Immigrazione e dis-integrazione

Ave Socii

Ci ha fatto molto piacere che il contestato sindaco di Riace sia stato invitato, alcuni giorni fa, all’Università “La Sapienza” di Roma. Oggetto del suo intervento, il modello di accoglienza diffusa che ha avuto proprio in Riace il suo più fulgido esempio. Il diritto di parola ed espressione, anche se ha ad oggetto idee e opinioni controverse, deve essere concesso. Sempre e comunque. Per quanto differente e indigesta possa apparire l’opinione che l’altro sostiene. Impedire che qualcuno possa esprimere il proprio pensiero non giova a un Paese democratico.

Per questo l’invito concesso al sindaco Lucano rappresenta un chiaro segnale di libertà e democrazia. E proprio per questo non ci capacitiamo ancora del fatto che, d’altra parte, a Torino si sia impedito ad alcuni editori di partecipare alla Fiera del Libro. Impedimento avallato, ricordiamolo, anche da rappresentanti istituzionali quali Comune e Regione. Le Istituzioni dovrebbero sempre garantire a tutti la piena libertà di espressione. Ogni penna ha diritto di scrivere. Ogni bocca ha diritto di parlare, in uno Stato democratico. Persino ex brigatisti e terroristi hanno diritto di parola in molte università…

Ma torniamo al tema scottante e controverso dell’accoglienza. Negli ultimi tempi il fenomeno migratorio ha assunto proporzioni notevoli, specialmente verso l’Europa. L’intervento in Libia da parte delle potenze occidentali, in nome delle fantomatiche “primavere arabe”, ha fatto perdere l’equilibrio ad una situazione già delicata ma fino ad allora relativamente stabile. E oggi ci ritroviamo a dover ospitare e integrare. E contro i nostri confini premono sia da fuori che da dentro. Da quanto tempo ospitiamo i rom? Hanno forse dato segnali positivi di integrazione? La cultura rom in taluni casi percepisce non proprio positivamente lo “stanziale”, il “diverso dal rom”… Quando si dice “pregiudizio”…

E noi ci preoccupiamo di fornire case e accoglienza a rom e migranti, facendoli perfino passare avanti agli italiani in base a non meglio precisati requisiti. Secondo il Vangelo saremmo buoni, avremmo “porto l’altra guancia” o “accolto lo straniero”. Però la legge è legge, a Cesare quel che è di Cesare. Assegnare le abitazioni in base a requisiti etnici viola l’articolo 3 della nostra Carta: nessuno può essere discriminato in ragione della sua “razza”. Discriminando positivamente qualcuno, si discriminano negativamente tutti gli altri. E poi i rom non erano nomadi? Da quando sono diventati stanziali al punto da pretendere una casa? Forse almeno loro si integreranno. E quelli che continuano a vivere nei campi? Più comodo stare fissi in un posto e spesso senza manco pagare i servizi, no?

Nonostante il loro plateale fallimento, i fascio-buonisti ancora parlano di immigrazione e integrazione come fossero diritti divini. Le loro politiche basate sui buoni sentimenti, oggettivamente, si sono rivelate un disastro. Se davvero l’immigrazione è un fenomeno epocale, se davvero l’accoglienza è un dovere etico universale, perché l’Europa si è girata dall’altra parte? E l’Onu che fine ha fatto? Se davvero gli immigrati pagano le nostre pensioni, perché gli Stati non fanno a gara per ospitarne quanti più possibile? Perché il modello progressista è entrato in crisi? Perché, d’altro canto, i populisti acquistano consensi pure nelle storiche roccaforti del progressismo?

Forse non hanno poi così torto quelli che sostengono che persone di un’altra cultura, sradicate dal loro contesto e costrette ad “integrarsi” presso altre culture con altre regole e tradizioni, siano portate ad emarginarsi, a coalizzarsi fra loro e talvolta perfino a delinquere. Il principio di base è semplicissimo: “il simile conosce il simile”. E spesso odia il dissimile. Razzismo e pregiudizio non viaggiano mai a senso unico: può esserci chi pre-giudica, così come può esserci chi si sente pre-giudicato comportandosi di conseguenza. La cura in grado di trasformare l’immigrazione da “problema” a “risorsa” in realtà esiste: è il lavoro il più importante ed efficiente strumento di integrazione. Peccato che al momento scarseggi. Ma tutti debbono vivere, immigrati compresi. Il pregiudizio non è che un meccanismo di difesa, sia di chi ospita che di chi è ospitato.

Se pure esistessero dei pregiudizi nei confronti degli immigrati, forse non sarebbero nemmeno troppo infondati. Se gli immigrati fossero l’8% della popolazione totale e la tendenza a commettere reati si distribuisse omogeneamente nella popolazione, nelle carceri dovremmo avere una percentuale di immigrati reclusi vicina all’8%. Se tale percentuale sale “inspiegabilmente” al 40%, forse qualche problemino c’è. Aiutarli “a casa loro” era una bestemmia fino a non molti anni fa. Ora sembra che da più parti si faccia largo questa istanza. Aiutarli “a casa loro” ci farebbe risparmiare sia in termini economici che sociali.

L’accoglienza non dovrebbe essere la normalità, ognuno dovrebbe vivere tranquillo nel proprio Paese. L’accoglienza è un principio evangelico che può funzionare bene tra i singoli, non certo tra gli Stati. I fatti più o meno recenti lo dimostrano. L’immigrazione non dovrebbe essere un diritto, ma un fenomeno patologico causato da Paesi che non sono in grado di proteggere e tutelare i propri cittadini costretti a emigrare. Un fenomeno da evitare, dunque. Paesi del genere non andrebbero sfruttati ma aiutati, possibilmente nel loro stesso territorio. Non si chiama colonizzazione, si chiama buon senso.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Legalizzazione della cannabis… Chi ci guadagna davvero?

Ave Socii

Negli ultimi tempi sentiamo spesso parlare di “legalizzazione della cannabis” come se fosse la cosa più normale del mondo. Come se la libertà di sballarsi rischiando di mettere a repentaglio l’ordine pubblico sia una specie di diritto acquisito. Come se il nostro Paese fosse indietro anni luce rispetto agli altri “Paesi civili”.

D’altro canto, magari proprio gli stessi che tanto sostengono provvedimenti del genere non osano spendere una sola parola su una realtà dura e scomoda come quella della tossicodipendenza. Realtà che evidentemente non beneficerebbe degli effetti della legalizzazione. Chiunque volesse uscire dalla dipendenza da sostanze, al contrario, incontrerebbe forse più ostacoli in un mondo dove è consentito il libero utilizzo delle sostanze.

Alcune forze politiche dovrebbero trattare con minore superficialità il problema della diffusione delle sostanze e della tossicodipendenza. A maggior ragione dovrebbero farlo quelle forze politiche che dichiarano, ad esempio, di voler contrastare la diffusione del gioco d’azzardo e della ludopatia.


Droga e tossicodipendenza

Quando si parla di “tossicodipendente” si pensa subito a qualcuno da sostenere e curare… Ebbene, se la tossicodipendenza è davvero una malattia (così la definisce anche l’OMS) allora per quale motivo si dovrebbe consentire la diffusione dei potenziali “vettori” di questa malattia? Secondo logica, una malattia dovrebbe essere curata e, per quanto possibile, prevenuta. A meno che per l’OMS non esistano malattie di serie A e malattie di serie B.

Certo, allo stato attuale è difficile stabilire se esista correlazione fra il consumo di droghe cosiddette “leggere” e il possibile passaggio al consumo di droghe cosiddette “pesanti” e alla dipendenza: mentre alcune ricerche “dimostrano” che tale correlazione non ha ragione d’essere, altre affermano esattamente il contrario. Ma al di là di ciò siamo convinti che, così come esiste una “cultura della vaccinazione” al fine di prevenire la diffusione di malattie potenzialmente pericolose, in primo luogo per tutelare i soggetti più deboli ed esposti a tali malattie, allo stesso modo si dovrebbe promuovere una cultura della prevenzione anche in tema di sostanze psicotrope, evitando di rendere facilmente reperibili gli stupefacenti in primo luogo per tutelare i tossicodipendenti, in quanto soggetti deboli e maggiormente esposti al consumo e al rischio di ricaduta.


Educazione, nuovi modelli e musica trap

Oggi assistiamo sempre più al paradosso che molte persone, soprattutto giovani e giovanissimi, provano vergogna a chiedere aiuto ad uno specialista ma non si vergognano a rivolgersi ad uno spacciatore. Certi atteggiamenti sintomo di disagio, a nostro avviso, verrebbero senz’altro accentuati se si procedesse alla legalizzazione.

Ma la cannabis è una sostanza naturale… Ma la cannabis è usata nella cura di molte malattie… Ma la cannabis non dà dipendenza fisica… Ma è solo una cannetta… Quante giustificazioni si sentono in merito a “una cannetta”! Potrebbero dire chiaramente che gli piace, invece di tergiversare e inventarsi giustificazioni su giustificazioni, no? E invece… Molti continuano a farsi “una cannetta” e a giustificarsi sempre allo stesso modo. La cannabis è una panacea per i malati di Parkinson, giustissimo… Ma guardate quanti giovani attorno a voi si fanno le canne! Sono forse tutti malati di Parkinson?

Proprio tra i giovani c’è più fame di legalizzazione, perché sono loro a sopportare maggiormente il peso del disagio. Dipende certo dall’età ma pure, oggi come non mai, da una sempre più dilagante instabilità dei nuclei familiari: genitori poco o per nulla presenti, entrambi al lavoro per poter “arrivare a fine mese”, divorzi, famiglie allargate o “di fatto”… Negli anni l’instabilità familiare è stata incentivata in ogni maniera, anche attraverso provvedimenti politici ben precisi. Poi non meravigliamoci se molti ragazzi sono frustrati e si comportano da “bulli”, umiliano gli insegnanti, si coprono di tatuaggi, si fanno le canne a 13 anni o impazziscono per la musica trap!

Da sempre vari artisti hanno scritto opere inneggianti allo sballo, alla vita sregolata, alla marginalità. Rispetto e onore a chi ha avuto un passato difficile e riesce a riscattarsi con la musica! Guai, invece, se qualche artista utilizzasse la musica come mezzo per incitare comportamenti illeciti… E magari per incrementare gli affari di alcuni suoi amici spacciatori! La marginalità è tollerabile, per l’appunto, finché rimane marginale. Non quando diviene addirittura un “modello di vita”.

Oggi scopriamo che un intero filone musicale di questo tipo sta spopolando fra i giovani: la musica trap. Pezzi che inneggiano alla marginalità, ma il cui successo è tutt’altro che marginale… Pezzi cantati da “poeti maledetti”, che a volte addirittura picchiano dei ragazzini e poi magari fanno pure la morale sui “poliziotti frustrati”… Forse questi soggetti possono insegnarci come tagliare la coca, sempre che ciò sia di qualche utilità nella vita. Ma darci lezioni su chi è frustrato o meno… Quello proprio no!

Questa voglia di “evadere”, da parte dei giovani, spesso non è che un modo per sfogare la frustrazione di avere alle spalle famiglie disagiate o disattente ai loro bisogni di stima e appartenenza. A nostro parere bisognerebbe perciò restituire dignità alla famiglia in quanto fonte primaria di educazione, rendere più difficile l’ottenimento del divorzio, trattare la figura della casalinga (o del casalingo) come una qualsiasi altra figura professionale…

Promuovere la stabilità familiare, crediamo, inciderebbe in maniera positiva sui giovani: ragazzi meno frustrati eviterebbero di ricorrere ad uno spacciatore (il quale, legale o illegale che sia, è desideroso solo di far cassa sui loro bisogni) e si affiderebbero di più ai propri genitori o, al massimo, ad uno specialista (il quale sì guadagna grazie ai bisogni altrui, ma almeno ha le competenze giuste per farlo).


Legalizzare sì, legalizzare no

Tutte le sostanze psicoattive, proprio in quanto “psicoattive”, generano potenziali problemi di ordine pubblico se lasciate libere di circolare: succede con l’alcol, che in fin dei conti non è una sostanza finalizzata allo sballo, dunque può benissimo succedere anche con sostanze stupefacenti il cui utilizzo è invece finalizzato quasi esclusivamente proprio allo sballo. Pensiamo che la risposta più giusta in questi casi sia la diffusione controllata di tali sostanze a scopo esclusivamente terapeutico, non certo la loro libera circolazione. Le disposizioni sulla prescrizione di preparati magistrali a scopo terapeutico esistono già, forse andrebbero perfezionate. Siano le farmacie a vendere determinati prodotti dietro prescrizione medica! Non i cannabis shop!

Vorremmo sapere come i cannabis shop riescano a reggere la concorrenza, in un mercato che accoglie sempre più policonsumatori. A chi si rivolgerebbe un “policonsumatore medio”, secondo voi? A un negozio che vende solo cannabis? E se avesse bisogno, ad esempio, pure di ecstasy e coca? Per quelle c’è sempre lo spacciatore, direte voi. Mettiamo che lo spacciatore gli offra anche la cannabis, magari a un prezzo inferiore a quello dei cannabis shop. Se foste voi i policonsumatori, da chi andreste a rifornirvi? Cosa dovremmo fare per rendere più competitivi i “negozi di droga legale”, allora? Legalizzare anche qualche sostanza “pesante”? Una volta passato il messaggio che la droga si può legalizzare, vedrete che la cannabis sarà solo l’inizio.

Francamente, non vediamo alcun vero vantaggio nel liberalizzare le sostanze stupefacenti. Pure la tanto decantata “sottrazione di potere alla criminalità organizzata”, accompagnata al “sicuro guadagno per le casse dello Stato”, potrebbe in fin dei conti rivelarsi un falso mito. Le mafie possono benissimo fare affari con la “cannabis legale”, esattamente come hanno fatto con le energie rinnovabili. Qualcuno afferma che voler combattere gli spacciatori è scontato come volere la pace nel mondo… E che il vero problema sono le piazze di spaccio gestite dalla camorra… Beh, anche voler combattere la camorra è scontato come volere la pace nel mondo, no? Il nodo sta nelle strategie che si vogliono adottare. E allora, è davvero strategico legalizzare le droghe “leggere”?


Gli effetti della legalizzazione

Alcuni studiosi si sono presi la briga di analizzare costi e benefici di un’eventuale legalizzazione della cannabis. A quanto pare, dalla loro analisi risulterebbe un guadagno netto per lo Stato di diversi miliardi. E’ certamente apprezzabile lo sforzo dei suddetti studiosi. Tuttavia nutriamo non pochi dubbi sull’attendibilità di analisi di questo tipo. Lo sappiamo bene… Le analisi costi-benefici sono difficili da farsi pure per le opere tangibili. E per una stessa opera possiamo produrre analisi diversissime con esiti altrettanto diversi. Figurarsi per un fenomeno complesso e imprevedibile nei suoi effetti, come appunto la legalizzazione delle droghe.

Per uno Stato, legalizzare le droghe “leggere” non vuol dire necessariamente avere maggior successo nella repressione dei reati riguardanti le droghe “pesanti”. Specialmente per uno Stato dove la lentezza della giustizia la fa da padrona e le Forze dell’ordine sono poco motivate a perseguire dei soggetti che magari alla fine torneranno in libertà.

Se in uno Stato come il nostro si procedesse a legalizzare, i narcotrafficanti al massimo ci perderebbero solo nel breve termine. Alle associazioni criminali, una volta registrato il calo di introiti derivante dalla legalizzazione delle droghe “leggere”, basterà semplicemente aumentare il prezzo delle dosi di droghe “pesanti” fino a raggiungere una quantità tale da avere maggiori introiti. Chi è tossicodipendente, per definizione, non potrà comunque fare a meno di quelle dosi: sarebbe disposto a pagare qualsiasi prezzo, con tutte le immaginabili conseguenze in termini di pubblica sicurezza.

Dunque le organizzazioni criminali potrebbero uscire indenni (se non rafforzate) dalla legalizzazione. Di contro, per lo Stato il guadagno non sarebbe affatto sicuro. Non è da escludere che possa addirittura perderci, se gli introiti derivanti dalla legalizzazione non fossero sufficienti per incrementare la sicurezza contro furti, rapine e altri reati compiuti da chi deve procurarsi una dose, oppure per curare un maggior numero di tossicodipendenti o, comunque, di soggetti affetti da patologie mentali in qualche modo riconducibili al consumo di sostanze psicotrope.

Fra le motivazioni a favore della legalizzazione, una ci ha fatto riflettere particolarmente: il consumo di sostanze sarebbe elevato perché si tratta di un comportamento illegale. In altri termini, il fatto stesso che sia illegale rende allettante quel comportamento agli occhi dei giovani: se solo venisse legalizzato, il consumo di sostanze non aumenterebbe e anzi potrebbe anche diminuire. Curioso… Come dire che il numero di omicidi diminuirebbe se il reato di omicidio venisse cancellato dal codice penale. Meglio non commentare…


E se legalizzassimo la prostituzione?

A questo punto, se il vero problema è sottrarre potere alla criminalità e avere entrate sicure per lo Stato, perché non riaprire le case chiuse? Perché si continua a dare così tanto peso alla legalizzazione delle sostanze e così poco peso è riservato alla legalizzazione del “sesso a pagamento”? Ormai da decenni la maggior parte dei tabù relativi alla sessualità sono crollati… Perché dunque non consentire finalmente che la sessualità diventi un’opportunità di lavoro? Dopotutto stiamo parlando del “mestiere più antico del mondo”… Dove sono finite quelle folle di femministe inneggianti alla libertà d’uso del proprio utero? Non sarebbe meglio che ognuno, liberamente e nei limiti della liceità, decidesse di fare ciò che vuole del proprio corpo? Magari anche costruirci una professione e una carriera? Invece che rischiare, per necessità, di doverlo vendere a trafficanti e sfruttatori?

Legalizzare le “professioni sessuali”, con l’obbligo di sesso protetto e di controlli sanitari periodici (e con sanzioni salate per i trasgressori), avrebbe ricadute positive sulla salute collettiva (più rapporti sessuali sicuri e “al chiuso”) e sull’ordine pubblico (meno vittime della prostituzione per le strade), nonché sulle finanze statali (come un qualsiasi altro lavoro, le professioni sessuali sarebbero soggette a imposte e contributi). E le organizzazioni criminali perderebbero ogni possibilità di competere nel settore del sesso. A differenza del settore delle sostanze dove, come già ricordato, i mancati introiti delle droghe “leggere” possono essere facilmente rimpiazzati da quelli delle droghe “pesanti”. Soprattutto oggi che la domanda di stupefacenti è formulata sempre più da soggetti “policonsumatori”.


Conclusioni

Speriamo vivamente che il tema della droga venga affrontato seriamente dalla politica. E che non si limiti ad essere l’ennesimo terreno di scontro o argomento da mera campagna elettorale. Destra, sinistra, centro, sopra, sotto… Tutti dovrebbero rendersi conto che la droga è un problema serio. Non un’occasione in più per lucrare sulla pelle e i bisogni dei più deboli.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Libertà di censura. Quando certe opinioni non sono gradite

Ave Socii

Quanto accaduto all’ultima Fiera del Libro di Torino è inaccettabile. Censurare qualcuno solo perché promotore di opinioni diverse da quelle di alcuni non è tollerabile. Specie in un Paese come il nostro che si professa “democratico”.

In questo Paese si dovrebbero condannare un po’ di più le tante (troppe) forme di violenza, piuttosto che le opinioni altrui. Uno Stato che censura le idee, che impedisce ad alcune penne di scrivere solo perché hanno un colore che non piace, non è uno Stato libero.

La nostra Costituzione, all’articolo 21, tutela espressamente il diritto alla libera manifestazione del pensiero. Perché dunque certe idee vengono censurate? Per di più con l’avallo di alcuni esponenti istituzionali? E’ davvero questa la libertà al tempo dell’antifascio?

La nostra Costituzione nasce dalle ceneri di una dittatura ventennale. Grazie alla Carta, la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del “disciolto partito fascista” è tassativamente vietata. Se dunque alcune organizzazioni promuovono determinate idee giudicate “fasciste”, allora perché continuano ad esistere? Perché non sono state dichiarate “incostituzionali” ancor prima della loro venuta al mondo? Tacciarle ora di fascismo sembra, a nostro avviso, un tantino ipocrita.

E ci preoccupa ancor di più che il fatto in questione sia avvenuto a ridosso della più importante manifestazione di libri a livello nazionale. E’ evidente come in questo Paese sia in atto un grande e subdolo piano di censura, da parte di certa intellighenzia e di certi esponenti politico-istituzionali. A tutto svantaggio della libertà di espressione costituzionalmente tutelata.

Chi in questo Paese si riempie la bocca di Costituzione e poi si permette di non rispettarla, a nostro avviso non crede davvero nella democrazia. Il libero confronto fra le idee è ciò che maggiormente differenzia una democrazia da una dittatura. Quelli con la bocca piena di Costituzione dovrebbero saperlo. A Torino purtroppo non se lo sono ricordato.

Anche e soprattutto nella politica, la tentazione alla censura delle opinioni “scorrette” è molto forte. Cosa c’è da aspettarsi, ad esempio, da un movimento che raffigura cinque stelle sul suo simbolo, come sulla bandiera cinese, stringe accordi commerciali con la Cina e pretende di decidere chi è colpevole o no in base al mero sospetto (proprio come accade in Cina)?

E’ chiaro ed evidente a quale modello vorrebbe rifarsi una certa politica. Ma noi, al “modello Cina”, vogliamo contrapporre il nostro modello democratico garantito dalla Costituzione. Un modello per cui chi la pensa diversamente ha diritto di esprimere la propria opinione senza pericolo di censura. Un modello che tutela la divisione dei poteri e che consente a chi è indagato di difendersi prima di essere giudicato. Un modello che salvaguarda la nostra libertà impedendo la rinascita della dittatura.

L’impressione, da parte nostra, è che in realtà una dittatura si stia sviluppando. La “dittatura del retto pensiero”, quella che ci vorrebbe tutti appiattiti su certi valori e idee, dalla parte dei fascio-buonisti, senza possibilità di replica. Magari un giorno ci troveremo a dover cantare “bella ciao” perfino a Natale, senza ricordarci di aver scelto, fra tutte le possibili occasioni per ricordare i sacrosanti valori della Resistenza, quella forse più fuori luogo di tutte. Chissà cosa succederebbe se qualcuno osasse intonare “tu scendi dalle stelle” il 25 aprile!

Che una qualche forma di dittatura venga sposata pure da esponenti politici filocinesi e giustizialisti non ci pare un’ipotesi così remota. Perfino i cosiddetti “antifascisti” lo fanno. E neanche troppo di rado. Noi nel frattempo continuiamo a resistere e a manifestare liberamente le nostre idee. Che piacciano o meno. Nel nome della Costituzione e della libertà di opinione. E’ questa la vera forma di Resistenza oggi, al tempo dell’antifascio.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Per la cultura libera. Sempre

Ave Socii

Purtroppo nel 2019 c’è ancora qualcuno che odia le opinioni di chi non la pensa uguale. E che cerca addirittura di escluderle dal libero dibattito democratico.

Che siano bianchi, neri, gialli, rossi o verdi, nessuno può essere censurato per le idee che ha. La cultura non va mai imbavagliata.

Ogni penna, di qualsivoglia colore essa sia, ha il diritto di scrivere.

A volte una penna che scrive può far male, ma non ha mai ucciso nessuno.

Vostro affezionatissimo PennaNera