Ciao Marvelous!

hagler86

Siamo un blog che parla di calcio, ma abbiamo rispetto per tutti gli sport (come scrivemmo in uno dei nostri primi post, concernenti Nadia Comaneci, la ginnasta rumena che nel 1976 stupì il mondo).

Per questo motivo oggi vogliamo ricordare uno dei più grandi pugili di tutti i tempi: Marvin Hagler, detto “The Marvelous”, re incontrastato dei Pesi Medi dal 1980 al 1987, anno in cui si ritirò dopo la sconfitta contro Ray Sugar Leonard, un match dal verdetto controverso, che “The Marvelous” non accettò mai.

Difese il titolo diverse volte dal 1980 (anno in cui lo conquistò sconfiggendo Alan Minter), ma indubbiamente la vittoria che tutti ricordano maggiormente  e che più delle altre è passata alla storia è senza dubbio quella contro John  “The Beast” Mugabi, nell’incontro disputatosi il 10 marzo 1986 a Las Vegas. Vinse Hagler all’undicesima ripresa, ma il round che ancora oggi è rimasto nella mente di tutti gli appassionati di boxe è indubbiamente il sesto.

Quello fu uno dei più bei round della storia del pugilato, anche Rino Tommasi in telecronaca le definì una delle più belle riprese a cui abbia assistito nella sua carriera.

Quello era il periodo in cui gli appassionati di boxe potevano assistere agli incontri più emozionanti grazie al programma “La Grande Boxe”, proposto su Canale 5 e Italia 1 con l’autorevole commento di Rino Tommasi. Come dicono quelli come  noi, che quell’epoca l’abbiamo vissuta: “Ma che ne sanno i 2000…”.

Tornando a “The Marvelous”, fu senza dubbio uno dei più grandi Pesi Medi che il pugilato abbia espresso.

A fine carriera visse anche qualche anno in Italia, seguendo il calcio (si dichiarò tifoso della Sampdoria).

La sua scomparsa ci ha rattristati, rappresenta un’altra figura degli anni ’80 che ci lascia, lasciando il ricordo di un Numero Uno nel suo sport.

Noi intanto, non neghiamo che ci siamo rigustati (e ci riguasteremo ancora in futuro) per l’ennesima volta quel sesto, epico round su youtube , che evidenzia la grandezza di Marvin.

Ciao Marvelous, R.I.P.

30 Ottobre 1974: The rumble in the jungle

alibumaye

Come abbiamo già affermato, il fatto di essere un blog di calcio non vuol dire che non dobbiamo parlare pure di altri sport.

A questo proposito, vogliamo ricordare che quarantacinque anni fa, a Kinshasa, nello Zaire, veniva disputato uno degli incontri di boxe più celebri della storia tra Muhammad Alì e George Foreman, match ancora oggi conosciuto con il nome di “The rumble in the jungle”.

Su quest’incontro è già stato detto e scritto tanto.  Sono stati realizzati libri, film, pure canzoni, perciò non ci dilungheremo.

Vogliamo però sottolineare un fatto. Grazie a quel match l’Africa fu al centro del mondo, una volta tanto.

“Abbiamo lasciato l’Africa in catene, da schiavi, e oggi ci torniamo avvolti in un’aura di splendore e di gloria. Da campioni. I campioni sono qui”, furono le parole di Don King, il celebre e discusso promoter di boxe, organizzatore dell’incontro in questione.

Quel match dunque non fu solo un evento sportivo, rappresentò infatti una sorta di riscatto morale di un popolo che per secoli è stato sottomesso, oppresso, bistrattato, linciato.

A differenza di Foreman, Alì capì tutto questo, come ha sempre anche sostenuto Gianni Minà, che nel 1994, a vent’anni da quel match, scrisse su Repubblica: “…Muhammad Alì, invece, aveva trasformato la vigilia (dell’incontro, ndr) nel trionfo dei suoi ideali, scoperti prima con Malcom X e poi con i Black Muslim. Si sentiva a suo agio davanti al fiume Congo, il fiume della tradizione nelle ballate degli ex schiavi d’America, e trasformò questa allegria in una guerra psicologica. Il giorno delle operazioni di peso le sue provocazioni rischiarono di anticipare lo scontro. Foreman fu trattenuto, ma la rabbia lo aveva già sconfitto”. Non a caso, il pubblico a Kinshasa quella sera fu tutto dalla parte di Muhammad Alì.

Perché lui, che si era battuto per la sua gente, che preferì essere squalificato e privato del titolo di Campione del Mondo, piuttosto che servire l’esercito di un paese dove i neri come lui venivano tenuti ai margini della società (“I Vietcong non mi hanno mai chiamato sporco negro”, fu la sua frase, rimasta nella storia, a proposito della Guerra in Vietnam, contro cui protestò senza se e senza ma), meglio di chiunque altro incarnava quello che fu, appunto, un sacrosanto desiderio di riscatto.

Fa pensare che per realizzare questo riscatto, furono determinanti non organizzazioni umanitarie, bensì un equivoco manager pugilistico come Don King (non certo Biancaneve) e un dittatore spietato come Mobutu, presidente dello Zaire.

Come ebbe a dire Alì però, solo dei ragazzi di Chicago (riferimento ai Black Muslim, a cui Alì apparteneva e che di fatto, erano i suoi amministratori) non sarebbero riusciti a farlo.