Terrorismo islamico e riscatti: l’Italia è sotto ricatto

Ave Socii

Perché in Italia non sono avvenuti (almeno finora) gli attentati terroristici verificatisi, invece, in altri Paesi a noi molto vicini? Un semplice favore del caso? O c’è dell’altro? Forse il nostro Paese fa comodo al terrorismo islamico in altro modo. Non come palcoscenico di attentati, ma di valori contrari alla democrazia, alla libertà e alla pace. Ne abbiamo avuto la prova in questi ultimi giorni, durante il rientro in Italia della giovane cooperante rapita in Kenya un anno e mezzo fa. Più o meno consciamente, con quella “passerella” abbiamo pubblicizzato una delle fazioni più feroci del terrorismo islamico.

Ovviamente è un bene che una ragazza poco più che ventenne sia tornata a casa. Quel che fa riflettere è la modalità con cui è stata riportata a casa. Si parla di un riscatto milionario. Il nostro Paese, giustamente, pone la vita al vertice della piramide dei diritti, così come tutti i Paesi occidentali. Chi di noi non sarebbe disposto a pagare qualsiasi cifra, pur di riavere indietro una vita umana? I terroristi questo lo sanno e, consci di impugnare il coltello dalla parte del manico, fanno leva sul nostro senso di impotenza per avere ciò che loro interessa.

L’Italia è solita risolvere rapimenti e simili eventi attraverso la pratica del riscatto. Se ciò, da una parte, è una forte garanzia di tutela della vita umana, dall’altra è pure un segnale di debolezza che inviamo all’estero. Segnale che il terrorismo islamico ha da tempo captato. C’è un altro modo per tutelare la vita umana, senza per forza cedere ai ricatti di soggetti senza scrupoli, la cui cultura spesso offende il diritto alla vita e la libertà delle persone? Sì, forse sì: chiedendo a chi invia persone in luoghi pericolosi, di assumersi le responsabilità delle sue scelte. D’altronde, se la nostra cultura difende la vita, difenderla dovrebbe essere compito di tutti. Non solo degli Stati, ma anche di una qualsiasi associazione umanitaria.

Quanto successo dimostra, invece, la totale subalternità della cultura occidentale (dell’Italia, perlomeno) alla cultura islamista più radicale. Con i soldi di quel riscatto, probabilmente il terrorismo finanzierà nuovi attacchi o attentati le cui vittime, un giorno, saremo costretti a piangere. Coi criminali non si tratta, soprattutto se a trattare deve essere uno Stato. Al massimo, se è proprio necessario trattare, la trattativa dovrebbe esser sostenuta da soggetti privati, come associazioni e simili. Nessuno può chiedere a degli inermi di “fare gli eroi”, se non ha i mezzi necessari per equipaggiarli in sicurezza. Specie in luoghi ostili alla cultura occidentale, impregnati dell’Islam più radicale.

Non raramente certe associazioni, ammantate di bei valori come il dialogo o l’integrazione, attirano giovani pieni di speranze ambizioni e ideali. Ebbene, se simili enti sono soliti predicare il dialogo e l’integrazione dei popoli, a maggior ragione dovrebbero farlo quando di mezzo ci sono diritti come la vita o la libertà. Motivo in più per renderle responsabili, appunto, della vita e della libertà dei loro “inviati”. Se i terroristi islamici vanno trattati “senza pregiudizi”, vadano loro a negoziare “senza pregiudizi” coi terroristi islamici. E senza scomodare gli Stati. Se poi non ne sono capaci, smettano di mentire a migliaia di giovani e ammettano una volta per tutte che l’integrazione con certe culture è impossibile.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Venti di guerra ad inizio anni Venti

Ave Socii

Il decennio appena iniziato si è aperto sotto i peggiori auspici. Il Medio Oriente è in subbuglio, il mondo islamico in fermento, l’Occidente in confusione. L’ultima azione militare di Trump ha letteralmente spaccato l’opinione pubblica. Perfino negli Stati Uniti qualcuno è convinto che si sia gettata una dinamite in una polveriera. Soffiano venti di guerra minacciosi. Guerra in ambito non solo militare, ma anche economico. E’ incominciata la corsa ai beni rifugio e il petrolio ricomincia a salire velocemente di prezzo. I segnali di insicurezza sono più che evidenti.

In tutto questo, Italia ed Europa sono costrette a tentennare. A barcamenarsi da una parte e dall’altra. A dire che l’unico modo per risolvere le questioni è la diplomazia. A non assumere una posizione chiara e definita. Forse non per colpa loro. Questioni tanto delicate non si possono liquidare con semplici atteggiamenti di assenso o dissenso. La politica estera è complessa, costruita su molteplici rapporti di interdipendenza. Italia ed Europa non possono assumere posizioni nette, perché dipendono da altri Paesi. Nel settore energetico, ad esempio. Gli Stati Uniti possono permettersi di assumere le posizioni che vogliono: tanto dispongono a sufficienza di qualsiasi tipo di risorsa di cui necessitano. Noi no. Siamo certamente contenti che Trump abbia eliminato dei pericolosi terroristi islamici. Ben vengano ulteriori misure di questo genere. Ora però domandiamoci: quanto sarà feroce la vendetta islamica verso l’Occidente?

Esistono dei periodi storici in cui conviene essere aperti al resto del mondo. Esistono altri periodi storici in cui conviene, invece, difendere la propria sovranità. Crediamo che ora il sovranismo sia preferibile all’apertura incondizionata e all’abbattimento dei muri. Il modello di società aperta, nonostante qualche momento di tensione, ha funzionato piuttosto bene finora. Ma da un po’ di tempo a questa parte hanno iniziato a soffiare venti impetuosi, dinanzi ai quali non eravamo preparati. Due fra tutti: l’immigrazione di massa e il terrorismo islamico. Una volta per tutte, è necessario ribadire con forza che l’apertura non è sempre il bene assoluto e la chiusura non è sempre il male assoluto. Se l’identità nazionale è minacciata, è opportuno trovare soluzioni che la preservino dagli attacchi provenienti da certe culture aggressive.

Il mondo non può esistere senza le identità nazionali. Non può esistere un’unica “identità nazionale umana”. La cultura non è solo ciò che accomuna gli uomini, ma pure ciò che li differenzia. Per natura gli uomini aiutano i loro amici, ma combattono i loro nemici. Negare che esistano culture fra loro nemiche vuol dire fare il gioco delle culture più aggressive. E costringere le altre a soccombere. Noi non ci stiamo. Noi crediamo che una qualsiasi cultura abbia il sacrosanto diritto di difendersi, ogniqualvolta contro di essa spirino venti impetuosi in grado di minacciarne l’esistenza.

Ma difendersi non vuol dire solo annientare i nemici più pericolosi o chiudere i porti agli immigrati irregolari. Esiste un ambito che talvolta passa sotto traccia, ma che spesso sta alla base di molte condotte umane: quello economico. Il comportamento economico si fonda, in soldoni, sui bisogni degli uomini. Se gli uomini non avessero bisogni, non esisterebbero comportamenti economici. Più soggetti bisognosi generano rapporti economici, che nel lungo termine divengono vere e proprie interdipendenze. Ma l’interdipendenza dovrebbe fondarsi su un sostanziale equilibrio fra i bisogni dei soggetti. Al sopraggiungere di determinate circostanze, può subentrare uno sbilanciamento che inevitabilmente favorisce un soggetto a scapito dell’altro.

Come dicevamo, a livello energetico noi dipendiamo in larga misura da diversi Paesi. Alcuni di questi sono proprio in territorio islamico. Se la vendetta di questi Paesi dovesse colpire l’Europa e l’Italia, probabilmente il settore energetico ne sarebbe pesantemente influenzato. Forse è soprattutto per questo che non possiamo assumere una posizione chiara: per non rischiare di rimanere “a secco”. Ai petrolieri fa comodo così. Perché, tuttavia, dobbiamo essere condannati a dipendere da Paesi tanto instabili? Non sarebbe meglio promuovere una sorta di autarchia energetica, magari impiegando termovalorizzatori ed energia nucleare? Il messaggio sta lentamente incominciando a passare, per esempio attraverso l’economia circolare. Purtroppo ancora attendiamo che si realizzi in concreto.

Forse promuovere la sovranità e l’autarchia è solo uno slogan vuoto. Forse sono davvero troppi gli interessi che si andrebbero a smuovere e colpire. Forse nessuno vuole rinunciare a questi interessi. Forse dobbiamo subire passivamente i venti scatenati da altri, per timore di affrontarli. Noi vogliamo credere che non sia così. E vogliamo credere che un giorno l’Italia sarà in grado di risollevare la testa e competere orgogliosamente per la vetta del mondo.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Populismo di sinistra in salsa di sardine

Ave Socii

La cura del linguaggio in politica, l’utilizzo o meno dei social network da parte dei Ministri… Con tutto il rispetto, forse non sono i problemi principali con cui la maggioranza degli italiani si sveglia la mattina. Forse chi non vive nei quartieri alti non può capire la profondità del “politicamente corretto” e di tematiche affini. A rinvigorire l’attenzione per queste tematiche di vitale importanza è ora il “movimento delle sardine”, movimento (ormai abbiamo imparato a conoscerlo) apertamente schierato a sinistra e a cui molti partiti (quelli attualmente più in difficoltà, diciamocela tutta) strizzano l’occhio. L’obiettivo ultimo è quello di combattere contro il populismo (di destra, aggiungiamo noi).

Eppure anche le sardine, a modo loro, sono espressione di un certo populismo. Ebbene sì, quasi nessuno osa dirlo ma anche a sinistra è in voga una certa specie di populismo. Un populismo per i benestanti, per i salottieri, per chi può trascorrere il proprio tempo ad interrogarsi sul sesso degli angeli. Un populismo dei “vaghi principi”, talvolta considerati superiori perfino alla legge. Contrarietà al razzismo, accoglienza, umanità, integrazione, diritti civili… Certamente chi ha la pancia piena ha maggiori possibilità di badare a questi principi. Principi sostanzialmente vuoti, che ognuno di noi in realtà può riempire a piacimento.

Perché esiste la legge? Proprio perché il popolo disponga di un riferimento comune e il più possibile insindacabile a cui appellarsi, al riparo dalle opinioni di certa retorica. Qual è, d’altro canto, l’intento di certa retorica? Porsi al di sopra della legge, cavalcando battaglie su principi tutta apparenza e niente sostanza, principi formalmente di buon senso ma praticamente irrealizzabili. Come si può pretendere che i popoli abbattano tutte le barriere, quando le barriere e le diversità sono esse stesse condizioni essenziali per l’esistenza e l’identità di un popolo? Eppure l’accoglienza è un principio “bello”, lo dice pure il Vangelo… Far leva sulla religione è un altro modo per dar forza a questi vaghi principi e, se necessario, metterli in contrasto con la legge.

Istaurare la dittatura dell’opinione, a dispetto della legge vigente. Ecco l’obiettivo ultimo delle sardine. Ed ecco probabilmente l’obiettivo ultimo della sinistra tutta, che indistintamente ha applaudito e plaude a questo e ad altri “movimenti spontanei”. Perché le sardine si riuniscono in un edificio occupato abusivamente? Dicono per una questione di soldi (per inciso, se l’edificio è occupato abusivamente siamo tutti noi a pagare per le loro riunioni abusive), ma sicuramente anche per una questione politica. L’obiettivo è sfidare la legge. Sfidare l’ordine pubblico. Sfidare lo Stato. Sfidare tutti noi per spodestare i principi fondativi della Nazione ed incoronare i “loro” diritti. Diritti che spesso e volentieri non debbono valere “per tutti”, ma solo “per gli amici”. Perché la libertà di espressione vale per loro e i loro amici, mentre gli avversari debbono essere censurati?

Come se non bastasse, abbiamo conosciuto pure le sardine nere e le sardine islamiche. Di questi tempi va di moda parlare di integrazione. Ben venga l’integrazione, ma che sia fatta nel rispetto della legge. Ecco, a questi “movimenti spontanei” l’espressione “nel rispetto della legge” va proprio di traverso. Se c’è qualcuno che ha la pelle nera, magari pure immigrato irregolare, sono proprio questi movimenti a strumentalizzarlo e a riconoscerlo come “diverso”: questo non è forse populismo? Se c’è qualcuno di un’altra religione, magari pure legata ad ambienti vicini al terrorismo, deve per forza mostrarsi da un palco e farsi riconoscere per la religione che professa: questo non è forse populismo? Invece no, gli unici populisti sono i “sovranisti”. Di destra, per di più.

Ma c’è una differenza fondamentale, fra populismo di destra e populismo di sinistra. Il primo vuole istaurare il primato della legge e della certezza del diritto, il secondo il primato dei “vaghi principi” e dell’opinione. Per fortuna agli italiani è ancora concesso di scegliere. Se il populismo ha davvero qualche significato, sarà il popolo stesso a decidere quale.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Laicità dello Stato e cultura cristiana

Ave Socii

Sovente il progresso di una società è accostato al principio di laicità dello Stato. Nella nostra cultura, un tale principio è declinato nella celebre formula “libera Chiesa in libero Stato”. Una formula che afferma l’esistenza di due realtà distinte, quella spirituale e quella temporale, aventi pari dignità di essere al mondo. Nessuna delle due, pertanto, dovrebbe piegarsi per cedere più spazio all’altra. Ciascuna delle due dovrebbe influenzare ambiti differenti e non sovrapponibili della cultura umana. Ciascuna delle due dovrebbe rappresentare un arricchimento, per ogni singolo e per la società tutta.

Quanto detto finora, tuttavia, non contrasta col fatto che uno Stato possa difendere e promuovere le tradizioni culturali e religiose del proprio popolo. Per un semplice motivo: non può esistere al mondo un solo popolo senza religione. Tempo addietro, l’Unione Sovietica provò a costruire un sistema basato sull’assenza di qualsiasi riferimento religioso… Sappiamo com’è andata a finire. La laicità è ben altra cosa dall’ateismo. La religione è un fatto culturale e pertanto non può essere negata, nemmeno dallo Stato più autoritario. Se uno Stato può essere laico, di certo un popolo non può esserlo. È pertanto auspicabile che ogni Stato, pur rimanendo fedele al principio di laicità, tuteli la religione caratteristica del proprio popolo. Come si può pretendere che una cultura rispetti la religione e i simboli altrui, quando non riesce a rispettare nemmeno la religione e i simboli propri?

Uno Stato è laico nel momento in cui aggiunge qualcosa, non quando toglie qualcosa alla sua storia. Togliere i crocifissi dalle aule scolastiche rende uno Stato più debole, non più forte. Perché toglie un simbolo che rappresenta la storia di quel popolo. Un popolo non può essere culturalmente neutro, in ambito religioso come in vari altri ambiti. La scelta del neutro non è mai neutra, è sempre una delle tante scelte che genera conseguenze. Non c’è nulla di speciale nello scegliere di adottare la neutralità culturale. Neutri non si nasce, lo si diventa: non importa raggiungere il neutro, ma la via percorsa per raggiungerlo. E se quella via è diretta a togliere invece che aggiungere, il popolo è privato dei suoi riferimenti. Quel popolo non sarà più in grado di confrontarsi alla pari coi popoli di altre culture e, ben presto, finirà per soccombere sotto la sua procurata ignoranza culturale.

L’effetto generato dal percorso tra i riferimenti precedenti e la neutralità attuale non è l’affermazione della neutralità attuale, bensì la negazione dei riferimenti precedenti. Chi diventa neutro rischia di piegarsi a chi neutro non è o non vuole diventarlo. Prima o poi ogni vuoto, anche culturale, deve essere riempito. Il non neutro, infilandosi nel neutro, rischia di determinarne la distruzione. Esistono Stati che, lungi dall’essere laici, potrebbero approfittare della situazione per sottomettere Stati culturalmente indeboliti da una finta laicità. Gli Stati islamici, nei quali la laicità non è certo un tratto qualificante, potrebbero fare della sovrapposizione fra Stato e religione un punto di forza. Qualora ci riuscissero, con che coraggio potremmo poi affermare che il mondo vada ancora nella direzione del progresso?

E non basterà aprirsi alle novità portate da famiglie arcobaleno o immigrati di altre culture, per poter affermare il progresso. Forse nemmeno la “Famiglia di Nazareth” era così perfetta come ci è stata consegnata dalla tradizione… Forse Gesù era figlio di uno stupro, più che dello Spirito Santo… Forse avrà avuto pure dei fratelli… Forse lui e i suoi genitori non saranno stati così “senza macchia” come viene descritto… Ciò toglie forse la bellezza della fede e il modello, seppur ingigantito, che quella famiglia ha rappresentato nei secoli e tuttora continua a rappresentare? Perché oggi ci si dovrebbe quasi vergognare di sposarsi in chiesa? Il matrimonio, checché se ne dica, è un fatto che la sfera civile non può che mutuare dalla sfera religiosa. Allo stesso modo qualsiasi nucleo familiare, per quanto “diverso” dalla cosiddetta “famiglia tradizionale”, non può non fare riferimento alla “famiglia tradizionale” stessa.

Oggi va di moda sostenere battaglie per affermare principi come l’uguaglianza, il rispetto del diverso, l’apertura al prossimo. Ma che questi principi siano scritti nel Vangelo non si può dire, perché professarsi “cristiani” sembra più una vergogna che un vanto. Meglio definirsi “ricchi e atei”, così si è più credibili. Anche l’accoglienza è un principio prettamente evangelico, seppur trasposto anche da altre culture antiche. Oggi si pensa che debbano essere gli Stati a realizzare simili “opere di giustizia”… Magari con tanto di violazione di ordinamenti sovrani e lezioni di moralità ai “disumani”. A chi pretende di seguire il Vangelo, magari senza mai averlo letto, ricordiamo la mirabile lezione di laicità contenuta nel Vangelo stesso: a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio. Lo Stato non dovrebbe pretendere di seguire il Vangelo, quando non è capace nemmeno di seguire le leggi e la Costituzione.

Un popolo che adotta la neutralità è in pericolo, un popolo non può perdere da un giorno all’altro i propri riferimenti senza correre rischi, per giunta all’interno di una società complessa. Pensare di adottare la neutralità è come pensare di riacquistare la verginità perduta. Uno Stato con una identità culturale forte: questo è il vero progresso, secondo noi. Uno Stato che si mantenga separato dalla religione, ma capace di proteggere la sua cultura religiosa e le sue radici. Uno Stato che non prenda a modello quelle culture dove legge e religione vanno a braccetto. Uno Stato che sia fondato non sui principi scritti su un libro sacro, ma sui principi scritti sulla carta costituzionale. Uno Stato dove Cesare segua la Costituzione e dove il Vangelo sia lasciato alla libertà di chi vuol conoscere Dio. Questo è il progresso di cui andiamo orgogliosi.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Perdonare i propri nemici: la rivoluzione di Gesù

Ave Socii

Il Vangelo è una miniera di consigli sul come vivere bene e felici. In quanto a spunti di questo tipo, il cristianesimo non ha assolutamente nulla da invidiare al buddismo e a simili altri credo religiosi. Il Vangelo non è roba da vecchi e noiosi preti o dottrina piena di inutili insegnamenti. Oggi va di moda fare yoga o prendersi qualche psicofarmaco, per arrivare a sentirsi felici. Chi legge il Vangelo è invece uno che non sta bene e ha qualche rotella fuori posto, secondo molti… Eppure una riscoperta del Vangelo sarebbe più che opportuna, al giorno d’oggi. In quel libro piccolo piccolo si celano forse tutte le risposte ai principali dilemmi dell’uomo.

A ben vedere il Vangelo sconfina, va oltre i recinti prettamente religiosi. Il Vangelo è un incredibile compendio di consigli utili al buon vivere e alla serenità d’animo. Forse vi si possono riconoscere valori propri non solo della cultura cristiana, ma dell’umanità tutta. Per una vita serena, ciascuno di noi ha bisogno di sentirsi perdonato e, soprattutto, di perdonare. Perdonare, non farsi vedere rancorosi per un torto subito… Piuttosto dimenticare e andare avanti, magari continuando a incontrare l’altro come se nulla fosse accaduto. Il “nemico” non si aspetterebbe mai una cosa del genere. E’ questo che lo spiazza. Sotto sotto, a beneficio del proprio senso di onnipotenza, lui vorrebbe che il suo comportamento influenzasse l’altro invece di lasciarlo indifferente.

Perdonare i propri nemici… Il messaggio di Gesù è qualcosa di rivoluzionario. L’uomo è per sua natura incline a suddividere la società in amici e nemici, in buoni e cattivi. Con gli amici si continua a parlare, con i nemici no… Questo è il nostro comportamento naturale. Eppure forse c’è un modo per sentirsi ancora più realizzati: parlare anche con i nemici, come se non ci avessero mai fatto niente. Ciò probabilmente contrasta con il buon senso… La nostra più alta realizzazione non è forse far vedere ai nostri nemici quanto valiamo? Dopo averci colpito con i loro attacchi, i nostri nemici vorrebbero che noi rimanessimo a terra doloranti. Noi invece meditiamo vendetta, spesso rispondendo agli attacchi per farci vedere più forti di loro. Eppure così siamo vittime del loro gioco, volto a farci sentire “sotto scacco” e a rispondere per evitare figure da babbei.

Rispondere agli attacchi è umano ed è una strategia lecita. Ci sono casi, però, in cui non ci è possibile rispondere in maniera adeguata… Quando ci sentiamo meno forti del nostro avversario, ad esempio. Oppure quando lui stesso è troppo forte e ci costringe alla resa dopo un braccio di ferro più o meno lungo. In entrambi i casi, prevale un senso di frustrazione che può influenzare le nostre scelte successive. Quando l’attacco avversario è tanto forte da minare la nostra autostima, spesso subentra in noi una sorta di stato depressivo. Il non sentirci adeguati ad affrontare certe situazioni alimenta il nostro stato di insoddisfazione e depressione… Desidereremmo raggiungere determinati obiettivi, ma il ricordo di certi insuccessi brucia e non intendiamo ripeterne l’esperienza.

Ci sentiamo proprio come agnelli in mezzo ai lupi… E come potremmo mai sopravvivere, se la depressione e la paura dell’insuccesso ci attanagliassero in questo modo? Ebbene, quel minuscolo libro chiamato “Vangelo” ci offre una soluzione insperata: perdonare gli avversari. Nostro Signore, in un mondo che fa della lotta e delle guerre di sopraffazione una regola inderogabile, ci raccomanda di perdonare… Non importa rialzarsi, importa come ci si rialza… Ci si può rialzare attaccando, ma ci si può rialzare anche come se nulla fosse accaduto. Rispondere ad un attacco con un altro attacco, molto spesso, dà un’idea di forza o debolezza rispetto al proprio avversario. Perciò, se rispondiamo alla violenza con altra violenza, siamo condannati a rispondere in modo più forte per non passare per quelli “deboli”. E così via…

La strategia della forza, vediamo, porta spesso ad una degenerazione dell’esito della partita. Nessuno vuol passare per debole, perciò ognuno cercherà di condurre attacchi sempre più forti per sopraffare l’avversario. E se invece non volessimo fargli capire se siamo forti o deboli rispetto a lui? In altre parole, tenerci lontani dalle sfide che lancia e farlo rimanere col dubbio… Rispondere vorrebbe dire uscire allo scoperto, farsi capire, rendersi prevedibili… D’altro canto, perdonare è forse l’arma più potente che abbiamo quando il gioco si fa duro. L’arma del perdono, considerata la natura attaccabrighe dell’essere umano, riporta un’aura di imprevedibilità all’interno della partita.

Per sopravvivere, insomma, è bene non mostrarsi né troppo pecora né troppo lupo… Far vedere che la strategia del lupo non è sempre quella vincente… A volte adottare strategie “da pecora” può avere effetti benefici… Talvolta anche adottare strategie miste può essere la mossa giusta… Giocare quasi in maniera casuale, quando il gioco si fa duro e imprevedibile, per diventare noi stessi imprevedibili ed elusivi agli occhi degli altri… Questo si conclude leggendo il Vangelo… Perfino Trump segue il Vangelo, allora! Oppure Gesù è un precursore della teoria dei giochi! Accostamento ardito, quello fra Gesù e Trump… Chi siamo veramente solo Dio lo sa, Colui in grado di scrutare i segreti del nostro cuore e di conoscere ogni nostro singolo capello. Gli altri, invece, è bene che non abbiano tutta questa “chiarezza di vedute”: potrebbero quasi illudersi di essere Dio. E’ bene distoglierli da questo delirio di onnipotenza.

La miglior vendetta è il perdono. Ecco l’insegnamento più grande della nostra religione. Una religione che parla ai cuori dei singoli. Una religione che non dovrebbe confondersi con le dinamiche degli Stati, dalle quali inevitabilmente escono fuori vincitori e vinti. Una religione che dovrebbe lasciare a Cesare quel che è di Cesare e che, invece, alcuni vorrebbero strumentalizzare proprio per screditare Cesare. Anche lo Stato è fatto da esseri umani… E’ fisiologico che le dinamiche degli individui si confondano con quelle dello Stato. Eppure ricordiamoci di questo: il nostro credo non si chiama Islam. Facciamo in modo che la fisiologica influenza tra Stato e singolo non divenga patologica. Lo Stato è lo Stato, il singolo è il singolo. Cesare è Cesare, Dio è Dio.

Il perdono non può che essere una strategia personale, inapplicabile alle moltitudini di uomini e alla legge. La legge si limiti ad essere dura e implacabile, il perdono è ben altra cosa! Nessuno Stato può pretendere di essere buono, quando talvolta non riesce nemmeno ad essere giusto. Il perdono è affare dei singoli e non è affar da poco. Il perdono è una sfida per il singolo. Una sfida da vincere nei confronti di quelli che forse non vorremmo mai perdonare. Chi strumentalizza il “sentirsi vittima e giudicato dagli altri”, ad esempio… Fanno sorridere quelli che pretendono che tu non li giudichi, quando magari si fanno una canna o si comportano in maniera oggettivamente deviante, e che poi sono i primi a giudicarti quando gli fa comodo. Perdono per loro! Forse lo fanno per non sentire il peso della depressione e del “sentirsi inferiori rispetto agli altri”.

Presunti fondi stranieri a qualche partito italiano? Non sarebbe certo la prima volta… Ma la notizia era già nell’aria da tempo… Perché esce fuori solo ora e solo ora si grida allo “scandalo”? Forse per mettere in cattiva luce un partito al governo? O forse per gettare ombre su un Paese intero, così da renderlo marginale in Europa al momento della decisione delle nomine di peso? Se qualcuno getta fango sull’Italia, non è solo un partito che deve perdonare ma una Nazione intera. Quando un Paese risulta scomodo si cerca di destabilizzarlo… E’ successo qualche anno fa con la storia dello spread a 500, succede ora con la storia dei fondi stranieri e della corruzione internazionale… Riusciremo mai a perdonare questi nemici dell’Italia?

Strappare dei bambini a famiglie “normali e sane”, magari per affidarli a famiglie “arcobaleno” e forse nemmeno tanto sane… Questa mania dei diritti civili sta distruggendo quanto di meglio possiamo avere dalla vita: una famiglia. Certamente si può incappare in famiglie problematiche: allora sarà opportuno affidare i bambini ad altre famiglie meno problematiche… Pure a famiglie “arcobaleno”, se è proprio necessario… Ma indurre dei piccoli a simulare maltrattamenti che non ci sono mai stati, per screditare la famiglia d’origine a beneficio di altre famiglie (magari di coppie omosessuali) è un fatto che rasenta la patologia mentale. Se questo significa promuovere i diritti civili… Per quelli che li promuovono possiamo implorare solo perdono, sempre che qualcuno sia capace di perdonare una cosa del genere.

Fanno sorridere quelli che vorrebbero sottoporre noi cristiani a certi vomitevoli ricatti morali. Quando si parla di famiglia e diritti civili ci danno dei “retrogradi” e degli “sfigati”… Quando invece si parla di immigrazione vengono a cercarci perché bisognosi di consensi… Siete cristiani, perciò dovete accogliere… Il Vangelo non parla alle Nazioni, ma ai cuori di ogni singolo individuo. Per fortuna non siamo in uno Stato islamico, dove invece la religione va a braccetto con la legge. L’accoglienza è un principio cristiano, non una norma di legge. Qui ognuno è libero di porgere o meno l’altra guancia. E di porgerla come quando e a chi vuole lui. Nessuno può permettersi di strumentalizzare il cristianesimo, sperando di metterci in difficoltà. Se comunque qualcuno dovesse permettersi, perdono per costui!

E poi ci sono i nemici peggiori, i traditori: chi un tempo diceva di essere nostro amico e poi ci ha abbandonato per seguire chissà chi, o chissà cosa. Signore, tu che più di ogni altro conosci il tradimento, aiutaci a perdonare sinceramente anche i nostri peggiori nemici!

Vostro affezionatissimo PennaNera

Abbiamo bisogno di ritrovare la nostra identità

Ave Socii

Mai come oggi la nostra identità è messa così in seria discussione. L’identità dell’Italia, l’identità dell’Europa, l’identità della cultura occidentale tutta. E forse alcuni fingono di non accorgersene. Le urne del 26 maggio ci hanno mostrato un’Europa che, lungi da fantomatici scossoni sovranisti, desidera tuttavia che qualcosa cambi. Evidentemente chi sinora ci ha governato non ha soddisfatto le nostre aspettative, visto che adesso non ha più la maggioranza all’Europarlamento.

Forse il primo fra i desideri emersi dalle recenti elezioni è quello di ricostruire un’identità. Quanti in Europa si sentono davvero europei? O piuttosto solo francesi, inglesi, tedeschi, italiani o ungheresi? Quanto possiamo sentirci europei, ad esempio, noi italiani che forse ancora ci vantiamo di essere polentoni piuttosto che terroni? Prima di costituire un’identità europea, dobbiamo raggiungere un’identità nazionale.

Il tentativo di aprirci a tutto e a tutti, in nome del “non avere limiti” o “non avere frontiere” o “non innalzare muri” o “non avere pregiudizi”, ha sortito l’effetto esattamente opposto a quello sperato. Magari non siamo ancora pronti. Magari un giorno riusciremo a raggiungere una tale apertura mentale. Ma non è ancora arrivato il momento. Non si possono saltare i passaggi: prima gli italiani, poi gli europei, infine tutti gli altri. Se non raggiungeremo noi stessi un’identità forte, avremo sempre timore di confrontarci apertamente con le identità di chi è diverso da noi.

Quando l’apertura mentale diviene un’imposizione, il “diverso” ne approfitta. Specie quando la sua è un’identità forte e spregiudicata, a discapito della nostra. La globalizzazione è certo un bene in quanto arricchisce tutti, tuttavia realizza un inevitabile scontro fra culture. Se una cultura ha un’identità più debole di altre, soccombe. L’integrazione è opportuna quando si ha da offrire qualcosa della nostra cultura alle altre. Se la nostra identità culturale si indebolisce, le altre prevarranno su di essa.

Prima del confronto alla pari con i “diversi”, dunque, è necessario e opportuno radunare gli “uguali” sotto un’unica bandiera. L’Europa sarà grande se e solo se riuscirà a realizzare questa ardua riunificazione. Finché non ricostruiremo la nostra comune identità, dapprima nazionale e poi europea, i “diversi” saranno sempre visti da noi come “nemici”. Avere un’Europa unita solo perché i conti tornino, per quanto detto, non è certamente la strada giusta da percorrere.

Se noi siamo deboli, gli altri acquistano forza ai nostri occhi. Se gli altri si rafforzano e noi ci indeboliamo, nel giro di qualche decennio subiremo vere e proprie invasioni culturali. Dobbiamo dunque rinforzare anzitutto la nostra appartenenza, rivendicando i valori che ci accomunano e senza vergognarcene. A volte si ha come l’impressione che ci si debba far da parte per accogliere l’altro, come spinti da una sorta di indistinto senso di colpa… Provare vergogna per la nostra identità ci rende ridicoli e manipolabili agli occhi degli altri: questa è la realtà che alcuni non vogliono capire.

Dei nostri valori democratici dovremmo andare fieri. Dov’è garantita la libertà d’espressione, per esempio, se non nelle democrazie? Eppure ancora oggi ci troviamo in difficoltà ad ammettere idee di un certo colore politico alla Fiera del Libro, o a prorogare l’attività di radio storiche che per anni hanno raccontato il nostro Parlamento. Abbiamo bisogno di riaffermare con forza i nostri valori, per difenderci dalle moderne dittature che rischiano di ridurci in schiavitù.

Oggi forse i veri dittatori non sono quelli che ai fascio-buonisti piace denunciare. Incominciamo a fare nomi e cognomi senza vergognarci. Oggi i veri fascisti vengono in primo luogo dalla Cina, dall’Islam e dall’Africa. Dalla Cina, quelli che vorrebbero conquistarci a livello economico, attraverso concorrenza sleale nel mercato dei beni e del lavoro. Dall’Islam, quelli che vorrebbero soggiogarci a livello religioso, attraverso guerre sante o forme di conflitto più subdole. Dall’Africa, quelli che vorrebbero imporsi a livello demografico e sociale, attraverso immigrazione incontrollata e guerre fra poveri. Questi tre fascismi sono talvolta alleati fra loro e cercheranno in ogni modo di distruggere la nostra cultura occidentale, loro comune nemico.

I fascisti del Sol Levante sono i più spregiudicati. Da decenni sono presenti in Europa e stanno inquinando i nostri mercati con prodotti taroccati e manodopera priva di qualsiasi tutela. In silenzio, come se non bastasse, stanno pure colonizzando intere zone dell’Africa. E poi l’Africa emigra in Europa… Secondo alcuni ne avremmo bisogno, visto che il nostro tasso di crescita demografica è pressoché nullo. Se poi non abbiamo modo di integrarli cosa importa? Per non parlare della cultura rom, che spesso non vede di buon occhio noi “stanziali” (invece loro, “nomadi”, che vivono nei campi e pretendono di ottenere delle case? Da quale pulpito…). Infine gli Islamici, che vorrebbero conquistarci alla maniera classica (guerre sante, attentati, terrorismi vari…) o in maniere più subdole… Magari inculcandoci idee ambientaliste che facciano il gioco dei petrolieri (provenienti in gran parte proprio dalla cultura islamica, guarda caso).

Non possiamo permetterci di chinare il capo di fronte a questi moderni dittatori. Dobbiamo rispondere con forza a chi proviene da certe culture e magari, beffa nella beffa, vorrebbe insegnare a noi come integrare il “diverso”. Ci fossero più persone a difendere i nostri simboli! Invece ci scandalizziamo pure se qualcuno bacia un rosario in pubblico… Oppure diamo ai cristiani l’appellativo di “adoratori della Pasqua”… Fino a quando dovremo subire questa autentica “politica del senso di colpa e del pudore”? Quando torneremo finalmente padroni della nostra identità? Recuperiamo i nostri valori, vantiamoci di essere parte di una democrazia e di appartenere alla cultura occidentale. Ricominciamo a sventolare le nostre bandiere, non quelle degli altri.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Uno spettro verde s’aggira per l’Europa

Ave Socii

Le elezioni europee appena conclusesi ci hanno consegnato un risultato chiaro. Gli equilibri sono cambiati in tutta Europa, è indubbio. Tuttavia il pericolo della famigerata “avanzata dei sovranisti”, paventato dai fascio-buonisti, è stato in buona sostanza evitato. La musica è evidentemente cambiata anche qui in Italia, come era prevedibile. Ciò avrà sicuramente ripercussioni all’interno della maggioranza di governo. In Europa… beh, lì è tutta un’altra vicenda. Staremo a vedere come evolverà la situazione, sia dentro che fuori l’Italia.

Oggi intanto i giornaloni dei fascio-buonisti parlano di “onda nera”, come se l’avanzata in Europa di determinate forze politiche fosse quasi una cosa di cui vergognarsi. Una cosa riprovevole. Come se le persone che si schierano da una certa parte non meritassero di essere accostati alla civiltà. Come se credere in certi ideali o in certi partiti facesse tornare indietro l’orologio della Storia. In compenso, però, sono arrivati i salvatori: proprio loro, quelli dell'”onda verde”. Intendendo per “verde” non il “verde leghista”, non sia mai, bensì il “verde ambientalista”. Colore scelto soprattutto dai giovani dell’Europa. Colore che va alla grande, in particolare nei Paesi dell’Europa del Nord. Un buon auspicio, secondo molti.

L’attenzione all’ambiente è uno dei cavalli di battaglia del progressismo moderno. Con esso i fascio-buonisti potrebbero seriamente sperare di tornare a competere alla pari coi populisti e i sovranisti (il cui consenso è, come abbiamo visto, tutt’altro che dilagante in Europa). Nessuno si sognerebbe di trovare pecche nella sacrosanta battaglia a favore dell’ambiente. Eppure non tutto quel che riluce potrebbe essere oro. Forse l’ambientalismo non è tutto candido e innocente come vorrebbero farci credere. Forse troppo ambientalismo potrebbe addirittura nuocere all’Europa.

Quanti si domandano chi c’è veramente dietro i sostenitori dell’ambientalismo? La lotta contro i cambiamenti climatici, contro le emissioni inquinanti, contro lo scioglimento dei ghiacci, contro il buco nell’ozono… Tutte bellissime cose, chi lo metterebbe in dubbio? Ma le belle forme fanno abbassare la guardia, inevitabilmente. L’energia non si crea a chiacchiere, ma sfruttando comunque l’ambiente. Responsabilmente, certo. Starete sicuramente pensando alle fonti rinnovabili e allo sviluppo sostenibile. Sappiate che le fonti rinnovabili, da sole, non riusciranno mai a coprire il fabbisogno di una Nazione intera. E’ impensabile, perlomeno con l’attuale stato della tecnologia.

Eppure in questi anni si è investito molto in rinnovabili… Vero. E spesso a rimetterci sono stati interi agri di terreno fertile, espropriati e resi sterili per ospitare pannelli fotovoltaici. La bellezza e l’attrattività dei nostri paesaggi, sovente messe in discussione dall’installazione di pale eoliche lungo i versanti collinari. E, ovviamente, le nostre tasche: i colossali investimenti sulle rinnovabili ricadono soprattutto sulle bollette che paghiamo. Ma perché investire tanto sulle rinnovabili, se poi non potranno comunque coprire il fabbisogno nazionale? Per fare un favore ai mafiosi? Può darsi, ma potrebbe esserci anche dell’altro. La verità, che nessuno vuol ricordare, è che le rinnovabili non possono funzionare senza combustibili fossili. Forse un giorno la tecnologia cambierà, ma per ora così è. Aprite bene le orecchie: a finanziare i promotori dell’ambientalismo sono i petrolieri.

Nei negoziati internazionali non c’è spazio per i buoni propositi, a meno che non servano a qualcuno per far cassa. L’ambientalismo rientra fra questi casi. Avere un mondo pulito è bellissimo, chi potrebbe negarlo? Eppure non esistono produzioni che non siano inquinanti, mettiamocelo in testa. Immaginare un futuro pulito è un diritto sacrosanto, ma guai se si tentasse di perseguire un fine (incrementare l’influenza dei petrolieri) facendo credere che si stia combattendo per un fine palesemente contrario (un mondo che non utilizzi più energia da fonti fossili). Magari servendosi pure di ragazzine sedicenni che facciano leva sul bisogno dei giovani di credere in un futuro diverso. E, perché no, anche sul senso di colpa dei meno giovani per la loro scarsa attenzione sui temi ambientali.

Non ci sembra giusto (ma purtroppo così funziona il mondo degli affari) che alcuni adoperino simili strategie ipocrite di manipolazione, per favorire i detentori e gli sfruttatori del fossile. In maggioranza, guarda caso, provenienti da Paesi arabi: quei Paesi, in buona sostanza, che fanno dell’Islam (= sottomissione) il loro credo. Le loro ambizioni di conquista dell’Europa cristiana, infatti, non si sono mai del tutto sopite. Invece che con una guerra santa, potrebbero sottometterci proprio attraverso i buoni propositi dell’ambientalismo. In maniera silenziosa, senza destare troppi sospetti. In questo modo l’ambientalismo, da bandiera in cui credere, potrebbe trasformarsi in un cavallo di Troia per l’Europa.

Abbiamo detto no al nucleare non certamente per gli elevati costi d’impianto, ma soprattutto perché nell’immaginario collettivo il “nucleare” non è ben visto. Di questo dobbiamo ringraziare gli ambientalisti, ovvero i petrolieri: così saremo sempre costretti a dipendere da qualcuno che ci fornisca l’energia. Se proprio non vogliamo il nucleare perché è brutto, almeno pensare agli inceneritori sarà lecito? No, nemmeno quello… Fino a che punto saremo succubi del volere dei petrolieri? Prima si dice no agli inceneritori, si paga per trasportare e far incenerire all’estero i rifiuti che produciamo, si paga un’altra volta per comprare dall’estero l’energia proveniente anche dai nostri rifiuti… Poi magari si incendiano i cassonetti, o si sotterrano i rifiuti tossici, e ci si lamenta delle “terre dei fuochi”. Si parla tanto di “economia circolare”, ma allo stato attuale sembrano solo parole.

Quanto detto potrebbe essere annoverato tra le semplici “opinioni” o “chiacchiere da bar”. Crediamo sia comunque lecito esprimerle, pure se ad alcuni può non piacere. Speriamo che le nostre siano davvero solo opinioni! Qualora vi fossero anche riscontri nella pratica, saremmo seriamente preoccupati per il futuro dell’Europa. Un’Europa che crede di essere libera e aperta e all’avanguardia, ma in realtà succube dei petrolieri e, magari, pure sottomessa alla Mecca.

Vostro affezionatissimo PennaNera