Libri d’Occasione & Rari by Libreria Montesacro Roma

 

Bolscevismo

Storia del Bolscevismo

All’inizio del XX secolo era teorizzata da Lenin e dai suoi collaboratori al giornale Iskra l’esigenza di un partito «democraticamente centralizzato, stabile e coeso, fondato su di un programma marxista rivoluzionario», in grado di «fornire alla classe operaia in lotta un tipo di direzione che avrebbe assicurato l’egemonia proletaria nella battaglia per la democrazia fino al trionfo del socialismo». La fase di concretizzazione di tale idea di partito condusse ad uno scontro, nell’ambito del II Congresso del POSDR (il primo effettivo dopo quello fondativo del 1898, svoltosi in condizioni precarie), tra i cosiddetti “iskristi” ed altre correnti della socialdemocrazia russa. I primi prevalsero sugli economicisti, che preferivano una struttura organizzativa debole, e sul Bund, che premeva per un’organizzazione federale di diversi gruppi socialisti, tra cui quello ebraico. Il Congresso registrò tuttavia anche un aspro conflitto interno agli stessi “iskristi”. Questi ultimi si distinsero in due frazioni: una, guidata da Lenin, fu detta bolscevica e l’altra, guidata da Martov, fu detta menscevica. Lo scontro si concentrò soprattutto sull’articolo 1 dello Statuto del Partito: mentre la formulazione proposta da Lenin pretendeva dai membri la partecipazione attiva ad una delle organizzazioni del POSDR, quella avanzata da Martov riteneva sufficiente per l’accettazione nel partito il fatto di collaborare con esso, pur senza partecipare direttamente. Le due diverse versioni sottintendevano due differenti idee di partito: una forza d’avanguardia, snella e composta di rivoluzionari di professione per Lenin, un’organizzazione ampia e di massa per Martov. Dopo un dibattito molto acceso l’assemblea approvò l’articolo 1 nella versione di Martov, mentre il resto del testo rifletteva l’idea di Lenin. La divisione in due frazioni fu confermata nel 1904 dalla nascita dell’Ufficio dei comitati di maggioranza di parte bolscevica e della Commissione organizzativa menscevica, mentre dopo l’inizio della Rivoluzione russa del 1905 i bolscevichi tennero il III Congresso del POSDR (che approvò l’articolo 1 dello Statuto nella versione di Lenin) e i menscevichi svolsero una Conferenza di partito, con ciascuna delle due assemblee che elesse organismi dirigenti distinti. Le dinamiche rivoluzionarie portarono a tentativi di riavvicinamento tra le due correnti, e nella primavera del 1906 si svolse un Congresso unitario.[8] Il periodo reazionario apertosi nel 1907, però, indebolì l’intero movimento socialdemocratico e acuì le tensioni interne al partito e alle stesse correnti. ( Wikipedia )

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Il Primo Libro delle Favole by Gadda

Certo la pressione dell’incipit avrà guidato la scelta di una favola in cui vi è un appariscente recupero dei protagonisti più stereotipi della tradizione favolistica ( l’agnello e il lupo di Fedro, un lupo in realtà assente e forse distratto ). Ma a smentire sospetti di archeologia interviene sul solo dei personaggi tradizionali che è davvero in scena, l’agnello, una operazione di attualizzazione, di aggregazione totale alla contemporaneità, nella quale l’agnello − di Persia nel senso che si vedrà − viene condotto ad interagire con idoli polemici del mondo dell’autore. La gentildonna lombarda è in effetti, come ricorda ogni lettore del Gadda maggiore, una figura ricorrente del velle senza repliche: dell’agire perentorio, imperterrito, ignaro d’ogni bizantinismo psicologico. Il prototipo di queste donne dal pensiero elementare è forse la donna Giulia de’ Marpioni nata Pertegati dell’Adalgisa. Ma la stessa Adalgisa è «di quelle meravigliose donne lombarde che il proprio vigor di cervello manifestano in pragma (le idee per loro sono atti), cioè in una prescienza vittoriosa d’ogni obiezione: col postulare dovunque, davanti a chiunque, la certezza nella propria infallibilità». Molteplici «elette gentildonne lombarde di squisito sentire» − tutte apparentate ad una «vecchia gentildonna molto inclinata a fare del bene», la manzoniana donna Prassede − sono del resto sparse nell’opera di Gadda, non escluse altrove le stesse Favole … ( Archivio Manzotti )

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Garibaldi Condottiero

Nel 1867, approfittando della popolarità derivatagli dalla vittoria di Bezzecca, Garibaldi stava ritentando l’impresa di invadere Roma. Promosse una raccolta che chiamò «Obolo della Libertà» contrapponendolo all’«Obolo di San Pietro», e si interessò al centro insurrezionale romano, formando un Centro dell’emigrazione con sede a Firenze. Partecipò al Congresso internazionale della pace, il 9 settembre 1867 a Ginevra, dove venne eletto presidente onorario. Preparò un attacco contando sulla rivolta interna della città; dopo una serie di rimandi, senza l’appoggio dello stato, il 23 settembre partì da Firenze, ma il giorno dopo il 24 settembre 1867 venne arrestato. Il presidente del consiglio Urbano Rattazzi agì in tempo facendo arrestare Garibaldi a Sinalunga, e portato nella Cittadella di Alessandria. 25 deputati protestarono per l’accaduto: essendo il nizzardo stato eletto nel Mezzogiorno, veniva a infrangersi l’immunità parlamentare e i soldati che dovevano sorvegliarlo ascoltavano i suoi proclami dalla finestra della prigione. Venne poi portato il 27 settembre prima a Genova e poi a Caprera, isola in quarantena per colera, dove era prigioniero, sorvegliato a vista e l’isola controllata dalla Regia Marina. Organizzò una rocambolesca fuga utilizzando Luigi Gusmaroli come suo sosia. Mentre l’uomo sostituì Garibaldi, il nizzardo lasciò l’isola il 14 ottobre stendendosi su un vecchio beccaccino comprato anni prima e nascosto. Giunse all’isolotto di Giardinelli, e, dopo aver guadato, arrivò a La Maddalena alloggiando dalla signora Collins. Con Pietro Susini e Giuseppe Cuneo giunsero in Sardegna, dopo essersi riposati ripartirono il 16 ottobre e dopo aver viaggiato a cavallo per 15 ore, il 17 si imbarca raggiungendo in seguito Firenze il 20. Partito da Terni raggiungendo Passo Corese il 23, contava fra i suoi uomini circa 8 000 volontari, in quella che venne riconosciuta come “Campagna dell’Agro Romano per la liberazione di Roma”. Dopo un primo attacco a Monterotondo il 25 ottobre prese il 26 ottobre 1867 la piazzaforte pontificia bruciando la porta utilizzando un carro infuocato penetrandovi con i suoi uomini. ( Wikipedia )

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Tommaso Landolfi: Breve Canzoniere

Italo Calvino, nella sua Postfazione all’antologia del 1982, indica una parentela letteraria tra le opere di Landolfi e quelle degli scrittori francesi Jules Amédée Barbey d’Aurevilly e Auguste de Villiers de L’Isle-Adam, mentre Carlo Bo ha più volte dichiarato di come Landolfi sia, dopo D’Annunzio, il primo scrittore ad avere il dono di giocare con la lingua italiana e, di conseguenza, avere la capacità di manipolarla a proprio piacimento. La scrittrice Susan Sontag, in una sua retrospettiva critica sul profilo letterario dell’autore, collocava idealmente la sua opera tra quella di Jorge Luis Borges e quella di Karen Blixen[9], mentre altri hanno indicato dei parallelismi con autori quali Edgar Allan Poe e Nikolaj Vasil’evič Gogol’. Centrale è nella sua opera la critica alle “magnifiche sorti e progressive” della moderna società dei consumi ma, rispetto a quella degli scrittori impegnati, essa è condotta da un punto di vista aristocratico e conservatore, riverberandosi altresì nel linguaggio, attraverso uno stile altamente barocco e sperimentale. Landolfi, infatti, nutre un sincero interesse per le possibilità della lingua, benché non sia uno scrittore d’avanguardia ma piuttosto un conservatore. Per esempio, nel racconto La passeggiata, che alla persona dotata di un vocabolario medio pare un racconto astruso ed incomprensibile, Landolfi fa sfilare una serie di vocaboli arcaici, gergali o comunque desueti, ma tutti presenti nel dizionario. Una glossolalia la sua, come direbbe Giorgio Agamben, da leggere con una continua sorpresa, dizionario alla mano (il suo era uno Zingarelli, ma usava anche il Tommaseo-Bellini ). ( Wikipedia )

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Eunuchi

Gli eunuchi non furono solo schiavi e custodi di harem, ma guerrieri e mistici, sacerdoti ed eroi, funzionari e cantori, prostituti e sovrani. La storia degli eunuchi ha inizio con gli albori stessi della vicenda umana. E’ una storia occulta, che attraversa l’Egitto e la Cina, Roma e Bisanzio, la Russia e l’India. Col termine eunuco sono indicati quegli uomini che erano sottoposti in età prepuberale o puberale a interventi più o meno estesi di mutilazione dell’apparato genitale, tali da condurli a impotentia generandi o a una più radicale impotentia coeundi. Essi furono comuni a molte corti sovrane soprattutto orientali, da quelle musulmane come quella dell’Impero ottomano a quella del Celeste impero cinese. L’istituto dell’evirazione ha caratterizzato un gran numero di società e di culture umane in età antica, medievale e moderna, in Europa, Asia e Africa. Ciò era essenzialmente dovuto alla grande richiesta di persone a cui poter affidare senza timore delicati compiti di sorveglianza dei ginecei e anche per impedire l’adozione di pratiche nepotistiche nel caso si fosse deciso di affidar loro importanti e delicate funzioni civili, militari o religiose. Infine, nel caso di castrazione in età prepuberale, per esaltare il registro alto canoro, specialmente ricercato nei cori ecclesiastici o di teatro civile dove, fino all’età moderna, fu impedito il ricorso a donne, sostituite da voci bianche. Tra gli eunuchi del Settecento fu celebre il sopranista Farinelli. Il valore sul mercato dell’eunuco dipendeva dall’età e dalle sue doti fisiche ed intellettuali: tra gli evirati in età prepuberale la percentuale dei sopravvissuti all’intervento era abbastanza alta, ma a ciò faceva da contraltare il mancato sviluppo della sessualità secondaria (voce, massa muscolare poco tonica, apatia, indole tendenzialmente remissiva e poco intraprendente) che ne faceva abbassare relativamente il valore, a meno che il mancato sviluppo della sessualità secondaria fosse precisamente richiesto dal compratore. Al contrario, chi fosse stato evirato in età post-puberale e fosse sopravvissuto (la frequenza dei morti nel corso dell’intervento, o immediatamente dopo, era infatti elevatissima) manteneva le caratteristiche sessuali secondarie (voce profonda, buon tono muscolare, indole maggiormente volitiva) e tutto ciò consentiva che egli avesse un valore assai più alto di mercato. Nella cultura islamica gli eunuchi, distinti dai veri e propri castrati, divennero normale corredo dei potenti: dal Califfo ai governatori, dai sovrani ai Sultani. Sovente oltre alla custodia degli harem era loro affidata la cura dell’amministrazione e dell’apparato militare. Tra gli eunuchi non mancarono sovrani di ottime capacità, come furono i casi di Kāfūr nell’Egitto ikhshidide e del Caid qāʾid Pietro nella Sicilia arabo-normanna. Durante il periodo di al-Andalus ( Spagna islamica ) e Lucena in ambiente islamico particolarmente esperti nell’operazione di evirazione erano gli Ebrei di Pechina, come pure i loro correligionari di Verdun grazie alle loro adeguate conoscenze medico-anatomiche. I musulmani acquistavano per questo fine schiavi dell’Alto Egitto, del Khorāsān, del Sind, dell’Abissinia ed in genere dei paesi sudanesi ( Sūdān significa genericamente “Neri” ). Secondo fonti islamiche coeve o di poco successive, il califfo abbaside al-Muqtadir possedeva 11.000 eunuchi: 4.000 Greci e 7.000 Africani. Nei primi anni del ‘900, Pu Yi, l’ultimo imperatore della Cina, fu allevato da balie ed eunuchi, su cui esercitava il potere assoluto. ( Wikipedia )

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Pinocchio in Versi

Nel romanzo Geppetto spiega che si chiama Pinocchio perché è un nome a lui conosciuto: « Che nome gli metterò ? – disse tra sé e sé. – Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina. » L’origine del nome non è chiara: pinocchio significa «pinolo», esistono molti altri cognomi simili con pin- che derivano da Pino, ipocoristico aferetico di Giuseppino (a sua volta diminutivo o vezzeggiativo di Giuseppe, come anche lo stesso Geppetto) o anche di Filippino ( da Filippo ) e Iacopino ( da Iacopo o Giacomo ). Nell’antico dialetto toscano, il termine Pinocchia indicava l’albero ( ovviamente comunemente chiamata anche Pinacchio, formato da Pina e chio’ ) infatti tutte le persone di nome Pina sono Pinacchio Pinus pinea, come testimoniato da toponimi come Crino della Pinocchia. Pinocchina indicava inoltre, nel vernacolo fiorentino di qualche tempo fa, una gallina o donna piccola e un po’ grassoccia ma ben proporzionata. Nell’accezione di pinolo si possono riassumere simbolicamente le caratteristiche del personaggio, come evidenziato anche da Gérard Génot: il «seme» come «valore filiale, infantile», nel suo stesso essere «di legno», insomma «la carne nel legno, la germinazione nella durezza». Altri preferiscono richiamare alcuni toponimi toscani che potrebbero aver suggerito il nome al Collodi. A Colle, dove fu alunno del locale Seminario collegio vescovile, esisteva una fonte detta la Fonte del Pinocchio. Secondo alcuni potrebbe aver preso spunto anche dall’odierno San Miniato Basso, che si chiamava appunto “Pinocchio”, che è anche il nome del rio che scorre nel centro del paese. Era una località che Collodi conosceva bene: il padre di Carlo Lorenzini, Domenico, aveva abitato per diversi anni nella zona del Pinocchio al servizio come cuoco di una ricca famiglia del luogo. ( Wikipedia )

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Libreria Aiace Roma in via Ojetti 36 Montesacro – Nomentana – Talenti

La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Libri & Letture

 

Letture Estive by Libreria Aiace Roma Montesacro

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Le Mura del Cinquecento di Lucca

Le mura di Lucca sono il secondo maggior esempio in Europa di mura costruite secondo i principi della fortificazione alla moderna che si sia conservata completamente integra in una grande città. Nicosia, capitale di Cipro, detiene il record con una cerchia muraria di 4,5 km con 11 bastioni e tre porte.

L’attuale cerchia muraria di Lucca, lunga esattamente 4 chilometri e 223 metri, è frutto dell’ultima campagna di ricostruzione, partita nel 7 maggio del 1504 e terminata solamente un secolo e mezzo dopo, nel 1648. I lavori hanno avuto luogo anche nella seconda metà del Seicento, con aggiornamenti strutturali basati sulle nuove conoscenze e tecniche costruttive. Mai utilizzata a scopo difensivo, la struttura moderna si articola su 12 cortine ed 11 baluardi. Questi sono visti come un forte segno di identità culturale e come contenitore per la memoria storica del territorio.

Le mura furono concepite anche come deterrente. In particolare la Repubblica di Lucca temeva le mire espansionistiche prima di Firenze e, successivamente, del Granducato di Toscana. Tuttavia non si arrivò mai ad una vera guerra aperta contro il Granducato. Vi furono conflitti con il Ducato di Modena (secoli XVI e XVII), ma esclusivamente in Garfagnana, perciò Lucca non dovette mai subire alcun assedio. L’unica occasione in cui le mura furono messe alla prova fu durante la disastrosa alluvione del Serchio nel 18 novembre del 1812. Le porte furono sprangate e con l’ausilio di materassi e pagliericci fu garantita una relativa tenuta all’acqua del centro di Lucca. La stessa Elisa Bonaparte, Principessa di Lucca e Piombino, per entrare nella città fu fatta issare con una sorta di bilanciere per non aprire i battenti sprangati alla furia delle acque.

La struttura fu convertita in passeggiata pedonale da Maria Luisa di Borbone-Spagna (in carica dal 1815 al 1824), in modo da svolgere il ruolo di grande parco pubblico, soprattutto grazie alla sua lunghezza di oltre 4 chilometri. Il nuovo impiego delle mura si ripercosse anche sugli spazi esterni antistanti, i quali furono convertiti in grandissimi prati. Il percorso sopra la cinta muraria viene attualmente utilizzato per passeggiare e fare attività fisica, ma nella bella stagione si pone anche come palcoscenico naturale per spettacoli e manifestazioni.

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Mostra della Maiolica

Monte San Savino è un centro di antica tradizione ceramica, specializzato nella produzione di oggetti d’uso e gusto popolare. Il museo, allestito nel 1989 nella trecentesca Rocca del Cassero, attribuita a Bartolo di Bartolo, è nato dalla Mostra della Ceramica, promossa dal Comune, che si svolge annualmente dal 1971. Al materiale via via raccolto, di artisti moderni, si sono aggiunte le ceramiche arcaiche e le maioliche dal medioevo all’Ottocento, per un totale di 250 oggetti. Sono anche esposti reperti degli scavi dal Cassero, un bel Crocifisso ligneo di scuola senese del XIV secolo e una Madonna col Bambino, in marmo, del XVI secolo. È possibile visitare anche l’attigua chiesa di S. Chiara (1652), ex convento di clausura delle Clarisse, con opere di rilievo del Sansovino, dei Della Robbia e del Vasari. ( Tratto da Touring Club )

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Gastronomia: Dizionario Enciclopedico della Buona Cucina

La cucina romana tradizionale è fondata su ingredienti di derivazione rurale e contadina, di origine vegetale ed animale, preparati secondo ricette spesso tramandate di generazione in generazione in ambito familiare. Poiché si è sempre trattato di pietanze ricavate da una terra molto fertile e produttiva, destinate a soddisfare le esigenze energetiche dell’uomo impegnato nel lavoro nei campi e spesso consumate nell’ambito di una o al massimo due sedute alimentari quotidiane, le preparazioni della cucina romana sono idealmente associate a piatti particolarmente nutritivi, somministrati in porzioni abbondanti. I capisaldi di questa cucina sono i primi piatti, sia asciutti sia in brodo. Questi ultimi sono preparati con della pasta con verdure o legumi ( ceci, patate, broccoli, fagioli ), e il cosiddetto “quinto quarto”. Nei giorni di festa erano molto comuni l’abbacchio e la carne di capretto, forniti direttamente dai pastori locali. Roma è stata da sempre un mercato di consumo e non di produzione, ma la cucina romana ha avuto a disposizione le produzioni tipiche della regione, dall’olio ai maiali dell’Umbria ( i macellai che vendevano maiale si chiamavano, infatti, norcini, e fino agli anni cinquanta il maiale non si vendeva da dopo Pasqua a novembre ). Il burro nella vera cucina romana è praticamente uno sconosciuto: per ingrassare e anche per friggere si usava casomai lo strutto di maiale. Ma il condimento d’elezione è l’olio, ancora presente tra le produzioni tipiche del Lazio. Nell’antica Roma la cucina era molto semplice, a base di cereali, formaggi, legumi e frutta. Le spezie più usate erano il piper cubeba, cumino e il lingustico. I “piatti forti”, consumati dai ricchi, erano a base di carne, soprattutto di maiale. ( Wikipedia )

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Le Vie della Sete

Le “Vie della Sete” sono i sentieri tortuosi percorsi da Ardito Desio durante le scorribande scientifiche che fece, a partire dal 1926, fino al 1940 quando lo scoppio della seconda guerra mondiale gli impedì di continuare le ricerche. Attraversò più volte le aride distese del Sahara a piedi, a dorso di cammello, in camion o in aereo, per cercare, nelle viscere del deserto, le ricchezze naturali nascoste. Questo libro si legge come un romanzo, con la differenza che le avventure che vi sono descritte sono vicende vere, riprese dai suoi diari, che invitano il lettore curioso ed amante delle sensazioni forti a ripercorrerne gli itinerari. Chi viaggia oggi nel deserto libico ritrova i luoghi descritti da Desio, taluni irriconoscibili come le città e i villaggi, altri rimasti immutati nel tempo. Il nome di Ardito Desio viene generalmente legato alla spedizione italiana che ha guidato nel 1954 alla conquista del K2, la vetta più alta del mondo dopo l’Everest. Ma la conquista del K2 è solo una delle numerose imprese importanti della sua vita; un’altra, – più importante soprattutto per gli sviluppi che ha avuto a partire dall’immediato dopoguerra – è la scoperta, nel 1938, del petrolio nel Sahara libico, descritta appunto in questo libro.

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Storia della Danza Occidentale

Il testo delinea una storia della danza in Occidente assumendo come punto di partenza le forme sviluppate nell’antica Grecia per giungere sino alle esperienze a noi contemporanee. L’evoluzione della danza nelle diverse epoche è stata analizzata secondo una prospettiva largamente interdisciplinare che tiene conto non solo del mutare delle coordinate storiche e culturali dei vari secoli, ma anche della complessa rete di relazioni intercorse con il settore delle arti visive, del teatro, della musica e della letteratura. Nel suo percorso storico la danza cambia modi espressivi e funzioni, passando dalle originarie valenze magiche a componente essenziale dei rituali festivi e della pratica religiosa, per poi entrare a far parte delle forme dell’intrattenimento sociale e della sfera più direttamente spettacolare, stabilendo stretti rapporti con il mondo della lirica e del teatro, prima di giungere ad affermare la propria autonomia linguistica come espressione d´arte che trova in se stessa le ragioni della propria validità. Un percorso ampio e sfaccettato che può offrire più di un motivo d’interesse non solo per gli studenti universitari che si accostano per la prima volta a questa disciplina ma a tutti coloro che a vario titolo desiderano sviluppare una conoscenza della storia dell’arte della danza. ( Tratto da Carocci Editore )

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Il Miraggio della Terra

La prima novità è l’arco temporale, che si dilata sino a raggiungere il 1767. Cioè sino a includere il riformismo borbonico, che quell’anno caccia dall’isola i gesuiti e progetta di distribuirne le terre a «gente di campagna», così come sta accadendo nel regno di Napoli. Sono disposizioni in linea con la più avanzata cultura agraria europea, ma nell’isola la loro applicazione incontra molte resistenze. I componenti della Giunta preposta a decidere le assegnazioni assicurano che la Sicilia è «scarsa anziché abbondante di abitatori», soprattutto manca la manodopera specializzata. Assicurano che le terre dei gesuiti è meglio darle a censo «a corpo sano», senza cioè frazionare le grandi tenute: nonostante da Napoli si ordinasse di dividere i fondi ai contadini, per gran parte delle terre la Giunta rifiuta di applicare le disposizioni regie. E quando – nel 1776 – il siciliano Giuseppe Beccadelli Bologna diventa primo ministro a Napoli, subito si affretta a scegliere per sé i feudi migliori: le terre erano già state distribuite, ma il potente ministro manda i soldati per cacciare i contadini; gli insolventi, anche per piccole somme, si ritrovano con gli attrezzi e i poveri arredi confiscati. La storia tornava a scorrere nei vecchi binari, il sogno della terra era di nuovo un miraggio. ( Tratto da Repubblica )

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Simone Weil: Ritratto di un’Ebrea che si volle esiliare 

Simone Adolphine Weil ( Parigi, 3 febbraio 1909 – Ashford, 24 agosto 1943 ) è stata una filosofa, mistica e scrittrice francese, la cui fama è legata, oltre che alla vasta produzione saggistico-letteraria, alle drammatiche vicende esistenziali che ella attraversò, dalla scelta di lasciare l’insegnamento per sperimentare la condizione operaia, fino all’impegno come attivista partigiana, nonostante i persistenti problemi di salute. Sorella del matematico André Weil, fu vicina al pensiero anarchico e all’eterodossia marxista. Ebbe un contatto diretto, sebbene conflittuale, con Lev Trotsky, e fu in rapporto con varie figure di rilievo della cultura francese dell’epoca. Nel corso del tempo, legò se stessa all’esperienza della sequela cristiana, pur nel volontario distacco dalle forme istituzionali della religione, per fedeltà alla propria vocazione morale di presenziare fra gli esclusi. La strenua accettazione della sventura, tema centrale della sua riflessione matura, ebbe ad essere, di pari passo con l’attivismo politico e sociale, una costante delle sue scelte di vita, mosse da una vivace dedizione solidaristica, spinta fino al sacrificio di sé. La sua complessa figura, accostata in seguito a quelle dei santi, è divenuta celebre anche grazie allo zelo editoriale di Albert Camus, che dopo la morte di lei a soli 34 anni, ne ha divulgato e promosso le opere, i cui argomenti spaziano dall’etica alla filosofia politica, dalla metafisica all’estetica, comprendendo alcuni testi poetici. ( Wikipedia )

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Tavole Iguvine

Iguvine, tavole Sette tavole di bronzo, trovate presso il teatro romano di Gubbio nel 15° sec. e conservate nel palazzo dei Consoli, alcune scritte in alfabeto etrusco, altre in alfabeto latino, contenenti un testo in lingua umbra, che è il più importante documento per lo studio della lingua e della civiltà umbre. Risalgono in parte al 3°, in parte al 2° sec. a.C., ma la redazione del testo originale è assai più antica. Contengono descrizioni di sacrifici e statuti di una confraternita sacerdotale, che è detta dei fratelli Atiedi. ( Treccani )

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Gubbio, il fascino delle tavole eugubine

Civiltà dei Monti: Valle di Carnino

Fin dall’epoca longobarda vi operarono i monaci della potente abbazia di San Colombano di Bobbio ed al suo ricco feudo reale ed imperiale monastico, cui dipese l’abbazia di San Dalmazzo di Pedona. È costituito dalle borgate di Piaggia (capoluogo), Upega e Carnino, ossia da quella porzione del Comune di Briga Marittima che, essendo situata nell’alto bacino del Tanaro, è rimasta italiana dopo il passaggio dell’alta Val Roia alla Francia. L’attuale comune di Briga Alta mantiene il toponimo Briga in ricordo del vecchio comune, mentre Briga Marittima, attualmente denominata La Brigue, è passata alla nazione transalpina dopo la seconda guerra mondiale insieme al comune di Tenda per gli effetti dei Trattati di Parigi del 10 febbraio 1947. La vicenda è raccontata nel docufilm E ci si trova dall’altra parte di Nicola Farina. Come parte del comune unico di Briga, il territorio di Briga Alta fu parte del Dipartimento delle Alpi Marittime durante il periodo napoleonico dal 1796 al 1814. ( Wikipedia )

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Libreria Aiace Roma in via Ojetti 36 Montesacro – Nomentana – Talenti

La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Libri & Letture

Aggiornato al 17 Settembre 2022 

 

 

Leggere Leggere by Libreria Aiace Roma Montesacro

Montesacro Roma.1

Mondi Futuri

Tutti noi, quotidianamente, prevediamo o tentiamo di prevedere in qualche modo il futuro. La maggior parte delle persone, però, si interessano esclusivamente ai problemi personali e si limitano a guardare verso il futuro immediato. Soltanto pochi individui si spingono più in là, occupandosi dei problemi che riguardano gli altri abitanti del pianeta e relativi a un futuro non vicino. Eppure, avere una prospettiva globale, prevedere il futuro a lungo termine della società e del mondo intero, non è per l’«Homo technologicus» attuale solo il modo per soddisfare delle curiosità innate; bensì, ora più che mai, rappresenta soprattutto un esercizio utile per la propria sopravvivenza. Oggi, infatti, ci troviamo in una crisi di «intelligibilità»: si è creato uno scarto profondo tra ciò che bisognerebbe capire e i mezzi concettuali necessari alla comprensione, dovuto alla diversa velocità di crescita tra la tecnologia e la cultura. Il libro parla quindi del futuro dell’attuale stato di cose sul nostro pianeta, collocando l’argomento in un contesto via via sempre più ampio, soffermandosi sul futuro della civiltà tecnologica, su quello dell’Homo sapiens, del pianeta Terra, della Galassia e, infine, sul destino dell’intero universo. ( tratto da Mario Menichella )

Immagine 1 - M. Menichella, Mondi futuri, viaggio tra i possibili scenari, 2005, 10ag21

Il Sogno di una Cosa

Il sogno d’una cosa è il sogno del socialismo, della giustizia, della vera uguaglianza, del lavoro per tutti e di una ripartizione dei beni secondo meriti e bisogni, senza lo sfruttamento capitalistico del plusvalore. Pasolini è condizionato dal discorso economico e dalla valutazione marxista della realtà ma non rinuncia a fare poesia, ché quella è la sua vera cifra stilistica. Racconta due anni di vita in Friuli, a Casarsa, il luogo dove ha trascorso adolescenza e fanciullezza, dal 1948 al 1949, attraverso le vicissitudini di alcuni ragazzi del popolo – Nini, Milio, Eligio, Germano – che sognano un mondo dove ci sia giustizia e lavoro. Si sentono comunisti, ma solo perché essere comunisti è il solo modo per cercare di cambiare le cose e perché pare l’unica idea politica che contiene un sogno di giustizia sociale. I ragazzi emigrano di nascosto in Jugoslavia perché sono convinti che in un paese comunista potranno vivere liberi, lontani da una terra che ha riciclato al potere vecchi gerarchi fascisti. Sarà cocente la loro delusione quando si renderanno conto che in Jugoslavia tutto è razionato, si muore di fame più che in Italia e il lavoro scarseggia. “Quando lo faremo noi il comunismo, lo faremo meglio”, dice uno dei ragazzi mentre medita il ritorno in Italia. Pasolini è tra i primi scrittori italiani a citare le foibe e a criticare il socialismo reale, la concretizzazione di un’idea, il tradimento del sogno d’una cosa. ( Tratto da Gordiano Lupi )

 

Libri colorati

 

Cent’anni di solitudine

Cent’anni di solitudine ( Cien años de soledad ) è un romanzo del 1967 del Premio Nobel colombiano Gabriel García Márquez, considerato tra le opere più significative della letteratura del Novecento. Narra le vicende di 7 generazioni della famiglia Buendía, il cui capostipite, José Arcadio, fonda alla fine del XIX secolo la città di Macondo. La storia è narrata con uno stile elaborato e personale, ricco di prolessi che anticipano drammaticamente gli avvenimenti ancora da narrare. Attraverso un modello che unisce rigore formale e frasi sontuose, radici classiche e sperimentazione, il romanzo svelò il vitalismo di un universo di solitudini incrociate, dove si succedono i destini ineluttabili di una famiglia, romanzo nel quale, come disse Ariel Dorfman, «l’individuo è divorato dalla storia e la storia è divorata a sua volta dal mito». Il romanzo, scritto in 18 mesi è considerato l’opera maggiore dell’autore; pubblicato originariamente dalla casa editrice Sudamericana a Buenos Aires nel giugno 1967, vendette in 2 settimane ottomila copie; nei 3 anni successivi 600.000 copie. Fu in seguito tradotto in 37 lingue vendendo più di 20 milioni di copie. Lo stile del romanzo, il celebre realismo magico, e la materia tematica fanno sì che Cent’anni di solitudine diventi rappresentativo del boom latinoamericano degli anni sessanta e settanta, influenzato stilisticamente dal modernismo ( europeo e nordamericano ) e dal movimento letterario legato alla rivista cubana Vanguardia. ( Wikipedia )

Macondo

Vie e Piazze di Fiume: Cenni Storici e Aneddotici

Che dire, è tutta un’ode a Fiume, a ciò che la città è stata in un passato glorioso e allo stesso tempo doloroso per i travolgimenti che ha subito, un’ode ai suoi due millenni di storia. Si torna indietro nel tempo, a Ottaviano Augusto ( o meglio a Plinio il Vecchio e Claudio Tolomeo ) e all’antica oppidum Tarsatica; si passa poi alla “furia distruttiva” di Carlo Magno, alla lenta ascesa della città nel XVII secolo, alla sua piena affermazione nella seconda metà dell’Ottocento, per arrivare ai mutamenti del XX fermandosi al 1996 ( nel frattempo ci sono stati altri cambiamenti ). Tante “fotografie” corredate da immagini, il lavoro di Secco segue, passo per passo, l’evolversi della città di San Vito, “scatta” i suoi diversi aspetti da un’angolazione un po’ particolare: vecchie e meno vecchie carte e stampe, planimetrie, piante della città, stemmi e. e poi ci sono i rioni, le vie e le piazze con le loro intestazioni, i toponomi, i personaggi che hanno meritato ( secondo il modo di vedere dell’epoca o, molto più spesso, in base al giudizio di chi creava e decideva la politica della città, dei regimi che si sono susseguiti a Fiume ) di essere ricordati nella toponomastica. Secco non si limita a riportare le nomenclature: ricrea tante “microstorie”, propone una serie di profili dei protagonisti e dei luoghi della storia fiumana. Brevi ma complete descrizioni, un tanto quanto basta per capire, per “leggere” l’identità di Fiume. Sorvoleremo sulle “ridondanze” ( sull’impresa del Vate ), un po’ meno sull’aquila con la testa mozzata che fa da sfondo alla copertina, resta comunque un’opera valida. ( Tratto da LegaNazionale.it )

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“Arrestate l’autore!” D’Annunzio in scena

Quando nell’ottobre del 1906 andò in scena al Teatro Costanzi di Roma “più che l’amore” di Gabriele D’Annunzio interpretato da Ermete Zacconi e Ines Cristina, fu un fiasco strepitoso, il tonfo più clamoroso registrato in palcoscenico, dell’opera drammatica dell’Immaginifico. Raccontano le cronache del tempo che il pubblico inferocito, all’uscita dal teatro, si avvicinò ai carabinieri di servizio e chiese perentoriamente: “Arrestate l’autore!” Vengono illustrati aneddoti ed episodi curiosi,il ruolo innovativo svolto da D’Annunzio nella scena italiana ed europea del Novecento.

Gabriele D’Annunzio ( Pescara, 12 marzo 1863 – Gardone Riviera, 1º marzo 1938 ), è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista e patriota italiano, simbolo del Decadentismo e celebre figura della prima guerra mondiale[4][5], dal 1924 insignito da Mussolini del titolo di “principe di Montenevoso”. Soprannominato “il Vate” ( allo stesso modo di Giosuè Carducci ), cioè “poeta sacro, profeta”, cantore dell’Italia umbertina, o anche “l’Immaginifico”, occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924. È stato definito «eccezionale e ultimo interprete della più duratura tradizione poetica italiana […]». Come figura politica lasciò un segno nella sua epoca ed è considerato un importante precursore nonchè ispiratore del fascismo italiano. La sua arte fu così determinante per la cultura di massa, che influenzò usi e costumi nell’Italia – e non solo – del suo tempo: un periodo che più tardi sarebbe stato definito appunto “dannunzianesimo”.

 

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Storia dell’Industria Italiana Contemporanea

Tra il giugno 1952 e il giugno 1953 Tremelloni si impegnò nell’Inchiesta parlamentare sulla disoccupazione, da lui presieduta e personalmente diretta, che si affiancò all’Inchiesta sulla miseria in Italia. Il fondamentale rapporto (18 volumi) da lui curato, venne definito da Einaudi come “una delle cose migliori” compiute dal Parlamento italiano nella prima legislatura, ed entrò in tutte le biblioteche universitarie del mondo. Nel 1954, benché non rieletto deputato alle elezioni del 7 giugno dell’anno precedente, venne nominato Ministro delle finanze nel primo governo Scelba. Quando poi nel luglio 1955 si formò un nuovo governo presieduto da Segni, le pressioni di numerosi ambienti economici affinché Tremelloni non venisse riconfermato ministro delle Finanze ebbero successo; infatti fu sostituito da Giulio Andreotti che assicurò un’applicazione moderata dei provvedimenti fiscali approvati in precedenza. Fu tra i fondatori del CIRIEC (Centro Italiano di Ricerche e di Informazione sull’Economia delle Imprese Pubbliche e di Pubblico Interesse) il 21 febbraio 1956 a Milano dove si costituì la sezione italiana. Tremelloni ricoprì la carica di presidente di questo centro studi, il primo del suo genere in Italia, ininterrottamente dall’anno di fondazione fino al 1978. Gli studi condotti in oltre un ventennio si riferivano oltre al settore delle imprese pubbliche e alle varie modalità di presenza dello Stato nell’economia, anche alla struttura e all’operatività delle società cooperative, senza peraltro trascurare le attività svolte da organismi senza fine di lucro. Sezioni nazionali del CIRIEC esistono oggi oltre che in Italia in altri 15 Stati sparsi nel mondo. La maggioranza centrista, prima, e quella di centro-sinistra, poi, al consiglio comunale di Milano, lo nominò, a partire dall’ottobre del 1951, Presidente dell’Azienda Elettrica Municipale di Milano. ( Wikipedia )

 

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La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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Libri & Letture

Aggiornato al 17 Settembre 2022

 

Libri per Persone Curiose – Proposte by Libreria Aiace Roma Montesacro

Valtellina

Arte Preistorica in Valtellina

Situato fra i comuni di Grosio e Grosotto, nella Media Valtellina, il Parco delle Incisioni Rupestri è la più importante testimonianza del passaggio delle antiche popolazioni in Valtellina. Sulle rocce del Parco sono incise oltre cinquemila figure, le più antiche risalenti alla fine del Neolitico, al quarto millennio Avanti Cristo! Scoperta nel 1966, la Rupe Magna risulta essere una delle più grandi rocce incise dell’arco alpino con oltre 5.000 raffigurazioni, databili tra la fine del Neolitico e l’età del Ferro (I millennio a.C.). Numerosi sono i temi raffigurati sulla Rupe Magna: dalle figure antropomorfe a quelle di animali, dalle figure geometriche alle coppelle, fino ad oggetti di vita quotidiana. Il simbolo indiscusso è l’incisione che rappresenta un uomo armato di uno scudo rotondo e di una spada o bastone.
Sulla sommità del colle che domina la Rupe Magna sorgono il castello di S. Faustino e il Castello Nuovo. Il primo, il più antico, ha tra i suoi elementi di spicco il campaniletto romanico, attiguo alla piccola cappella che conserva, al centro del presbiterio, due sepolcri medievali scavati nella roccia. Il Castello Nuovo, invece, è caratterizzato da una doppia cortina di mura e da una poderosa torre interna fortificata. ( Parco delle Incisioni )

 

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Le Notti di Chicago

Uno dei primissimi libri stranieri che Vittorini pubblicò ( 1954 ) nei Gettoni dell’Einaudi fu “Le notti di Chicago”, qui riproposto nella stessa traduzione. ll mondo di questi racconti è quello dei “losers”, i perdenti: puttane, vagabondi, giocatori d’azzardo, pugili di seconda categoria. ” I politici e gli intellettuali mi annoiano ” scrisse una volta Algren, ” mi sembrano irreali; la gente che frequento è quella che mi pare vera: puttane, drogati, ladri; sono gli unici rimasti con qualcosa da dire e nessuno a cui dirlo “.

Nelson Algren ( Detroit, 28 marzo 1909 – Long Island, 9 maggio 1981 ) è stato uno scrittore e poeta statunitense. Fu un narratore dello squallore dei bassifondi di Chicago abitati da pugili, giocatori d’azzardo, immigrati soprattutto messicani e polacchi. Si inserisce, assieme a James Thomas Farrell, Richard Wright e John Hersey nella corrente del Realismo americano iniziata da Theodore Dreiser.

 

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Volterra Magica e Misteriosa

L’avventura ha inizio all’indomani del Diluvio Universale e si svolge lungo un tragitto di quaranta secoli che si dirama in diecine di itinerari attraverso l’antico territorio volterrano, al confine fra storia e leggenda, fra sacro e profano, fra bene e male, in compagnia di dei e di ninfe, di papi e imperatori, di vescovi e tiranni, di artisti ed assassini, di ladri e di beati, di santi e di eroi, di umili e di potenti che completano il fascino di Volterra: dal genio dell’Ombra della Sera alla croce di Belforte, dalle formiche alate di San Michele alle streghe di Mandringa, dalla spada nella roccia al santo chiodo di Colle, dal drago di San Verano alla tunica della Madonna, dai proiettili del Duca di Urbino al nomignolo di Lorenzo dei Medici, dal cavallo di Neri Maltragi al fantasma di Michele Marullo, dal diavolo nelle Balze ai miracoli di Pio IX, dalle paure di Carlo Goldoni al debito di Gabriele d’Annunzio.
Con lo stile del giornalista, curioso ed attento,e con l’animo del poeta, sensibile e premuroso, Franco Porretti trasforma felicemente eventi nebulosi e lontani in palpitanti avvenimenti di cronaca, accompagnando il lettore in un mondo fantastico alla riscoperta di luoghi quasi dimenticati, di cose, fatti e personaggi imbiancati dalla polvere del tempo eppur sempre protagonisti della tradizione e dell’intramontabile mito di Volterra.
Quasi per assurdo, dunque, l’autore ripropone la leggenda come il modo più efficace per avvalorare la storia e come il mezzo più piacevole per far conoscere ed amare una città meravigliosa, ricca di fascino e di suggestioni: una città in cui la malìa del passato convive con la realtà del presente in un turbinio di immagini, di volti e di vicende che la rendono veramente magica e misteriosa. ( Ezio Biagi )

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Cosmogonie & Cosmologie

Cosmogonie e Cosmologie, nel gergo comune entrambe identificano la narrazione sull’universo, dalla parte scientifica si usa impropriamente il termine cosmogonia per individuare una teoria scientifica. I significanti attendono a due aree semantiche del tutto distinte:
a) Cosmogonia: la generazione del cosmo è un racconto mitologico, istituito da un “autoritas” che racconta come siamo stati creati e il perché dell’esistenza dell’uomo. La cosmogonia risponde alle domande: perché esiste l’uomo sulla terra, quale è il suo ruolo e il rapporto dell’uomo rispetto alal natura e agli dei.
b) Cosmologia: la parola logos, interna al termine, fa prevalere l’analisi della struttura del cosmo inteso come entità totale. ( Pietro Oliva )

Parmigianino disegnatore

Parmigianino fu un grande disegnatore, paragonabile ai più grandi maestri del Rinascimento. I suoi disegni sono spesso opere finite vere e proprie eseguite con abile estro e una felice vena creativa. Essi erano destinati ad essere venduti o regalati, e spesso facevano da fonte di ispirazione per pittori di minor inventiva. Oggi si conoscono circa mille fogli attribuibili all’artista, sparsi nelle maggiori collezioni mondiali. I soggetti spaziano dal sacro al mitologico, a volte di taglio dichiaratamente erotico, talvolta raffiguranti soggetti presi dal vero, come soleva fare Leonardo. La finitezza di molti fogli ne facilitava la traduzione in stampa attraverso l’incisione, tecnica per la quale si affidava a specialisti oppure anche in prima persona. Lavorò infatti prima su supporto ligneo ( xilografia ), passando poi alla più raffinata lastra di rame ( acquaforte ). Il pregio che tali sue opere avevano sul mercato è testimoniato anche da un incidente avvenuto a Bologna, quando il suo supposto amico Antonio da Trento lo derubò di disegni e lastre. Racconta Vasari che del ladro non seppe mai più niente, ma riuscì a riavere le lastre che erano state depositate in casa di un bolognese, mentre i disegni non furono più trovati. ( Wikipedia )

Garibaldi: l’Uomo il Comandante l’Eroe

Anche se Garibaldi non ricevette una formazione militare in senso stretto, le sue imprese sui campi di battaglia, nel ruolo di comandante, gli valsero la fama e il riconoscimento di compagni e avversari. Avvicinatosi alle idee di Mazzini, nel 1834 già si faceva notare come sovversivo, organizzando un ammutinamento, fallito, della flotta sarda su cui era imbarcato. Riparò allora in Sudamerica, e qui combatté in Uruguay, Argentina e Brasile. Qui conobbe Ana Maria – la celebre Anita –, la sfortunata compagna che, distrutta dalla fatica e al quinto mese di gravidanza, non riuscì a sopravvivere alla fuga successiva al crollo della Repubblica romana, nel 1849. La fama militare di Giuseppe Garibaldi, però, raggiunse l’apice grazie alla spedizione dei Mille, l’impresa quasi epica di un migliaio di volontari che, non privi di aiuti, riuscirono a rovesciare uno dei più potenti Stati del Mediterraneo, il Regno delle Due Sicilie. Consegnato il Sud a Vittorio Emanuele di Savoia, Garibaldi schierò le sue truppe – che, dai Mille iniziali, avevano ormai raggiunto le decine di migliaia di unità ( circa 50.000 ) – a Caserta, il 6 novembre del 1860, in attesa che il re le passasse in rassegna. Vittorio Emanuele II non venne: Garibaldi, il mazziniano che aveva accettato di servire la causa italiana pur tradendo l’ideale repubblicano, ne fu enormemente deluso.

Immagine 1 - G. GARIBALDI IL GOVERNO DEI PRETI ROMANZO STORICO KAOS ED. 2006, 11L21

 

 

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Libri & Letture

 

Letture per l’Estate by Libreria Aiace Montesacro

Arbëreshë

Musica Arbereshe in Basilicata

San Costantino Albanese è una comunita’ di origine albanese. Il nome degli albanesi d’Italia è arbëresh. Secondo la tradizione, San Costantino Albanese sarebbe stato fondato da profughi Coronei, provenienti dalla città di Corone, nella Morea ( Grecia ), durante la quarta emigrazione avvenuta nel 1534, in seguito all’ occupazione dell’Albania da parte dell’impero Ottomano. Il re di Napoli li accoglie e li destina in varie parti del regno. Lazzaro Mattes, incaricato degli smistamenti, destina uno di questi gruppi presso il mandamento di Noja ( l’attuale Noepoli ). Sorge cosi’ il casale di San Costantino Albanese. Il paese è oggetto di alcuni privilegi regali: fino al 1671 i suoi abitanti sono esentati dalle tasse e dai pesi fiscali; i regnanti spagnoli vogliono premiarli per l’aiuto dato, in passato, nella battaglia contro i Turchi. Tra le cose che gli arbëreshë sentivano e sentono ancora oggi come loro peculiarita’ è la lingua, non solo come codice comunicativo ma simbolo stesso dell’etnia.
I costumi, le manifestazioni tradizionali e tutto l’ apparato folklorico e le consuetudini di vita contribuiscono, con la lingua, a caratterizzare l’ identita’ del gruppo etnico. La conservazione del rito Greco-Bizantino, fa ricadere la comunita’ sotto la giurisdizione ecclesiastica dell’ Eparchia di Lungro ( CS ).

La trasmissione della lingua e delle forme di cultura tradizionale è avvenuta per secoli secondo i meccanismi della tradizione orale, spesso all’interno delle famiglie.
Negli ultimi decenni la valorizzazione è avvenuta anche grazie a iniziative, quali corsi di lingua, iniziative culturali e musicali, promosse dalla scuola, dalle associazioni locali e dall’amministrazione comunale, nonche’ grazie a forme di volontariato.
Tra le figure più attive vanno menzionate quelle di Papas Antonio Bellusci, promotore della rivista Vatra Jone, la poetessa Enza Scutari, importante la sua azione sul piano didattico anche per quanto riguarda la valorizzazione della lingua; Pasquale Scutari per gli aspetti linguistici, Nicola Scaldaferri per quelli musicali.
A iniziare dagli anni 80 vanno menzionate varie associazioni quali il Circolo culturale Vellamja,Voxha Arbëreshe, Vatra Jone, Vjesh, tutte molto attive nella promozione di eventi di valorizzazione del patrimonio etnico, linguistico e musicale.Recentemente è stata istituita la Biblioteca di Cultura Albanese dove sono raccolti numerosi testi del mondo arbëresh. Sono presidi culturali importanti “L’Etnomuseo della Cultura Arbëreshe”, “La Casa Parco”, che ospita il Museo dell’Etnobotanica, mostre su aspetti antropologici e naturalistici, “Il Museo dell’Arte Sacra” e la Chiesa Madre con le sue splendide icone bizantine. Le manifestazioni culturali che vengono promosse sono numerose e di elevata qualita’. Uno sforzo maggiore andrebbe fatto nel campo della conservazione dell’antica lingua che andrebbe inserita anche come attivita’ didattica, insieme a tutte le altre attivita’ culturali arbëresh, gia’ praticate nella scuola. La lingua è l’elemento forte e fondante della nostra comunita’ e deve necessariamente essere tramandata alle future generazioni. ( Tratto da Regione Basilicata )

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Reggio 1970: la Rivolta

I fuochi del Sessantotto e dell’autunno caldo non sono ancora sopiti, quando scoppia, quanto mai inaspettata, una rivolta violenta nel Sud d’Italia. A Reggio Calabria i cittadini scendono in strada per protestare contro la mancata assegnazione del capoluogo regionale. È il 1970. Fra tentativi eversivi di golpe e infiltrazioni della criminalità organizzata, gruppi neofascisti, al grido di «Boia chi molla», raccoglie la bandiera dell’insurrezione: un caso unico nella storia del­l’Occidente sotto l’egida del Patto Atlantico. Cosa rimane oggi della pesante eredità di quella rivolta? Qual è stato il prezzo pagato dalla città e dal Sud? Perché con il passare degli anni una tendenza costante ha tentato di rimuovere questo episodio cruciale della vita del nostro paese? Al centro della ricostruzione storica, la memoria, collettiva e individuale, di chi la rivolta la fece, di chi la subì, e di chi invece stette a guardare. La straordinaria combinazione di fonti orali – duecento interviste raccolte direttamente dall’autore – e di documenti inediti, fra i quali quelli custoditi al Foreign Office di Londra e per la prima volta portati qui alla luce, dà vita a un affresco unico di quello che è stato il sommovimento più aspro della Prima Repubblica. Esso non riguardò solo la grande e irrisolta questione degli squilibri del Mezzogiorno, ma si inserì nel più ampio contesto nazionale, mobilitando forze politiche e sindacali, governo e opposizione, movimenti di opinione, magistratura, polizia, servizi e forze armate, e attirando in riva allo Stretto centinaia di giornalisti, chiamati a raccontare e interpretare, per mesi e mesi, quella che Pier Paolo Pasolini avrebbe definito «una guerra civile dimenticata». ( Donzelli )

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Stalin e le Grandi Purghe

Nonostante le critiche mossegli da Lenin nell’ultima parte della sua vita e il duro contrasto con Trockij, alla morte di Lenin assunse progressivamente, grazie alla sua abilità organizzativa e politica e al ruolo di segretario generale del partito, il potere supremo in Unione Sovietica. Dopo aver sconfitto politicamente prima la sinistra di Trockij, poi l’alleanza tra Trockij, Zinov’ev, Kamenev e poi la destra di Bucharin, Rykov e Tomskji, Stalin adottò una prudente politica di costruzione del “socialismo in un solo Paese”, mentre nel campo economico mise in atto le politiche di interruzione della NEP, di collettivizzazione forzata delle campagne e di industrializzazione mediante i piani quinquennali, lo stakanovismo e la crescita dell’industria pesante.

A metà degli anni trenta, in una fase di superamento delle difficoltà economiche e di crescita industriale, Stalin cominciò il tragico periodo delle purghe e del grande terrore in cui progressivamente eliminò fisicamente, con un metodico e spietato programma di repressione, tutti i suoi reali o presunti avversari nel partito, nell’economia, nella scienza, nelle forze armate e nelle minoranze etniche. Per rafforzare il suo potere e lo Stato sovietico contro possibili minacce esterne o interne di disgregazione, Stalin utilizzò il vasto sistema di campi di detenzione e lavoro ( gulag ) in cui furono imprigionati in condizioni miserevoli milioni di persone.

Dopo la vittoria Stalin, divenuto detentore di un enorme potere in Unione Sovietica e nell’Europa centro-orientale e assurto al ruolo di capo indiscusso del comunismo mondiale, accrebbe il suo dispotismo violento riprendendo politiche di terrore e di repressione. Morì a causa di un’emorragia cerebrale nel 1953, lasciando l’Unione Sovietica ormai trasformata in una grande potenza economica, una delle due superpotenze mondiali dotata di armi nucleari, e guida del mondo comunista. ( Wikipedia )

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Il Tempo dei Maghi

Lo storico della scienza Paolo Rossi definisce il secolo che va dal 1550 al 1650 come “il tempo dei maghi”. Definizione sorprendente, per chi pensa a quel secolo come al momento in cui è nata la scienza quale la intendiamo noi oggi. Tuttavia è ben vero che il pensiero magico è ancora, in quel lasso di tempo, al centro della cultura europea.
Occorre anche ricordare che nel Seicento varie corti europee costituivano centri di attrazione per maghi e astrologi, consultati dai regnanti – cui venivano talvolta attribuiti poteri taumaturgici – prima di prendere decisioni su questioni importanti quali di pace e di guerra, ma anche del tutto futili, come l’opportunità o meno di fare un bagno.
Astronomia e astrologia costituivano ancora due facce di una stessa disciplina: la prima era una scienza pratica, che aveva il compito di raccogliere dati, la seconda svolgeva la funzione di interpretare quei dati attribuendo loro dei significati. ( Tratto da Maria Pia Marenzana )

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Vita Economica di Roma nel Medioevo

Il fattore-economia riveste una primaria importanza nella società moderna, essendo un po’ la sua forza motrice. Naturalmente studiarne i vari elementi che compongono la sua particolare struttura, non può non significare un tuffo nel tempo. Poiché tutto ha radici in un «prima», l’indagine deve spingersi indietro, fino alle origini. L’economia è strettamente collegata con la storia degli uomini e dunque un’analisi del fenomeno è un’analisi dell’intero processo storico. È pur vero che, per più o meno lunghi periodi, sia per scarsa documentazione, sia per altre cause, lo studio è stato approssimativo o nullo, tuttavia a queste mancanze hanno posto – e pongono – rimedio le moderne ed accurate discipline di ricerca. La reviviscenza degli studi economici praticamente ha inizio nel secolo XVI e prosegue, in crescendo, fino ad oggi. Se già nel passato si volgeva l’attenzione indietro, verso un dato periodo dai particolari attributi, oggi, con le tecniche a disposizione, questo avviene con maggior frequenza. Così, lentamente, una tessera dopo l’altra, si ricostruisce il vasto mosaico lasciatoci in retaggio da coloro che furono. Ed una tessera, dalle sfumature inconfondibili, riguarda la Città Eterna. È la fase-passaggio dal libero Comune Romano alla Signoria dei Pontefici, periodo travagliato ma non a causa di influssi esterni: tutta «farina del proprio sacco», come si suol dire. Negli anni cui si riferisce il presente volume (1400-1607), maturano eventi non solo economicamente di rilievo, bensì di importanza civile, religiosa, politica

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Istoria del Concilio Tridentino

L’Istoria del concilio di Trento è un’opera di Paolo Sarpi, teologo, scienziato e storico veneziano (1552-1623). Sarpi, utilizzando gli archivi veneziani e documenti privati, ricostruisce le cause e le vicende del concilio nel periodo tra il 1523 e il 1563 e ne descrive l’esito. Nel breve proemio Sarpi, dopo aver esposto l’argomento dell’opera e le fonti alle quali ha attinto per scriverla, afferma che il Concilio è giunto a conclusioni opposte a quelle per le quali era stato convocato. Sarpi critica aspramente i risultati del Concilio che ha reso definitivo lo scisma tra cattolici e protestanti e ha rafforzato l’assolutismo della curia di Roma. L’Istoria del Concilio è un’opera di parte in cui Sarpi denuncia la natura politica dell’istituzione ecclesiastica e racconta la storia del suo consolidarsi come apparato di potere.

Paolo Sarpi ( Venezia, 14 agosto 1552 – Venezia, 15 gennaio 1623 ) è stato un religioso, teologo, storico e scienziato italiano cittadino della Repubblica di Venezia, appartenente all’Ordine dei Servi di Maria. Teologo, astronomo, matematico, fisico, anatomista, letterato e storico, fu tanto versato in molteplici campi dello scibile umano da essere definito da Girolamo Fabrici d’Acquapendente «Oracolo del secolo». Autore della celebre Istoria del Concilio tridentino, subito messa all’Indice, fu fermo oppositore del centralismo monarchico della Chiesa cattolica, difendendo le prerogative della Repubblica veneziana, colpita dall’interdetto emanato da Paolo V. Rifiutò di presentarsi di fronte all’Inquisizione romana che intendeva processarlo e subì un grave attentato che si sospettò essere stato organizzato dalla Curia romana, “agnosco stilum Curiae romanae”, che negò tuttavia ogni responsabilità. ( Wikipedia )

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Trompe L'oeil

Trompe-l’œil: Tecnica pittorica che crea illusione ottica

Il trompe-l’œil ( letteralmente “inganna l’occhio” ) è un genere pittorico che, attraverso espedienti, induce nell’osservatore l’illusione di guardare oggetti reali e tridimensionali, in realtà dipinti su una superficie bidimensionale. Il trompe-l’œil consiste tipicamente nel dipingere un soggetto in modo sufficientemente realistico, da far sparire alla vista la parete su cui è dipinto. Ad esempio, il trompe-l’œil trova il suo campo nella rappresentazione di finestre, porte o atri, per dare l’illusione che lo spazio interno di un ambiente sia più vasto. Se ne hanno esempi già nell’antica Grecia, nella società romana e nelle epoche successive, fino all’arte contemporanea. L’espressione trompe-l’œil pare sia nata nel periodo barocco, sebbene tale genere pittorico sia di gran lunga precedente ( si rammentino, ad esempio, opere come la Camera degli Sposi del Mantegna a Mantova, o il finto coro di Santa Maria presso San Satiro a Milano, del Bramante ). Dal punto di vista tecnico, il trompe l’œil richiede un’assoluta conoscenza del disegno, delle regole prospettiche, dell’uso delle ombre e degli effetti di luce, oltre alla perfetta padronanza dell’uso del colore e delle sfumature, tecniche ben precise e rigidamente sottoposte a regole matematiche e geometriche per ottenere l’effetto voluto. Lo studio del punto di vista dell’osservatore rispetto al dipinto è fondamentale. Pertanto, subito dopo avere scelto la superficie su cui operare l’intervento, l’artista dovrà individuare i punti di vista privilegiati, ossia i punti di vista da cui generalmente si osserva quell’area. Per esempio, se si decide di collocare il dipinto sulla parete di una stanza che sta di fronte alla porta di ingresso, si costruirà l’opera pittorica in modo da “ingannare” la percezione visiva di colui che entra nella stanza. Se l’artista desidera creare un’illusione prospettica, dovrà inoltre collocare il punto di fuga dell’immagine pittorica in corrispondenza del punto di vista dell’osservatore. L’illusione ottica è particolarmente efficace se l’osservatore si pone al centro della stanza, in corrispondenza del punto di fuga. È fondamentale, per raggiungere il massimo dell’illusorietà pittorica, tener conto delle reali sorgenti luminose dell’ambiente, la loro natura e la loro direzione, in modo che il soggetto rappresentato appaia come illuminato da quelle luci. ( Wikipedia )

Prigionieri italiani nei campi di Stalin

Il ritorno dei prigionieri, tra la seconda metà del 1945 e l’estate ’46, avvenne per lo più nell’indifferenza generale: troppe erano le ferite da rimarginare nel paese; al Nord tutti avevano combattuto o sofferto la guerra civile; ovunque la gente era impegnata nella ricostruzione e non c’erano né tempo né moti di compassione per i reduci dai lager sovietici. Di quel periodo dà oggi un quadro generale, in una ricostruzione efficace e convincente, Guido Crainz. Ad attendere i rimpatriati, pressoché a ogni arrivo alle stazioni delle diverse città, c’erano i genitori e le spose dei militari “dispersi”, di cui non si avevano più notizie, che mostravano ai reduci le fotografie dei loro cari domandando se li avevano visti e se ne sapevano qualcosa.

Il problema dei prigionieri italiani in Urss determinò nella popolazione forti tensioni sin dai primi passi compiuti dal governo Bonomi nel Regno d’Italia liberato dagli Alleati, nell’estate 1944; il motivo stava evidentemente nella assoluta mancanza di notizie su tutti i dispersi, di cui non si sapeva se fossero ancora vivi e prigionieri o se fossero morti e dove. L’esame delle carte diplomatiche italiane da quell’anno 1944 fino al 1954, compiuto di recente, ha dimostrato che il governo italiano, pur nella frammentarietà delle notizie, era tuttavia a conoscenza con una certa precisione che i prigionieri detenuti dai sovietici erano in numero ben minore di quanto l’opinione pubblica italiana sperasse. La questione dei prigionieri in Urss era trattata con particolare cautela, sia per la precaria posizione dell’Italia, almeno sino alla definizione del trattato di pace, sia per la difficoltà di rapportarsi con uno Stato molto diverso per forma di governo, per costumi e per ideologia, che considerava i prigionieri di guerra (compresi i propri cittadini detenuti in quel momento da altre potenze) come traditori della patria indegni di qualsiasi forma di attenzione. ( Tratto da Biblioteca Persicetana )

 

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Uguaglianza e Lavoro: la Società ideale di San Leucio

Una vera e propria società ideale sancita dalle “leggi del buon governo” di quello che è noto come “Il Codice Leuciano” di Ferdinando IV Re delle Sicilie. Si tratta delle emanazioni reali che sancivano le modalità comportamentali degli abitanti della Real Colonia ispirate al dispotismo illuminato della fine del ‘700.

Il sito di San Leucio era stato acquistato dai Borbone come residenza di caccia ma Ferdinando, dopo la morte prematura del suo primogenito, lo adibì a sito per la lavorazione su scala industriale della seta. Oltre alle abitazioni per i lavoratori, il progetto prevedeva strutture educative e sanitarie. Una siffatta città ideale necessitava di un codice di leggi contenente i principi fondamentali che avrebbero dovuto guidare la comunità e favorirne il florido sviluppo. Fu così che nel 1789 nacque lo Statuto di San Leucio o Codice Leuciano, un chiaro esempio di dispotismo ispirato ad ideali di uguaglianza sociale e di solidarietà. Diverse fonti riportano che il codice fu redatto dall’intellettuale Antonio Planelli, appartenente all’entourage della regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena.

Il Codice Leuciano è composto da 5 capitoli e 24 brevi paragrafi e descrive una società fondata sulla pari dignità tra i lavoratori e sul merito.

“Essendo voi dunque tutti Artisti, la legge che Io v’impongo, è quella di una perfetta uguaglianza”, si legge nel codice, l’unica distinzione tra i lavoratori è quella “che deriva dal merito”. “Nessun di voi pertanto – prosegue – sia uomo, sia donna, presuma mai pretendere a contrassegni di distinzione, se non ha esemplarità di costume, ed eccellenza di mestiere. A quest’oggetto per evitar la gara nel lusso, ed al dispendio in questo ramo quanto inutile, altrettanto dannoso, comando che il vestire sia uguale in tutti”. ( Tratto da CasertaNews.it )

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I Nobili Spiriti: Pascoli D’Annunzio e le Riviste dell’ Estetismo Fiorentino

I nobili spiriti cosí suggestivamente dipinti da Pascoli e assurti a dignità titolografica nel libro di Oliva sono i frequentatori del circolo culturale animato da Angiolo Orvieto intorno alla rivista fiorentina Marzocco; raffinati esteti rosi dal tarlo della poesia e della Bellezza , definisce l autore questi giovani intellettuali appassionatamente orientati al recupero di un ideale artistico epurato degli eccessi del tecnicismo positivistico. Vale la pena di seguire passo passo il dipanarsi dei capitoli per meglio comprendere metodologia, qualità e valore dell operazione analiticamente condotta dal critico. Le prime due sezioni del volume sono dedicate rispettivamente ai nuovi goliardi , giovani smaniosi di sapere, dediti al nomadismo intellettuale, che si muovevano tra storicismo e carduccianesimo, redattori della rivista da cui essi prendevano nome (il cui programma si leggeva nel fascicolo d apertura, 1877), seguaci del Bartoli, del Trezza, del D Ancona, e spesso non indifferenti al verbo socialista di Andrea Costa. Accomunati nel segno del ribellismo bohémien, generoso anche se un po folkloristico, e rinnovatori dell aria stantia di biblioteca , ce li dipinge un comprimario di quegli anni, Giulio Salvadori, che militerà poi nella fila degli animatori dei fogli romani sorti dietro l impulso del bizantino Angelo Sommaruga: raccolti in tre grosse divisioni, ripartiti in cento altre minori, sotto cento bandierine di carta, i ribelli furono in arme . Battaglieri contro gli sdilinquimenti della letteratura rosa di un Ferdinando Fontana, nemici del sentimentalismo deamicisiano, schierati a difesa di Carducci (di cui la rivista fiorentina ospita il Preludio delle Odi barbare) in opposizione ai suoi detrattori, tra cui il vate catanese Mario Rapisarda. Agiva in essi infatti anche l eredità degli studi severi di filologia ed erudizione di cui alti esempi Pascoli, D Annunzio e le riviste dell estetismo fiorentino 299 aveva fornito il poeta e critico cui facevano prevalentemente riferimento; eredità che trovava espressione nel prezioso lavoro informativo e divulgativo che tali goliardi dell età moderna svolgevano stilando schede, recensioni, presentazioni e sommari delle maggiori pubblicazioni periodiche italiane ed europee (di paleografia, linguistica, storia…), cosí ragguagliando i lettori sulle novità librarie, sprovincializzando cultura e gusto e preparando il campo per altri gruppi vitalissimi a Firenze, quello costituito dai redattori della Vita Nuova (Angiolo Orvieto, Giuseppe Andrea Fabris, Severino Ferrari, Ugo Fleres, Giovanni Marradi, Guido Mazzoni, Cesare Musatti, Giovanni Pascoli…), e quello del cenacolo del Marzocco  ( Tratto da Rita Verdirame )

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Il Mito di Merlino

Il mago e chiaroveggente Merlino ( in bretone: Merzhin, in gallese: Myrddin, in francese e inglese: Merlin ) è uno dei personaggi centrali del ciclo bretone e delle leggende arturiane. Fu lui l’artefice della Tavola Rotonda: grazie a un suo incantesimo, inoltre, Uther Pendragon giacque con Ygraine e così fu concepito re Artù. Fu ancora lui ad allevare Artù e condurlo fino all’ascesa al trono. Sua allieva (e rivale nelle versioni più recenti dei racconti arturiani) fu Morgana ( Morgan Le Fay ), un altro personaggio magico importante della tradizione arturiana.

Nella letteratura in lingua gallese vi sono in effetti due diversi personaggi di nome Merlino ( Myrddin ): Myrddin Wyllt ( Merlino «il Selvaggio» ), un pazzo nordico che non ha alcuna relazione specifica con il ciclo di Artù, e Myrddin Emrys ( Merlino «il Saggio» o Caledonensis ). La rappresentazione standard di questa figura comparve per la prima volta nella Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth ( 1136 circa ) ed è basata sulla fusione di precedenti figure storiche e leggendarie: Goffredo, infatti, combinò le storie esistenti su Myrddin Wyllt con i racconti su Ambrosio Aureliano per formare la figura che egli chiama Merlino Ambrosio. Fu proprio Goffredo a porre in relazione per la prima volta Merlin con la saga arturiana, di cui Merlino divenne in seguito uno dei personaggi più importanti.

La versione goffrediana di questa figura divenne subito popolare e gli autori successivi ampliarono poi questi elementi così da produrre un’immagine più completa del mago. La sua biografia tradizionale lo vuole figlio di un demone e di una donna mortale che alla nascita ereditò dal padre i suoi poteri. In alcune versioni delle leggende fu il consigliere di Artù fino a che fu imprigionato dall’allieva di cui era innamorato, Viviana (la Dama del Lago), mentre in altre egli se ne andò lontano per vivere felicemente con lei.

Se il pubblico moderno conosce Merlino secondo lo stereotipo del mago buono con cui viene rappresentato, tra l’altro, da Walt Disney ( nella Spada nella roccia ), molte fonti medievali forniscono di questo personaggio un’immagine ben diversa: egli appare inquietante, calcolatore, imperscrutabile, talvolta persino diabolico. ( Wikipedia )

 

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Libreria Aiace in via Ojetti 36 Montesacro Talenti – Roma

La libreria Aiace di via Ugo Ojetti 36, Roma, è un punto speciale per i lettori e le lettrici di Roma. Ci potete trovare saggi, romanzi, riviste, raccolte di poesie a prezzi incredibili, perché la caratteristica comune a tutti questi libri è che sono usati. Nessun imbarazzo, quindi: aprendo a caso una pagina o iniziando a divorare il testo non si ha la sensazione di profanare qualcosa di sacro che andrebbe conservato così com’è, bianco, immacolato e senza orecchie laterali. Qualcuno prima di voi ha già letto quel libro e lo ha già arricchito di quella patina antica che lo rende così prezioso.

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van Gogh

Il mistero Van Gogh

Van Gogh era davvero un pittore reietto, un rifiuto della società ? Com’è possibile che un artista capace di raggiungere oggi quotazioni da record, durante la vita non sia mai riuscito a trovare estimatori e collezionisti che acquistassero i suoi dipinti ?

La più completa fonte primaria per la comprensione di Van Gogh come artista e come uomo è Lettere a Theo, la raccolta di lettere tra lui e il fratello minore, il mercante d’arte Théo van Gogh, con il quale intratteneva un rapporto particolarissimo e intimo: Théo, infatti, fornì a Vincent sostegno finanziario ed emotivo per gran parte della sua vita. La maggior parte di ciò che ci è noto sul pensiero di Van Gogh e sulle sue teorie d’arte è scritto nelle centinaia di lettere che lui e il fratello si scambiarono tra il 1872 e il 1890: più di seicento da Vincent a Théo e quaranta da Théo a Vincent.

Il patrimonio epistolare di Vincent e Théo, si è detto, è una documentazione fondamentale, non solo perché raccoglie notizie determinanti per ricostruire la personalità e le tormentate vicende esistenziali del pittore (profilandosi, dunque, come un vero e proprio «lessico familiare»), ma anche perché consente di comprenderne a pieno le concezioni artistiche. Tra il mondo pittorico e quello letterario di Van Gogh, invero, correva una forte compenetrazione: in ragione della celebre formula oraziana ut pictura poësis, infatti, il pittore nelle proprie missive commentò molto dettagliatamente i propri capolavori, che infatti dispongono quasi sempre di una riflessione epistolare in merito al soggetto, all’apparato cromatico, alle circostanze gestative. Anche se molte di queste lettere non sono datate, gli storici dell’arte sono stati in grado di ordinarle cronologicamente. Il periodo in cui Vincent visse a Parigi è il più difficile da ricostruire per gli storici, poiché i due fratelli, vivendo insieme, non ebbero bisogno di scriversi.

Oltre alle lettere da Vincent per Théo ne sono state conservate altre e, in particolare, quelle a Van Rappard, a Émile Bernard e alla sorella Wil. Il corpus di lettere è stato pubblicato nel 1913 dalla vedova di Théo, Johanna van Gogh-Bonger, che le rese pubbliche con molta cautela, perché non voleva che il dramma nella vita dell’artista mettesse in ombra il suo lavoro. Van Gogh stesso era un avido lettore di biografie di altri artisti e pensava che la loro vita dovesse essere in linea con le caratteristiche della loro arte fantastica, anche se talvolta poco seria.

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Morte sullo Stretto – Terremoto Messina Reggio Calabria

Il 28 dicembre 1908 è una data storica ed indelebile per lo Stretto, quella fascia di mare che divide Scilla e Cariddi. Alle ore 05:20 un boato pazzesco ed un tremore incredibile rase al suolo Reggio Calabria e Messina. Fu uno dei terremoti più forti di sempre in Italia. Oltre il sisma, fu un impressionante tsunami a fare il resto con onde sino a 13 metri di altezza. Il dramma fu completo ed i morti oltre 100 mila, tra coloro che si erano ammassati sulle coste per evitare i crolli di case e palazzi. Le località più colpite furono Pellaro, Lazzaro e Gallico sulle coste calabresi; Briga, Paradiso, Sant’Alessio e fino a Riposto su quelle siciliane. Questa la relazione al Senato del Regno sul terremoto calabro-siculo del 1908: “un attimo della potenza degli elementi ha flagellato due nobilissime province – nobilissime e care – abbattendo molti secoli di opere e di civiltà. Non è soltanto una sventura della gente italiana; è una sventura della umanità, sicché il grido pietoso scoppiava al di qua e al di là delle Alpi e dei mari, fondendo e confondendo, in una gara di sacrificio e di fratellanza, ogni persona, ogni classe, ogni nazionalità. È la pietà dei vivi che tenta la rivincita dell’umanità sulle violenze della terra. Forse non è ancor completo, nei nostri intelletti, il terribile quadro, né preciso il concetto della grande sventura, né ancor siamo in grado di misurare le proporzioni dell’abisso, dal cui fondo spaventoso vogliamo risorgere. Sappiamo che il danno è immenso, e che grandi e immediate provvidenze sono necessarie”. I soccorsi arrivarono in ritardo non essendoci un’organizzata protezione civile come ai nostri giorni: il 29 dicembre navi russe e inglesi aiutarono i superstiti mentre gli italiani arrivarono dopo. Insomma, si consumò una tragedia di proporzioni sbalorditivi con intere generazioni spazzate vie. ( Tratto da StrettoWeb.com )

 

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Mario Luzi: Tutte le Poesie

L’IMMENSITA’ DELL’ATTIMO –  Quando tra estreme ombre profonda / in aperti paesi l’estate / rapisce il canto / e gli armenti / e la memoria dei pastori e ovunque tace / la secreta alacrità delle specie, i nascituri avvallano / nella dolce volontà delle madri / e preme i rami dei colli e le pianure / aride il progressivo esser dei frutti. / Sulla terra accadono senza luogo, senza perché le indelebili verità, in quel soffio ove affondan leggere il peso le fronde le navi inclinano il fianco e l’ansia dè naviganti a strane coste, il suono d’ogni voce perde sé nel suo grembo, al mare al vento.

Mario Luzi è nato a Castello ( allora frazione di Sesto Fiorentino ) nel 1914 ed è morto nel 2005 a Firenze, città centrale nella sua vita e dove si era laureato in letteratura francese con una tesi su François Mauriac. A Firenze, aveva stretto amicizia con Piero Bigongiari, Alessandro Parronchi, Carlo Bo, Leone Traverso, Oreste Macrì, nell’avventura ermetica. Collaborava alle riviste d’avanguardia come Frontespizio, Campo di Marte, Paragone e Letteratura. Uscì nel 1935 la sua prima raccolta poetica La barca. Seguirono: Avvento notturno (1940), Un brindisi e Quaderno gotico (1947), Primizie del deserto (1952), Onore del vero (1957), tutti poi raccolti in Il giusto della vita (1960). Nel magma (1963, seconda ed. ampliata 1966) costituì una svolta importante nella sua poesia, per il passaggio da un modo lirico ad uno poematico e drammatico. Dopo Dal fondo delle campagne (1965), che raccoglie poesie precedenti (di fine anni Cinquanta), l’evoluzione poematica si sviluppa nei libri: Su fondamenti invisibili (1971), Al fuoco della controversia (1978), Per il battesimo dei nostri frammenti (1985), Frasi e incisi di un canto salutare (1990), Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994), Sotto specie umana (1999), Dottrina dell’estremo principiante (2004). Postumi i versi di Lasciami non trattenermi (2009), a cura di Stefano Verdino. Da Garzanti infine Tutte le poesie (2014), dal 1935 al ’94 e Poesie ultime e ritrovate (2014), a cura di Stefano Verdino. L’opera poetica (Mondadori, Milano 1998) correda le poesie dal 1935 al ’94 con un ricco apparato di commento.

 

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Cronache del Genio Alpino

ll periodo preso in esame dalla presente edizione inizia pertanto nel 1935 e giunge sino al 2005 e testimonia i grandi cambiamenti avvenuti nel Genio Alpino. Dai Battaglioni Misti delle Divisioni Alpine del periodo della Seconda Guerra Mondiale, alle Compagnie Genio Pionieri di Brigata Alpina del primo dopoguerra – diventate poi guastatori – per passare ai Battaglioni Genio Supporto del 4° C. A. Alpino ed agli attuali Reggimenti Genio Guastatori Alpini inquadrati nelle Brigate “Julia” e “Taurinense”.

Il libro, che consta di ben 789 pagine, comprende tutta la precedente edizione ed è stato arricchito soprattutto per quanto attiene al periodo delle Compagnie Genio di Brigata Alpina e seguenti. Molti Genieri Alpini in servizio ed in congedo avranno pertanto modo di ritrovarsi, se non proprio citati singolarmente, quanto meno nella descrizione di fatti che li hanno visti protagonisti.

Ma l’arricchimento si è esteso anche al periodo della Seconda Guerra Mondiale con l’inserimento di un racconto “Spokòinoi noci (Serena Notte)” di Renzo Mazzoni, riferito al I° Battaglione Artieri per C. A. Alpino, oltre ad un intero capitolo dedicato al Battaglione Genio Guastatori Alpino “Valanga” in cui rifulge la figura di Manlio Maria Morelli.

Nella parte finale del libro è stato inoltre inserito un nuovo capitolo a firma del Gen. Gualtiero Stefanon, dedicato alla leggendaria figura del Col. Paolo Caccia Dominioni, morto a Roma il 12 agosto 1992 ma ancora vivissimo nel libro, con i suoi scritti a suo tempo inseriti nella prima edizione e con i suoi disegni che anche in questa nuova versione ornano le pagine iniziali dei vari capitoli.

Il titolo stesso del libro “Cronache …..” lascia chiaramente intendere che il lettore non dovrà pretendere un trattato dal fedele rigore storico ma semplicemente una raccolta di racconti di momenti particolari, di pagine di diario storico dei reparti, di descrizioni di figure spesso dimenticate o ignorate dalla storia ufficiale ma che tanto hanno fatto per l’Arma del Genio e per la nostra Patria. ( Tratto da Gruppo Alpini Salce )

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Pearl Harbor 1941: Tora! Tora! Tora!

L’ammiraglio Isoroku Yamamoto, comandante delle “flotte riunite”, conoscendo le potenzialità economiche e belliche degli Stati Uniti, è scettico sulla possibilità del Giappone di vincere la guerra ma, una volta esaurite le possibilità di pace offerte dalla diplomazia, inizia scrupolosamente a preparare un attacco contro la flotta americana, che da San Diego si è spostata a Pearl Harbor, minacciando le rotte giapponesi. La preparazione del piano d’attacco viene affidata a due giovani ufficiali, il capitano di vascello Mitsuo Fuchida ed il capitano di fregata Minoru Genda, mentre le operazioni navali vengono elaborate dal capitano di vascello Kameto Kuroshima; queste prevedono l’invio di sei portaerei, scortate da una squadra di corazzate, incrociatori e cacciatorpediniere, rifornita in mare durante il tragitto che separa il mar del Giappone dalle isole Hawaii.

La squadra giapponese giunge a destinazione indisturbata e senza che l’ammiraglio Husband Kimmel, comandante della flotta del sud Pacifico di stanza a Pearl Harbor, riceva comunicazione dell’attacco imminente e il mattino del 7 dicembre 1941 gli aerei giapponesi giungono sulla rada, comunicando il messaggio in codice Tora! Tora! Tora! che indica la riuscita dell’attacco a sorpresa, e, in due ondate, infliggono danni rilevanti alle corazzate presenti alla base, affondando la Arizona e la Oklahoma, ma mancando l’obiettivo principale ossia le portaerei Enterprise, Lexington e Saratoga che al momento dell’attacco erano in navigazione.

L’ammiraglio Chūichi Nagumo, comandante della squadra navale, in un eccesso di prudenza evita di lanciare la terza ondata, prevista per distruggere i depositi di carburante dell’isola e per proseguire nella ricerca delle portaerei, allo scopo di riportare intatte in Giappone le navi che saranno utilizzate per il conflitto appena iniziato e ordina di invertire la rotta. L’ammiraglio Yamamoto, pur soddisfatto per la riuscita dell’attacco a sorpresa, non riesce a nascondere ai suoi ufficiali la preoccupazione per la guerra contro gli Stati Uniti, aumentata dal sentimento di reazione che nascerà nella popolazione a causa della dichiarazione di guerra presentata dopo l’attacco, sostenendo che è come avere destato un gigante assopito, infondendogli la volontà di combattere e vendicarsi. ( Wikipedia )

 

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La Dolce Vita

Nei tardi anni cinquanta, Roma è una città viva, ripresasi dalle sofferenze e dalle ristrettezze della Seconda guerra mondiale. Sono gli anni del boom economico, esplode la voglia di vivere e di godersi la bellezza, il clima e i divertimenti di una delle città più belle del mondo. A Cinecittà si girano film italiani ma soprattutto produzioni cinematografiche americane, sia per i costi più bassi rispetto ad Hollywood, sia per la legge italiana che non consentiva l’esportazione all’estero dei guadagni degli incassi dei film spingendo le principali case produttrici cinematografiche statunitensi a reinvestirli nella produzione in Italia per poi distribuire i film in tutto il mondo.

Erroneamente si fa coincidere l’inizio della Dolce vita con un evento, la festa privata tenutasi al ristorante Rugantino di Trastevere il 5 novembre del 1958 per il ventiquattresimo compleanno della contessina Olghina di Robilant.

Nel corso della festa la ballerina turco-armena Aïché Nana improvvisò un inatteso spogliarello che venne ripreso dai fotografi ‘imbucatisi’ alla festa. I rullini vennero sequestrati dagli agenti di polizia presenti alla festa su richiesta della stessa di Robilant ma alcuni rullini che ritraevano Aiché Nanà seminuda sfuggirono ai controlli in particolare quello con le fotografie fatte da Tazio Secchiaroli che, pubblicate dal settimanale l’Espresso, destarono un enorme scandalo ed ebbero persino uno strascico giudiziario. ( Wikipedia )

 

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Le Serate di Pietroburgo

Le serate di San Pietroburgo, o Colloqui sul governo temporale della Provvidenza è un dialogo, capolavoro letterario di Joseph de Maistre, pubblicato postumo dal figlio Rodolphe nel 1821. Nell’opera, suddivisa in undici colloqui fra tre personaggi immaginari, (il Conte, piemontese; il Senatore, russo; il più giovane Cavaliere, francese) si mettono in scena discussioni fra i tre detti personaggi, che si trovano ad affrontare i più svariati temi relativi al senso della vita, della morte e della storia, oltre che del bene e del male e delle loro conseguenze. Probabilmente il personaggio del Conte è il de Maistre stesso e gli altri due personaggi sono ispirati a persone che l’autore conobbe durante il suo soggiorno a San Pietroburgo a causa dell’esilio patito a seguito dei successi napoleonici in Europa, anche se secondo alcuni il De Maistre sarebbe sia il Conte che il Senatore, rappresentandone il primo l’animo cattolico ed il secondo quello esoterico. Il testo è spesso citato per il famoso “elogio del boia” presente al suo interno. L’opera è considerata il capolavoro del pensiero reazionario e controrivoluzionario. Nello stesso vengono criticate le espressioni politiche, filosofiche, scientifiche e letterarie moderne con i loro ineluttabili eccessi secolaristi e irreligiosi, contrapponendo alle stesse le verità tradizionali, la dottrina cattolica e la filosofia cristiana (platonica e aristotelico-tomistica). Fra i filosofi più bersagliati dalla pungente penna del de Maistre ci sono soprattutto Voltaire e Locke, esponenti dell’illuminismo che aveva causato la Rivoluzione francese, considerata il peggiore dei mali ed un castigo per i peccati e la poca Fede dell’Europa e della Francia. ( Wikipedia )

 

 

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Freud

Freud: Opere 1886-1895

Questo primo volume delle Opere di Sigmund Freud si apre con la Relazione sui miei viaggi di studio a Parigi e a Berlino e si conclude con gli Studi sull’isteria, scritti in collaborazione con Josef Breuer. Oltre alla «Comunicazione preliminare», scritta a quattro mani, il testo contiene i casi clinici di isteria trattati e firmati da ciascuno dei due autori. Si tratta di un lavoro di estremo interesse, perché vi è concentrata la matrice della psicoanalisi; vi si trovano sovrapposte le varie fasi di sviluppo della tecnica psicoanalitica: l’uso dell’ipnosi nella diretta inibizione dei sintomi, e poi per l’esplorazione di remote esperienze dimenticate, e infine la sua sostituzione con la nuova tecnica d’indagine che diventerà la psicoanalisi. Per la loro ricchezza concettuale, gli Studi sull’isteria fanno presagire i futuri sviluppi della dottrina freudiana, e il lettore ha l’impressione di assistere concretamente alla nascita della psicoanalisi. ( Boringhieri )

 

Un po’ di Emozioni di Fernanda Pivano

C’è un libro dal titolo Un po’ di emozioni ( Fandango ), in cui per la prima volta Fernanda Pivano si racconta liberamente, parla di sentimenti e di vita. L’infanzia a Genova e la giovinezza a Torino, poi Milano e il primo viaggio in America a 20 anni. I suoi amori, la lotta partigiana, ma anche i viaggi in Oriente.

” Ho preferito lasciarle indovinare delle storie, dei personaggi, dei luoghi raccontati. Quello che mi sono chiesta io è stato come sarei riuscita a descrivere lo sconquasso dei miei sentimenti quando mi sono ritrovata, finalmente, sulla tomba di Hemigway e su di quella di Kerouac, o sulla lapide di Ginsberg; o quando ho rivisto la City Lights, quasi irriconoscibile se non fosse stato per le insegne orgogliose di un passato diventato glorioso, uguali a quelle che accoglievano quarant’anni fa poeti animati da sogni e speranze che parevano troppo dirompenti per venire accettati. O forse soltanto capiti. A farmeli capire erano state le mie emozioni, così simili alle loro, isolate in una esistenza che non avrebbe potuto essere più diversa dalla loro nella mia ambigua posizione di vittoriana anarchica che mi aveva permesso, vent’anni prima, di affondare nei sogni e nelle speranze dello scrittore che ha cambiato il modo di scrivere su tutto il Pianeta, come questi poeti ne hanno cambiato il modo di vivere. “

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Storia del Buddhismo

Secondo la tradizione buddhista, il Buddha storico, Siddhārtha Gautama (sanscrito) o Siddhattha Gotama (pāli), del clan dei Śākya, nacque nella cittadina di Kapilavastu (sanscrito) o Kapilavatthu (pāli), odierna Tilaurakot, nel Nepal, all’inizio dell’epoca di Magadha (546-324 a.C.); è perciò anche chiamato Śākyamuni (“saggio dei Śākya”).

Dopo una giovinezza spesa nel lusso sotto la tutela del padre Śuddhodana, re di Kapilavastu (in seguito inglobato dallo stato di Magadha), Siddhārtha entrò in contatto con la realtà del mondo e concluse che la vita reale fosse fatta di ineluttabile sofferenza; rinunciò così alla sua vita di agi per diventare un asceta dedito all’automortificazione. Compresa però l’inutilità di questa pratica, cercò di trovare una propria strada, un cammino di moderazione distante dagli estremi di auto-indulgenza e auto-macerazione.

Sotto un fico sacro, oggi conosciuto come Albero della Bodhi, fece voto di meditare immobile finché non avesse trovato la Verità; dopo tre giorni e tre notti ottenne l’Illuminazione, ma restò nel luogo per altre sette settimane ponderando le sue scoperte. Dopo di ciò, cominciò a viaggiare nella pianura del Gange insegnando la sua dottrina (Dharma) e raccogliendo discepoli da tutte le caste e popolazioni, e fu chiamato o si fece chiamare Buddha, cioè Risvegliato. Poiché tutte le correnti buddhiste riconoscono l’esistenza di altri Buddha oltre a quello storico, è più corretto indicarlo come Gautama Buddha o, come viene spesso indicato in diversi sutra, Buddha Śākyamuni. ( Wikipedia )

 

1943 Declino e caduta della Wehrmacht

Il 1943 fu l’anno horribilis della Wehrmacht. La sconfitta in Tunisia, lo sbarco alleato in Sicilia, la battaglia di Kursk, l’avanzata sovietica a Orel e, infine, lo sbarco a Salerno, furono eventi che segnalarono l’impossibilità, per le forze armate naziste, di vincere la guerra.

La Wehrmacht non stava difendendo la madrepatria, bensì stava combattendo per mantenere conquiste remote, conseguite con una brutale guerra di aggressione.

Eppure l’elite militare tedesco-prussiana, figlia di una cultura bellica basata sul concetto della guerra di movimento e sul principio che la forza di volontà del comandante può prevalere sulle condizioni avverse, fece un respiro profondo e sperò che con qualche accorgimento tattico ed un po’ di fortuna le sorti del conflitto non fossero segnate.

Il conflitto durò ancora due anni, e la responsabilità di ciò è da addebitarsi non solo alla “follia” hiitleriana, ma anche e soprattutto alla casta degli ufficiali prusso-tedeschi che non potevano neppure immaginare di perdere la guerra, perché ciò avrebbe significato far perdere senso e significato al loro gruppo di potere.

Come disse un generale tedesco alla vigilia dello sbarco alleato in Sicilia: “un immediato e temerario assalto verso il nemico, è questa la mia specialità”. E per eseguire questa “Totenritt”, questa cavalcata mortale, la fede doveva sostituire il pensiero razionale: bisognava insomma smettere di pensare. ( Centro Eirene )

Gregory Corso: Poesie – Beat generation

Nato da madre abruzzese e da padre calabrese, fu uno dei poeti statunitensi della Beat Generation, come Kerouac, Ginsberg, Ferlinghetti e Burroughs.
Giramondo come i suoi colleghi più noti, Jack Kerouac e Allen Ginsberg, si avvicinò alla cultura ed alla letteratura nel periodo in cui entrava ed usciva dal riformatorio “…era leggendo Shelley in un carcere minorile che aveva cominciato a scrivere poesie, a sognare la Bellezza con la B maiuscola, a immaginare mondi stellati non legati ai fili della logica inesplicabili”.  «Beat è il viaggio dantesco, il beat è Cristo, il beat è Ivan, il beat è qualunque uomo, qualunque uomo che rompa il sentiero stabilito per seguire il sentiero destinato»
Di Gregory Corso, la scrittrice Fernanda Pivano disse: ” insolente al di là del sopportabile e strafottente nella più assoluta imprevedibilità qualunque cosa abbia detto o scritto ha sempre rivelato il dono di non dire mai una sciocchezza”.
Diceva di lui invece Jack Kerouac: “Gregory era un ragazzino duro dei quartieri bassi che crebbe come un angelo sui tetti e che cantava canzoni italiane con la stessa dolcezza di Caruso e Sinatra”. ( Wikipedia )

Tutta Casa Letto & Chiesa

Si tratta di sei monologhi scritti da Dario Fo e Franca Rame e recitati da quest’ultima. Il contenuto fa riferimento alla condizione femminile, e dal ’77 all’85 modifica i propri contenuti in funzione degli eventi politici che coinvolgono la società civile.
Tra i monologhi: Una donna sola; La mamma frichettona; Abbiamo tutte le stessa storia; Medea.
La mamma frichettona
Il monologo inizia con la donna che per sfuggire alla polizia nel corso di una manifestazione, entra in una sagrestia e finge di confessarsi. Si tratta di una donna della normale borghesia che a suo tempo ha avuto un figlio, che ha cresciuto con tanto amore. Ma il figlio, crescendo, a scuola, assieme ai suoi compagni si arruola nella contestazione, partecipa a manifestazioni, subisce cariche della polizia, viene ferito dalle manganellate. Inutilmente la mamma cerca di metterlo in guardia, di sconsigliarlo. Alla fine pensa che l’unica cosa per proteggerlo è quella di seguirlo. E così anche lei entra nelle manifestazioni, più o meno violente, subisce le cariche della polizia, e alla fine, in una di quelle più aggressive, finisce di perdere il figlio, del quale non riesce ad avere più alcuna notizia. Finisce per entrare in comunità di tipo hippies, prova la droga, l’hascis, poi la distribuisce, diventa quasi una celebrità: la mamma frichettona. Il rapporto con il figlio, che all’inizio è stata la causa del suo scendere in piazza, alla fine diventa un rapporto analogo a quello che ella ha con tutti i giovano contestatori che finiscono per trovare in lei una specie di guida.
Medea
È il racconto di Medea, che aiuta Giasone a conquistare il vello d’oro, e poi parte con lui dopo avere ucciso il fratello e il genitore che si opponevano. I due convivono e hanno due figli. Col passar del tempo, Medea invecchia, e il suo diventa il destino di tutte le donne: quando invecchiano il loro uomo si sente autorizzato ad abbandonarle per andare a vivere con una più giovane. In questo caso, Giasone sposa la figlia del re. Medea si ribella, la trova una ingiustizia, ma tutti la invitano ad accettare il destino: ci sono due figli da allevare, d’altra parte Giasone è un uomo e agli uomini tutto è permesso. Ma Medea non ci sta. Capisce che figli, che pure lei ama spasmodicamente, sono il giogo che l’uomo mette sul collo della donna per costringerla a subire la sua volontà. E allora prende la decisione atroce: uccide i due bambini, liberandosi dal giogo e vendicandosi di Giasone. Poi su un carro alato si alza e si dilegua nel cielo.
Tratto da http://www.dicoseunpo.it/

 

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Aggiornato al 20 Settembre 2022

I 23 Giorni della Città di Alba & altre Letture: Libreria Aiace Roma Montesacro

 

Alba ( Cuneo )

Beppe Fenoglio

Alla fine della guerra, Fenoglio riprese per un breve tempo gli studi universitari prima di decidere, con grande rammarico dei genitori, di dedicarsi interamente all’attività letteraria. Al referendum istituzionale del 1946 vota per la monarchia.

Nel 1949 comparve il suo primo racconto, intitolato Il trucco e firmato con lo pseudonimo di Giovanni Federico Biamonti, su Pesci rossi, il bollettino editoriale di Bompiani. Nello stesso anno presentò a Einaudi i Racconti della guerra civile e La paga del sabato, romanzo che ottenne un giudizio molto favorevole da Italo Calvino. Nel 1950 conobbe a Torino Elio Vittorini, che stava preparando per Einaudi la nuova collana “Gettoni”, ideata per accogliere i nuovi scrittori; nella stessa occasione Fenoglio conobbe di persona Calvino ( con il quale aveva intrattenuto fino a quel momento solamente una cordiale corrispondenza ) e Natalia Ginzburg.

Incoraggiato da Vittorini, riprese La paga del sabato e ne attuò una nuova stesura, ma a settembre abbandonò definitivamente il romanzo per organizzare una raccolta di dodici racconti, alcuni dei quali già inclusi nei Racconti della guerra civile. Nel 1952 la raccolta di racconti uscì, nella collana “Gettoni”, con il titolo I ventitré giorni della città di Alba. L’anno seguente Fenoglio completò il romanzo breve La malora, pubblicato ad agosto 1954.

Seguì un’intensa attività come traduttore dall’inglese: nel 1955 uscì sulla rivista Itinerari la traduzione de La ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge. Iniziò intanto un grosso romanzo sugli anni 1943-1945, che presentò in lettura all’editore Garzanti nell’estate del 1958. Nell’aprile del 1959 uscì, nella collana “Romanzi Moderni Garzanti”, Primavera di bellezza; firmò con Livio Garzanti un contratto quinquennale sui suoi inediti. Nello stesso anno ricevette il premio “Prato” e iniziò a scrivere un nuovo romanzo di argomento partigiano.

I ventitré giorni della città di Alba

Sei racconti sono dedicati ad episodi della guerra partigiana, altri sei sono descrizioni della vita nell’Italia contadina durante e dopo la seconda guerra mondiale ( 1939-1945 ).

La pubblicazione della raccolta, avvenuta nel 1952, segna l’esordio letterario di Fenoglio. La raccolta era originariamente intitolata Racconti della guerra civile, ma per ragioni d’opportunità[1] il titolo venne cambiato in I ventitré giorni della città di Alba, dal titolo del primo episodio.

Questo narra della conquista partigiana di Alba, avvenuta il 10 ottobre 1944. Privi degli aiuti alleati, i partigiani resistono poche settimane prima di cedere nuovamente la città all’esercito della Repubblica Sociale Italiana il 2 novembre successivo, dopo, appunto, 23 giorni.

La conquista di Alba da parte delle formazioni autonome delle Langhe fu il coronamento di mesi e mesi di lotta sulle colline, che avevano ridotto il presidio fascista al lumicino, quasi confinato all’interno della città; le truppe, quindi, furono costrette ad abbandonarla e lo fecero in modo ordinato e concordato il 10 ottobre, grazie all’intervento della curia diocesana, incalzati dai partigiani che si apprestavano ad entrare trionfalmente per le vie, salutati poi dalla popolazione festante e dal suono delle campane di tutte le chiese cittadine. Questa occupazione militare diede molto fastidio alle alte autorità fasciste, da Torino fino a Salò, che subito pensarono al modo di rientrare in possesso della città; una zona libera di questo tipo non poteva esistere, perché rappresentava una vera “macchia” al prestigio della Repubblica Sociale Italiana, per questo motivo alla riconquista non parteciparono truppe tedesche ma solo italiane, in particolare reparti anti-partigiani dei RAU ( Reparti Arditi Ufficiali ), formazioni della GNR ( Guardia Nazionale Repubblicana ) e delle Brigate nere, un plotone di cavalleria e alcuni reparti della Xª MAS ( Bgt. Lupo e 1^ e 2^ Cp. Btg. Fulmine ). I partigiani, che diedero vita a un governo civile mantenendo l’ordine e i commerci, controllavano soprattutto le rive del fiume Tanaro a nord e l’ingresso della città dalla direttrice sud, mentre tutto il fianco ovest si pensava fosse ragionevolmente sicuro per la presenza del fiume in piena e, soprattutto, per via del crollo del ponte in località Pollenzo, a pochi km di distanza, dopo lo scoppio di una mina; il ponte (di corde), però, fu distrutto solo in parte e, sotto il controllo delle SS del capitano Wesser (di stanza nel castello della cinta reale di Pollenzo ), fu presto riparato a loro insaputa. La notte del 2 novembre esso fu percorso dalle truppe fasciste, che raggiunsero la città da sud e l’aggirarono da est, sulle colline, mentre un altro gruppo passò il fiume su un ponte di barche e penetrò dalla direzione ovest. L’allarme fu dato già di primo mattino da un uomo che riuscì a sfuggire alle avanguardie fasciste che avevano freddato i suoi tre compagni, in località Toetto, mentre si riparavano dalla fitta pioggia sotto la tettoia di una chiesetta ( Fenoglio scrive che stavano giocando a carte ). I partigiani attesero le avanguardie fasciste concentrandosi sulla linea sud di cascina San Cassiano, dove esistevano alcune trincee, ma presto si accorsero che il nemico li stava aggirando da est, perché da lì cominciò a sparare, e smisero una dopo l’altra le mitragliere che avevano appostato su alcune posizioni dominanti ( villa Monsordo, Castelgherlone ) sulla sinistra. Colti in inferiorità numerica e con gravi difficoltà logistiche, dovute soprattutto alle avverse condizioni meteorologiche, i partigiani ripiegarono su un’altura ( loc. villa Miroglio ) per poi defilarsi nuovamente nella Langa. I fascisti, penetrati in Alba senza il saluto della popolazione, “andarono personalmente a suonarsi le campane”

Il racconto di Fenoglio appare disincantato e privo della retorica che regnava in quegli anni attorno alla Resistenza. I partigiani erano dipinti come giovani combattenti semplici, talvolta feroci, privi di quell’alone di eroismo in cui molti, nei primi anni dalla fine della guerra, li avevano proiettati; per questo l’opera fenogliana fu oggetto di molte critiche, soprattutto dai giornali di sinistra come l’Unità ( “Guerriglia e mondo contadino”, Mario Giovana, Cappelli Editore 1988 ). Solo più tardi il suo modo di “raccontare i partigiani” fu accolto più benevolmente e la sua opera ebbe il riconoscimento che meritava anche dal punto di vista storico. ( Wikipedia )

 

Alba.23 Giorni

 

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Romanzo giallo: Nozze – Per i Bastardi di Pizzofalcone

Bastardi di Pizzofalcone

Per i Bastardi di Pizzofalcone

I bastardi di Pizzofalcone è un romanzo giallo dello scrittore italiano Maurizio De Giovanni del 2013. Il romanzo è il primo tra quelli ambientati nel commissariato di Pizzofalcone, ma il secondo con protagonista l’ispettore Giuseppe Lojacono.

Napoli. Il commissariato di polizia di Pizzofalcone è allo sbando, quattro agenti implicati nel traffico di droga sono stati allontanati. Verranno rimpiazzati dagli scarti dei contigui uffici.

Il nuovo commissario è Luigi Palma, quarantenne dal temperamento gioviale, un tranquillo divorzio alle spalle ed un interesse esclusivo per il lavoro. Giuseppe Lojacono, allontanato ingiustamente dalla sua Sicilia, è il più brillante tra gli ispettori anche se la sua condizione familiare è deprimente. Francesco Romano e la giovane agente Alessandra Di Nardo sono stati trasferiti a causa dei loro modi troppo rudi, mentre al raccomandato Marco Aragona è data l’ultima possibilità di restare in polizia.

Della vecchia squadra di Pizzofalcone sono sopravvissuti solamente l’anziano Giorgio Pisanelli e la quarantenne Ottavia Calabrese, ciascuno con seri problemi familiari. Un gruppo accomunato dal fatto di non avere niente da perdere che per questo affronterà la prima indagine con inattesa serietà: scoprire chi ha ucciso la ricca benefattrice Cecilia Festa, moglie di un famoso notaio.

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