parere, rasentano quasi lo stravolgimento. Che piaccia o no, le famiglie non sono tutte uguali, in particolare se viste dal punto di vista dei figli.

La natura prevede che ognuno di noi nasca dall’incontro fra un maschio e una femmina della specie umana. E’ probabile che anche il nascituro abbia sviluppato un metodo innato di riconoscimento dei due diversi genitori. Chissà cosa succede a quei figli affidati a genitori dello stesso sesso. Crescono senza problemi, oppure sviluppano complessi psicologici dovuti alla incoerenza fra natura e cultura? Al momento nessuno può dirlo, magari ancora non esistono studi in merito. Forse però l’uomo non nasce come tabula rasa, come vorrebbero alcuni. Forse l’uomo ha in sé anche un’innata tendenza ad affidarsi a una famiglia “naturale”. Se questo significa avere pregiudizi, allora tutti noi nasciamo con carne ossa e pregiudizi. E allora pure nella Costituzione c’è spazio per i pregiudizi.

Ognuno, chi più chi meno, può limare quanto vuole tutti i pregiudizi che vuole. Che riesca a liberarsene completamente, come vorrebbero i fascio-buonisti, è cosa ben più difficile se non impossibile. Forse costoro intendono, ben più realisticamente, far sentire in colpa quelli che hanno i pregiudizi che a loro danno fastidio. Perché anche i fascio-buonisti, sotto sotto, qualche pregiudizio verso chi la pensa diversamente ce l’hanno. Tuttavia una cosa è certa: chi sostiene l’approvazione di leggi che equiparino tutte le unioni alla “famiglia naturale”, o che riconoscano un “genitore 1” e un “genitore 2” al posto del “padre” e della “madre”, potrà forse ottenere il beneplacito di mille e uno Parlamenti… ma non otterrà mai il beneplacito della natura.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Gender: libertà di scelta o dittatura del relativismo?

Ave Socii

L’uomo è una tabula rasa, sulla quale si può scrivere di tutto. Non ci sono limiti, ognuno è libero di autocompilarsi come meglio ritiene. Anche decidendo di cambiare i connotati che la natura gli ha donato. Questa sembra essere la premessa da cui partono i teorici del “gender”. Sesso e genere sono due caratteri distinti: il primo è frutto della natura, il secondo della psiche e della propria immagine in rapporto al mondo. Ma talvolta questa immagine può stridere con il corpo che la natura ci ha fornito. E allora, in nome della libertà e dell’integrità psicofisica del soggetto, il nostro corpo può cambiare.

Il corpo non è dato per sempre, se non mi sta bene io posso cambiarlo quando e come voglio. La natura non è padrona, io sono padrone di me. Io sono un essere libero, indipendente da una natura che sovente è matrigna con me. Io posso essere diverso da come gli altri mi vedono. Questo vorrebbero insinuare i teorici gender ad ognuno di noi. Ma in cosa consiste la “libertà” da loro professata? L’emancipazione dall’oppressione del corpo? La vittoria della mia immagine su quello che gli altri pensano di me? O piuttosto, una trovata come tante per attirare l’attenzione?

Da parte nostra, crediamo che il gender sia uno dei tanti frutti prodotti dal relativismo in cui ci troviamo immersi. E i frutti del relativismo, molto spesso, sono avvelenati. Visto che tutto è relativo, allora anche il mio corpo lo è. E se questo corpo non mi va bene, se gli altri mi giudicano, io lo cambio. Il “fenomeno gender”, dunque, sembra più una risposta al pregiudizio sociale che una vera e genuina manifestazione di libertà. Eppure molti sostenitori cavalcano una tale dottrina.

L’idea che ci siamo fatti è che questo sia l’ennesimo lavaggio del cervello proposto alle persone più deboli ed influenzabili. A quelle persone che, piuttosto che accettarsi per come sono, si piegano ai pregiudizi altrui. A quelle persone che si vedono sbagliate e proiettano le loro insicurezze sul mondo, sulla natura, sul proprio corpo. La mia bassa autostima dipende dal corpo nel quale sono imprigionato… Incentivando il ricorso alle “fisse mentali”, i gender contribuiscono a costruire una società di complessati.

Siamo forse dei complottisti? Può darsi, ma nessuno ci distoglierà dalla convinzione che tutto ciò sia architettato per una ben precisa finalità: mettere in discussione la nostra identità. In quanto persone, in quanto società, in quanto popolo dotato di cultura e tradizioni… Spesso le teorie gender vanno a braccetto con il concetto di “famiglie arcobaleno”. Tanto il relativismo non è mai troppo… Se ognuno è libero di modificare il proprio corpo, perché non affermare pure che ognuno è libero di andare con chi gli pare e piace? La libertà non ha prezzo… la maternità surrogata però sì!

Fare in modo che al mondo ci siano più coppie “di fatto”, non necessariamente in formato “coppia tradizionale uomo-donna”, le autorizza a pretendere dei diritti. Avere un figlio, secondo certi fascio-buonisti, sarebbe una di queste pretese da soddisfare. Anche per le coppie dello stesso sesso. In barba all'”interesse superiore del bambino” e alla “famiglia naturale” costituzionalmente tutelata. Finché si parla di immagine di sé e vita privata, ognuno può pensarla come gli pare e comportarsi di conseguenza. Ma quando c’è di mezzo anche la vita familiare o la vita di un bambino, si dovrebbero evitare determinati comportamenti irrispettosi pure della Costituzione.

Avere un figlio non è come comprare la pasta al supermercato. Eppure alcuni vorrebbero trasformare la genitorialità in un diritto per il “consumatore”, alienandolo dal concetto originario di “diritto del nascituro”. E’ il bambino ad avere diritto a una famiglia, non la famiglia ad avere diritto al possesso di un bambino. E che famiglie poi! Con tutto il rispetto… chiamereste “famiglia” una coppia di omosessuali? Una delle qualità che dovrebbe caratterizzare una famiglia è la “generatività”, ovvero la capacità di generare… Spiegateci cosa sono in grado di generare “famiglie” di omosessuali!

Quanto può essere “naturale” avere un figlio cresciuto nel grembo di un’altra donna? Oppure un bimbo “in provetta”? Va bene aiutare chi è sterile, ma che c’entrano gli omosessuali? La genitorialità surrogata, a questo punto, è forse più etica dello sfruttamento della prostituzione? Chi espande il concetto costituzionale di “famiglia naturale” ad unioni diverse da “uomo-donna”, implicitamente, sta legittimando il ricorso alla genitorialità surrogata. In altri termini, una moderna ed occulta forma di schiavitù. Dimentichi dell'”interesse superiore del bambino” e concentrati a soddisfare l’interesse di qualche adulto, trasformeremo l’essere genitore in mera azione di godimento di un bene.

Va bene che l’economia e i mercati debbono funzionare, ma trasformare la genitorialità in un mercimonio ci sembra un po’ troppo. E la teoria gender non farà che incentivare comportamenti di questo tipo, invitando sempre più persone ad incrementare le fila degli omosessuali o dei transessuali o di chi più ne ha… Presto forse l’annientamento dell’individuo sarà materia di studio anche nelle scuole, come per ogni dittatura che si rispetti… E poi, per un continente in piena crisi demografica come il nostro, la dottrina gender può integrarsi perfettamente con le politiche di accoglienza dei migranti. Magari saranno loro i futuri genitori surrogati… E noi ci troveremo tra le braccia sempre più figli di origine africana e sempre meno figli di origine europea… Se le inventano tutte, i fascio-buonisti, per cercare di indebolire la nostra identità e manipolarci meglio.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Legalizzazione della cannabis… Chi ci guadagna davvero?

Ave Socii

Negli ultimi tempi sentiamo spesso parlare di “legalizzazione della cannabis” come se fosse la cosa più normale del mondo. Come se la libertà di sballarsi rischiando di mettere a repentaglio l’ordine pubblico sia una specie di diritto acquisito. Come se il nostro Paese fosse indietro anni luce rispetto agli altri “Paesi civili”.

D’altro canto, magari proprio gli stessi che tanto sostengono provvedimenti del genere non osano spendere una sola parola su una realtà dura e scomoda come quella della tossicodipendenza. Realtà che evidentemente non beneficerebbe degli effetti della legalizzazione. Chiunque volesse uscire dalla dipendenza da sostanze, al contrario, incontrerebbe forse più ostacoli in un mondo dove è consentito il libero utilizzo delle sostanze.

Alcune forze politiche dovrebbero trattare con minore superficialità il problema della diffusione delle sostanze e della tossicodipendenza. A maggior ragione dovrebbero farlo quelle forze politiche che dichiarano, ad esempio, di voler contrastare la diffusione del gioco d’azzardo e della ludopatia.


Droga e tossicodipendenza

Quando si parla di “tossicodipendente” si pensa subito a qualcuno da sostenere e curare… Ebbene, se la tossicodipendenza è davvero una malattia (così la definisce anche l’OMS) allora per quale motivo si dovrebbe consentire la diffusione dei potenziali “vettori” di questa malattia? Secondo logica, una malattia dovrebbe essere curata e, per quanto possibile, prevenuta. A meno che per l’OMS non esistano malattie di serie A e malattie di serie B.

Certo, allo stato attuale è difficile stabilire se esista correlazione fra il consumo di droghe cosiddette “leggere” e il possibile passaggio al consumo di droghe cosiddette “pesanti” e alla dipendenza: mentre alcune ricerche “dimostrano” che tale correlazione non ha ragione d’essere, altre affermano esattamente il contrario. Ma al di là di ciò siamo convinti che, così come esiste una “cultura della vaccinazione” al fine di prevenire la diffusione di malattie potenzialmente pericolose, in primo luogo per tutelare i soggetti più deboli ed esposti a tali malattie, allo stesso modo si dovrebbe promuovere una cultura della prevenzione anche in tema di sostanze psicotrope, evitando di rendere facilmente reperibili gli stupefacenti in primo luogo per tutelare i tossicodipendenti, in quanto soggetti deboli e maggiormente esposti al consumo e al rischio di ricaduta.


Educazione, nuovi modelli e musica trap

Oggi assistiamo sempre più al paradosso che molte persone, soprattutto giovani e giovanissimi, provano vergogna a chiedere aiuto ad uno specialista ma non si vergognano a rivolgersi ad uno spacciatore. Certi atteggiamenti sintomo di disagio, a nostro avviso, verrebbero senz’altro accentuati se si procedesse alla legalizzazione.

Ma la cannabis è una sostanza naturale… Ma la cannabis è usata nella cura di molte malattie… Ma la cannabis non dà dipendenza fisica… Ma è solo una cannetta… Quante giustificazioni si sentono in merito a “una cannetta”! Potrebbero dire chiaramente che gli piace, invece di tergiversare e inventarsi giustificazioni su giustificazioni, no? E invece… Molti continuano a farsi “una cannetta” e a giustificarsi sempre allo stesso modo. La cannabis è una panacea per i malati di Parkinson, giustissimo… Ma guardate quanti giovani attorno a voi si fanno le canne! Sono forse tutti malati di Parkinson?

Proprio tra i giovani c’è più fame di legalizzazione, perché sono loro a sopportare maggiormente il peso del disagio. Dipende certo dall’età ma pure, oggi come non mai, da una sempre più dilagante instabilità dei nuclei familiari: genitori poco o per nulla presenti, entrambi al lavoro per poter “arrivare a fine mese”, divorzi, famiglie allargate o “di fatto”… Negli anni l’instabilità familiare è stata incentivata in ogni maniera, anche attraverso provvedimenti politici ben precisi. Poi non meravigliamoci se molti ragazzi sono frustrati e si comportano da “bulli”, umiliano gli insegnanti, si coprono di tatuaggi, si fanno le canne a 13 anni o impazziscono per la musica trap!

Da sempre vari artisti hanno scritto opere inneggianti allo sballo, alla vita sregolata, alla marginalità. Rispetto e onore a chi ha avuto un passato difficile e riesce a riscattarsi con la musica! Guai, invece, se qualche artista utilizzasse la musica come mezzo per incitare comportamenti illeciti… E magari per incrementare gli affari di alcuni suoi amici spacciatori! La marginalità è tollerabile, per l’appunto, finché rimane marginale. Non quando diviene addirittura un “modello di vita”.

Oggi scopriamo che un intero filone musicale di questo tipo sta spopolando fra i giovani: la musica trap. Pezzi che inneggiano alla marginalità, ma il cui successo è tutt’altro che marginale… Pezzi cantati da “poeti maledetti”, che a volte addirittura picchiano dei ragazzini e poi magari fanno pure la morale sui “poliziotti frustrati”… Forse questi soggetti possono insegnarci come tagliare la coca, sempre che ciò sia di qualche utilità nella vita. Ma darci lezioni su chi è frustrato o meno… Quello proprio no!

Questa voglia di “evadere”, da parte dei giovani, spesso non è che un modo per sfogare la frustrazione di avere alle spalle famiglie disagiate o disattente ai loro bisogni di stima e appartenenza. A nostro parere bisognerebbe perciò restituire dignità alla famiglia in quanto fonte primaria di educazione, rendere più difficile l’ottenimento del divorzio, trattare la figura della casalinga (o del casalingo) come una qualsiasi altra figura professionale…

Promuovere la stabilità familiare, crediamo, inciderebbe in maniera positiva sui giovani: ragazzi meno frustrati eviterebbero di ricorrere ad uno spacciatore (il quale, legale o illegale che sia, è desideroso solo di far cassa sui loro bisogni) e si affiderebbero di più ai propri genitori o, al massimo, ad uno specialista (il quale sì guadagna grazie ai bisogni altrui, ma almeno ha le competenze giuste per farlo).


Legalizzare sì, legalizzare no

Tutte le sostanze psicoattive, proprio in quanto “psicoattive”, generano potenziali problemi di ordine pubblico se lasciate libere di circolare: succede con l’alcol, che in fin dei conti non è una sostanza finalizzata allo sballo, dunque può benissimo succedere anche con sostanze stupefacenti il cui utilizzo è invece finalizzato quasi esclusivamente proprio allo sballo. Pensiamo che la risposta più giusta in questi casi sia la diffusione controllata di tali sostanze a scopo esclusivamente terapeutico, non certo la loro libera circolazione. Le disposizioni sulla prescrizione di preparati magistrali a scopo terapeutico esistono già, forse andrebbero perfezionate. Siano le farmacie a vendere determinati prodotti dietro prescrizione medica! Non i cannabis shop!

Vorremmo sapere come i cannabis shop riescano a reggere la concorrenza, in un mercato che accoglie sempre più policonsumatori. A chi si rivolgerebbe un “policonsumatore medio”, secondo voi? A un negozio che vende solo cannabis? E se avesse bisogno, ad esempio, pure di ecstasy e coca? Per quelle c’è sempre lo spacciatore, direte voi. Mettiamo che lo spacciatore gli offra anche la cannabis, magari a un prezzo inferiore a quello dei cannabis shop. Se foste voi i policonsumatori, da chi andreste a rifornirvi? Cosa dovremmo fare per rendere più competitivi i “negozi di droga legale”, allora? Legalizzare anche qualche sostanza “pesante”? Una volta passato il messaggio che la droga si può legalizzare, vedrete che la cannabis sarà solo l’inizio.

Francamente, non vediamo alcun vero vantaggio nel liberalizzare le sostanze stupefacenti. Pure la tanto decantata “sottrazione di potere alla criminalità organizzata”, accompagnata al “sicuro guadagno per le casse dello Stato”, potrebbe in fin dei conti rivelarsi un falso mito. Le mafie possono benissimo fare affari con la “cannabis legale”, esattamente come hanno fatto con le energie rinnovabili. Qualcuno afferma che voler combattere gli spacciatori è scontato come volere la pace nel mondo… E che il vero problema sono le piazze di spaccio gestite dalla camorra… Beh, anche voler combattere la camorra è scontato come volere la pace nel mondo, no? Il nodo sta nelle strategie che si vogliono adottare. E allora, è davvero strategico legalizzare le droghe “leggere”?


Gli effetti della legalizzazione

Alcuni studiosi si sono presi la briga di analizzare costi e benefici di un’eventuale legalizzazione della cannabis. A quanto pare, dalla loro analisi risulterebbe un guadagno netto per lo Stato di diversi miliardi. E’ certamente apprezzabile lo sforzo dei suddetti studiosi. Tuttavia nutriamo non pochi dubbi sull’attendibilità di analisi di questo tipo. Lo sappiamo bene… Le analisi costi-benefici sono difficili da farsi pure per le opere tangibili. E per una stessa opera possiamo produrre analisi diversissime con esiti altrettanto diversi. Figurarsi per un fenomeno complesso e imprevedibile nei suoi effetti, come appunto la legalizzazione delle droghe.

Per uno Stato, legalizzare le droghe “leggere” non vuol dire necessariamente avere maggior successo nella repressione dei reati riguardanti le droghe “pesanti”. Specialmente per uno Stato dove la lentezza della giustizia la fa da padrona e le Forze dell’ordine sono poco motivate a perseguire dei soggetti che magari alla fine torneranno in libertà.

Se in uno Stato come il nostro si procedesse a legalizzare, i narcotrafficanti al massimo ci perderebbero solo nel breve termine. Alle associazioni criminali, una volta registrato il calo di introiti derivante dalla legalizzazione delle droghe “leggere”, basterà semplicemente aumentare il prezzo delle dosi di droghe “pesanti” fino a raggiungere una quantità tale da avere maggiori introiti. Chi è tossicodipendente, per definizione, non potrà comunque fare a meno di quelle dosi: sarebbe disposto a pagare qualsiasi prezzo, con tutte le immaginabili conseguenze in termini di pubblica sicurezza.

Dunque le organizzazioni criminali potrebbero uscire indenni (se non rafforzate) dalla legalizzazione. Di contro, per lo Stato il guadagno non sarebbe affatto sicuro. Non è da escludere che possa addirittura perderci, se gli introiti derivanti dalla legalizzazione non fossero sufficienti per incrementare la sicurezza contro furti, rapine e altri reati compiuti da chi deve procurarsi una dose, oppure per curare un maggior numero di tossicodipendenti o, comunque, di soggetti affetti da patologie mentali in qualche modo riconducibili al consumo di sostanze psicotrope.

Fra le motivazioni a favore della legalizzazione, una ci ha fatto riflettere particolarmente: il consumo di sostanze sarebbe elevato perché si tratta di un comportamento illegale. In altri termini, il fatto stesso che sia illegale rende allettante quel comportamento agli occhi dei giovani: se solo venisse legalizzato, il consumo di sostanze non aumenterebbe e anzi potrebbe anche diminuire. Curioso… Come dire che il numero di omicidi diminuirebbe se il reato di omicidio venisse cancellato dal codice penale. Meglio non commentare…


E se legalizzassimo la prostituzione?

A questo punto, se il vero problema è sottrarre potere alla criminalità e avere entrate sicure per lo Stato, perché non riaprire le case chiuse? Perché si continua a dare così tanto peso alla legalizzazione delle sostanze e così poco peso è riservato alla legalizzazione del “sesso a pagamento”? Ormai da decenni la maggior parte dei tabù relativi alla sessualità sono crollati… Perché dunque non consentire finalmente che la sessualità diventi un’opportunità di lavoro? Dopotutto stiamo parlando del “mestiere più antico del mondo”… Dove sono finite quelle folle di femministe inneggianti alla libertà d’uso del proprio utero? Non sarebbe meglio che ognuno, liberamente e nei limiti della liceità, decidesse di fare ciò che vuole del proprio corpo? Magari anche costruirci una professione e una carriera? Invece che rischiare, per necessità, di doverlo vendere a trafficanti e sfruttatori?

Legalizzare le “professioni sessuali”, con l’obbligo di sesso protetto e di controlli sanitari periodici (e con sanzioni salate per i trasgressori), avrebbe ricadute positive sulla salute collettiva (più rapporti sessuali sicuri e “al chiuso”) e sull’ordine pubblico (meno vittime della prostituzione per le strade), nonché sulle finanze statali (come un qualsiasi altro lavoro, le professioni sessuali sarebbero soggette a imposte e contributi). E le organizzazioni criminali perderebbero ogni possibilità di competere nel settore del sesso. A differenza del settore delle sostanze dove, come già ricordato, i mancati introiti delle droghe “leggere” possono essere facilmente rimpiazzati da quelli delle droghe “pesanti”. Soprattutto oggi che la domanda di stupefacenti è formulata sempre più da soggetti “policonsumatori”.


Conclusioni

Speriamo vivamente che il tema della droga venga affrontato seriamente dalla politica. E che non si limiti ad essere l’ennesimo terreno di scontro o argomento da mera campagna elettorale. Destra, sinistra, centro, sopra, sotto… Tutti dovrebbero rendersi conto che la droga è un problema serio. Non un’occasione in più per lucrare sulla pelle e i bisogni dei più deboli.

Vostro affezionatissimo PennaNera