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Settimana "Casalinghitudini di una volta" - Martedi' = STIRARE E RAMMENDARE

Post n°597 pubblicato il 04 Giugno 2013 da odio_via_col_vento
 

 

Silvestro Lega, Stradina a Settignano

 

L'arte del rammendo. Non l'avevo mai considerata tale fino a quando, mettendo tristemente mano alle cose lasciate da mia madre, dopo la sua morte, non trovammo gli album del rammendo.
Proprio così: album che raccoglievano, incantevolmente ed ordinatamente incollati sulle pagine di cartoncino nero, degli esempi straordinari di rammendi. Invisibili arabeschi che andavano a ricomporre tulle strappati, trine consunte, seta bucata, lana bruciata forse da una sigaretta avventata.
Miracoli, veri miracoli, in cui si faticava a distinguere il vero dall'artefatto, il vecchio dal nuovo, l'originale dal ricomposto.

Andai col ricordo ai tanti racconti della giovinezza lontana di mia madre, vissuta attraverso la guerra,  calze di seta che sembravano miracoli e lo diventavano di più nella misura in cui si imparava a prolungare loro la vita, con invisibili e insperati rammendi.
Cappotti indossati per anni prima da un lato e poi dall'altro, un double-face casalingo e imposto dalla ristrettezza dei tempi.
Colsi e polsini della camicie rigirati per essere riusati.

Un'epoca che già era lontana al momento del boom economico in cui nacqui e in cui, poi, crebbi. Eppure ancora mia madre si industriava a riciclare, modificare sapientemente, riusare abiti e biancheria, trasformando e aggiornando, con bravura e gusto e fantasia.

Cercò di insegnarmi a fare altrettanto: a cucire, a ricamare, a lavorare a maglia e ad uncinetto, come si usava una volta, pensando che questi fossero compiti indispensabili per una donna.
Ma dovette arrendersi di fronte alla mia impazienza e alla mia (innegabile) inattitudine al lavoro manuale di fino.
Non c'era nulla da fare: odiavo dovere aspettare tanto tempo per vedere crescere e realizzarsi un vestito per le bambole. Cominciavano ad arrivare le prime dotate già di abiti scintillanti. Tanto meglio: cominciai ad innamorarmi di quel "presto e subito".
Mio padre si stringeva nelle spalle con un sorriso bonario, in cui la rassegnazione era solo un tentativo di nascondere un orgoglio sottile, e diceva di me alla mamma: "Che vuoi farci? Vuol dire che studierà, in quello riesce bene". 

Lei, che pure aveva studiato, che pure lavorava fuori casa e che certo non disdegnava di vedermi studiare (tutt'altro), continuava a ritenermi, comunque, una donna "a metà", per quella mia mancanza di predisposizione ai lavori domestici.
Continuò per tutta la vita a rigirare i polsini e i colli alle camicie di mio padre, anche quando quelle nuove costavano ormai due lire. Continuò a cucire orli, a imbastire tovaglie e tende, a ricamare e abbellire.

Ormai vecchia a quasi persa, cuciva il niente, cuciva con aghi e gugliate invisibili sul risvolto del lenzuolo del suo letto di ospedale.
Finché giunse qualcun altro a tagliare il filo della sua vita. 

 

 
 
 
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