LIBRO: Scritti & Discorsi di Fernando Tambroni

 

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Fernando Tambroni

Il 26 marzo 1960 Fernando Tambroni, che si era messo in luce al VII congresso della DC del 1959 con un discorso “aperturista” nei confronti del centrosinistra, ricevette l’incarico di formare un governo per sostituire quello dimissionario guidato da Antonio Segni. L’obbiettivo politico era quello di superare l’emergenza, attraverso un “governo provvisorio”, in grado di consentire lo svolgimento della XVII Olimpiade a Roma indetta in agosto e di approvare il bilancio dello Stato entro il 31 ottobre 1960, come previsto dalle leggi in materia di contabilità di Stato vigenti all’epoca. L’8 aprile, il governo monocolore democristiano formato da Tambroni ottenne la fiducia della Camera, con una maggioranza di soli tre voti (300 sì e 297 no) e con il determinante appoggio dei deputati missini. La circostanza causò le dimissioni irrevocabili e immediate dei tre ministri appartenenti alla sinistra della DC: Bo, Pastore e Sullo. L’11 aprile, dietro esplicito invito del proprio partito, il governo rassegnò le dimissioni e il presidente Giovanni Gronchi assegnò l’incarico ad Amintore Fanfani. Questi, tuttavia, dovette rinunciare, e Gronchi, anziché cercare una soluzione diversa, invitò Tambroni a presentarsi al Senato per completare la procedura del voto di fiducia. Il 29 aprile, sempre con l’appoggio dei missini e con pochi voti di scarto (128 sì e 110 no), il governo Tambroni ottenne la fiducia del Senato.

La decisione presa nel maggio 1960 dal Movimento Sociale Italiano di convocare il suo sesto congresso a Genova, città decorata con la Medaglia d’oro della Resistenza da cui era partita l’insurrezione del 25 aprile, fornì l’occasione ai partiti di sinistra di scendere in piazza al fine di mettere in difficoltà il Governo Tambroni. La protesta si fece sentire sempre più forte. Tambroni scelse la linea dura, originando i noti fatti di Genova del 30 giugno 1960, che si estesero rapidamente al resto del paese. Il 7 luglio a Reggio Emilia furono uccisi cinque manifestanti. Alla fine non ci fu altra scelta che impedire il congresso del MSI. I missini votarono conseguentemente contro la legge di bilancio del governo. Tambroni temporeggiò fino al 19 luglio dichiarando di essere in attesa di un accordo tra i partiti ma alla fine dovette dimettersi: gli successe Amintore Fanfani. ( Wikipedia )

 

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Libri & Letture

LIBRO: Lenin di Vladimir Majakovskij

Lenin

Lenin

Lenin, pseudonimo di Vladimir Il’ič Ul’janov ( Simbirsk, 22 aprile 1870, 10 aprile del calendario giuliano – Gorki, 21 gennaio 1924 ), è stato un rivoluzionario, politico e politologo russo, poi sovietico, talvolta menzionato come Vladimir Lenin o come Nikolaj Lenin.

Servì come primo ministro della Repubblica russa dal 1917 al 1918, della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa dal 1918 al 1922 e dell’Unione Sovietica dal 1922 al 1924. Sotto la sua guida la Russia – e in seguito l’Unione Sovietica – diventò uno Stato socialista monopartitico governato dal partito comunista sovietico. Ideologicamente marxista, le sue teorie politiche sono state poi riconosciute come “leninismo”.

Nato da una famiglia borghese di origine ebraica a Simbirsk, Lenin si interessò alla politica socialista rivoluzionaria dopo l’esecuzione di suo fratello avvenuta nel 1887. Espulso dall’Università di Kazan’ per aver partecipato alle proteste contro il regime zarista dell’Impero russo, dedicò gli anni successivi al conseguimento di una laurea in giurisprudenza. Nel 1893 si trasferì a San Pietroburgo, dove divenne una figura di alto livello nel Partito Operaio Socialdemocratico Russo ( POSDR ), un movimento di stampo marxista. Arrestato per sedizione nel 1895 ed esiliato a Shushenskoye per tre anni, sposò Nadežda Krupskaja. Al termine dell’esilio si trasferì in Europa occidentale, dove grazie alle sue numerose pubblicazioni divenne un teorico politico di primo piano. Nel 1903 assunse un ruolo chiave in una scissione del POSDR per via di alcune differenze ideologiche, leader della fazione bolscevica contro il menscevismo di Julij Martov. Incoraggiò l’insurrezione della fallita rivoluzione russa del 1905, in seguito promosse una campagna affinché la prima guerra mondiale fosse trasformata in una rivoluzione proletaria a livello europeo che, come il marxismo riteneva, avrebbe comportato il rovesciamento del capitalismo e la sua sostituzione con il socialismo. Dopo la rivoluzione russa di febbraio del 1917 che portò alla caduta della monarchia zarista e all’istituzione di un governo provvisorio, Lenin fece ritorno in Russia per una campagna per la rimozione del nuovo regime a favore di un governo bolscevico guidato dai soviet.

Lenin assunse un ruolo di primo piano nella rivoluzione d’ottobre del 1917, nella caduta del governo provvisorio e nella creazione di uno Stato monopartitico guidato dal nuovo partito comunista. Il suo governo abolì l’Assemblea costituente della Russia, ritirò il Paese dalla prima guerra mondiale con la firma del trattato di Brest-Litovsk insieme agli Imperi centrali e concesse un’indipendenza temporanea alle nazioni non russe sotto il controllo russo. Una legge per decreto ridistribuì terreni tra i contadini e nazionalizzò la grande industria. Gli avversari vennero soppressi durante il terrore rosso, una violenta campagna orchestrata dal Čeka; decine di migliaia di dissidenti vennero uccisi. Il governo di Lenin si dimostrò vittorioso sugli eserciti antibolscevichi nella guerra civile russa combattuta tra il 1917 e il 1922. Per rispondere alle carestie e alle rivolte popolari nel 1921 Lenin introdusse un sistema economico misto con la nuova politica economica. Il governo guidato da Lenin creò inoltre l’Internazionale Comunista e condusse la guerra sovietico-polacca per promuovere la rivoluzione mondiale, oltre a cercare di tenere uniti gli Stati vicini andando nel 1922 a costituire l’Unione Sovietica.

Ampiamente considerato una delle figure più significative e influenti del XX secolo, Lenin è stato oggetto postumo di un culto della personalità pervasivo all’interno dell’Unione Sovietica, fino alla sua dissoluzione avvenuta nel 1991. Divenne una figura ideologica dietro al marxismo-leninismo: ebbe, dunque, un’influenza di primo piano nel corso del movimento comunista internazionale.

Majakovskij vede e sente in Lenin la realizzazione e la verifica di speranze antiche degli oppressi. La storia della Rivoluzione è poetizzata e la figura di Lenin passa dalla cronaca-storia all’immagine poetica; il passaggio è ottenuto con mezzi sobri, incisivi.

Il poema è diviso in 15 canti: in essi l’autore traccia la storia di tutto il movimento operaio russo e internazionale, e intreccia questa storia con la vita di Lenin. Il poeta respinge subito ogni possibilità di “poesia di corte”: “Ma è possibile che di Lenin / si debba ancora dire “Condottiero per grazia di Dio”? / No, no, per niente: se fosse stato per grazia di Dio o imperiale / sarebbe scoppiata la mia ira. / Mi sarei messo contro i cortei / avrei sbarrato le strade alle folle”. Contro l’adorazione di Lenin, dunque: e per il riconoscimento che Lenin è un uomo, non un dio. Ma la vita di Lenin ha, per Majakovskij, un’importanza che varca i confini dello spazio e del tempo: “Breve è la vita di Ul’janov / ma la vita di Lenin non ha fine”.

Questa “vita vasta” nasce prima di Ul’janov, nasce col sorgere del proletariato, della “prima caldaia”: “Sua Altezza il Capitale, / senza diadema o corona, / rendeva schiava la forza dei contadini; / saccheggiava e rapinava la città / e ingozzava il ventre obeso / delle sue casseforti”. Intanto la classe operaia nasceva e “come una minaccia” già alzava “al cielo le sue ciminiere”.

Poi gli altri momenti, che hanno preceduto Lenin in questa storia del movimento operaio, scritta secondo i canoni e poeticamente viva: ecco Marx, il “fratello maggiore di Lenin”, il pianto delle ombre dei comunardi “straziati da Thiers”, la condanna delle azioni individualistiche, la lotta: “Per tutto questo, nella lontana Simbirsk, / nacque un bambino come gli altri, / Lenin”. Il momento centrale di Lenin fu l’esecuzione di suo fratello, fatto impiccare dallo zar per attività contro lo Stato: “Allora, a diciassette anni, Lenin pronunciò queste parole, / più sicure del giuramento del soldato / quando lo dice a mano levata: / “Siamo pronti a darti il cambio, fratello. / La vittoria sarà nostra, ma la strada che seguiremo diversa””. Non seguiremo qui tutte le immagini di Majakovskij: ecco il 1905, la sconfitta operaia, la pavida reazione degli intellettuali, le lucide indicazioni di Lenin, poi il 1914: “L’imperialismo nudo, / con la pancia scoperta e la dentiera, / col sangue che gli arriva ai ginocchi / divora paesi e paesi con le baionette. / Intorno gli stanno i cortigiani, / i patrioti” che dicono: “Operaio, combatti fino all’ultimo respiro”. Ma Lenin dice: trasformiamo la guerra imperialista in guerra civile. I popoli non hanno colpa. Contro la borghesia di tutti i Paesi leviamo la bandiera dell’Internazionale.

Ed ecco la Russia in rivolta: da Tabriz ad Arcangelo. Ed ecco i tentativi della borghesia di salvarsi: “Lo schiavo s’è ribellato. Picchialo a sangue. / E puntano contro Lenin l’arma di Kerenskij”. Lenin torna nell’illegalità, in Finlandia, ma per poco: viene l’Ottobre. “A tutti, a tutti, a tutti, / a tutti i fronti che rosseggiano di sangue, / a tutti gli schiavi che stanno sotto il pungo dei ricchi. / Il potere, tutto il potere ai Soviet. / La terra ai contadini. / Pace ai popoli. Pane a coloro che hanno fame”. Scoppia la guerra civile, ma lo Stato sovietico vince e fanno presa le parole di Lenin: “Noi, / anche ad ogni cuoca / insegneremo a dirigere lo stato”.

La guerra civile è finita, l’URSS è a pezzi: bisogna ricostruire, costruire. E Lenin promuove la ricostruzione, anche a costo di ritirate tattiche ( la Nuova politica economica ). Ma il comunismo di guerra era finito. Occorreva il comunismo di pace. Il penultimo canto è dedicato alla morte di Lenin e alle reazioni suscitate tra operai, soldati e contadini: “Era un uomo umano, in ogni vena. / Portate la sua bara e struggetevi per l’angoscia / uomini”. E non solo piangono in Russia: anche negli Stati Uniti “i negri piangono Lenin”.

Il poema è “ottimista” e Majakovskij, che passa dal tono profetico a quello sommesso, dal tono patetico a quello satirico, nell’ultimo canto esprime la sua fede nella continuità dell’opera del grande rivoluzionario russo.

Majakóvskij nacque a Bagdati, in Georgia (allora una provincia della Russia zarista), il 7 luglio del 1893, figlio di Vladimir Konstantinovič Majakóvskij, un guardaboschi russo appartenente ad una nobile famiglia di origini in parte cosacco-zaporoghe, e di Alexandra Alexeyevna Pavlenko, una casalinga ucraina. Orfano del padre a soli sette anni, ebbe un’infanzia difficile e ribelle; all’età di tredici anni, si trasferì a Mosca con la madre e le sorelle. Studiò al ginnasio fino al 1908, quando si dedicò all’attività rivoluzionaria. Aderì al Partito Operaio Socialdemocratico Russo e venne per tre volte arrestato e poi rilasciato dalla polizia zarista. ( Tratto da: ControAppuntoBlog.org )

Ho incontrato un operaio analfabeta. Non sillabava neppure una parola ma aveva sentito la voce di Lenin ed egli sapeva tutto

Ho ascoltato il racconto di un contadino siberiano: espropriarono le terre le difesero con le baionette e come un paradiso diventò il villaggio.
Essi mai avevano letto Lenin nè ascoltato la sua parola ed erano leninisti.

Ho visto montagne senza fili erbe nè fiori. Soltanto le nuvole pesavano sulle rocce
e nello spazio di cento chilometri c’era un solo montanaro; ma sopra il petto, nel vestito di stracci, gli scintillava il simbolo di Lenin.

Oh,non è un ornamento che le ragazze appuntano per civetteria, non è un amuleto, è un emblema il distintivo sul cuore che brucia peno di amore per llic.

Questo prodigio non si spiega coi libri della subdola teologia slava e non è un Dio che a lui ordinò:” Sii il mio eletto ”.
Con passo d’uomo e braccia d’operaio, con la sua intelligenza, egli percorse questo cammino

Vladimirovic Majakovskij – “Lenin”

 

 

 

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Libro: Fuori dai Denti di Renato Curcio e di Mauro Rostagno

Curcio cattura

Fuori dai Denti

Fuori dai denti è un documento inedito, scritto nel 1968 da Renato Curcio ( fondatore storico delle BR – Brigate Rosse ) e da Mauro Rostagno ( allora leader del Movimento Studentesco Antiautoritario trentino ), ambedue allora giovani studenti di sociologia presso la leggendaria Università di Trento.
La pubblicazione, oggi rara, di questo eccezionale saggio, di grande rilevanza storica, è stata curata da Aldo Ricci, all’epoca membro dissidente del Movimento Studentesco trentino.

” Il Movimento studentesco trentino, del quale facevo esperienza contemporaneamente a quello torinese, era non meno effervescente, ma assai più espressivo, se non nel senso della scrittura, nel senso dei comportamenti e del folklore esterno. Del resto, una performance come quella del Controquaresimale, animata da Paolo Sorbi nel severo Duomo di Trento, non poteva essere altro che trentina, appunto, anche se Sorbi era un verace partenopeo dal carattere cordiale ed esuberante. Tra i visi nella folla di sociologia di Trento ho, vivissimo, quello di Mauro Rostagno, barba folta e lunghi capelli: look rasputinesco, un consapevole carisma dal fascino sulfureo, con negli occhi il presagio triste della fine di una vita avventurosa, cultura versatile ma picaresca. Ho conosciuto Renato Curcio nella sua fase marxista-leninista, concordavamo sul fatto che sia in Marx sia in Lenin sono presenti seri elementi di sociologia generale e dell’Organizzazione politica, che vale la pena di studiare, facendo essi parte della storia delle Scienze Sociali. Anima persa nelle grandi Assemblee, Renato, a differenza di Mauro, era un fascinatore di piccoli gruppi; aveva una forma, non so se di timidezza o di complesso, quello del suo naso grande e carnoso – come potemmo simpaticamente constatare io ed Izzo, nel corso di un esame di gruppo – timidezza del corpo, con tanto furore dell’anima e coerenza del carattere. Indisciplinato dissidente, contestatore dei contestatori, testa riccia e distinto, Aldo Ricci, «destra laica» di Rostagno, sempre furioso con Marco Boato, destra confessionale. Marco era occhialuto, il che gli dava il look disciplinato del contestatore d’Azione cattolica. Una vita per la politica, dopo Trento. Ai tempi di Trento sembra sia stato sorpassato da Ricci, in corsa per una borsa di studio; cosa della quale Ricci oggi si vanta ancora: anche i contestatori tenevano ai meriti e alle ricompense accademiche, non fosse altro che per il loro frequente stato di bisogno. Oggi gli anni della Contestazione, del Movimento studentesco, cioè del ’68, per chi vi partecipò, fanno parte della memoria biografica e della propria esistenza, così come per i Partigiani ed i Repubblichini di Salò. La resistenza e la guerra sopravvivono nel loro cuore, riaffiorando anche nelle contingenze della vita quotidiana. I reduci si portano dietro sempre molta nostalgia, anche questa fa storia. “ ( Tratto da La Sociologia di Trento. Il mio coinvolgimento di Filippo Barbano )

 

 

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LIBRO: I Mille e Un Giorno – Raccolta di Fiabe Persiane

Turandot

LA STORIA DEL PRINCIPE CALAF E DELLA PRINCIPESSA TURANDOT

La favola di Turandot fa parte di una raccolta di fiabe persiane intitolata Les Mille et un Jour ( I mille e un giorno ). L’orientalista Francois Pétis de la Croix nel 1674 la raccolse e la trascrisse a Isfahan da un manoscritto persiano, probabilmente in forma di commedia indiana del XVI sec., ma sicuramente di antichissima origine.

Il nodo della vicenda ha inizio con la narrazione delle peregrinazioni di Calaf, principe dei
Nogai, che vaga in esilio con la madre Elmase e il Khan Timur suo padre in seguito alla
sconfitta subìta dall’invasione dell’esercito del Sultano Khoresmi. Dopo diversi episodi Calaf
giunge a Pechino, in Cina, per entrare al servizio dell’Imperatore Altoum-Khan; viene
informato delle crudeltà della principessa Turandot. Ella è ossessivamente memore di una
invasione patita dal suo regno, quando una sua mitica antenata, purissima fanciulla, divenne
preda di un soldato dell’esercito invasore, dal quale fu violentata e uccisa. Ritenendosi quasi
la reincarnazione di tale antenata ella aborre gli uomini sui quali esercita una continua
vendetta mandando a morte i suoi pretendenti alle nozze i quali non riescono a sciogliere gli
enigmi che ella propone come prova condizionale al matrimonio. Inorridisce Calaf ma, al
solo vedere un ritratto della Principessa se ne innamora e chiede ufficialmente di sottoporsi
alla prova. Seguono l’episodio degli enigmi ( Il Sole, il mare, il ciclo del tempo annuale ) risolti
da Calaf; l’ostinato rifiuto alle nozze di Turandot, e la proposta del principe di indovinare il
proprio nome. Nella notte di attesa la Principessa invia nelle stanze di Calaf una propria
schiava con l’intento di carpirne il nome. Ma la donna, innamorata segretamente di lui,
riesce con un inganno a conoscere il segreto del Principe, al quale propone di fuggire con lei
e lasciare la Cina, informandolo che Turandot è intenzionata a farlo assassinare nelle sue
stesse stanze. Ma Calaf rifiuta la fuga con lei ribadendo il suo amore per Turandot. La
schiava, allora, per vendicarsi, rivela il nome alla sua padrona, che all’alba del dì seguente lo
rende palese al padre vincendo la prova, eppure, soggiogata dalla perseveranza amorosa di
Calaf, accetta di sposarlo. A tal punto insorge la schiava delatrice che, al colmo della gelosia
e del disappunto passionale, trae un pugnale e si uccide, dichiarando di volersi sciogliere
dalle catene della schiavitù e da quelle dell’amore.
La salma della schiava vittima di un tenace sentimento viene rivestita sontuosamente e,
deposta presso le tombe degli imperatori della Cina, per cui diviene oggetto di culto
imperituro. ( Tratto da di Roberto De Simone Fondazione Petruzzelli )

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Libri & Letture

Aggiornato al 17 Settembre 2022

 

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La Tragedia della Val di Stava ( Tesero )

Il disastro della Val di Stava fu un’inondazione di fango che si verificò il 19 luglio 1985, nella Val di Stava, provincia autonoma di Trento, in Italia, che provocò la morte di 268 persone. L’inondazione fu causata del cedimento degli argini dei bacini di decantazione della miniera di Prestavel, che causarono la fuoriuscita di circa 180 000 m 3 di fango, che travolse violentemente l’abitato di Stava, nel comune di Tesero. È nota per essere stata una delle più grandi tragedie che abbiano colpito il Trentino-Alto Adige in epoca moderna.

La miniera di Prestavel è situata sulle pendici meridionali del monte Prestavel nel massiccio di Santa sovrastante la valle di Stava. Venne sfruttata in modo saltuario fin dal XVI secolo per la produzione di galena argentifera. Nel 1934 venne accertato l’interesse estrattivo di alcuni filoni di fluorite. Venne gestita dopo la seconda guerra mondiale dalla società Montecatini, alla quale subentrarono fino al 1978 società del gruppo Montedison e quindi dei gruppi EGAM ed Eni. Dal 1980 al 1985 fu gestita dalla società Prealpi mineraria.

Al di sopra dell’abitato di Stava, in località Pozzole, venne costruito nel 1961 il primo bacino di decantazione, dove veniva fatto decantare il materiale di scarto della miniera. L’argine di tale bacino dai progetti iniziali che lo limitavano a 9 m, superò i 25 m. Dal 1969 fu realizzato un secondo bacino di decantazione, a monte del primo. Complessivamente, tra bacino inferiore e superiore si arrivò a circa 50 m di argine. ( Wikipedia )

 

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Chi è Felice in Russia ?

Nikolaj Nekrasov nacque a Nemirov, nell’Oblast di Vinnycja, in Ucraina. Il padre Aleksej era una persona volgare e illetterata, nobile di provincia e ufficiale dell’esercito; anche la madre, la polacca Aleksandra Zakrzewska, vantava origini nobili.

Lasciati gli studi che aveva iniziato nell’Università di San Pietroburgo, Nekrasov debuttò nel 1840 con l’antologia di poesie Sogni e suoni, criticata da Vissarion Grigor’evič Belinskij, che tuttavia divenne in seguito suo amico e ammiratore della sua opera più matura. S’impegnò con bravura e con senso degli affari in un ciclo di progetti editoriali.

L’ultima opera di Nekrasov, Chi è felice in Russia? ( 1866-1877 ), è pure il suo capolavoro, edito dopo la sua morte. La trama narra di sette contadini che vagabondano in tutta la Russia per trovare i motivi della propria tristezza, finisce con intonazioni di felice speranza nel futuro.

Il popolo russo identificò Nekrasov come il «suo» poeta e gli rese omaggio con un funerale che fu uno dei più emozionanti tributi di popolo mai dimostrate a uno scrittore.

Gulag: Il sistema dei Lager in URSS

Gulag ( Glavnoe upravlenie ispravitelno-trudovych lagerej, Direzione principale dei campi di lavoro correttivi – spesso scritto GULag ) è stato il ramo della polizia politica dell’URSS che costituì il sistema penale dei campi di lavoro forzato. Benché questi campi fossero stati pensati per la generalità dei criminali, il sistema è noto soprattutto come mezzo di repressione degli oppositori politici dell’Unione Sovietica.

Il tasso di mortalità nei gulag sovietici nell’anno prebellico era tra il 3 e il 7%, durante la guerra raggiunse il 17%, viste le scarse condizioni di vita, e negli anni del dopoguerra tra lo 0,4 e l’1,2%.

Le assurde quote di produzione, la brutalità, la fame e la durezza di condizioni furono le principali ragioni dell’alto tasso di mortalità, che raggiungeva in molti campi anche l’80% nei primi mesi.

Il taglio e trasporto del legname e il lavoro in miniera erano le attività più comuni e più dure. In una miniera la quota di produzione pro capite poteva raggiungere i tredicimila chili di minerale al giorno. Mancare la quota significava ricevere minori razioni di sostentamento, un ciclo che di solito causava conseguenze fatali, passando attraverso la spossatezza e devitalizzazione. Un uomo in queste condizioni era soprannominato dohodyaga, traducibile approssimativamente con “spacciato”.

I detenuti erano spesso costretti a lavorare in condizioni disumane. A dispetto del clima duro, non erano mai adeguatamente vestiti, nutriti, trattati medicalmente in modo appena sufficiente, né veniva loro fornito alcun mezzo per combattere l’avitaminosi che conduceva a malattie come lo scorbuto o sindromi quali la cecità notturna, detta anche cecità del pollo. Il valore nutrizionale di una razione minima giornaliera era intorno alle 1.200 kilocalorie (5000 kilojoule), principalmente da pane di bassa qualità (distribuito in base al peso e chiamato paika ). Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità la necessità minima per un lavoratore pesante è compresa tra le 3.100-3.900 kilocalorie (da 13.000 a 16.300 kJ) giornaliere.

Le condizioni di lavoro erano talmente insopportabili che alcuni prigionieri si provocavano volontariamente gravi lesioni o addirittura amputazioni pur di restare a riposo per un certo periodo.

Gli amministratori rubavano ordinariamente dagli accantonamenti per guadagno personale e per ottenere favori dai superiori. Di conseguenza, i reclusi erano costretti a lavorare ancora più duramente per colmare la differenza. Gli amministratori ed i fidati (prigionieri assegnati a svolgere i lavori di servizio del campo stesso, quali cuochi, fornai e magazzinieri, soprannominati pridurki ) scremavano i medicinali, i tessuti e i generi alimentari più nutrienti.

In alcuni campi si praticava la selezione per eliminazione: quando i prigionieri si allineavano per il turno di lavoro, all’ultimo che si presentava si sparava come monito per gli altri, oppure gli si negava la razione giornaliera di cibo. ( Wikipedia )

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Rivolta contro il Mondo Moderno

Rivolta contro il mondo moderno è un libro del filosofo e pensatore tradizionale Julius Evola, considerato unanimemente la sua opera più importante. Fu pubblicata per la prima volta dall’editore Hoepli di Milano nel 1934.
Si tratta di uno studio di morfologia delle civiltà e di filosofia della storia. Il termine rivolta, come dice lo stesso Evola, non corrisponde al contenuto: «perché non si tratta di uno scritto polemico, l’istanza polemica, la “rivolta”, se mai, è implicita, è una ovvia conseguenza».
L’opera è suddivisa in due parti: la prima si intitola Il mondo della tradizione, la seconda Genesi e volto del mondo moderno.
La prima parte è interamente dedicata ad uno studio comparato delle dottrine delle civiltà tradizionali in cui l’autore indica i principi fondamentali secondo cui si manifesta la vita dell’uomo tradizionale: la dottrina delle due nature, l’esistenza di un ordine fisico e di uno metafisico. Segue l’indicazione del modo con cui l’uomo della tradizione concepisce il diritto, la legge, la guerra, la proprietà, le relazioni fra i sessi, l’immortalità e la razza.
La seconda parte contiene invece un’interpretazione della storia su base tradizionale: si parte dalle origini dell’uomo per arrivare al concetto moderno di evoluzione in senso darwiniano che, secondo la tradizione, è considerato un regresso, un’involuzione. L’autore traccia un affresco della storia letta secondo lo schema ciclico tradizionale delle quattro età: oro, argento, bronzo e ferro nella tradizione occidentale ( Esiodo ) e satya, treta, dvapara e Kali Yuga in quella orientale ( induismo ). ( Wikipedia )
Evola

Il Cuore della Vita Giapponese

Kokoro, in giapponese, può significare «mente», «spirito», «sentimento», «emozione», «pensiero», ma Lafcadio Hearn tradusse questa parola forse in uno dei modi migliori: «il cuore delle cose. Questa raccolta di quindici scritti tocca gli aspetti più profondi della vita giapponese, e contiene alcuni dei più bei racconti che Hearn poté ascoltare durante gli anni trascorsi in quel Paese. Visto con i suoi occhi, il Giappone è un luogo misterioso e romantico, uno sguardo che ha molto influenzato l’idea che l’Occidente, allora, andava formandosi di una cultura esotica e ancora, tutto sommato, insondabile.
In questo libro il Giappone di quei tempi, con la sua etica radicata e diffusa dalle classi più elevate fino a quelle più popolari, i suoi assiomatici doveri del rispetto e del sacrificio, della generosità fino al dono della propria stessa vita, con quella spiritualità profonda che è caratteristica di tutto l’Oriente, offre a Hearn lo spunto per una critica lucidissima e spietata – tanto moderna da essere profetica – dell’Occidente capitalistico, con le sue città disumane, mostruose, inquinate, dove alla pretesa della ricchezza e del predominio culturale sul mondo si contrappone la miseria e la degradazione dei bassifondi, dove l’amoralità delle classi alte, che non hanno altro valore se non il denaro, si accompagna allo sfruttamento sfrenato dell’uomo. Kokoro è uno sguardo capace di cogliere fulmineamente il «cuore delle cose», capace di partire dalla semplicità di un mondo e di una vita ancora tradizionali per rivolgersi dolorosamente alle cose di casa nostra, all’Occidente padrone del mondo, che ha barattato il suo «cuore» con la volontà di potenza. ( Luni Editrice )

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Libri & Letture

Aggiornato al 17 Settembre 2022

Letture Natalizie by Libreria Aiace Roma Montesacro

Etruschi

Le Strade Etrusche

L’aumento dello scambio commerciale tra popolazioni distanti di prodotti agricoli, olio, vino, ceramica e ferro, quest’ultimo materiale molto pesante da trasportare, ha reso necessario non più il semplice utilizzo di animali da soma ma carri grandi, pesanti ed ingombranti.
I percorsi scelti dai commercianti sono poco accidentati, con pendenze adatte al transito di carovane; le Vie etrusche sono costruite adattando e migliorando i preesistenti tracciati della transumanza e delle mulattiere, a volte aprendo nuovi percorsi dove ponevano Stazioni di Sosta con abbeveratoi, fieno per gli animali, legna da ardere prodotti alimentari per i carovanieri, maniscalchi per ferrare muli e cavalli, carpentieri per riparare i carri. In questo modo le carovane potevano percorrere tratti lunghissimi per raggiungere città e popolazioni sempre più distanti.
Gli Etruschi hanno costruito anche basi portuali alla foce dei fiumi per sfruttare commercialmente le vie d’acqua. I commercianti navigatori risalgono con le imbarcazioni i fiumi, sfruttando percorsi stradali lungo il corso del fiume necessari al traino delle imbarcazioni controcorrente. Nei tratti in cui il fiume per sua conformazione non era navigabile si proseguiva su mulattiere per poi riprendere il percorso d’acqua dove diventava di nuovo navigabile. ( Tratto da Etruscan Corner )

Le Abbazie del Lazio

Le Abbazie del Lazio rappresentano, insieme ai Santuari, ai Monasteri, ai Conventi e agli Eremi, i principali luoghi di culto del Lazio. Luoghi, quindi, che arricchiscono notevolmente il patrimonio storico e artistico di questa regione. Molte Abbazie conservano opere d’arte sia di grande pregio che di notevole importanza culturale. Spesso sono stati centri di eventi storici che hanno segnato in un modo o nell’altro la storia del Lazio e d’Italia. Prima fra tutte l’Abbazia di Montecassino tra le più importanti presenti nella nostra penisola.
Altri luoghi di culto sono una grande testimonianza della storia religiosa del Lazio come la splendida Abbazia di Fossanova all’interno del borgo medievale omonimo, l’Abbazia di Valvisciolo affascinate e misteriosa che si affaccia sull’Agro Pontino e l’Abbazia di Farfa che nel corso degli anni ha assunto una sempre maggiore attenzione da parte dei devoti e, soprattutto, dei turisti provenienti da ogni parte del Lazio e d’Italia. ( Tratto da LazioNascosto.it )

Subiaco Monastero

Ferrara, le sue origini nel MedioEvo ?

Non esistono fonti certe sull’etimologia del nome Ferrara anche se appare molto probabile che non nasca in epoca romana e che quindi sia comparso successivamente, nel medioevo. Del resto la città è nata relativamente tardi rispetto ad altri insediamenti vicini come Ravenna, Spina e Voghenza. È senza fondamento anche la derivazione biblica; nessun Ferrato è mai citato nel testo sacro. Mitico pure il fatto che la città sia stata fondata da un certo Marco che qui sarebbe giunto accompagnato, tra gli altri, da una ragazza troiana di nome Ferrara. Si vorrebbe che l’immagine di tale fanciulla sia quella che compare scolpita sulla porta minore della cattedrale, a destra, e detta anticamente Madonna Frara. Si è pensato al ferro che veniva lavorato nel territorio o che il nome sia venuto dal farro, il cereale molto usato dai romani e abbondante nel ferrarese; Farraria, cioè terra dove si coltiva il farro. Altra supposizione è legata alle importanti fiere che si tenevano in zona due volte l’anno. Il luogo dove queste si svolgevano veniva chiamato Feriarum area ( Piazza delle Fiere ). Certo è che la prima sede vescovile sorta dopo il trasferimento forzato da Voghenza veniva chiamata Ferrariola  (Forum Alieni ) e che poco dopo, nel VII secolo, fu fondato il Castrum Ferrariae, più comunemente noto come Castrum bizantino ( Wikipedia )

 

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Libri & Letture

Aggiornato al 17 Settembre 2022

La Strage di Piazza Fontana a Milano – LIBRO: Valpreda dice

Piazza Fontana Strage

La Strage di Piazza Fontana a Milano

La strage di piazza Fontana fu conseguenza di un grave attentato terroristico compiuto il 12 dicembre 1969 nel centro di Milano presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura e che causò 18 morti e 88 feriti. Considerata «la madre di tutte le stragi», il «primo e più dirompente atto terroristico dal dopoguerra», «il momento più incandescente della strategia della tensione» e da alcuni ritenuto l’inizio del periodo passato alla storia in Italia come anni di piombo. Per tanti aspetti si può parlare d’una storia della Repubblica prima e dopo piazza Fontana.

Gli attentati terroristici di quel giorno furono cinque, concentrati in un lasso di tempo di appena 53 minuti, e colpirono contemporaneamente Roma e Milano, le due maggiori città d’Italia. A Roma ci furono tre attentati che provocarono 16 feriti, uno alla Banca Nazionale del Lavoro in via San Basilio, uno in piazza Venezia e un altro all’Altare della Patria; a Milano, una seconda bomba venne ritrovata inesplosa in piazza della Scala.

Le indagini vennero orientate inizialmente nei confronti di tutti i gruppi in cui potevano esserci possibili estremisti; furono fermate per accertamenti circa 80 persone, in particolare alcuni anarchici del Circolo anarchico 22 marzo di Roma ( tra i quali figurava Pietro Valpreda ) e del Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa di Milano ( tra i quali figurava Giuseppe Pinelli ). Secondo quanto dichiarato da Antonino Allegra, ai tempi responsabile dell’ufficio politico della questura, alla Commissione Stragi, gli arresti erano stati particolarmente numerosi e avevano interessato anche esponenti della destra estrema, con lo scopo di evitare che nei giorni seguenti questi individui, ritenuti a rischio, potessero dare vita a manifestazioni o altre azioni pericolose per l’ordine pubblico.

Da Milano il prefetto Libero Mazza, su segnalazione di Federico Umberto D’Amato, direttore dell’Ufficio affari riservati del Viminale, avvisò il Presidente del Consiglio Mariano Rumor: «L’ipotesi attendibile che deve formularsi indirizza le indagini verso gruppi anarcoidi». Ipotesi che si rivelò un depistaggio attuato proprio dall’Ufficio Affari Riservati.

Valpreda

Nei giorni successivi alla Strage di Piazza Fontana fu additato, con Giuseppe Pinelli ( morto in circostanze non chiarite, precipitando dalla finestra della Questura ), come colpevole a causa della testimonianza del tassista Cornelio Rolandi, che dichiarò di averlo portato col suo taxi in piazza. Valpreda sarebbe sceso con una valigetta e sarebbe tornato sul taxi senza di essa. Furono arrestati anche altri cinque aderenti al Circolo anarchico 22 marzo. Valpreda venne accusato anche dall’ex estremista di destra, poi avvicinatosi agli anarchici, Mario Merlino. L’alibi di Valpreda – era a casa di una prozia, poiché ammalato – non viene creduto.

Valpreda subì un forte linciaggio mediatico dai giornali ( spesso riportando le parole di Rolandi, «è lui!» ), che lo presentarono come «il mostro di piazza Fontana», epiteto apparso sul giornale del PCI l’Unità, che lo descrisse come «un personaggio ambiguo e sconcertante dal passato oscuro, forse manovrato da qualcuno a proprio piacimento»[; sull’Avanti! del PSI venne descritto come esponente di un gruppo anarco-fascista, un «individuo morso dall’odio viscerale e fascistico per ogni forma di democrazia»[3], il giornalista Bruno Vespa, in diretta dal TG1, lo presentò come il «vero» e sicuro colpevole, per Mario Cervi, che fa ricorso anche a stereotipi lombrosiani, «il crimine ha oramai una fisionomia precisa: il criminale ha un volto […] la sua salute è insidiata da un’infermità grave, il morbo di Burger. La menomazione che lo impedisce, lui ballerino, nelle gambe, potrebbe avere contribuito a scatenare una forsennata e irrazionale avversione per l’umanità intera».  …… ( Wikipedia )

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L’Emozione che solo i Libri Rari sanno dare by Libreria Aiace

Mosca.2

ZDROJEWSKA – KRYLOV RACCOLTA DI FAVOLE, 1957

Ivan Krylov nacque a Mosca, ma trascorse l’infanzia e la giovinezza a Orenburg e a Tver’. Suo padre, ufficiale dell’esercito russo, morì nel 1779 lasciando la famiglia in precarie condizioni economiche. Alcuni anni più tardi Krylov e sua madre si trasferirono a San Pietroburgo nella speranza di ottenere una pensione statale. A San Pietroburgo Krylov ottenne un posto di impiegato statale, ma vi rinunciò dopo la morte della madre (1788). La sua carriera letteraria cominciò nel 1783, quando riuscì a vendere a un editore una sua commedia (L’indovina dai fondi di caffè, pubblicata postuma nel 1868). Utilizzò il compenso per acquistare testi di autori francesi, in particolare di Molière, Racine e Boileau.

Il nome di Krylov è tuttavia legato soprattutto alle favole, a cui si dedicò completamente per il resto della vita a partire dal 1808. Nel 1809 venne pubblicata una prima raccolta di 23 favole, che ottenne un successo straordinario e venne seguita da altre otto raccolte simili nel periodo di tempo fra il 1810 e il 1820. Le sue favole con animali prendono di mira direttamente i vizi umani, in particolare l’incompetenza, l’arroganza e la stoltezza, con riferimenti alla vita russa contemporanea. Ispirandosi a Esopo e a La Fontaine, Krylov manifesta un atteggiamento piccolo-borghese tipicamente russo, basato sul buon senso ma anche a un certo conformismo. Nonostante fosse un conservatore e un classicista (la struttura narrativa è arcaica e tipicamente settecentesca), egli usò per le sue favole la lingua viva e corrente del popolo russo, riuscendo a conferire per la prima volta dignità d’arte a locuzioni idiomatiche che da allora in poi sono diventate parte integrante del patrimonio letterario della lingua russa. ( Wikipedia )

Commento

Nelle sue favole, scritte in modo vivace, incisivo e con il linguaggio del popolo, si mescolavano folclore e saggezza contadina e venivano presi di mira la presunzione e la stupidità dell’uomo. Non solo, la satira di Krylov colpiva, attraverso atteggiamenti e parole degli animali umanizzati, la politica russa dell’epoca, in particolare gli aspetti repressivi dell’autocrazia, ed è per questo che le favole più audaci furono divulgate soltanto molti anni dopo la morte dell’Autore.

FRANCESCO GABRIELLI, GIOCHI GINNASTICI, HOEPLI, 1895

IL GIUOCO DEL CALCIO

(Ingl. Football. — Ted. Fussball. — Fr. La barette)

Il Calcio è un giuoco pubblico di due schiere di giovani a piedi e senz’arme, che gareggiano piacevolmente di far passare di posta oltre allo opposto termine un mediocre pallone a vento a fine d’onore.

G. De’ Bardi. — (an. 1580).1.

I. INTRODUZIONE.

Per le ricerche fatte da molti studiosi delle opere di Marziale, Polluce, Galeno, Ateneo, Eustazio e del Mercuriali2, s’è riconosciuto che i giuochi antichi dei Greci e dei Romani, detti Episciro, Fennida e Arpasto avevano molta somiglianza col giuoco italiano del Calcio, e [p. 30 modifica]si crede che questo abbia avuto origine da quelli. Parecchi pensano che i Romani nelle terre dove estesero il loro dominio, lasciassero, con le altre usanze, anche quelle dei loro giuochi, e che l’Arpasto derivasse il Calcio. In tal modo si spiega perchè questo giuoco potesse essere praticato in Inghilterra fino dall’anno 13493, e in Francia fino del 13874.

In Italia questo giuoco fu in gran voga specialmente al tempo dei Medici, come divertimento annuale e carnevalesco della città di Firenze, dalla quale prese l’appellativo di fiorentino (Florentinum Hàrpastum) e spettacolo solenne della nobiltà toscana nelle ricorrenze di feste principesche.

Dal discorso citato del Bardi si può apprendere, meglio che dallo Scaino5, come si faceva a quei tempi il Calcio, e quanta sia la differenza che passa fra il giuoco d’allora e quello moderno che gli corrisponde. Allora gli elementi principali del Calcio erano la corsa, la lotta e le pugna; ora gli è esclusivamente un giuoco di corsa: allora era un esercizio sopratutto spettacoloso, ora è un esercizio eminentemente igienico.

In principio del secolo XVIII esso scomparve dalle abitudini popolari italiane, ed ora ritorna in uso modificato razionalmente dagli Inglesi. Anche in Inghilterra da qualche secolo il Calcio (Football) non era più praticato, e solamente una trentina d’anni fa ricomparve fra gli studenti; i quali, per adattarlo alla scuola, gli apportarono via via delle modificazioni, alcune però secondo [p. 31 modifica]un certo punto di vista, altre secondo un altro, di modo che ne risultarono due forme di giuoco differenti.

Una, dal nome della città sede della scuola in cui venne regolato, si chiamò Football Rugby, e l’altra, dalla società costituitasi per diffonderlo, Football Association.

Il Football Rugby ha più somiglianza col Calcio antico, il Football Association è molto diverso. Nel primo si manda avanti la palla (ovale) coi piedi e si può portarla anche con le mani dentro la porta nemica; nel secondo la palla (rotonda) non viene mai toccata con le mani. In quello l’azione del portare la palla è impedita dagli avversari, ed è cagione di mischie e di zuffe, spesso funeste ai giocatori; in questo è proibito di toccare gli avversari.

Perciò il Rugby non viene compreso in questa raccolta: si accoglie invece il Calcio secondo il metodo dell’Association, dandogli il posto d’onore fra i giuochi scolastici, perchè, per i suoi effetti igienici e per il grande numero di giocatori che vi possono partecipare, è senza dubbio il più importante di tutti, e merita davvero le migliori cure da parte dei preposti all’educazione fisica della gioventù.

Calcio

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LIBRI RARI: un Investimento che dura nel Tempo by Libreria Aiace

Apollinaire

BODINI: I POETI SURREALISTI SPAGNOLI, PRIMA EDIZIONE – EINAUDI 1963

Il termine “generazione” per indicare questo gruppo di poeti spagnoli è stato usato per la prima volta nel 1948 da Dámaso Alonso, uno dei giovani intellettuali che nel 1927 si riunirono a Siviglia per commemorare il poeta Luis de Góngora nel trecentesimo anniversario della sua morte. La definizione “generazione del 27” che compare nell’edizione del 1957 della Historia de la literatura española di Ángel Valbuena Prat, secondo l’opinione dello studioso di letteratura spagnola Andrew A. Anderson sarebbe già stata utilizzata nel 1944 da uno dei membri del gruppo, il poeta e critico letterario Juan Chabás, nella sua Nueva historia. Manual de la literatura española, pubblicata in esilio a Cuba. Nel 1974 lo scrittore e critico letterario Juan Manuel Rozas contribuisce a rafforzare questa definizione, chiarendone i riferimenti: il 1927 è l’anno del terzo centenario della morte di Gongora e quello in cui vengono pubblicate le principali riviste del gruppo e alcuni dei testi più significativi della nuova estetica letteraria.

Nella seconda metà del Novecento il concetto di generazione è stato messo in discussione perché non ritenuto applicabile al gruppo di intellettuali cui veniva attribuito, o perché – in generale – giudicato inadatto a definire un gruppo letterario, in quanto eccessivamente limitante. Nel corso del tempo sono state proposte altre declinazioni, ad esempio Generación Guillén-Lorca (nomi del più anziano e del più giovane dei suoi autori), Generación de la amistad, Generación de la Revista de Occidente, tuttavia Generazione del ’27 rimane la definizione più riconosciuta e consolidata. ( Wikipedia )

GUILLAUME APOLLINAIRE – POESIE – PRIMA EDIZIONE 1959

Guillaume Apollinaire nacque a Roma il 26 agosto del 1880, figlio naturale di Francesco Flugi d’Aspermont, un ufficiale svizzero originario del Cantone dei Grigioni, che non lo riconobbe mai, e di Angelika de Wąż-Kostrowicki, una nobildonna polacca. Si trasferì con la madre in Francia giovanissimo. Apollinaire ebbe un’adolescenza instabile e disordinata, trascorsa tra vaste letture e numerosi viaggi, ma con studi non regolari. Conobbe e frequentò artisti d’avanguardia a Parigi, tra i quali anche i poeti Giuseppe Ungaretti e Max Jacob e il pittore Pablo Picasso. Partecipò alle discussioni sul cubismo in gestazione e, nel 1913, scrisse un saggio su questa scuola artistica. Allo scoppio della prima guerra mondiale, scelse di arruolarsi come volontario, definendo la guerra “un grand spectacle”, ma nel 1916 venne ferito a una tempia e subì un complesso intervento chirurgico. L’interesse per il moderno lo portò a sostenere anche il futurismo di Filippo Tommaso Marinetti e la pittura metafisica di Giorgio de Chirico. ( Wikipedia )

Nel 1913 il Mercure de France pubblicò la prima grande opera dello scrittore intitolata Alcools: si trattava della raccolta delle migliori poesie scritte in 15 anni di lavoro, tra 1898 e il 1912. Dopo l’esperienza della guerra e della delicata operazione al cranio, nel 1918 apparve la seconda grande raccolta di poesie di Apollinaire dal titolo Calligrammi, poemi della guerra e della pace. Le due raccolte poetiche riuscirono a rinnovare la letteratura francese, influenzando in maniera determinante anche la poesia italiana del Novecento, tanto da essere considerate dei veri e propri capolavori dell’epoca.

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IL PRIMO LIBRO DELLE FAVOLE – C. E. GADDA – GARZANTI 1976

“Codeste favole ciò è piccole fave o vero minutissime favuzze o faville d’un foco sopr’a duo rocchietti stento e d’una manata di stipa, codeste nugae ove non è Francia né Spagna, né coturno tragico né penziere eccelso di filosafo, sonsi accestite come le foglie pazze d’un cavolo d’attorno il grumolino qual principiomi germogliar del capo a Panettopoli e fu in luogo d’altra melior escrescenza, o corona, di che non potette unquanco venirmene ‘l capo indurato, o coronato, donna non avendo tolta a’ miei anni.
E fu nell’anno de la Salute Nostra milnovecento trentanove: e di poi vi stetti insino a presso mezzo giugno il quaranta..

Durava il passo tuttavia de’ Lanzi [ Lanzichenecchi ]: e l’accorto colono si divisò di rendere invisiva [ invisibile ] la vacca, che aveva molto più cara della moglie: onninamente invisiva a quelle soldatesche pestifere. Ma nessun luogo gli pareva proprio. Nel mezzo d’una brughiera scavò fossa, un poco più fonda di quanto non andasse alta dallo strame la testa della vacca, e le corna pure computò. E trattavi la cornuta in sull’orlo, per un tavolino a sdrucciolo ch’avea ben bene saponato ve la fe’ sdrucciolare del sedere: avendovi ogni diligenza, acciò la non si frangesse l’ossa delle gambe. Quando indi i Lanzi messono a sacco il paese, scrutarono a lungo la desolazione della brughiera, con cigli aggrottati e schermando anco il solecchio, della man destra. Ma nulla vi scorsero.

Giuseppe Verdi compose una Messa da Requiem che in Paradiso, appena la udirono, gli pareva d’essere tutti in palco. Alla Scala.

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Demenza senile, la lettura e la scrittura ne riducono l’incidenza

Neurone

Leggere e scrivere mantengono il cervello sano

Uno studio condotto da Jennifer Manly, della Columbia University Vagelos College of Physicians and Surgeons a New York ( Stati Uniti ), pubblicato sulla rivista Neurology, organo ufficiale della American Academy of Neurology, ha mostrato che leggere e scrivere proteggono la salute del cervello.

Le persone che non leggono e non scrivono presentano un rischio quasi triplo di sviluppare demenza.

Lo studio ha coinvolto quasi 1000 persone di età media 77 anni, tra cui 237 analfabeti.

All’inizio dello studio il 35% degli analfabeti è risultato presentare già demenza contro il 18% di coloro che sapevano leggere e scrivere.

Dopo circa 4 anni si è passati al 48% degli analfabeti con demenza contro il 27% di coloro che sapevano leggere e scrivere.

Secondo gli sperimentatori gli analfabeti hanno un rischio di demenza quasi triplo rispetto agli altri, a parità di condizioni quali età, sesso, stato socioeconomico e salute cardiovascolare.

Essere in grado di leggere e scrivere consente alle persone di intraprendere un maggior numero di attività che coinvolgono le risorse mentali, come leggere il giornale o aiutare i nipoti coi compiti a casa.

Precedenti studi hanno dimostrato che tali attività si associano a un rischio ridotto di demenza.

 

People who cannot read may be three times

as likely to develop dementia

 

New research has found that people who are illiterate, meaning they never learned to read or write, may have nearly three times greater risk of developing dementia than people who can read and write.

The study is published in the Neurology, the medical journal of the American Academy of Neurology.

According to the United States Department of Education, approximately 32 million adults in the country are illiterate.

According to Jennifer J. Manly of Columbia University Vagelos College of Physicians and Surgeons in New York ( U.S.A ), being able to read and write allows people to engage in more activities that use the brain, like reading newspapers and helping children and grandchildren with homework.

Previous research has shown such activities may reduce the risk of dementia.

New study provides more evidence that reading and writing may be important factors in helping maintain a healthy brain.

The study looked at people with low levels of education who lived in northern Manhattan. Many were born and raised in rural areas in the Dominican Republic where access to education was limited.

The study involved 983 people with an average age of 77.

Each person went to school for four years or less. Researchers asked each person, ” Did you ever learn to read or write ? “

Researchers then divided people into two groups; 237 people were illiterate and 746 people were literate.

Participants had medical exams and took memory and thinking tests at the beginning of the study and at follow-up appointments that occurred every 18 months to two years.

Testing included recalling unrelated words and producing as many words as possible when given a category like fruit or clothing.

Researchers found of the people who were illiterate, 83 of 237 people, or 35%, had dementia at the start of the study.

Of the people who were literate, 134 of 746 people, or 18%, had dementia.

After adjusting for age, socioeconomic status and cardiovascular disease, people who could not read and write had nearly a three times greater chance of having dementia at the start of the study.

Among participants without dementia at the start of the study, during follow-up an average of four years later, 114 of 237 people who were illiterate, or 48%, had dementia.

Of the people who were literate, 201 of 746 people, or 27%, had dementia.

After adjusting for age, socioeconomic status and cardiovascular disease, researchers found that people who could not read and write were twice as likely to develop dementia during the study.

When researchers evaluated language, speed, spatial, and reasoning skills, they found that adults who were illiterate had lower scores at the start of the study. But their test scores did not decline at a more rapid rate as the study progressed.

The study also found that literacy was linked to higher scores on memory and thinking tests overall, not just reading and language scores. These results suggest that reading may help strengthen the brain in many ways that may help prevent or delay the onset of dementia.

Even only for few years of education, people who learn to read and write may have lifelong advantages over people who never learn these skills.

Manly said future studies should find out if putting more resources into programs that teach people to read and write help reduce the risk of dementia.

A limitation of the study was that researchers did not ask how or when literate study participants learned to read and write.

The study was supported by the National Institutes of Health and National Institute on Aging.

Source: American Academy of Neurology, 2019

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Libri & Letture

Aggiornato al 3 Febbraio 2024

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