Uomo al centro del mondo: un progetto destinato a fallire

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L’umanesimo inteso come esaltazione delle capacità dell’uomo… Come metodo di governo del mondo… Talvolta come vera e propria filosofia di vita… Mettere l’uomo al centro di tutto… L’uomo come origine e fine di ogni azione… Un sistema del genere vige nei momenti “di euforia” della Storia dell’umanità. Vige ai tempi di Hammurabi, parlando dell’Antica Babilonia. Vige ai tempi di Cheope, parlando dell’Antico Egitto. Vige ai tempi di Aristotele, parlando dell’Antica Grecia. Vige ai tempi di Augusto, parlando dell’Antica Roma. Vige ai tempi di Leonardo, parlando del Rinascimento. Vige ai tempi di Voltaire, parlando dell’Illuminismo. Probabilmente vigeva fino a qualche settimana fa, parlando del mondo aperto e globalizzato.

La Storia dell’uomo oscilla alla stregua di un pendolo. Da epoche di euforia si passa ad epoche di riflessione e, talvolta, di vera e propria depressione o sfiducia nelle capacità umane. E viceversa. Il momento che stiamo attraversando potrebbe costituire uno di questi momenti di passaggio. Se l’uomo, con le capacità di cui è dotato, non riuscirà a fronteggiare con successo gli effetti del coronavirus, si incamminerà verso un sentiero di sfiducia verso se stesso e la propria identità. Questo è, pertanto, uno di quei momenti in cui l’uomo può fare la Storia. La propria Storia.

L’umanesimo, nelle fasi “euforiche” della Storia, tende a diffondersi e dilagare in tutti gli ambiti. Scienza, economia, medicina, persino religione… Grazie alla visione “umanistica”, tutto magicamente diviene “a misura d’uomo”. Tutto è a servizio dell’umanità, perfino Dio. E talvolta ci convinciamo che tutto sia, in un modo o nell’altro, dovuto e lecito. Ma le conquiste umane, nella Storia, hanno spesso significato sacrifici e perdite. Non c’è nulla di così scontato. Nulla di così certo. Nulla di così sicuro e incrollabile. La “fede nell’umanità” non può durare per sempre. E forse in questi giorni difficili lo stiamo comprendendo meglio. E’ bastata qualche settimana e un essere invisibile, tale COVID-19, per mettere in discussione valori di cui nessuno avrebbe mai osato dubitare.

Globalizzazione, valori universali, caduta dei muri, abbandono dei pregiudizi, integrazione… Chiunque, solo qualche settimana fa, si fosse proclamato contrario a queste idee sarebbe rimasto relegato ai margini della Storia. Oggi la situazione è un po’ diversa. Solo qualche settimana fa i giovani riempivano le piazze per sposare la causa ambientalista… Altro frutto, neanche a dirlo, di un’umanità “in preda all’euforia”. Perché non c’è altra definizione per un’umanità che ha modo e tempo di pensare ai “diritti dell’ambiente”. Un’umanità abituata alla liberalizzazione di qualsiasi cosa… Al fatto che qualsiasi cosa sia possibile… Al fatto che non esistano limiti… Poi è arrivato il virus. E l’umanità ha dovuto risvegliarsi dal suo dolce torpore, correndo il serio rischio di piombare in una voragine di depressione collettiva.

Potrebbe anche darsi che, dopo la scoperta di un vaccino, tutto quanto ritornerà come prima. Certo, pure se ne uscirà vincitrice l’umanità non potrà dimenticare facilmente questa esperienza. L’autoconvinzione del proprio senso di onnipotenza ha reso l’umanità cieca dinanzi alla portata dell’ignoto. La fede illimitata nell’uomo ci ha fatto sottovalutare l’eventualità di pericoli inattesi. Forse questo potrà essere il tempo giusto per ritornare ad una fede autentica. Una fede basata non sulle capacità umane, fragili e limitate come abbiamo visto, ma su una riscoperta sincera del Mistero e del Regno di Dio. Magari attraverso una più approfondita lettura del Vangelo, libro che forse varrebbe la pena rivalutare e meditare. Perché se l’uomo può forse governare ciò che gli è noto, ciò che gli è ignoto può affrontarlo solo con l’aiuto di Dio.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Strade sempre più insicure, soprattutto per i pedoni

Ave Socii

Da tempo immemore, purtroppo, la cronaca mostra che, sulle nostre strade, c’è chi si mette al volante ubriaco o drogato. E c’è ancora chi, tra le forze politiche, è addirittura favorevole ad aumentare il numero di sostanze legalizzate. Come se non bastasse l’alcol, vogliono aggiungere la cannabis e magari pure qualcos’altro. E poi si arrabbiano, quando qualcuno si fa vedere un tantino più “proibizionista”… Allora perché non fermiamo anche la vendita di alcolici? Questo si domandano, dandoci degli ipocriti. Sanno benissimo, furbetti, che la vendita di alcolici non si può limitare facilmente. E pensano bene di proteggersi dietro a questo scudo. Ci si sballa con l’alcol, tanto vale sballarsi pure con altro. Perché l’alcol sì e la cannabis no?

Questo giochino del “mettere sotto scacco i proibizionisti”, tuttavia, dà per scontata una cosa che in realtà scontata non è affatto. Ossia, che alcol e droghe abbiano la stessa natura e servano, fondamentalmente, per sballarsi. Questa pericolosa identità è oggi sponsorizzata in primo luogo dai trapper e dai loro testi musicali, tanto amati da giovani e giovanissimi. E’ un’identità pericolosa e fuorviante. Bere alcol non significa necessariamente sballarsi; farsi una canna, invece, conduce sempre ad un’esperienza di sballo. Perché gli alcolici sono degli alimenti, i cannabinoidi dei medicinali. Chi pensasse di trattare l’alcol come una droga tout court, in pratica, giungerebbe a considerare “spacciatori” perfino quei viticoltori che mantengono alto il nome del “Made in Italy” nel mondo. D’altro canto, la cannabis è una sostanza psicotropa che ha certamente effetti benefici su determinate patologie. E, in quanto tale, dovrebbe essere trattata come un farmaco, non come un passatempo ricreativo.

Ritornando a chi viaggia sulle nostre strade, potremmo chiederci perché certa gente si mette a guidare in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti. Probabilmente è gente che soffre, gente depressa che ha bisogno di sballarsi. Gente totalmente incentrata sui propri problemi, perciò incurante di tutto il resto. Una sostanza non provoca sballo finché non è legata ad una particolare esperienza. Bere tre dita di vino a pranzo, accompagnando i pasti, è forse un’esperienza di sballo? Persino la somministrazione controllata di cannabinoidi in ambito sanitario, per curare il morbo di Parkinson ad esempio, non porta ad uno sballo propriamente detto. D’altro canto, chi prima si fa una canna oppure svariati bicchieri di alcolici e poi scorrazza per le strade… Beh, forse ha bisogno di curarsi.

Chi ha avuto particolari esperienze di vita, soprattutto all’interno di famiglie problematiche, tende a cercare al di fuori del nido familiare la propria ragion d’essere. E spesso la trova nel divertimento estremo, nello sballo appunto. Mettere a rischio la vita altrui è forse una componente essenziale di quest’esperienza. Come dire: io ho sofferto tanto e ce l’ho con la società, perciò la società deve capire cosa vuol dire soffrire. A volte il fatto stesso di aver sofferto giustifica, agli occhi di costoro, la sofferenza che può capitare ad altri membri della società. L’invidia nei confronti del mondo li rende pericolosi: si lamentano che la loro vita è un inferno, quando certe volte sono loro stessi a rendere infernale la vita degli altri. E’ forse “libertà di divertirsi” questa? Nessuno può permettersi di affermare la propria libertà, arrivando a negare la libertà altrui.

Mettendosi nei panni di queste persone, si finisce senza dubbio per giustificarle. Le loro “vite difficili” coinvolgono e commuovono. Se sbagliano non importa, l’importante è che prima o poi si redimano… Perché la redenzione è possibile per tutti… Si tratta di un pensiero (purtroppo) assai diffuso oggi, dove sembra che ai criminali sia concesso tutto e che delle vittime tutti si dimentichino. Perché è così che dovrebbe essere considerato uno che scorrazza per le strade in preda allo sballo: un criminale. Il fatto che dei pedoni abbiano attraversato col rosso non giustifica un conducente in stato di ebbrezza che li travolge. Non vogliamo fare la solita predica sul divertimento sano e senza eccessi. Se volete bere, bevete. Se volete drogarvi, drogatevi. Ma per tornare a casa, fatevi almeno accompagnare da chi sta meglio di voi. Ne va non tanto della vostra vita ma della vita altrui, dei pedoni soprattutto.

Purtroppo il clima di buonismo negli ultimi tempi imperante ha varcato pure i confini del diritto. Dinanzi a un sistema che concede attenuanti a persone che “hanno sofferto”, noi rispondiamo con un progetto ri-educativo serio di reintegrazione e reinserimento nella società. Un progetto basato sulla rielaborazione del senso della vita, sull’abbattimento del vittimismo e sulla responsabilizzazione. Crediamo che ai soggetti devianti debbano essere concesse possibilità che magari non hanno mai avuto. Ma non all’infinito. Qualora tale progetto fallisca, infatti, non rimane che trattare queste persone come in effetti vogliono essere trattate: da criminali. E, nel caso risultino nuovamente coinvolte in reati provocati da situazioni di sballo, provvedere alla loro neutralizzazione.

L’applicazione della pena di morte, in realtà, non dovrebbe valere solo per chi viaggia per le strade in preda a droghe o alcol. Dovrebbe valere per tutti coloro i quali mettono a rischio la vita altrui, fra i quali anche spacciatori e assassini. Perché la vita è un diritto sacro e, in quanto tale, nessuno dovrebbe permettersi di insidiarlo. Qualora questo accada, potrebbero aprirsi degli spiragli per un intervento dello Stato nel caso il reo sprechi le possibilità di reinserimento nella società. Speriamo, ovviamente, che interventi tanto drastici non trovino mai applicazione pratica. Tuttavia crediamo che ognuno di noi avrebbe un motivo in più per responsabilizzarsi, se sapesse di rischiare grosso. E’ così strano sentir parlare di morte per i colpevoli, in uno Stato in cui si parla spesso di morte per gli innocenti?

Vostro affezionatissimo PennaNera

Perdonare i propri nemici: la rivoluzione di Gesù

Ave Socii

Il Vangelo è una miniera di consigli sul come vivere bene e felici. In quanto a spunti di questo tipo, il cristianesimo non ha assolutamente nulla da invidiare al buddismo e a simili altri credo religiosi. Il Vangelo non è roba da vecchi e noiosi preti o dottrina piena di inutili insegnamenti. Oggi va di moda fare yoga o prendersi qualche psicofarmaco, per arrivare a sentirsi felici. Chi legge il Vangelo è invece uno che non sta bene e ha qualche rotella fuori posto, secondo molti… Eppure una riscoperta del Vangelo sarebbe più che opportuna, al giorno d’oggi. In quel libro piccolo piccolo si celano forse tutte le risposte ai principali dilemmi dell’uomo.

A ben vedere il Vangelo sconfina, va oltre i recinti prettamente religiosi. Il Vangelo è un incredibile compendio di consigli utili al buon vivere e alla serenità d’animo. Forse vi si possono riconoscere valori propri non solo della cultura cristiana, ma dell’umanità tutta. Per una vita serena, ciascuno di noi ha bisogno di sentirsi perdonato e, soprattutto, di perdonare. Perdonare, non farsi vedere rancorosi per un torto subito… Piuttosto dimenticare e andare avanti, magari continuando a incontrare l’altro come se nulla fosse accaduto. Il “nemico” non si aspetterebbe mai una cosa del genere. E’ questo che lo spiazza. Sotto sotto, a beneficio del proprio senso di onnipotenza, lui vorrebbe che il suo comportamento influenzasse l’altro invece di lasciarlo indifferente.

Perdonare i propri nemici… Il messaggio di Gesù è qualcosa di rivoluzionario. L’uomo è per sua natura incline a suddividere la società in amici e nemici, in buoni e cattivi. Con gli amici si continua a parlare, con i nemici no… Questo è il nostro comportamento naturale. Eppure forse c’è un modo per sentirsi ancora più realizzati: parlare anche con i nemici, come se non ci avessero mai fatto niente. Ciò probabilmente contrasta con il buon senso… La nostra più alta realizzazione non è forse far vedere ai nostri nemici quanto valiamo? Dopo averci colpito con i loro attacchi, i nostri nemici vorrebbero che noi rimanessimo a terra doloranti. Noi invece meditiamo vendetta, spesso rispondendo agli attacchi per farci vedere più forti di loro. Eppure così siamo vittime del loro gioco, volto a farci sentire “sotto scacco” e a rispondere per evitare figure da babbei.

Rispondere agli attacchi è umano ed è una strategia lecita. Ci sono casi, però, in cui non ci è possibile rispondere in maniera adeguata… Quando ci sentiamo meno forti del nostro avversario, ad esempio. Oppure quando lui stesso è troppo forte e ci costringe alla resa dopo un braccio di ferro più o meno lungo. In entrambi i casi, prevale un senso di frustrazione che può influenzare le nostre scelte successive. Quando l’attacco avversario è tanto forte da minare la nostra autostima, spesso subentra in noi una sorta di stato depressivo. Il non sentirci adeguati ad affrontare certe situazioni alimenta il nostro stato di insoddisfazione e depressione… Desidereremmo raggiungere determinati obiettivi, ma il ricordo di certi insuccessi brucia e non intendiamo ripeterne l’esperienza.

Ci sentiamo proprio come agnelli in mezzo ai lupi… E come potremmo mai sopravvivere, se la depressione e la paura dell’insuccesso ci attanagliassero in questo modo? Ebbene, quel minuscolo libro chiamato “Vangelo” ci offre una soluzione insperata: perdonare gli avversari. Nostro Signore, in un mondo che fa della lotta e delle guerre di sopraffazione una regola inderogabile, ci raccomanda di perdonare… Non importa rialzarsi, importa come ci si rialza… Ci si può rialzare attaccando, ma ci si può rialzare anche come se nulla fosse accaduto. Rispondere ad un attacco con un altro attacco, molto spesso, dà un’idea di forza o debolezza rispetto al proprio avversario. Perciò, se rispondiamo alla violenza con altra violenza, siamo condannati a rispondere in modo più forte per non passare per quelli “deboli”. E così via…

La strategia della forza, vediamo, porta spesso ad una degenerazione dell’esito della partita. Nessuno vuol passare per debole, perciò ognuno cercherà di condurre attacchi sempre più forti per sopraffare l’avversario. E se invece non volessimo fargli capire se siamo forti o deboli rispetto a lui? In altre parole, tenerci lontani dalle sfide che lancia e farlo rimanere col dubbio… Rispondere vorrebbe dire uscire allo scoperto, farsi capire, rendersi prevedibili… D’altro canto, perdonare è forse l’arma più potente che abbiamo quando il gioco si fa duro. L’arma del perdono, considerata la natura attaccabrighe dell’essere umano, riporta un’aura di imprevedibilità all’interno della partita.

Per sopravvivere, insomma, è bene non mostrarsi né troppo pecora né troppo lupo… Far vedere che la strategia del lupo non è sempre quella vincente… A volte adottare strategie “da pecora” può avere effetti benefici… Talvolta anche adottare strategie miste può essere la mossa giusta… Giocare quasi in maniera casuale, quando il gioco si fa duro e imprevedibile, per diventare noi stessi imprevedibili ed elusivi agli occhi degli altri… Questo si conclude leggendo il Vangelo… Perfino Trump segue il Vangelo, allora! Oppure Gesù è un precursore della teoria dei giochi! Accostamento ardito, quello fra Gesù e Trump… Chi siamo veramente solo Dio lo sa, Colui in grado di scrutare i segreti del nostro cuore e di conoscere ogni nostro singolo capello. Gli altri, invece, è bene che non abbiano tutta questa “chiarezza di vedute”: potrebbero quasi illudersi di essere Dio. E’ bene distoglierli da questo delirio di onnipotenza.

La miglior vendetta è il perdono. Ecco l’insegnamento più grande della nostra religione. Una religione che parla ai cuori dei singoli. Una religione che non dovrebbe confondersi con le dinamiche degli Stati, dalle quali inevitabilmente escono fuori vincitori e vinti. Una religione che dovrebbe lasciare a Cesare quel che è di Cesare e che, invece, alcuni vorrebbero strumentalizzare proprio per screditare Cesare. Anche lo Stato è fatto da esseri umani… E’ fisiologico che le dinamiche degli individui si confondano con quelle dello Stato. Eppure ricordiamoci di questo: il nostro credo non si chiama Islam. Facciamo in modo che la fisiologica influenza tra Stato e singolo non divenga patologica. Lo Stato è lo Stato, il singolo è il singolo. Cesare è Cesare, Dio è Dio.

Il perdono non può che essere una strategia personale, inapplicabile alle moltitudini di uomini e alla legge. La legge si limiti ad essere dura e implacabile, il perdono è ben altra cosa! Nessuno Stato può pretendere di essere buono, quando talvolta non riesce nemmeno ad essere giusto. Il perdono è affare dei singoli e non è affar da poco. Il perdono è una sfida per il singolo. Una sfida da vincere nei confronti di quelli che forse non vorremmo mai perdonare. Chi strumentalizza il “sentirsi vittima e giudicato dagli altri”, ad esempio… Fanno sorridere quelli che pretendono che tu non li giudichi, quando magari si fanno una canna o si comportano in maniera oggettivamente deviante, e che poi sono i primi a giudicarti quando gli fa comodo. Perdono per loro! Forse lo fanno per non sentire il peso della depressione e del “sentirsi inferiori rispetto agli altri”.

Presunti fondi stranieri a qualche partito italiano? Non sarebbe certo la prima volta… Ma la notizia era già nell’aria da tempo… Perché esce fuori solo ora e solo ora si grida allo “scandalo”? Forse per mettere in cattiva luce un partito al governo? O forse per gettare ombre su un Paese intero, così da renderlo marginale in Europa al momento della decisione delle nomine di peso? Se qualcuno getta fango sull’Italia, non è solo un partito che deve perdonare ma una Nazione intera. Quando un Paese risulta scomodo si cerca di destabilizzarlo… E’ successo qualche anno fa con la storia dello spread a 500, succede ora con la storia dei fondi stranieri e della corruzione internazionale… Riusciremo mai a perdonare questi nemici dell’Italia?

Strappare dei bambini a famiglie “normali e sane”, magari per affidarli a famiglie “arcobaleno” e forse nemmeno tanto sane… Questa mania dei diritti civili sta distruggendo quanto di meglio possiamo avere dalla vita: una famiglia. Certamente si può incappare in famiglie problematiche: allora sarà opportuno affidare i bambini ad altre famiglie meno problematiche… Pure a famiglie “arcobaleno”, se è proprio necessario… Ma indurre dei piccoli a simulare maltrattamenti che non ci sono mai stati, per screditare la famiglia d’origine a beneficio di altre famiglie (magari di coppie omosessuali) è un fatto che rasenta la patologia mentale. Se questo significa promuovere i diritti civili… Per quelli che li promuovono possiamo implorare solo perdono, sempre che qualcuno sia capace di perdonare una cosa del genere.

Fanno sorridere quelli che vorrebbero sottoporre noi cristiani a certi vomitevoli ricatti morali. Quando si parla di famiglia e diritti civili ci danno dei “retrogradi” e degli “sfigati”… Quando invece si parla di immigrazione vengono a cercarci perché bisognosi di consensi… Siete cristiani, perciò dovete accogliere… Il Vangelo non parla alle Nazioni, ma ai cuori di ogni singolo individuo. Per fortuna non siamo in uno Stato islamico, dove invece la religione va a braccetto con la legge. L’accoglienza è un principio cristiano, non una norma di legge. Qui ognuno è libero di porgere o meno l’altra guancia. E di porgerla come quando e a chi vuole lui. Nessuno può permettersi di strumentalizzare il cristianesimo, sperando di metterci in difficoltà. Se comunque qualcuno dovesse permettersi, perdono per costui!

E poi ci sono i nemici peggiori, i traditori: chi un tempo diceva di essere nostro amico e poi ci ha abbandonato per seguire chissà chi, o chissà cosa. Signore, tu che più di ogni altro conosci il tradimento, aiutaci a perdonare sinceramente anche i nostri peggiori nemici!

Vostro affezionatissimo PennaNera

Divertimento e crisi dei valori

Ave Socii

Oggidì nella Chiesa si parla spesso di “crisi delle vocazioni”. Forse i valori cristiani non attraggono più come un tempo. Ma se c’è un settore che non sembra conoscere mai crisi, specie negli ultimi tempi, questo settore è il divertimento. Il buon andamento delle industrie del divertimento, guarda un po’, sembra andare di pari passo con la crisi dei valori tradizionali. Come dire: in mancanza di sicurezze nel futuro, si esalta l’effimero. Forse qualcuno spera pure, nei momenti di crisi, di elevare il divertimento ad unico vero credo. Nei momenti di crisi, il divertimento sembra operare una vera e propria sostituzione di valori ormai passati di moda. La “religione del divertimento” non pare conoscere crisi di vocazioni.

Il divertimento è una sacrosanta componente di ogni società, più o meno “progredita”. Esso si contrappone al dovere, elemento opposto ma complementare. Il divertimento è fisiologico quando nessuno dei due elementi prevale sull’altro. Una persona sempre impegnata in mille faccende, che non si diverte mai, è una persona malata di dovere. Così come una persona che si diverte sempre, senza mai assumersi impegni seri, è una persona malata di divertimento. E qui rientriamo nella patologia, nella fede cieca e persino intollerante. Rientriamo addirittura nell’odio nei confronti di determinate categorie di persone: quelle che hanno avuto successo nella vita. Tutti vorrebbero avere successo. Ma non tutti riescono a mantenerlo nel tempo. Chi ha fede cieca nel divertimento, per l’appunto, vuole il successo ma fatica a mantenerlo. Lo vuole tutto e subito. Domani è un altro giorno…

Talvolta questa fede esagerata nel divertimento sembra assumere i connotati di una vera e propria crociata verso i “migliori”, da parte dei “mediocri”. Da parte di chi nella vita non riesce a combinare alcunché per il proprio futuro. Perché non è capace di pianificare e organizzare un bel nulla, se non vivere alla giornata. Nei momenti di crisi, quando le certezze crollano, questi mediocri spuntano fuori come funghi. Rincuorati e ringalluzziti, perché possono finalmente dire di non essere gli unici al mondo a fallire, iniziano a ribadire che tutto è relativo e che la vita va vissuta giorno per giorno. Che nella vita molte volte conta divertirsi, come se non ci fosse un domani. E che chi non crede nel loro divertimento è un frustrato sfigato. Perché tanto il domani sarà tutt’altro che roseo, dunque perché rinunciare a questa dose di divertimento?

Molti, in realtà, si convertono al divertimento per celare un’intima sofferenza interiore. Per tentare di soffocare i loro complessi di inferiorità e impotenza di fronte a chi considerano migliore di loro. Forse sono le persone più belle al mondo, questi “sofferenti”, ma ce la mettono tutta pur di apparire brutte. E spesso ci riescono benissimo. Assumendo magari comportamenti a rischio, costoro sperano di ottenere le attenzioni delle persone a loro più vicine. Talvolta, arrivando a mettere in gioco la loro stessa vita, sperano pure di lasciare un perpetuo senso di colpa nelle figure che “avrebbero duvuto amarle di più”. Cosa sono, i comportamenti a rischio, se non lenti e progressivi tentativi di suicidio, un mettere a repentaglio la propria vita, un rendersi “potenziale vittima” per mettere alla prova l’istinto protettivo delle figure significative?

Queste “vittime” vogliono farci credere che se hanno comportamenti rischiosi, la colpa non è di loro che si comportano così. Perché loro sono persone belle. La colpa è invece delle “autorità”, che hanno “pregiudizi” verso di loro e che “giudicano”. Persone brutte e cattive, dunque. Le “vittime” non si sentono mai responsabili di nulla. Sono le figure significative, dicono, che dovrebbero amarle di più. E’ il “bisogno di amore” che le “povere vittime” vorrebbero far pesare alle figure significative, tenendole “sotto scacco”. Tuttavia, se davvero costoro hanno bisogno di aiuto e amore e sono davvero persone “belle”, perché a volte fanno tanto i preziosi e continuano a farsi vedere “brutti”? Avere comportamenti a rischio è patologico, è credere ciecamente nel divertimento compulsivo.

Il divertimento compulsivo genera una società di depressi. Chi del divertimento fa proseliti, come trapper e spacciatori, incita i suoi affiliati a mettere in dubbio i rapporti con le figure significative. Con quegli sfigati e frustrati che costituiscono l'”autorità”. Perché nella vita c’è bisogno di divertirsi. Chi non si diverte è un depresso, un frustrato, uno sfigato. I sacerdoti del divertimento invitano i loro fedeli a mettere in discussione l’autorità, agendo sul senso di colpa. Il senso di colpa costituisce il braccio della potenza col quale il depresso fa leva sull’altro per ottenerne le attenzioni. Ed è spesso difficile, per le figure significative, mettere la parola “fine” a un legame divenuto ormai patologico.

I fedeli del divertimento compulsivo, invece, hanno già da tempo detto basta ad un rapporto sano con le precedenti figure significative. Tanto c’è la droga a colmare questo vuoto. La depressione non sarà per loro un problema, finché c’è la droga. E il loro crescente senso di colpa sarà alleviato da quantità sempre crescenti di sostanza. Ormai trapper e spacciatori avranno già preso da un pezzo il posto dell’autorità. In nome non della ricerca di relazioni sane, ma della degenerazione sociale e del denaro. Cosa resta da fare, dunque, alle precedenti figure significative? Una cosa sola: lasciar perdere. Avere il coraggio di recidere il rapporto, così come tempo prima ha avuto il coraggio di fare la controparte. Sappiamo che è doloroso a pensarsi, ma il dolore è sopportabile quando uno sa di aver dato tutto se stesso per evitare che alcuni percorressero certe strade.

Certamente la decisione di cui sopra non si prende mai a cuor leggero. I cosiddetti “buoni” dicono di dover stare vicino a chi sbaglia, di aiutarlo a “rientrare in sé”. In pochi, invece, dicono di lasciarlo al proprio destino perché pare una cosa crudele, da persone “cattive”. Ma noi ribadiamo: se c’è qualcuno che davvero merita l’appellativo di “cattivo”, non è chi ha cercato di aiutare e ora non lo fa più perché esasperato. E’ invece chi mette continuamente alla prova le figure significative. E’ chi ha sbagliato e continua imperterrito a sbagliare. E’ chi incita alla perseveranza nello sbaglio, in nome del divertimento e del guadagno. E’ chi non ha nulla da insegnare al mondo, perché mediocre dentro. Da chi ha sbagliato e non cambia mai, non abbiamo nulla da imparare. Da chi ha sbagliato e nonostante ciò ha la forza di cambiare, abbiamo tutto da imparare.

Vostro affezionatissimo PennaNera

Morte e vita. Il diritto e la pena

Ave Socii

La vicenda della ragazzina olandese che ha deciso di darsi la morte, perché provata dal male di vivere, ha riacceso il dibattito sull’eutanasia. Chi si professa “progressista” crede che il progresso passi anche per la “buona morte”. Certo, consentirla a delle ragazzine minorenni forse non è il massimo. Anche l’Olanda, in realtà, ha norme piuttosto stringenti su questo tema.

Decidere di morire, perché si è stanchi di vivere… Se la “buona morte” ha un qualche senso, crediamo debba limitarsi ai soli casi di malattie terminali e malattie per le quali non esiste alternativa diversa dall’accanimento terapeutico. Di certo non dovrebbe servire per curare casi di depressione. Così l’aborto, se ha un qualche senso, dovrebbe limitarsi ai soli casi di rapporti sessuali non consenzienti. E ai casi di malattie gravi dell’embrione. E dovrebbe essere praticato, comunque, entro tempi non troppo lunghi dalla fecondazione.

Forse stiamo perdendo il “senso della vita”, presi come siamo dal “senso della morte”. Preferiamo tutelare chi sceglie di morire, invece di supportare chi vorrebbe scegliere di vivere. I fascio-buonisti, dall’alto del loro senso di progresso, premono per una regolamentazione delle “pratiche di morte”. Se per loro il concetto di vita è così relativo, allora per quale motivo non sono altrettanto pressanti in tema di pena di morte per i criminali? Va bene battersi per il diritto a una vita dignitosa. Però, a questo punto, non dimentichiamoci della dignità di vivere. E di chi, forse, per quel che ha combinato non merita una tale dignità.

Speriamo che mai nessuno debba morire per mano d’uomo, ci mancherebbe. Però, se proprio qualcuno deve perdere la vita in questo modo, preferiamo siano i colpevoli e non gli innocenti. Pensate che strani che siamo! I “politicamente corretti” cosa dicono, invece? Pena di morte per i criminali no, aborto e eutanasia sì… Saremo noi fuori dal mondo, ma questo ci pare un po’ un controsenso. Perché se un privato sceglie di morire va tutto bene… e se invece è lo Stato a decidere che uno deve morire, perché ha violato determinate leggi, ripiombiamo nel buio Medioevo?

E così, in nome del progresso, dobbiamo liberalizzare anche la morte… Così comanda la “retta dottrina” dei fascio-buonisti. Noi abbiamo un’idea di progresso diversa. Per noi una società è progredita se ognuno dei suoi membri si assume le responsabilità di ciò che fa. Chi nega il diritto alla vita di una persona, dovrebbe sapere che di quel medesimo diritto può anche essere privato. Non da un altro individuo, sia chiaro, ma dallo Stato. Anche gli aborti e i suicidi assistiti sono negazioni della vita. Per “giusti motivi”, ci mancherebbe… ma anche lo Stato può avere “giusti motivi” per privare qualcuno della vita, non solo i singoli. L’intervento dello Stato, anzi, potrebbe pure distogliere gli individui dal desiderio di farsi giustizia da sé, prevenendo il sorgere di eventuali faide e contribuendo ad abbassare il livello di tensione sociale. Lo Stato dovrebbe essere l’unico legittimato a compiere simili atti “di giustizia straordinaria”.

Noi vorremmo uno Stato in cui le pene siano certe e servano alla “rieducazione del condannato”, come raccomanda anche la Costituzione. Rieducazione finalizzata al reinserimento del reo nel tessuto sociale. In questo senso, l’ergastolo è forse la pena più inutile che esista… Fine pena mai, nessuna possibilità di ritorno alla vita sociale, quindi nessuna finalità rieducativa… Un posto in galera occupato a vita da un tizio che, nella maggioranza dei casi, trascorre i suoi giorni a meditare una strategia di fuga oppure il suicidio (che poi non è altro che una particolare strategia di fuga)… Ergastolo spesso commutato in altra misura perché magari il condannato ha dato di matto, oppure per “buona condotta”… Alla faccia della certezza della pena… E il tutto a spese dello Stato.

La Costituzione stessa, nella sua prima formulazione, prevedeva la pena di morte in casi eccezionali. Un tempo perfino la Chiesa condannava a morte i suoi colpevoli. Formalmente, lo Stato Pontificio ha abolito la pena di morte solo nel 2001. In realtà, tuttavia, le ultime condanne risalgono a circa due secoli fa. Ora la Chiesa, coerentemente, condanna espressamente qualsiasi forma di “negazione della vita”, che sia aborto o pena di morte o eutanasia. D’altro canto, uno Stato che ha tempo di interrogarsi sull’introduzione della “buona morte”, secondo noi, dovrebbe interrogarsi anche sull’introduzione della “pena di morte”. Sembrano ora riecheggiare a nostro sfavore le parole dell’illuminista Beccaria: perché lo Stato dovrebbe prevedere la morte come pena, quando la condanna come reato?

Eppure il nostro ordinamento non può non prevedere fattispecie di reati riguardanti, in un modo o nell’altro, il concetto di “morte”. Tutti noi saremmo contenti se non vi fossero omicidi, ma evidentemente la realtà dei fatti è un po’ diversa. Qualcuno potrebbe dunque obiettare a Beccaria: perché la morte può comunque esistere come reato, all’interno di uno Stato che la aborrisce addirittura come pena? Le considerazioni di Beccaria sulla pena di morte, perciò, dovrebbero essere ribaltate: se è sbagliato aborrire la morte solo come reato e prevederla comunque come pena, perché dovrebbe essere giusto aborrirla solo come pena e prevederla comunque come reato?

Siamo dell’idea che uno Stato davvero progredito debba prevedere la pena di morte per reati particolarmente efferati, che violano gravemente specifici diritti di rilevanza costituzionale. Vogliamo incominciare a ristabilire un po’ di certezza della pena? Ebbene, pena più certa di questa non esiste davvero. Chi nega la vita altrui dovrebbe sapere che può incorrere nel medesimo trattamento. Però non vogliamo la legge del taglione. Crediamo sia comunque opportuno dare un “tempo di recupero” al reo, per consentire la sua responsabilizzazione e “rieducazione”. Qualora poi il reo non sfruttasse adeguatamente questa possibilità, lo Stato potrebbe sempre prendere i dovuti provvedimenti. Fossimo noi lo Stato, arrivati a questo punto preferiremmo senza dubbio giustiziare il colpevole piuttosto che rischiare, per causa sua, di piangere altri innocenti.

Probabilmente non tutti condivideranno le nostre posizioni, i temi qui affrontati sono particolarmente delicati. Ma noi siamo per la cultura libera e per la libera espressione del pensiero. Neanche noi condividiamo le posizioni di alcuni, in merito a questi argomenti. Tuttavia le rispettiamo e auspichiamo un confronto costruttivo nel rispetto reciproco. Speriamo che pure il dibattito politico trovi al più presto una sintesi positiva e coerente fra le varie istanze.

Vostro affezionatissimo PennaNera