Castità. Elogio di una virtù bistrattata

Ave Socii

Nell’odierna società, sempre più legata all’effimero, c’è forse sempre più bisogno di una visione del mondo che vada al di là delle contingenze. Una visione duratura e forte, che permetta di sopportare le sfide della vita con minor preoccupazione. Una visione di tipo spirituale, simile a quella dei religiosi. Ognuno, in cuor suo, può avere una visione religiosa dell’esistenza. Non è necessario essere preti per decidere di abbracciare dei valori duraturi invece che dei valori effimeri. Chi scopre valori che durano non è impensierito dalla rinuncia dell’effimero. Per costui, la castità non è e non sarà mai una costrizione. La castità è l’umiltà di rinunciare ai rapporti umani, per donarsi completamente al perseguimento di un ideale. Chi segue degli ideali, invece, è spesso considerato uno sfigato, un pazzo, un visionario nella migliore delle ipotesi.

Chi sta nella Chiesa ha un’opportunità che altri non hanno: lottare per degli ideali senza subire il ricatto di rovinare un rapporto umano. Perché il casto rinuncia ai rapporti umani stretti. E’ capace di rinunciare alla madre, al padre, ai fratelli, agli amici, alla moglie, al marito, ai figli… per seguire Gesù e il Suo messaggio evangelico. E chi più di un uomo di Chiesa è disposto a seguire il duraturo e rinunciare all’effimero?

Ma la castità non è affare solo della religione e degli uomini di Chiesa. Ciascuno di noi può essere casto. La castità è un gesto d’amore verso i nostri amici: rinunciare al legame con loro ci rende può forti e meno corruttibili dinanzi ai ricatti altrui. Il Vangelo rappresenta tutti quei messaggi scomodi che stridono con la mentalità del mondo. Chiunque, rinunciando alle comodità terrene, può aspirare a seguire il Vangelo.

Spesso la castità non viene considerata con il rispetto che invece dovrebbe meritare. Il casto è spesso vittima di forti pregiudizi da parte di quelli che fanno dell’umanesimo una sorta di religione. E del rapporto umano una sorta di idolo. E’ evidente nell’ambito del sesso: chi ha tanti rapporti sessuali è considerato persona spigliata e capace, all’interno della società. Ma questa spigliatezza, talvolta, non è che un modo per farsi notare. Un modo per cercare amore. Un modo per dire “io ci sono”. Un modo per cercare l’aiuto dell’altro, a dimostrazione della propria dipendenza dai rapporti umani.

Ma la sfera sessuale è solo la punta… Essere casti significa astenersi da qualsiasi rapporto che rischi di diventare troppo profondo. La società si riempie di pregiudizi nei confronti del singolo, di chi si mostra solo. La forza sta nel gruppo, nel “noi” e non nell'”io”… Ma il singolo può portare messaggi scomodi, anche in mezzo a un branco di lupi. Il membro del gruppo non può, i messaggi che porta non sono i suoi ma quelli del gruppo di appartenenza. Pronunciando parole scomode, i suoi nemici potrebbero rivalersi sul suo gruppo e sulle persone che con lui stringono un legame importante. Il singolo, da solo, è invece libero di pronunciare parole scomode. E di perseguire ideali scomodi senza temere di perdere qualcosa. Senza mettere in pericolo le persone a cui tiene. Lo stesso Gesù Cristo non è forse esempio di una simile castità?

Un singolo disposto a seguire ideali e valori duraturi, in realtà, fa paura. Il mondo controlla a meraviglia l’effimero, perché ha la sua stessa natura temporanea e corruttibile. Ma il duraturo… Quello il mondo fa fatica a domarlo. E pur di sminuirlo gli attribuisce la qualità della pazzia. Che il mondo tema i pazzi, allora! Perché se lottare per un ideale vuol dire esser pazzi, allora i pazzi cambieranno ancora una volta il mondo.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Laicità dello Stato e cultura cristiana

Ave Socii

Sovente il progresso di una società è accostato al principio di laicità dello Stato. Nella nostra cultura, un tale principio è declinato nella celebre formula “libera Chiesa in libero Stato”. Una formula che afferma l’esistenza di due realtà distinte, quella spirituale e quella temporale, aventi pari dignità di essere al mondo. Nessuna delle due, pertanto, dovrebbe piegarsi per cedere più spazio all’altra. Ciascuna delle due dovrebbe influenzare ambiti differenti e non sovrapponibili della cultura umana. Ciascuna delle due dovrebbe rappresentare un arricchimento, per ogni singolo e per la società tutta.

Quanto detto finora, tuttavia, non contrasta col fatto che uno Stato possa difendere e promuovere le tradizioni culturali e religiose del proprio popolo. Per un semplice motivo: non può esistere al mondo un solo popolo senza religione. Tempo addietro, l’Unione Sovietica provò a costruire un sistema basato sull’assenza di qualsiasi riferimento religioso… Sappiamo com’è andata a finire. La laicità è ben altra cosa dall’ateismo. La religione è un fatto culturale e pertanto non può essere negata, nemmeno dallo Stato più autoritario. Se uno Stato può essere laico, di certo un popolo non può esserlo. È pertanto auspicabile che ogni Stato, pur rimanendo fedele al principio di laicità, tuteli la religione caratteristica del proprio popolo. Come si può pretendere che una cultura rispetti la religione e i simboli altrui, quando non riesce a rispettare nemmeno la religione e i simboli propri?

Uno Stato è laico nel momento in cui aggiunge qualcosa, non quando toglie qualcosa alla sua storia. Togliere i crocifissi dalle aule scolastiche rende uno Stato più debole, non più forte. Perché toglie un simbolo che rappresenta la storia di quel popolo. Un popolo non può essere culturalmente neutro, in ambito religioso come in vari altri ambiti. La scelta del neutro non è mai neutra, è sempre una delle tante scelte che genera conseguenze. Non c’è nulla di speciale nello scegliere di adottare la neutralità culturale. Neutri non si nasce, lo si diventa: non importa raggiungere il neutro, ma la via percorsa per raggiungerlo. E se quella via è diretta a togliere invece che aggiungere, il popolo è privato dei suoi riferimenti. Quel popolo non sarà più in grado di confrontarsi alla pari coi popoli di altre culture e, ben presto, finirà per soccombere sotto la sua procurata ignoranza culturale.

L’effetto generato dal percorso tra i riferimenti precedenti e la neutralità attuale non è l’affermazione della neutralità attuale, bensì la negazione dei riferimenti precedenti. Chi diventa neutro rischia di piegarsi a chi neutro non è o non vuole diventarlo. Prima o poi ogni vuoto, anche culturale, deve essere riempito. Il non neutro, infilandosi nel neutro, rischia di determinarne la distruzione. Esistono Stati che, lungi dall’essere laici, potrebbero approfittare della situazione per sottomettere Stati culturalmente indeboliti da una finta laicità. Gli Stati islamici, nei quali la laicità non è certo un tratto qualificante, potrebbero fare della sovrapposizione fra Stato e religione un punto di forza. Qualora ci riuscissero, con che coraggio potremmo poi affermare che il mondo vada ancora nella direzione del progresso?

E non basterà aprirsi alle novità portate da famiglie arcobaleno o immigrati di altre culture, per poter affermare il progresso. Forse nemmeno la “Famiglia di Nazareth” era così perfetta come ci è stata consegnata dalla tradizione… Forse Gesù era figlio di uno stupro, più che dello Spirito Santo… Forse avrà avuto pure dei fratelli… Forse lui e i suoi genitori non saranno stati così “senza macchia” come viene descritto… Ciò toglie forse la bellezza della fede e il modello, seppur ingigantito, che quella famiglia ha rappresentato nei secoli e tuttora continua a rappresentare? Perché oggi ci si dovrebbe quasi vergognare di sposarsi in chiesa? Il matrimonio, checché se ne dica, è un fatto che la sfera civile non può che mutuare dalla sfera religiosa. Allo stesso modo qualsiasi nucleo familiare, per quanto “diverso” dalla cosiddetta “famiglia tradizionale”, non può non fare riferimento alla “famiglia tradizionale” stessa.

Oggi va di moda sostenere battaglie per affermare principi come l’uguaglianza, il rispetto del diverso, l’apertura al prossimo. Ma che questi principi siano scritti nel Vangelo non si può dire, perché professarsi “cristiani” sembra più una vergogna che un vanto. Meglio definirsi “ricchi e atei”, così si è più credibili. Anche l’accoglienza è un principio prettamente evangelico, seppur trasposto anche da altre culture antiche. Oggi si pensa che debbano essere gli Stati a realizzare simili “opere di giustizia”… Magari con tanto di violazione di ordinamenti sovrani e lezioni di moralità ai “disumani”. A chi pretende di seguire il Vangelo, magari senza mai averlo letto, ricordiamo la mirabile lezione di laicità contenuta nel Vangelo stesso: a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio. Lo Stato non dovrebbe pretendere di seguire il Vangelo, quando non è capace nemmeno di seguire le leggi e la Costituzione.

Un popolo che adotta la neutralità è in pericolo, un popolo non può perdere da un giorno all’altro i propri riferimenti senza correre rischi, per giunta all’interno di una società complessa. Pensare di adottare la neutralità è come pensare di riacquistare la verginità perduta. Uno Stato con una identità culturale forte: questo è il vero progresso, secondo noi. Uno Stato che si mantenga separato dalla religione, ma capace di proteggere la sua cultura religiosa e le sue radici. Uno Stato che non prenda a modello quelle culture dove legge e religione vanno a braccetto. Uno Stato che sia fondato non sui principi scritti su un libro sacro, ma sui principi scritti sulla carta costituzionale. Uno Stato dove Cesare segua la Costituzione e dove il Vangelo sia lasciato alla libertà di chi vuol conoscere Dio. Questo è il progresso di cui andiamo orgogliosi.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Morte e vita. Il diritto e la pena

Ave Socii

La vicenda della ragazzina olandese che ha deciso di darsi la morte, perché provata dal male di vivere, ha riacceso il dibattito sull’eutanasia. Chi si professa “progressista” crede che il progresso passi anche per la “buona morte”. Certo, consentirla a delle ragazzine minorenni forse non è il massimo. Anche l’Olanda, in realtà, ha norme piuttosto stringenti su questo tema.

Decidere di morire, perché si è stanchi di vivere… Se la “buona morte” ha un qualche senso, crediamo debba limitarsi ai soli casi di malattie terminali e malattie per le quali non esiste alternativa diversa dall’accanimento terapeutico. Di certo non dovrebbe servire per curare casi di depressione. Così l’aborto, se ha un qualche senso, dovrebbe limitarsi ai soli casi di rapporti sessuali non consenzienti. E ai casi di malattie gravi dell’embrione. E dovrebbe essere praticato, comunque, entro tempi non troppo lunghi dalla fecondazione.

Forse stiamo perdendo il “senso della vita”, presi come siamo dal “senso della morte”. Preferiamo tutelare chi sceglie di morire, invece di supportare chi vorrebbe scegliere di vivere. I fascio-buonisti, dall’alto del loro senso di progresso, premono per una regolamentazione delle “pratiche di morte”. Se per loro il concetto di vita è così relativo, allora per quale motivo non sono altrettanto pressanti in tema di pena di morte per i criminali? Va bene battersi per il diritto a una vita dignitosa. Però, a questo punto, non dimentichiamoci della dignità di vivere. E di chi, forse, per quel che ha combinato non merita una tale dignità.

Speriamo che mai nessuno debba morire per mano d’uomo, ci mancherebbe. Però, se proprio qualcuno deve perdere la vita in questo modo, preferiamo siano i colpevoli e non gli innocenti. Pensate che strani che siamo! I “politicamente corretti” cosa dicono, invece? Pena di morte per i criminali no, aborto e eutanasia sì… Saremo noi fuori dal mondo, ma questo ci pare un po’ un controsenso. Perché se un privato sceglie di morire va tutto bene… e se invece è lo Stato a decidere che uno deve morire, perché ha violato determinate leggi, ripiombiamo nel buio Medioevo?

E così, in nome del progresso, dobbiamo liberalizzare anche la morte… Così comanda la “retta dottrina” dei fascio-buonisti. Noi abbiamo un’idea di progresso diversa. Per noi una società è progredita se ognuno dei suoi membri si assume le responsabilità di ciò che fa. Chi nega il diritto alla vita di una persona, dovrebbe sapere che di quel medesimo diritto può anche essere privato. Non da un altro individuo, sia chiaro, ma dallo Stato. Anche gli aborti e i suicidi assistiti sono negazioni della vita. Per “giusti motivi”, ci mancherebbe… ma anche lo Stato può avere “giusti motivi” per privare qualcuno della vita, non solo i singoli. L’intervento dello Stato, anzi, potrebbe pure distogliere gli individui dal desiderio di farsi giustizia da sé, prevenendo il sorgere di eventuali faide e contribuendo ad abbassare il livello di tensione sociale. Lo Stato dovrebbe essere l’unico legittimato a compiere simili atti “di giustizia straordinaria”.

Noi vorremmo uno Stato in cui le pene siano certe e servano alla “rieducazione del condannato”, come raccomanda anche la Costituzione. Rieducazione finalizzata al reinserimento del reo nel tessuto sociale. In questo senso, l’ergastolo è forse la pena più inutile che esista… Fine pena mai, nessuna possibilità di ritorno alla vita sociale, quindi nessuna finalità rieducativa… Un posto in galera occupato a vita da un tizio che, nella maggioranza dei casi, trascorre i suoi giorni a meditare una strategia di fuga oppure il suicidio (che poi non è altro che una particolare strategia di fuga)… Ergastolo spesso commutato in altra misura perché magari il condannato ha dato di matto, oppure per “buona condotta”… Alla faccia della certezza della pena… E il tutto a spese dello Stato.

La Costituzione stessa, nella sua prima formulazione, prevedeva la pena di morte in casi eccezionali. Un tempo perfino la Chiesa condannava a morte i suoi colpevoli. Formalmente, lo Stato Pontificio ha abolito la pena di morte solo nel 2001. In realtà, tuttavia, le ultime condanne risalgono a circa due secoli fa. Ora la Chiesa, coerentemente, condanna espressamente qualsiasi forma di “negazione della vita”, che sia aborto o pena di morte o eutanasia. D’altro canto, uno Stato che ha tempo di interrogarsi sull’introduzione della “buona morte”, secondo noi, dovrebbe interrogarsi anche sull’introduzione della “pena di morte”. Sembrano ora riecheggiare a nostro sfavore le parole dell’illuminista Beccaria: perché lo Stato dovrebbe prevedere la morte come pena, quando la condanna come reato?

Eppure il nostro ordinamento non può non prevedere fattispecie di reati riguardanti, in un modo o nell’altro, il concetto di “morte”. Tutti noi saremmo contenti se non vi fossero omicidi, ma evidentemente la realtà dei fatti è un po’ diversa. Qualcuno potrebbe dunque obiettare a Beccaria: perché la morte può comunque esistere come reato, all’interno di uno Stato che la aborrisce addirittura come pena? Le considerazioni di Beccaria sulla pena di morte, perciò, dovrebbero essere ribaltate: se è sbagliato aborrire la morte solo come reato e prevederla comunque come pena, perché dovrebbe essere giusto aborrirla solo come pena e prevederla comunque come reato?

Siamo dell’idea che uno Stato davvero progredito debba prevedere la pena di morte per reati particolarmente efferati, che violano gravemente specifici diritti di rilevanza costituzionale. Vogliamo incominciare a ristabilire un po’ di certezza della pena? Ebbene, pena più certa di questa non esiste davvero. Chi nega la vita altrui dovrebbe sapere che può incorrere nel medesimo trattamento. Però non vogliamo la legge del taglione. Crediamo sia comunque opportuno dare un “tempo di recupero” al reo, per consentire la sua responsabilizzazione e “rieducazione”. Qualora poi il reo non sfruttasse adeguatamente questa possibilità, lo Stato potrebbe sempre prendere i dovuti provvedimenti. Fossimo noi lo Stato, arrivati a questo punto preferiremmo senza dubbio giustiziare il colpevole piuttosto che rischiare, per causa sua, di piangere altri innocenti.

Probabilmente non tutti condivideranno le nostre posizioni, i temi qui affrontati sono particolarmente delicati. Ma noi siamo per la cultura libera e per la libera espressione del pensiero. Neanche noi condividiamo le posizioni di alcuni, in merito a questi argomenti. Tuttavia le rispettiamo e auspichiamo un confronto costruttivo nel rispetto reciproco. Speriamo che pure il dibattito politico trovi al più presto una sintesi positiva e coerente fra le varie istanze.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Quei sepolcri imbiancati che abitano la Chiesa

Ave Socii

Libera Chiesa in libero Stato. A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio… Per quanto differenti possano sembrare, Vangelo e Costituzione concordano nel sostenere l’indipendenza del potere temporale dal potere spirituale e viceversa. Ultimamente però, pare che queste due sfere siano un po’ in rotta di collisione.

La Chiesa si occupa di anime, lo Stato di cittadini. In teoria, la Chiesa non dovrebbe parlare agli uomini in quanto cittadini ma in quanto fedeli. E lo Stato non dovrebbe occuparsi delle cose di lassù ma delle cose di quaggiù. Nella pratica, Stato e Chiesa hanno sempre interferito l’uno con l’altra, in modo positivo o negativo. E questo è inevitabile che accada.

I rapporti fra questi due mondi, quello di Dio e quello di Cesare, dovrebbero limitarsi al rispetto costruttivo e all’umiltà di non metter bocca sugli affari di cui non si ha competenza. Il che è tutto il contrario di ciò che sembra accadere ultimamente.

Da una parte, politici che invocano l’aiuto e la protezione della Vergine. Dall’altra, cardinali che violano i sigilli per riallacciare la luce a degli abusivi. Assistiamo giorno dopo giorno ad un continuo tentativo di prevaricazione di una sfera sull’altra. Certamente non è un bello spettacolo, per dei fedeli che sono anche cittadini e viceversa.

Visto che le elezioni sono ormai alle porte, crediamo sia inevitabile che i politici adoperino tutto il loro arsenale per racimolare quanti più voti possibili. Comprendiamo meno, invece, il motivo per cui addirittura alcuni ecclesiastici si straccino le vesti additando determinati discorsi come inopportuni. D’altronde la religione è sempre entrata di prepotenza nella politica italiana. In decenni di Democrazia Cristiana nessuno s’è mai scandalizzato. Nessuno ha mai protestato perché un partito mostrava la croce nel proprio simbolo. Se ora qualche politico si azzarda a baciare un rosario o a invocare i Santi e la Madonna, è visto come inopportuno…  Francamente ci sembra un atteggiamento un tantino ipocrita. Quando qualcuno manifestava mostrando cartelli con su scritto “Dio, patria, famiglia: che vita di m…”, non abbiamo sentito tutto questo rumore.

Può darsi che la Chiesa sia cambiata parecchio, dai tempi della Dc a oggi, per tentare di recuperare dei fedeli disincantati. E non solo riguardo al modo di interferire con la politica. Forse è soprattutto l’incoerenza di alcuni pastori ad indignare di più. Proclamare determinati valori e comportarsi in tutt’altra maniera, dà l’idea di una istituzione poco credibile. Non bisogna far di tutta l’erba un fascio, è chiaro. Ma quando la Chiesa predica l’umiltà e l’accoglienza e poi si scopre che possiede immobili inutilizzati per migliaia di miliardi… E’ umano che qualche fedele possa anche sentirsi preso in giro!

L’accoglienza è uno dei più nobili principi evangelici. Ma il Vangelo parla agli individui, non agli Stati. Gli Stati dovrebbero seguire le Costituzioni, non il Vangelo. Le nostre comuni radici cristiane non figurano nemmeno nei Trattati europei, figuriamoci… L’accoglienza è bella se attuata liberamente dai singoli individui, ma se praticata dagli Stati è solo una catastrofe. Accogliere un immigrato può essere un gesto buono e lodevole per un singolo, ma a livello politico ricade anche sul resto della comunità. Affari tuoi se intendi porgere l’altra guancia, ma non puoi costringere gli altri a fare altrettanto.

Una Chiesa politicizzata, ad oggi, potrebbe far comodo ai fascio-buonisti. A quelli che, non riuscendo a fornire validi motivi politici alle proprie idee, si appellano ai principi cristiani. Come sull’accoglienza o la sicurezza… Ma anche la Chiesa si armava e combatteva lo straniero, fino a qualche secolo fa. L’incoerenza e l’ipocrisia sono fatti umani. Anche la maggioranza dei fascio-buonisti detesta le posizioni della Chiesa su famiglia e aborto.

Politica e Chiesa, vediamo, non possono evitare di incontrarsi e scontrarsi. Se ognuno si limitasse al proprio ambito di competenza, forse eviteremmo tutte queste polemiche. E ci concentreremmo maggiormente sulle questioni più scottanti. Le persecuzioni dei cristiani nel mondo, le missioni nei Paesi poveri per aiutare le persone a svilupparsi in loco e a non emigrare, le miserie delle nostre periferie, gli scandali… Forse è meglio scatenare tempeste in un bicchier d’acqua, quando si ha troppa paura di affrontare le tempeste dell’oceano. E’ facile cogliere la pagliuzza nell’occhio dell’altro, quando non si vuol avere a che fare con la trave nel proprio occhio.

Vostro affezionatissimo PennaNera