Prostituzione. Dell’inutilità del moralismo

Ave Socii

Il settore del divertimento è uno di quelli che sta andando per la maggiore, nella parte opulenta del mondo. Anche grazie ai tentativi, sempre più pressanti, di liberalizzazione di interi segmenti di mercato altrimenti in mano alle associazioni criminali. E’ davvero sempre positivo cercare di togliere potere ai criminali, semplicemente liberalizzando attività inizialmente in mano loro? Alcuni suggeriranno di prendere a modello l’Olanda e di osservare i successi ottenuti nel contrasto allo spaccio di droga. Ma non è tutto oro quel che luccica. Probabilmente alcuni olandesi non apprezzano tutta questa “libertà di sballo” portata dal libero consumo delle droghe “leggere”. Probabilmente la questione dello sfruttamento illegale della prostituzione nei quartieri a luci rosse è tutt’altro che risolta. Probabilmente in Olanda hanno liberalizzato troppe cose. Ma in genere questo non viene detto…

I mercati controllati dalla criminalità si possono anche regolamentare, nessuno lo vieta. Purché poi si facciano i dovuti controlli. Come per la regolamentazione della prostituzione. Se nessuno controlla, l’intento di evitare lo sfruttamento illecito della prostituzione non si realizza e i criminali continuano a regnare tanto quanto regnavano prima. Tuttavia i controlli costano. E’ dunque necessario, per ottimizzare le risorse, scegliere con attenzione cosa liberalizzare e cosa no. Non si può avere tutto, quando le risorse scarseggiano. Neanche quando in gioco c’è la sacrosanta libertà di divertirsi. Non è moralismo, è realismo. E se proprio vogliamo regolamentare il divertimento, scegliamo tipologie di divertimento meno artificiali possibile. I divertimenti naturali sono i più democratici che esistano: non hai bisogno di nulla, fuorché del tuo corpo.

Perché impedire di usufruire dei divertimenti davvero naturali, quando si fa del tutto pur di far passare quelli artificiali e indotti dalle sostanze? Fra i due, noi preferiamo di sicuro regolamentare il divertimento naturale. Perché tanta attenzione riservata solo alle “droghe leggere”? Quando si potrebbe fare benissimo la stessa cosa con la prostituzione? Anzi, regolamentando la prostituzione forse la salute collettiva e l’ordine pubblico ne gioverebbero pure. Difficilmente, invece, ne gioverebbero legalizzando le droghe. Spesso chi vuole la regolamentazione del mercato dello spaccio, non si mostra altrettanto “liberale” riguardo la prostituzione. Spesso chi da un lato inneggia all’antiproibizionismo, dall’altro veste inspiegabilmente i panni del moralista. Vendere droga è forse meno immorale che vendere il proprio corpo?

Deprecabile, a nostro avviso, dovrebbe essere invece il fatto che ragazzine di 13 anni già indossano abiti succinti e si truccano pesantemente. Perché qui i sostenitori del femminismo e dell’antiproibizionismo non si scandalizzano? Che tipo di modelli imitano, queste ragazzine? Speriamo non le loro madri! Chi è maggiorenne può fare quel che vuole della propria vita, ovviamente nei limiti della liceità. Anche vendere il proprio corpo in piena libertà, a nostro avviso. Se dobbiamo proprio fare lezioncine di morale, sarebbe più opportuno farle ai minorenni quando siamo ancora in tempo per farci ascoltare. Ma i minorenni assorbono più facilmente ciò che vedono e sentono attorno a loro. Ciò che è buono come ciò che è cattivo. E poi, scimmiottando i valori propugnati dai loro modelli adulti, li estremizzano e mettono “alla prova” la coerenza della società, per vedere fin dove la società stessa tollera che ci si spinga.

La società manda messaggi ambigui e contrastanti… Prima esalta l’apparenza, il farsi vedere, il dare un’immagine di sé attraente, il sex appeal… Poi si scandalizza dinanzi alle donne di facili costumi. O dinanzi alle “ragazze oggetto”. O dinanzi alle pubblicità in cui le donne posano in atteggiamenti provocanti. O dinanzi a comportamenti che esaltano il maschilismo o il “machismo”. Nessuno di noi saprebbe prendere una posizione chiara e netta, dinanzi a comportamenti del genere. Forse tali atteggiamenti un po’ ci piacciono anche. Sotto sotto, oppure anche più in superficie, ad ogni uomo piace vedere una donna in forma e provocante. E ad ogni donna piace vedere un uomo possente e sicuro di sé. Influenze della società o caratteristiche naturali? Chi lo sa…

Ogni essere umano, in buona sostanza, sembra provare attrazione per chi “si vende”. Gli uomini, forse, perché alla ricerca di sicurezza. Le donne, forse, perché alla ricerca di attenzioni. Quando ci sono di mezzo i bisogni umani, il moralismo è utile quanto una penna priva di inchiostro. Se una persona fa di tutto pur di attirare l’attenzione, magari arrivando a vendere il proprio corpo, probabilmente questa è la strategia che meglio si adegua alle sue esigenze di attenzione da parte degli altri. Se la correzione di determinate strategie non è arrivata in tenera età, in età matura nessuno più gliele toglierà. Ovviamente c’è pure chi si vende per necessità e magari non ha di questi problemi di autostima… Riguardo tutte queste persone, comunque, vale la stessa domanda: perché rischiare che del loro corpo benefici la criminalità?

E allora, piuttosto che condannarle ad una vita di inutili pregiudizi, giudizi ipocriti e sensi di colpa, perché non consentire loro di vendere il proprio corpo in piena libertà e consapevolezza? Magari non in mezzo a una strada. Magari con qualche protezione in più. Magari con maggiori tutele anche per i potenziali clienti, oltre che per loro stesse. Magari consentendo loro, tramite un lavoro regolare, anche di raggiungere una sorta di realizzazione personale. Forse non è la priorità, ma lo Stato dovrebbe regolamentare il mondo della prostituzione. Ne beneficerebbe esso stesso. Anche se ciò farebbe arrabbiare non poco le associazioni criminali, che di punto in bianco si vedrebbero togliere il monopolio su un segmento di mercato redditizio. Con le droghe sarebbe diverso, il potere dei narcotrafficanti rimarrebbe sempre ben saldo. Forse è per questo (lo diciamo con un pizzico di malizia) che qualcuno spera così tanto nella liberalizzazione delle droghe.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Morte e vita. Il diritto e la pena

Ave Socii

La vicenda della ragazzina olandese che ha deciso di darsi la morte, perché provata dal male di vivere, ha riacceso il dibattito sull’eutanasia. Chi si professa “progressista” crede che il progresso passi anche per la “buona morte”. Certo, consentirla a delle ragazzine minorenni forse non è il massimo. Anche l’Olanda, in realtà, ha norme piuttosto stringenti su questo tema.

Decidere di morire, perché si è stanchi di vivere… Se la “buona morte” ha un qualche senso, crediamo debba limitarsi ai soli casi di malattie terminali e malattie per le quali non esiste alternativa diversa dall’accanimento terapeutico. Di certo non dovrebbe servire per curare casi di depressione. Così l’aborto, se ha un qualche senso, dovrebbe limitarsi ai soli casi di rapporti sessuali non consenzienti. E ai casi di malattie gravi dell’embrione. E dovrebbe essere praticato, comunque, entro tempi non troppo lunghi dalla fecondazione.

Forse stiamo perdendo il “senso della vita”, presi come siamo dal “senso della morte”. Preferiamo tutelare chi sceglie di morire, invece di supportare chi vorrebbe scegliere di vivere. I fascio-buonisti, dall’alto del loro senso di progresso, premono per una regolamentazione delle “pratiche di morte”. Se per loro il concetto di vita è così relativo, allora per quale motivo non sono altrettanto pressanti in tema di pena di morte per i criminali? Va bene battersi per il diritto a una vita dignitosa. Però, a questo punto, non dimentichiamoci della dignità di vivere. E di chi, forse, per quel che ha combinato non merita una tale dignità.

Speriamo che mai nessuno debba morire per mano d’uomo, ci mancherebbe. Però, se proprio qualcuno deve perdere la vita in questo modo, preferiamo siano i colpevoli e non gli innocenti. Pensate che strani che siamo! I “politicamente corretti” cosa dicono, invece? Pena di morte per i criminali no, aborto e eutanasia sì… Saremo noi fuori dal mondo, ma questo ci pare un po’ un controsenso. Perché se un privato sceglie di morire va tutto bene… e se invece è lo Stato a decidere che uno deve morire, perché ha violato determinate leggi, ripiombiamo nel buio Medioevo?

E così, in nome del progresso, dobbiamo liberalizzare anche la morte… Così comanda la “retta dottrina” dei fascio-buonisti. Noi abbiamo un’idea di progresso diversa. Per noi una società è progredita se ognuno dei suoi membri si assume le responsabilità di ciò che fa. Chi nega il diritto alla vita di una persona, dovrebbe sapere che di quel medesimo diritto può anche essere privato. Non da un altro individuo, sia chiaro, ma dallo Stato. Anche gli aborti e i suicidi assistiti sono negazioni della vita. Per “giusti motivi”, ci mancherebbe… ma anche lo Stato può avere “giusti motivi” per privare qualcuno della vita, non solo i singoli. L’intervento dello Stato, anzi, potrebbe pure distogliere gli individui dal desiderio di farsi giustizia da sé, prevenendo il sorgere di eventuali faide e contribuendo ad abbassare il livello di tensione sociale. Lo Stato dovrebbe essere l’unico legittimato a compiere simili atti “di giustizia straordinaria”.

Noi vorremmo uno Stato in cui le pene siano certe e servano alla “rieducazione del condannato”, come raccomanda anche la Costituzione. Rieducazione finalizzata al reinserimento del reo nel tessuto sociale. In questo senso, l’ergastolo è forse la pena più inutile che esista… Fine pena mai, nessuna possibilità di ritorno alla vita sociale, quindi nessuna finalità rieducativa… Un posto in galera occupato a vita da un tizio che, nella maggioranza dei casi, trascorre i suoi giorni a meditare una strategia di fuga oppure il suicidio (che poi non è altro che una particolare strategia di fuga)… Ergastolo spesso commutato in altra misura perché magari il condannato ha dato di matto, oppure per “buona condotta”… Alla faccia della certezza della pena… E il tutto a spese dello Stato.

La Costituzione stessa, nella sua prima formulazione, prevedeva la pena di morte in casi eccezionali. Un tempo perfino la Chiesa condannava a morte i suoi colpevoli. Formalmente, lo Stato Pontificio ha abolito la pena di morte solo nel 2001. In realtà, tuttavia, le ultime condanne risalgono a circa due secoli fa. Ora la Chiesa, coerentemente, condanna espressamente qualsiasi forma di “negazione della vita”, che sia aborto o pena di morte o eutanasia. D’altro canto, uno Stato che ha tempo di interrogarsi sull’introduzione della “buona morte”, secondo noi, dovrebbe interrogarsi anche sull’introduzione della “pena di morte”. Sembrano ora riecheggiare a nostro sfavore le parole dell’illuminista Beccaria: perché lo Stato dovrebbe prevedere la morte come pena, quando la condanna come reato?

Eppure il nostro ordinamento non può non prevedere fattispecie di reati riguardanti, in un modo o nell’altro, il concetto di “morte”. Tutti noi saremmo contenti se non vi fossero omicidi, ma evidentemente la realtà dei fatti è un po’ diversa. Qualcuno potrebbe dunque obiettare a Beccaria: perché la morte può comunque esistere come reato, all’interno di uno Stato che la aborrisce addirittura come pena? Le considerazioni di Beccaria sulla pena di morte, perciò, dovrebbero essere ribaltate: se è sbagliato aborrire la morte solo come reato e prevederla comunque come pena, perché dovrebbe essere giusto aborrirla solo come pena e prevederla comunque come reato?

Siamo dell’idea che uno Stato davvero progredito debba prevedere la pena di morte per reati particolarmente efferati, che violano gravemente specifici diritti di rilevanza costituzionale. Vogliamo incominciare a ristabilire un po’ di certezza della pena? Ebbene, pena più certa di questa non esiste davvero. Chi nega la vita altrui dovrebbe sapere che può incorrere nel medesimo trattamento. Però non vogliamo la legge del taglione. Crediamo sia comunque opportuno dare un “tempo di recupero” al reo, per consentire la sua responsabilizzazione e “rieducazione”. Qualora poi il reo non sfruttasse adeguatamente questa possibilità, lo Stato potrebbe sempre prendere i dovuti provvedimenti. Fossimo noi lo Stato, arrivati a questo punto preferiremmo senza dubbio giustiziare il colpevole piuttosto che rischiare, per causa sua, di piangere altri innocenti.

Probabilmente non tutti condivideranno le nostre posizioni, i temi qui affrontati sono particolarmente delicati. Ma noi siamo per la cultura libera e per la libera espressione del pensiero. Neanche noi condividiamo le posizioni di alcuni, in merito a questi argomenti. Tuttavia le rispettiamo e auspichiamo un confronto costruttivo nel rispetto reciproco. Speriamo che pure il dibattito politico trovi al più presto una sintesi positiva e coerente fra le varie istanze.

Vostro affezionatissimo PennaNera