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Un blog creato da KA_again_PUT il 29/05/2008

Mr.K torna...forse..

questo blog è aperto in molti giorni feriali: spesso dalle 9.25 alle 13.43, qualche volta dalle 14.12 alle 15.30, raramente dalle 17.19 alle 19.17. mai oltre e festivi.

 
 

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Capitolo ventuno - fuga

Post n°176 pubblicato il 22 Luglio 2010 da KA_again_PUT

continuo a lavorare, settimana prossima scappo, ma dal mare vi scriverò...

forse...

Puntata n°1  - http://blog.libero.it/kaagainput/8159880.html
Puntata n°2  - http://blog.libero.it/kaagainput/8169681.html
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Puntata n° 20 -
http://blog.libero.it/kaagainput/9001289.html

 

 

 

Kera entrò a forza infilandosi nello spazio angusto, si chiuse la porta alle spalle mentre l’uomo dietro al bancone le diceva che non poteva entrare. Brontolava rumorosamente

“come stai?” mi disse. Sembrava preoccupata, aveva una faccia sconvolta eppure manteneva inalterato il suo incredibile fascino.

Lo spazio era angusto, sporco, allo specchio piccolo sopra il lavandino mancava uno degli angoli. La lampadina emetteva una triste luce giallognola. Era un posto scadente, Kera mi passò un dito sullo zigomo gonfio. La guardai negli occhi e mi sentii un po’ a disagio, in quel momento lo spazio intorno a noi si restrinse fino a schiacciarci uno contro l’altra, aggiunse “dobbiamo muoverci. Subito” si voltò a guardare in direzione della porta, poi tornò a posare lo sguardo su di me e mi chiese “sei pronto a muoverti?”

Da fuori il barista riprese a brontolare, si sentì un rumore, se avesse voluto avrebbe potuto buttare giù la porta senza neanche sforzarsi. Kera era sempre più tesa,traspariva ansia nei suoi movimenti, si avvicinò a guardarmi negli occhi “la donna che guidava l’auto, era anche al parco…” si spostò dal viso un ciuffo scomposto, avrei voluto farlo io ma non era né il momento, né il luogo adatto. Lei riprese “dopo che ci siamo lasciati…per un puro caso, ho notato un ragazzo su una panchina. Somigliava parecchio a un mio cugino, l’ho visto con la coda dell’occhio” mi posò una mano su una spalla “stavo per andare verso di lui, quando l’ho visto fare un cenno ad una ragazza che ci aveva incrociati nel parco. Io ero dietro un albero, non mi hanno visto”

L’uomo del bar fuori dalla porta ricominciò a fare trambusto. Sembrava molto seccato, battè un pugno sul bancone. Urlò.

Io mi avvicinai alla porta per sentire cosa succedeva, Kera rimase a pensare qualche secondo. La porta si aprì con uno schianto, io ero dietro e rimasi schiacciato contro la parete, una scheggia di legno mi infilzò un polso. Vidi spuntare un braccio,con un coltello. Era il braccio di un uomo, che avanzava verso Kera, con una lama grigia e appuntita. Due passi e l’avrebbe trafitta, se non fosse stato così sbilanciato in avanti gli sarebbe bastato un solo passo. Lei era molto sorpresa, mise subito la mano destra al fianco, si scostò la camicetta e si vide chiaramente un riflesso della luce gialla correre lungo il ferro della pistola, la fondina era a contatto della pelle. Il suo fianco era tonico, lucido, una pelle liscia come una colonna di marmo. L’uomo riprese vigore e slancio, e affondò un colpo. Lei si appiattì al muro, non c’era spazio per la colluttazione, parò il colpo con il braccio sinistro e la lama la colpì. un rivolo rosso scivolò denso lungo il polso. Il primo colpo rimbombò in una esplosione assordante, sentii il sibilo vicino, l’odore della polvere pungente, il tempo fermo e senza ticchettio, e il proiettile si conficcò nello specchio facendogli perdere un altro pezzo. Quello avrebbe provato ancora, per uccidere. Kera non avrebbe sbagliato un altro colpo, non a quella distanza era una prova di forza. Sarebbe sopravvissuto chi avrebbe colpito per primo, facendo centro. Afferrai la sua mano, girandola con forza e senza paura, il braccio si attorcigliò come un ramo, quello era tutto concentrato a colpire Kera, frontalmente, mai avrebbe pensato ad un mio attacco sul fianco. Il suo braccio era teso, tirai una ginocchiata al gomito e con uno scricchiolio la presa cedette, la mano diventò molla e il coltello gli cadde a terra. Lo afferrai per il collo con il braccio destro, e lo proiettai con tutta la mia forza contro lo specchio, che questa volta finì in frantumi. Kera aprì il fuoco ancora, puntando l’arma direttamente verso di me. Per un momento pensai di essere spacciato. Morto. Ero passato da una vittoria, alla fine immediata. Questa volta la pallottola mi passò così vicina che la sensazione fu proprio quella di essere stato colpito. Kera tirò due calci in faccia all’uomo con il coltello, che stramazzò esanime sotto il lavandino. Poi mi fece cenno di andare, dietro di me c’era un secondo uomo colpito in pieno, abbattuto in una pozza di sangue. Mentre un terzo uomo era sdraiato sul bancone, con la testa rotta. Il gigante del bar evidentemente aveva preso le nostre parti, e lo stava pestando con un enorme bastone.

“seguimi. Ora! Cambiamo aria..” disse Kera. Filava rapida, aveva ripreso completamente il suo abituale portamento, era atletica, regale e flessuosa. Io mi sentivo pesante, intontito e sporco. Principalmente sporco. Arrivò una volante della polizia Kera girò sicura in un vicolo, e aumentò il passo, l’auto continuò in direzione del bar. Frenò, cominciammo a correre e non sentimmo più altro. Cambiammo strada, e vicoli finchè non  raggiungemmo in una scalinata che conoscevo. Era una scorciatoia che facevamo da ragazzi, con mio cugino.  Tirai per una mano Kera, e prendemmo la metro. Ci guardavano, principalmente me, che sembravo scampato a più di una rissa.

Scendemmo dopo due fermate, cominciava a girarmi la testa, e sentivo tutti i muscoli indolenziti. Il collo irrigidito, lei a grandi falcate arrivò ad un portone, di un palazzo vecchio stile dell’est, comunismo di cemento, e omologazione. Salimmo le scale buie e grige. Lei prese una chiave nascosta in un vaso di fiori nei pressi di una vetrata. Aprì la porta, se la chiuse alle spalle. Posò la pistola sul tavolo. Poi la riprese. Poi la posò nuovamente. Non si fidava della porta, della finestra.

“Kera…il bagno…” le chiesi. Ero distrutto.

Mi fece un cenno con la mano, e io mi infilai nel bagno

Cominciò a girare vorticosamente per la stanza, era piena di energia, esplodeva di bellezza quando era concentrata.

Io mi lavai, guardai brevemente intorno, il bagno non era lussuoso e non avevo voglia di osservare i dettagli in quelle circostanze. Tentai di togliermi le macchie dai vestiti ma senza risultati. Uscii, la porta era socchiusa e vidi Kera seduta sul letto, con una mano si reggeva il mento. mi avvicinai.

Lei mi guardò, con aria riflessiva mi disse “non so cosa fare…”

“sono tutto sporco, non avresti una…tuta?” lei mi guardò con aria perplessa e mi indicò l’armadio a lato del letto poi mi rispose

“Quella grigia è XL.” Aveva sempre il mento poggiato alla mano, e si era sciolta i capelli. Io mi sfilai i pantaloni, e mi misi i pantaloni grigi della tuta. XL. Mi andavano un po’ corti ma non stretti. Non trovavo il giacchetto, e cominciai a passare in rassegna i suoi vestiti. Abitualmente avrei scansionato tutto, ora cercavo solo una tshirt. Ne trovai una con l’enorme scritta NY sul davanti.

Mi sedetti accanto a lei, che si lasciò cadere distesa.

Io mi lasciai cadere al suo fianco.

Guardavamo il soffitto, lei mi chiese senza girarsi “ma te…non eri un tecnico informatico? Io sono inquadrata come agente operativo, te no!” poi si incrociò le braccia dietro la nuca. Io mi girai su un fianco, il sole era arancione, e il suo giallo oro penetrava dalla tenda illuminandole il profilo.

Crollai in un sonno rosso scuro.

Quasi subito, assaporando ogni sorso del mio sguardo su di lei.

 

 
 
 
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